IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XIX, 1977, Numero 1, Pagina 70

 

 

RIFLESSIONI SULLA CIVILTÀ
 
 
In questo tempo poche parole sono tanto squalificate come la parola civiltà. In un recente passato troppi crimini sono stati commessi in nome di pretestuose civiltà che la storia ha svelato come orribili accozzaglie di visioni deliranti. Non erano che mostruose manifestazioni di una realtà storica: la crisi della civiltà europea, seguita alla crisi di tutte le altre civiltà viventi. È naturale quindi che la crisi delle civiltà determini anche la crisi dell’idea di civiltà. Viviamo in un mondo senza civiltà? È un interrogativo privo di senso. È vero invece che viviamo in un mondo in cui la civiltà è in crisi e ciò determina la crisi della convivenza civile dei popoli. La civiltà va scomparendo? Si potrebbe anche sostenerlo a ragion veduta. Un futuro romanzo di successo potrebbe intitolarsi «La Preistoria prossima ventura». Tuttavia la stessa storia delle civiltà consentirebbe di essere ottimisti. Non è forse vero che sulla terra d’Egitto la stessa civiltà nata originariamente dalla preistoria dell’uomo è risorta per ben due volte?
Certo è che tutte le civiltà dette viventi dagli storici sono in crisi. Forse qualcuna di queste è già morta, ma nessuna ha ritenuto di chiamare il medico per diagnosticarlo. Quale sarebbe la reazione di un popolo cui fosse comunicato ufficialmente che la sua civiltà tradizionale è defunta, con tanto di data di morte nel libro anagrafico della storia? Supponiamo una comunicazione del genere fatta solennemente al popolo giapponese. Magari letta alla televisione in occasione dell’anno nuovo dall’imperatore Hirohito. Si rischierebbe di dover assistere al kara kiri in massa di migliaia di giapponesi che si sono adattati senza difficoltà a vivere in un appartamento in un grattacielo di Tokio, a lavorare esattamente come i loro colleghi impiegati presso uno stabilimento della stessa industria a Los Angeles, magari anche a mangiare con le posate invece che con i tradizionali bastoncini, ormai americanizzati in tutto, ma che non potrebbero sopportare di sentirsi dire che la loro civiltà è morta. Forse non lo è, ma certamente non si può capire né spiegare il Giappone moderno altrimenti che partendo dalla storia d’Europa degli ultimi secoli ed illustrando l’impatto che la civiltà europea, con la sua appendice americana, ha avuto sulla civiltà giapponese. Chi pretendesse di spiegare il Giappone moderno esclusivamente in termini di storia del Giappone antico, delle sue tradizioni, della sua cultura, della sua arte, della lotta tra le sue classi, potrebbe anche scoprire l’origine di molti interessanti fenomeni attuali, ma non arriverebbe mai a dirci la ragione essenziale della frattura che esiste tra il Giappone di oggi e quello di un secolo fa.
Anche l’Europa di oggi si differenzia in misura notevole dall’Europa di un secolo fa, ma anziché frattura vi è una continuità storica fra l’una e l’altra, che rende la prima il risultato abbastanza logico di quanto nella storia aveva accumulato la seconda. Per questo non è corretto parlare di due Europe riferendosi a quella di oggi ed a quella di un secolo fa. Ma sarebbe invece scorretto parlare di due Giapponi nel caso analogo?
Andare alla ricerca della civiltà, riscoprirla. È un’impresa difficile per cui non vi sono specialisti. Occorrerebbe essere al tempo stesso storici, economisti, sociologi ed esperti in tutte le arti ed in tutte le scienze. Poi è un’impresa che di questi tempi rischia di dare risultati angosciosi. Nessuno potrebbe intraprendere una ricerca seria della civiltà senza amarla. Sarebbe come ricercare il proprio amore per qualcosa che muore. Sarebbe come scoprirsi figli di Cristo ed incontrarlo lungo la Via Crucis. Ci si potrebbe ancora imbarcare in una tale impresa se si avesse fede nella resurrezione. Ma chi ha fede nella resurrezione della civiltà? La crisi della civiltà è sotto i nostri occhi, la vediamo anche se non la guardiamo. La sua resurrezione non la vediamo neanche se la guardiamo. È più facile credere che la nuova civiltà sia già nata, che sia il comunismo o qualche altro ismo nato nel solco dell’antica civiltà europea. Nella nuova civiltà che si vede si può credere: ad essa il compito di proseguire l’opera di civilizzazione dell’uomo. La vecchia civiltà… esiste ancora?
In fondo tutto il discorso sulla civiltà è ambiguo: vorrebbe dire tutto e rischia di non dire nulla. Lo Stato ha una connotazione precisa, un suo ordinamento, un popolo che abita un determinato territorio. Anche l’ideologia si definisce meglio della civiltà. Essa consente di interpretare in un dato modo la storia e di definire l’uomo soggetto (o oggetto) di questa storia. Il guaio è che le ideologie nascono in determinate circostanze storiche, svolgono un certo ruolo nella vita dei popoli, poi scompaiono. Agli Stati succede qualcosa di simile. Della civiltà non si riesce a fare a meno, perché non si riesce ad intendere la storia astraendo da essa o meglio da esse, che ne sono l’unico vero soggetto intelligibile. Per questo il discorso sulla civiltà è necessario anzi indispensabile. Un mondo senza civiltà è un mondo barbaro. Questo mondo non lo vuole nessuno. La civiltà in senso lato, come processo di progressiva civilizzazione dell’uomo, passato dallo stato bestiale a quello di ragione e via via ad uno stato sempre più evoluto e perfetto, non ha mai cessato di progredire. Sant’Agostino che vedeva la fine della civiltà nelle orde barbariche che invadevano l’Impero romano, confondeva la fine della civiltà greco-romana con la fine del processo di civilizzazione dell’uomo, che con la caduta dell’Impero, non si è arrestato, anzi si è esteso a nuovi popoli ed a nuovi territori. Se vi è una ragione per avere fede nella civiltà è proprio quella che vi sono casi di involuzioni di civiltà particolari oltre quelli più clamorosi relativi alla loro scomparsa, mentre non si può dire con altrettanta sicurezza che il processo di civilizzazione dell’uomo si sia mai arrestato o sia arretrato. I navigatori che sbarcarono per primi sull’isola di Pasqua scoprirono che i polinesiani che l’abitavano avevano perso l’arte di costruire le enormi statue che costellavano l’isola, né erano più capaci di compiere quelle navigazioni fino alle coste dell’Asia che verosimilmente avevano compiuto i loro antenati. La loro civiltà era arretrata, ma lo sbarco dei navigatori stranieri mostrava come la civilizzazione dell’uomo fosse nel frattempo proseguita.
Quale certezza può avere l’uomo moderno se non è certo della sua civiltà? La civiltà è la strada che percorre, il terreno che coltiva, la casa che abita, con i suoi cari. Quale angoscia vederne le fessure ed il decadimento, quale terrore sentirne prossima la fine. L’uomo ha bisogno di certezze. Se gli verranno meno quelle su cui si basa la sua vita tradizionale, ne cercherà delle altre magari illusorie e vivrà di tali illusioni. Come spiegare la rivoluzione dei costumi ed a cosa attribuire il non conformismo dilagante tra masse di giovani e meno giovani? La stessa passione di tanti militanti di movimenti rivoluzionari non è il segno della ricerca di nuove certezze in un mondo nuovo tutto da costruire, contrapposto all’incertezza del mondo in cui si vive? Ma le certezze o sono reali o non sono certezze. Le illusioni un giorno crolleranno e l’uomo ammaestrato anche nella esperienza cercherà la via per costruirsi nuove certezze. Alla fine di questo travagliato periodo ci aspetta una nuova civiltà o ritroveremo la stessa, levigata e purificata dagli errori che la contaminano?
Per quanto difficile, arduo ed angoscioso il discorso sulla civiltà non può essere eluso. Come farà altrimenti l’uomo moderno a ritrovare la sicurezza perduta? L’uomo è un essere sociale. Ogni persona vive a contatto con altre, inserito in più comunità, a loto volta inserite ed a contatto con altre comunità. In questo secolo si sono accresciuti enormemente i rapporti fra gli uomini e fra le comunità. L’interdipendenza è divenuta la legge sovrana del mondo contemporaneo. Un unico destino sembra accomunare l’umanità tutta. L’umanità è dunque divenuta una comunità di destino? Quale scoperta grandiosa. Ma le grandi religioni non l’avevano sempre sostenuto? Il Cristo non è morto e risorto per espiare i peccati del mondo e per riconciliare Dio con il mondo e ridare Dio al mondo? Ma questa comunità di destino si riconosceva solo sull’ultima spiaggia di questo mondo, per proiettarsi tutta sull’altra sponda. Le religioni non hanno unito il mondo, anzi l’hanno diviso e talvolta approfondito il solco delle sue divisioni. Ed esse restano, profonde ed inquietanti.
Una delle grandi mistificazioni del mondo moderno è di credere che siano ancora viventi un gran numero di civiltà. Nessuno potrà mai scrivere un testo di storia contemporanea di qualsiasi paese senza tener presente la Russia e l’America, la Cina e l’Europa, l’America latina ed il Medio oriente, l’Africa boreale ed il Sud est asiatico. Se la civiltà si definisce come unico soggetto intelligibile di storia oggi questo soggetto ha assunto la dimensione del mondo. In passato le civiltà erano come tanti pianeti ognuna con la sua storia, su cui solo occasionalmente esercitano un’influenza i contatti con le altre civiltà. Ma dopo che la moderna civiltà europea è venuta a contatto con le altre civiltà questa situazione si è modificata. Praticamente oggi più nulla è spiegabile di ciò che avviene in una qualsiasi parte del mondo se non si tiene conto di ciò che avviene in tutte le altre parti. Le civiltà sono scomparse, il processo di civilizzazione dell’uomo non si realizza più attraverso lo sviluppo storico di una pluralità di soggetti; la civiltà è una sola.
Se oggi al mondo esiste una sola civiltà, due sono le possibilità: o sono scomparse tutte le vecchie civiltà e ne è sorta una nuova o tra le vecchie civiltà ve ne è una che ancora sopravvive e che ora è comune a tutta l’umanità. Un giorno gli storici diranno che cosa in questo secolo sia effettivamente avvenuto.
Se fosse vera la seconda di tali ipotesi vi sarebbero pochi dubbi che a sopravvivere sia la civiltà cristiana occidentale della Europa, il cui eccezionale sviluppo a partire dal XVI secolo ha messo in crisi tutte le altre civiltà. Forse un giorno gli storici diranno che l’Europa più che culla è stata la tomba delle civiltà. A distanza di qualche secolo si sarebbero gradatamente spente le civiltà indiana, cinese, giapponese, islamica e cristiano ortodossa, non meno di come si spensero fulmineamente sotto il fuoco dei conquistadores le civiltà inca ed azteca.
Il presente è sempre difficile da interpretare, ma una cosa è certa: nella storia dell’umanità si è aperto un nuovo ciclo, la cui origine è nell’incontro-scontro tra la civiltà europea e le altre civiltà.
 
Gianni Ruta

 

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