IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXVII, 1986, Numero 2-3, Pagina 151

 

 

UNIONE EUROPEA E COMUNITÀ*
 
 
Qualunque progetto di rilancio dell’Unione europea deve fare i conti con il dato di fatto — in cui risiede la causa del fallimento di Lussemburgo — che alcuni paesi della Comunità, cioè Gran Bretagna, Grecia e Danimarca (più forse domani il Portogallo), da un lato non intendono comunque procedere sulla strada della Unione e lo dichiarano apertamente e, dall’altro, non hanno alcuna intenzione di rinunziare ai vantaggi che traggono dalla loro appartenenza alla Comunità. È quindi fuori di dubbio che qualunque iniziativa intesa a rilanciare l’Unione coinvolgendo nella stessa quei paesi è destinata inesorabilmente al fallimento. È essenziale pertanto tener conto di questo ostacolo e fondarsi sul presupposto che la sola ipotesi realistica dalla quale oggi si può partire è quella che un Trattato-Costituzione che istituisca l’Unione europea sia adottato da un numero di paesi inferiore alla totalità dei componenti l’attuale Comunità. (È opportuno precisare che questa affermazione vale soltanto per l’ipotesi di partenza, poiché tutto lascia pensare che, se un progetto realistico fondato su di essa incominciasse a fare la sua strada, l’atteggiamento della Gran Bretagna — e quindi della Grecia, della Danimarca ed eventualmente del Portogallo — evolverebbe rapidamente in senso positivo).
 
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Con questo non si vuol dire naturalmente che i nemici della Unione si trovino soltanto in Gran Bretagna, Grecia e Danimarca (ed eventualmente in Portogallo). È evidente che l’atteggiamento di quei governi fa comodo a molti uomini politici negli altri Stati membri, che sono contrari all’Unione ma che, dato l’orientamento dell’opinione pubblica nei rispettivi paesi, non lo possono dire apertamente e sono ben lieti che vi sia chi toglie loro le castagne dal fuoco. Ma la prima funzione di un progetto realistico di rilancio dell’Unione con chi ci sta sarebbe proprio quella di far cadere questo comodo alibi, rendendo chiaramente visibili gli schieramenti.
L’obiettivo dell’Unione con chi ci sta può essere realizzato in due modi: o con un atto di rottura o con l’accordo dei paesi che non ci stanno. La storia dell’Atto Unico di Lussemburgo ha dimostrato che la prima via non è percorribile. Le vicende che hanno avuto luogo nell’intervallo di tempo che va dall’approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo del progetto di Trattato all’Atto Unico hanno consentito di constatare che in un certo numero di paesi si è manifestata, nei governi e nei parlamenti, una reale disponibilità a procedere sulla strada dell’Unione; ma che nessuno (tranne, forse, l’Italia) era disposto a farlo a prezzo di una rottura con la Gran Bretagna (gli altri due paesi possono essere considerati a tutti gli effetti entités négligeables). Si ricordi a questo proposito che la « rottura » di Milano, per quanto simbolicamente importante, è stata contraddittoria perché si è risolta in una decisione, presa a maggioranza, di convocare una conferenza intergovernativa che avrebbe dovuto decidere all’unanimità. Sir Geoffrey Howe ha avuto buon gioco nella circostanza a presentarsi come il campione del buon senso quando ha dichiarato che la decisione di Milano sarebbe servita soltanto a rimandare un po’ in là nel tempo la constatazione dell’impossibilità di un accordo sul progetto del Parlamento europeo.
 
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Rimane la seconda alternativa. Essa consiste nel procedere sulla strada dell’Unione con il consenso dei paesi che non ci stanno. Poiché alcuni paesi non sono disposti ad andare avanti ma, nello stesso tempo, non vogliono rinunciare ai vantaggi che ottengono dall’appartenenza alla Comunità così com’è ora, essi, a rigar di logica, non avrebbero ragione di opporsi all’adozione, da parte degli altri, di un Trattato-Costituzione il cui contenuto ricalchi le linee del progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo, una volta che esso rispetti i loro diritti e i loro interessi derivanti dalla loro appartenenza alla Comunità.
Il nuovo testo di Trattato-Costituzione, quindi, anziché limitarsi a ricordare genericamente, come fa l’art. 82 del progetto del 14 febbraio 1984, l’esigenza di affrontare il problema delle relazioni tra gli Stati che lo avranno ratificato e quelli che non lo avranno fatto, dovrà contenere sin dall’inizio una serie di disposizioni che rendano compatibili le norme del Trattato-Costituzione con quelle dei Trattati di Roma. Ciò consentirebbe di presentare la proposta non come un’iniziativa di rottura, ma come un tentativo di conciliare gli interessi di coloro che vogliono una maggiore sovrannazionalità con quelli di coloro che la rifiutano ma intendono salvaguardare l’acquis communautaire; e quindi di rivolgerla a tutti gli Stati membri della Comunità invitandoli — ma questa volta realisticamente — a decidere, nel pieno rispetto dell’art. 236 del Trattato CEE, la creazione di un’Unione europea nell’ambito della Comunità.
 
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I vantaggi di questo approccio sono evidenti. Uno è quello già citato di togliere ai falsi amici dell’Europa il loro alibi più credibile. Ma ve ne sono altri. Eccoli:
a) È certo possibile, anzi probabile, che il governo inglese rimarrebbe decisamente contrario ad un piano di questo genere. Ma è fuori di dubbio che la sua posizione ne verrebbe indebolita. Diventerebbe molto più difficile per la signora Thatcher spiegare all’opinione pubblica le ragioni di un atteggiamento di pregiudiziale rifiuto. Una parte dell’opinione pubblica e della classe politica inglese contraria alla partecipazione della Gran Bretagna ad un’Unione europea democratica e sovrannazionale sarebbe comunque favorevole ad un accordo che lasciasse i rapporti tra il Regno Unito e gli altri paesi della Comunità nello status quo ante e si limitasse a consentire agli altri di avanzare.
b) Il solo fatto di mettere sul tappeto il piano favorirebbe la formazione e la manifestazione di una volontà politica europea in molti ambienti potenzialmente favorevoli. È infatti innegabile che l’ostacolo inglese — oltre a costituire un alibi per i falsi amici dell’Europa — è stato finora un deterrente reale anche per i suoi amici veri. Molto spesso una genuina volontà politica europea non si è manifestata anche laddove avrebbe potuto farlo perché la previsione del rifiuto pregiudiziale della Gran Bretagna soffocava sul nascere la volontà di agire, e persino la capacità di progettare.
c) Il fronte dei favorevoli verrebbe fortemente rafforzato anche dalla circostanza che un piano di questo genere consentirebbe loro di presentarsi al tavolo delle trattative nella veste di difensori della legalità, mentre ogni altra ipotesi di azione presuppone un atto di rottura. E quest’ultima prospettiva, data la sua improbabilità, rafforza lo scetticismo dei « realisti », oltre che l’avversione dei legalitari.
d) Ciò non significa che l’ipotesi della rottura debba essere esclusa a priori. È infatti possibile, come si è detto, che la Gran Bretagna, ritenendo di essere confinata da un accordo di questo tipo, pur nel rispetto dei suoi diritti acquisiti e dei suoi interessi economici, in una posizione politicamente marginale, si opponga a qualsiasi accordo e faccia fallire qualsiasi trattativa. Ma in questo caso apparirebbe agli occhi di tutti che la rottura è stata provocata da quei governi che vogliono bloccare il processo e non da quelli che vogliono spingerlo avanti. Questi ultimi infatti potrebbero legittimamente sostenere di aver fatto tutto il possibile per giungere ad una soluzione concordata nell’interesse di tutti, mentre la resistenza dei contrari diventerebbe sempre più difficile da giustificare. Ciò creerebbe una situazione favorevole alla maturazione di energie europee nell’opinione pubblica sia dei paesi favorevoli che dei paesi contrari e farebbe alla fine apparire una eventuale rottura come inevitabile e non come il risultato di una decisione arbitraria, rendendo così accettabile la relativa decisione anche ai governi più tiepidi.
 
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Resta il problema tecnico-giuridico di dimostrare che una soluzione di questo tipo è possibile. Ciò può essere fatto soltanto redigendo il testo di un progetto che risponda all’esigenza precedentemente indicata. Non bisogna nascondersi che la formulazione presenterà serie difficoltà — anche se non sembra il caso di esagerarne la portata. La storia dell’integrazione europea infatti ha già conosciuto soluzioni istituzionali molto complesse, come la coesistenza delle tre Comunità e quella della Comunità e del Sistema monetario europeo. Il Movimento si è comunque impegnato a risolverle, investendo del problema eminenti giuristi, esperti di diritto comunitario.
Gli orientamenti di base del progetto dovrebbero essere i seguenti:
1) Viene costituita una Unione europea nell’ambito della Comunità economica europea.
2) I paesi che costituiscono l’Unione potranno procedere lungo la strada del rafforzamento e della democratizzazione delle istituzioni e delle politiche comuni rispettando, nei rapporti con i paesi che sono membri della Comunità e non dell’Unione, le regole e le procedure della Comunità.
3) L’Unione è aperta ai paesi della Comunità che all’inizio non vi avranno aderito. Essi saranno ammessi, non appena ne manifesteranno la volontà, senza bisogno di alcuna trattativa, sempre che, naturalmente, accettino le regole dell’Unione.
4) Spetterà ai membri dell’Unione decidere, secondo le procedure in vigore tempo per tempo, se, nel quadro dei rapporti intergovernativi nell’ambito della Comunità, essi agiranno uti singuli o attraverso organi comuni. In ogni caso, nelle votazioni a maggioranza del Consiglio dei Ministri e nella determinazione del numero dei membri della Commissione spettanti a ciascun paese, l’Unione conterà sempre in proporzione al numero degli Stati membri.
5) Gli Stati terzi non potranno aderire all’Unione senza passare attraverso la Comunità, in modo da garantire che un mutamento della compagine della Comunità non possa avvenire senza il consenso di tutti i suoi membri.
 
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Il progetto dovrà regolare i rapporti tra Unione e Comunità affrontando i problemi che si porranno in tutti i settori più rilevanti, e in particolare:
1) Gli organi. Essi non dovranno essere duplicati, ma agire nelle due funzioni di organi dell’Unione e della Comunità. Il Parlamento e la Commissione, in particolare, potrebbero mantenere la composizione attuale ma, quando essi agissero in qualità di organi dell’Unione, i membri inglesi, danesi, greci, ecc. presenzierebbero in qualità di osservatori, con diritto di parola, ma non di voto.
I membri inglesi, danesi, greci, ecc. della Corte di giustizia sarebbero competenti, insieme agli altri, in tutte le controversie riguardanti la Comunità e in quelle riguardanti i rapporti tra la Comunità e l’Unione.
2) Le risorse proprie e il bilancio. Le risorse attuali rimarrebbero attribuite alla Comunità. L’Unione dovrebbe dotarsi di risorse proprie ricorrendo a trasferimenti ulteriori.
3) La politica agricola comune. Rimarrebbe di competenza della Comunità. L’Unione potrebbe assumere compiti nel settore dell’orientamento.
4) Il mercato interno. Nella salvaguardia degli accordi raggiunti di volta in volta con Gran Bretagna, Grecia, Danimarca, ecc., l’Unione potrebbe dare un più forte impulso al processo.
5) La coesione. Sembrerebbe facilmente ipotizzabile una competenza concorrente. Comunità e Unione porterebbero avanti proprie politiche regionali e sociali, cercando di armonizzarle nella misura del possibile.
6) La moneta. Non si pone problema di conflitto. L’Unione potrebbe inquadrare lo SME nel proprio sistema istituzionale e procedere verso il suo sviluppo in direzione di una vera e propria unione monetaria.
7) La procedura di revisione del Trattato di Unione. Non pone problemi di conflitto, purché venga salvaguardata l’integrità delle istituzioni comunitarie nei rapporti con i paesi membri della Comunità e non dell’Unione.
 
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Il Movimento ha fatto proprie, per rilanciare l’Unione, le proposte presentate da Spinelli alla Commissione istituzionale del Parlamento europeo. Esse si articolano in un piano che prevede i seguenti obiettivi:
a) La convocazione di una Convenzione degli Stati favorevoli all’Unione che rediga il testo di un mandato costituente da conferire al Parlamento europeo prima delle prossime elezioni, previo lo svolgimento di un referendum consultivo sul contenuto del mandato, e si impegni a sottoporre direttamente a ratifica il testo che sarà approvato dal Parlamento.
b) La redazione da parte del Parlamento europeo uscito dalle prossime elezioni, sulla base del mandato ricevuto, di un Trattato-Costituzione dell’Unione.
c) La trasmissione diretta del Trattato-Costituzione ai parlamenti nazionali, o agli altri organi costituzionalmente a ciò deputati, perché procedano alla ratifica, senza che il testo passi al vaglio di alcuna conferenza intergovernativa.
La proposta contenuta in questo scritto si inserisce perfettamente nel piano di Spinelli, articolandone più chiaramente un passaggio.
Nella proposta di Spinelli rimane infatti ancora un punto oscuro. Esso sta nella fase della convocazione della Convenzione. Questa, essendo un fatto che riguarda soltanto i paesi favorevoli, si collocherebbe al di fuori dei Trattati esistenti e presupporrebbe come già consumata la rottura con i governi contrari. Ciò che non si vede è come questa rottura, che non si è prodotta nella fase che è culminata con l’Atto Unico di Lussemburgo — una fase che per molte circostanze si presentava come particolarmente propizia — si possa produrre — rebus sic stantibus — nel corso dei prossimi diciotto mesi. Certo è che l’imprevedibile non è infrequente nella storia; e se il clima dei rapporti tra gli Stati membri della CEE dovesse mutare radicalmente sull’onda di avvenimenti eccezionali, non ci sarebbe che da gettarsi sull’occasione che si dovesse presentare. Ma è altrettanto certo che un Movimento deve elaborare la propria strategia sulla base degli sviluppi prevedibili, perché solo una prospettiva d’azione che si determini in funzione di sviluppi prevedibili può mobilitare energie.
Ora, gli sviluppi prevedibili nel breve termine sono: a) che gli Stati apertamente contrari all’Unione continueranno a rimanere contrari; b) che gli Stati favorevoli all’Unione continueranno a non essere disposti a seguire strade che non passino attraverso l’applicazione dell’art. 236 del Trattato CEE, che prevede il voto all’unanimità, e c) che le possibilità dei federalisti di rafforzare la volontà politica dei governi favorevoli con le loro pressioni, una volta conclusasi la fase — particolarmente favorevole — della presidenza italiana e tramontata la possibilità di organizzare altre manifestazioni dell’imponenza di quella di Milano, tenderanno piuttosto a indebolirsi che a rafforzarsi.
Ciò significa semplicemente che, per il rilancio dell’Unione, si deve studiare una procedura che non dia già per scontato un grado di maturazione delle forze sufficiente a spingerle subito alla rottura — perché questo grado di maturazione le forze sul campo non l’hanno raggiunto — ma che sia tale da favorire la loro maturazione più rapida possibile e insieme tenda a rendere meno ardui gli ostacoli da superare, indebolendo le capacità di resistenza del nemico.
In concreto, le proposte di Spinelli andrebbero precisate secondo queste linee:
a) La Convenzione con la quale si prevede inizi il processo dovrebbe riunire tutti gli Stati della Comunità (e quindi coincidere con un Consiglio europeo), in vista di trovare una soluzione soddisfacente per tutti.
b) Il mandato da conferire al Parlamento europeo dovrebbe riguardare l’elaborazione di un Trattato-Costituzione che non si limiti a definire i fondamenti dell’Unione, ma che regoli i rapporti tra questa e la Comunità. La Comunità continuerebbe ad esistere, garantendo la salvaguardia dei diritti e degli interessi di quelli tra i suoi membri che non intendano aderire all’Unione. (Resta inteso che, qualora gli Stati contrari all’Unione manifestassero in questa sede la volontà di indebolire ulteriormente la Comunità, annacquando ancor più la sua coesione e attenuando il carattere vincolante delle sue regole, essi dovrebbero essere prontamente accontentati, sempre che, beninteso, essi non si oppongano alla creazione dell’Unione da parte degli altri).
Come si vede, si tratta di un’articolazione che non altera minimamente la caratteristica qualificante delle proposte di Spinelli, che consiste nel sottrarre ai burocrati e ai diplomatici il compito di elaborare il testo del Trattato-Costituzione.
 
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È opportuno a questo punto fare alcune considerazioni conclusive.
1) Nessuna soluzione giuridica, quale che essa sia, può suscitare una volontà politica che non c’è. Nessuno è cosi ingenuo da ritenere il contrario. Ma il diritto gioca comunque un ruolo insostituibile in politica perché fornisce alla volontà politica, quando c’è, gli strumenti per produrre decisioni concrete. Una buona soluzione giuridica, quindi, può fornire a certe forze uno strumento indispensabile per prevalere su altre e può trasformare in attuale una volontà politica che esiste soltanto allo stato potenziale.
2) Nessun piano d’azione, soprattutto in una fase del processo di unificazione europea come l’attuale, può essere pensato come definitivo. Esso deve essere al contrario concepito come un’ipotesi di lavoro sulla base della quale si schierano le proprie forze all’inizio della battaglia, ben sapendo che gli eventi successivi potranno suggerire aggiustamenti o addirittura rendere necessari radicali mutamenti di rotta.
3) L’efficacia di un piano d’azione non può essere giudicata soltanto in base al criterio della sua capacità di raggiungere l’obiettivo. Perché ciò avvenga è necessario infatti anche l’intervento della « fortuna » di Machiavelli. Essa si deve giudicare anche sulla base della capacità di tenere le forze sul campo, di dare a tutti qualcosa da fare e argomenti da utilizzare. Il piano d’azione suggerito da Spinelli, integrato secondo le linee esposte in questo scritto, sembra presentare quest’ultimo requisito (esso consentirebbe per esempio ai federalisti britannici di attivarsi sull’obiettivo dell’Unione, evitando di trovarsi nella posizione imbarazzante di sostenere una linea che, se adottata, porterebbe, almeno in un primo tempo, la Gran Bretagna fuori dalla Comunità).
 
Francesco Rossolillo


*Si tratta di un documento presentato alla Commissione istituzionale del Movimento europeo internazionale il 12 luglio 1986.

 

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