IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXX, 1988, Numero 2, Pagina 116

 

 

I FEDERALISTI HAMILTONIANI E PROUDHONIANI: COOPERAZIONE NON CONFLITTO*
 
 
Il Movimento federalista europeo fu fondato al termine della seconda guerra mondiale perché i suoi fondatori si sentivano uniti nella comune volontà di sostituire il sistema della sovranità assoluta degli Stati, che aveva causato innumerevoli sofferenze e distruzioni in Europa, con una Federazione europea. Ma dietro a questo fine comune c’era una varietà di approcci al problema, che erano destinati a concretarsi in due scuole di pensiero, che divennero note come scuola hamiltoniana e scuola proudhoniana. Le relazioni fra i due gruppi non sono mai state facili e può essere utile riflettere, dopo quarant’anni di esperienza, se queste diversità possano portare ad un’unione o se debbano essere causa di conflitto.
Altiero Spinelli fu il massimo esponente della scuola hamiltoniana e il progetto di Trattato del Parlamento europeo istituente un’Unione europea fu il culmine del suo impegno. Il progetto di Trattato divergeva sicuramente dall’ideale hamiltoniano. Alla luce dell’amara lezione appresa dai federalisti quando il progetto per una Comunità europea di difesa (CED) fallì nel 1954, la difesa doveva rimanere per il momento soggetta alla cooperazione fra governi. E seguendo l’esempio della Repubblica Federale di Germania, la seconda Camera doveva assumere la forma di un Bundesrat piuttosto che di un Senato. Ma gli hamiltoniani vedevano l’Unione europea come un grande passo in avanti verso la loro meta.
Sulle orme di Spinelli la scuola hamiltoniana diventò particolarmente forte in Italia. E’ stata anche forte nel Movimento federalista britannico, la cui letteratura dei tardi anni Trenta fornì ispirazione alle idee di Spinelli.[1] Anche in Germania e nei Paesi Bassi hanno prevalso gli hamiltoniani. Ci sono stati a volte aspri conflitti fra questi Movimenti federalisti e Spinelli sulle strategie da seguire ed in particolare sull’utilità di dare forza alla Comunità per arrivare gradualmente alla federazione. Ma l’Unione europea dei federalisti è stata concorde sullo scopo di una costituzione federale europea.
L’ispirazione alla scuola proudhoniana venne dalla Francia, a cominciare dalle opere di P. J. Proudhon, in particolare dal suo Du principe fédératif.[2] Il suo leader nel periodo post-bellico fu Alexandre Marc (il cui ottantesimo compleanno è stato l’occasione per le riflessioni su cui si basa questo articolo).[3] Questa scuola vede il federalismo come «concezione politica che consente di conciliare le libertà particolari con la necessità di un’organizzazione collettiva».[4] Questo concetto deve essere applicato non solo alle istituzioni politiche, ma più in generale all’organizzazione dell’economia e della società; e rispetto alle istituzioni politiche, l’unione di Stati-nazione viene vista come uno dei possibili modi per assicurare una distribuzione appropriata del potere fra diversi livelli di governo, dal comune fino ad un eventuale governo federale mondiale. L’intero schema è basato su una filosofia personalistica, sviluppatasi principalmente a Parigi negli anni Trenta, che rifiuta sia l’individualismo che il collettivismo.[5] Il termine di «federalismo integrale» e, più di recente, di «federalismo globale» sono stati spesso applicati a questa scuola, per sottolineare il carattere onnicomprensivo del suo approccio. Ma in questo scritto si userà l’aggettivo «proudhoniano», che segna un netto contrasto con l’aggettivo «hamiltoniano».
Entrambi i leaders hanno espresso la loro insofferenza verso l’altra scuola. Spinelli scrisse di aver avuto «non poche difficoltà coi seguaci del federalismo integrale di ispirazione proudhoniana o cattolica».[6] Marc, da parte sua, scrisse del «ruolo paralizzante, e comunque negativo, per non dire nefasto, svolto dagli adepti del federalismo hamiltoniano, con il loro ‘la politica prima di tutto’».[7] Che ci siano delle differenze di temperamento fra coloro che si concentrano su una campagna politica per giungere ad una struttura costituzionale e coloro che sono più interessati ad un approccio ad ampio raggio al federalismo basato su una filosofia globale è inevitabile. Ma la controversia fra le due scuole riflette principalmente delle differenze di temperamento, e pertanto solo di priorità, o c’è una incompatibilità più di fondo? Una migliore comprensione potrebbe portare ad una collaborazione? Questo articolo cerca di chiarire questi problemi sottolineando l’importanza delle idee proudhoniane per coloro che si propongono di realizzare una costituzione federale europea. Il problema sarà considerato da quattro punti di vista: il federalismo infranazionale, cioè l’autonomia delle regioni e dei comuni; la distribuzione del potere economico; la Federazione mondiale; il federalismo proudhoniano in generale.
 
Federazione europea e federazione infranazionale.
 
La paura della centralizzazione giacobina è una delle cause dell’opposizione dei proudhoniani all’idea di una costituzione europea.
Il più convincente antidoto a questa paura è il rafforzamento delle autonomie locali, regionali e degli Stati membri. Molti di coloro che vivono in Stati unitari e centralizzati, come la Francia o la Gran Bretagna, hanno particolari difficoltà a comprendere questo principio federale. Essi vedono soltanto la sovranità dello Stato-nazione o, nel caso britannico, la sovranità del Parlamento dello Stato-nazione. Ma, come è stato spiegato da Jean Buchmann, mentre la sovranità concepita come summa potestas è indivisibile, la puissance étatique è divisibile ed ha bisogno di essere divisa.[8]
Alcuni federalisti hamiltoniani si sono dimostrati impazienti nei confronti dei timori dei Länder della Repubblica Federale di Germania che l’Atto Unico europeo possa interferire con le loro competenze. Ma se la costituzione della Repubblica Federale attribuisce determinate competenze ai Länder perché i problemi trattati sono meglio risolvibili a livello regionale che a livello della Repubblica Federale, è almeno legittimo dubitare che queste competenze debbano essere acquisite da un organismo ancora più alto e lontano quale la Comunità europea. Il minimizzare i dubbi dei Länder sull’accettazione di una tale perdita di autonomia non è il modo migliore per aumentare il consenso dell’opinione pubblica per il trasferimento di quelle competenze che abbiano veramente una dimensione continentale dagli Stati membri alla Comunità.
Il progetto di Trattato per l’Unione europea del Parlamento europeo che ha delineato le riforme istituzionali di cui gli Europei hanno tanto bisogno, sfortunatamente è andato molto avanti nella direzione sbagliata, dando all’Unione «competenze concorrenti nel campo delle politiche sociali, della salute, della protezione del consumatore, delle politiche regionali, ambientali, dell’educazione, della ricerca, della cultura e dell’informazione» (art. 55) e creando in questo modo la possibilità di una legislazione dell’Unione nell’intero campo della politica sociale. Certamente ci sono degli aspetti della politica sociale, come la sicurezza sociale o il riconoscimento dei titoli di studio, dove è possibile giustificare un ruolo legislativo dell’Unione. Nel progetto di Trattato è stato affermato il principio della sussidiarietà per scoraggiare una centralizzazione eccessiva, ma si possono avere dei dubbi sul fatto che questa sia una salvaguardia sufficiente.[9] Questa sarebbe una ragione sufficiente per emendare il progetto di Trattato e per limitare il ruolo dell’Unione in questo campo; e servirebbe ad accrescere il consenso di quelle persone ragionevolmente preoccupate dell’autonomia locale.
D’altra parte Marc ha affermato che i federalisti proudhoniani hanno lavorato con successo per impedire che gli autonomisti regionali diventassero separatisti, suggerendo che se gli hamiltoniani avessero compreso l’importanza dei movimenti etnici e regionali, la «spinta federalista in Europa sarebbe stata moltiplicata per dieci o per cento».[10] Mentre persino un hamiltoniano comprensivo può considerare esagerata la valutazione quantitativa di Marc e mentre la causa di Spinelli ha ricevuto di fatto un forte sostegno dal Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa,[11] c’è da rammaricarsi che tanti autonomisti siano rimasti indifferenti o addirittura ostili alla lotta per la Costituzione europea.
Gli inizi sono stati promettenti. Ad esempio, nel 1943, nelle valli valdesi Gustavo Malan ricorda di essersi incontrato con Mario Rollier, uno dei fondatori del Movimento federalista europeo, per discutere l’idea di uno Stato autonomo per quelle valli alpine dopo la guerra. Rollier, dopo aver riflettuto, si dichiarò d’accordo con la proposta, a patto che essa fosse inserita nel quadro del progetto di una Federazione europea.[12] Non molto dopo, nel dicembre del 1943, i rappresentanti delle valli valdesi, compresi Malan e Rollier, incontrarono i rappresentanti della Valle d’Aosta, incluso l’eroe della Resistenza Emil Chanoux, a Chivasso, esprimendo le loro richieste per un’autonomia locale in un contesto europeo e federalista in un documento noto come la Dichiarazione di Chivasso e che diede origine ad una letteratura notevole.[13] La risoluzione politica adottata dal Congresso di fondazione dell’UEF a Montreux nel 1947 richiedeva «una struttura fondata sulla solidarietà, articolata dalla base al vertice» e chiedeva ai federalisti di lavorare «simultaneamente, a tutti i livelli: in ogni paese, fra popolazioni vicine, fra nazioni dello stesso continente, fra federazioni regionali».[14] Marc fu l’artefice principale di quella risoluzione; e nei quindici anni successivi fu data minore importanza all’autonomia locale nelle risoluzioni dell’UEF. La Charte Fédéraliste, adottata dal Congresso federalista, ancora a Montreux, riunì le correnti hamiltoniane e proudhoniane, almeno per quanto riguarda la dottrina.[15] Ma durante i due decenni successivi gli hamiltoniani non considerarono seriamente l’aspetto infranazionale del federalismo. E’ stato solo negli ultimi due anni che gli hamiltoniani di Pavia hanno cominciato seriamente a sviluppare le loro dottrine in questa direzione.[16]
Non sarà facile avvicinare le tradizioni hamiltoniane e proudhoniane, non solo per quanto riguarda la dottrina, ma anche per quanto riguarda l’azione politica. Tuttavia casi recenti sottolineano l’importanza di arrivare a questo, almeno con riferimento all’aspetto della seconda relativo alle autonomie locali e regionali. Le reazioni dei Länder tedeschi all’Atto Unico europeo hanno dimostrato che coloro che danno grande importanza all’autonomia regionale considerano anche piccoli avanzamenti verso l’integrazione europea come una minaccia alla loro causa: e pertanto considererebbero l’Unione o la Federazione europea come un pericolo se l’Unione non ponesse come principio base la tutela delle autonomie locali e regionali. Se questo principio viene rispettato, le autorità locali e regionali dimostrano un grande interesse per legami diretti con la Comunità, scavalcando l’ostacolo, spesso ingombrante, dei governi degli Stati membri e dando così la prova della forza del legame potenziale esistente tra le autonomie locali e la Federazione europea.
 
La Federazione europea e la distribuzione del potere economico.
 
La democrazia politica può coesistere con un’economia in cui l’autocrazia sia la forma principale di organizzazione? Un marxismo convenzionale, sostenendo che le istituzioni politiche sono una sovrastruttura determinata solo dal carattere della base economica, non ammetterebbe questa possibilità. Ma Marx, avendo attirato l’attenzione sull’influenza delle strutture economiche sulle forme politiche, indusse i suoi seguaci a stravolgere questa intuizione, trasformandola in un dogma rozzo e semplicistico. Persino in Unione Sovietica lavori recenti hanno accettato il fatto che il materialismo dialettico possa essere interpretato in un modo più sottile: che una forma di struttura economica possa coesistere a lungo con una forma politica che non sembra essere da essa determinata; e che un’intera gamma di forme politiche, non solo un modello specifico, possa corrispondere ad una data struttura economica.[17] Il buon senso può solo accogliere con favore il rifiuto di un marxismo a senso unico, per cui una struttura economica rigidamente definita determina un modello politico rigidamente definito. Ma il buon senso può approvare anche la visione proudhoniana di una relazione fra forme economiche e politiche.
Le stesse difficoltà di Gorbaciov nel promuovere l’idea di un decentramento dell’economia, della burocrazia e dell’apparato del partito dimostrano la stretta connessione fra accentramento economico e accentramento politico. Negli anni Trenta Marc ed i suoi amici rifiutavano «allo stesso modo» il capitalismo americano e il socialismo sovietico, sostenendo che entrambi, per l’influsso di Ford e dello stakanovismo, riducevano il lavoratore al ruolo di uno strumento e di un ingranaggio.[18] Ancora nel 1977 Marc definiva il capitalismo come un sistema in cui «la proprietà, o il possesso, o la gestione del capitale… determina un accentramento abusivo dei poteri, tendendo al limite verso la loro massima concentrazione e verso la loro monopolizzazione».[19] Tuttavia la catena di montaggio di Ford rappresentava una fase dello sviluppo industriale in un capitalismo che aveva dimostrato una grande capacità di evoluzione, sia negli Stati Uniti che altrove. Nonostante gli aspetti negativi, le forme economiche e la distribuzione del potere nel capitalismo americano sono pluraliste, e danno maggior varietà all’influenza dell’economia sulla politica e sullo sviluppo delle forme economiche di quanto non si verifichi in URSS.
Grazie all’automazione basata sulle tecnologie microelettroniche ed informatiche, l’uso di masse di persone alla catena di montaggio potrebbe presto diventare un relitto del passato; la tendenza verso una concentrazione di potere potrebbe essere bilanciata dalla tendenza opposta verso il decentramento e la demassificazione. Anche in questo caso gli hamiltoniani italiani hanno adattato le idee di Proudhon alle loro dottrine. Essi sostengono che le nuove tecnologie, che richiedono la collaborazione fra gruppi di persone qualificate, piuttosto che una ferrea disciplina esercitata su operai trattati come robots, favoriscono forme più cooperative di organizzazione dell’impresa. Ciò viene visto come parte di una tendenza generale verso una democrazia federale.[20] Sarebbe pericoloso adottare un punto di vista deterministico in questo processo, poiché le nuove tecnologie hanno anche un potenziale centralizzante.
Il Grande Fratello potrebbe trovare un modo per usarle; e sarebbe più difficile evitare questo pericolo per l’Unione Sovietica che per l’Occidente pluralista. Ma Marc ha trascorso gran parte della vita elaborando una teoria che è particolarmente adatta ad un processo che abbia sia elementi centralizzanti che decentralizzanti. Uno sviluppo economico basato su tecnologie che richiedano sia l’autogestione locale che una dimensione mondiale o europea può essere considerato in questo senso uno sviluppo federativo; e, senza cedere a un facile determinismo, è ragionevole concludere che ciò offra ai federalisti una opportunità di legare le forze economiche e sociali alla costruzione di un sistema politico federale.
Uno dei motivi per unire gli Stati-nazione in una federazione è quello di creare uno spazio economico abbastanza ampio per la realizzazione delle specializzazioni richieste dallo sviluppo della tecnologia moderna in vista dell’obiettivo del conseguimento di uno sviluppo economico sostenuto. Ciò è stato immediatamente compreso dai più avanzati tra gli industriali europei, che hanno sostenuto avanzamenti nella direzione federale, quali la creazione di un’unione doganale col Trattato della CEE e ora il completamento del mercato interno. Tale sostegno è di vitale importanza per il progetto hamiltoniano di una costituzione europea. Ma gran parte della gente comune è indifferente o ostile a questo progetto, poiché sente che le forze economiche che modellano la sua vita si sottraggono sempre più al suo controllo. Questa può essere la reazione non solo degli operai e dei capi locali delle organizzazioni sindacali, ma anche dei giovani tecnici e dirigenti che vedono nelle nuove tecnologie una possibilità di essere individui creativi piuttosto che rotelle nella grande macchina gerarchica. Tali persone hanno un legittimo desiderio di autonomia. Può darsi che gli hamiltoniani considerino la costituzione europea come la prima priorità perché offre una cornice in cui i problemi quali l’autonomia per le piccole unità produttive possano essere prontamente risolti. Ma può anche darsi che essi scoprano che il sostegno di coloro che hanno un interesse al grande mercato non sia sufficiente, e che le resistenze burocratiche e nazionalistiche alla costituzione europea non possano essere superate a meno che non si riesca a coinvolgere anche coloro che sono interessati alle autonomie delle piccole unità, sia nell’economia che nelle strutture di governo. Se si ammette che le nuove tecnologie presentano elementi sia centralizzanti che decentralizzanti, ne consegue che una grande riforma politica quale l’instaurazione di una Federazione europea, per avere la massima possibilità di successo, dovrebbe riconoscere entrambi i termini dell’antinomia. In termini giuridici, ciò potrebbe essere attuato da leggi federali (della Comunità o dell’Unione) che facilitino non solo l’integrazione politica ma anche la decentralizzazione, la partecipazione e le forme cooperative dell’organizzazione dell’impresa. In termini di azione politica, questo comporterebbe uno sforzo da parte degli hamiltoniani per costruire un’alleanza non solo con coloro il cui interesse principale sta nel mercato, ma anche con le forze economiche autonomiste, che possono diventare una forza propulsiva altrettanto importante nel futuro, particolarmente nel settore in sviluppo delle nuove tecnologie.
Non solo il progredire della scienza e della tecnologia sta eliminando le frontiere in Europa occidentale, ma è anche una forza di integrazione nell’economia mondiale. Qui, tuttavia, la resistenza politica è maggiore, accresciuta dalle divergenze fra le culture, i livelli economici, ed i sistemi economici, sociali e politici. Tuttavia si rende sempre più necessaria una Federazione mondiale, non solo per controllare l’economia, ma anche per assicurare la sopravvivenza della vita sul pianeta. Coloro che hanno studiato le condizioni che favoriscono la creazione di federazioni vi includono spesso un’affinità di sistemi economici e politici.[21] Pertanto una forma di organizzazione economica che risponda ai bisogni delle nuove tecnologie è importante non solo per gli stessi Europei, ma anche per creare le condizioni atte a favorire lo sviluppo di un sistema federale mondiale. Le nuove tecnologie verranno applicate in tutto il mondo. Noi europei aiuteremo il resto del mondo come noi stessi se dimostreremo come le forze tradizionali di organizzazione economica, che hanno le loro radici nelle condizioni storiche e nelle ideologie del XIX secolo, possano essere modificate per adattarsi alle caratteristiche del XXI secolo; e nello stesso tempo contribuiremo ad aprire la strada ad una Federazione mondiale.
 
Federazione europea e mondiale.
 
«…Non vogliamo un’Europa ermeticamente chiusa più di quanto non vogliamo un’Europa divisa. Il nostro motto è e rimane: un’Europa unita in un mondo unito».[22] Queste parole conclusive della risoluzione politica approvata dal primo Congresso dell’UEF quarant’anni fa sono tipiche dell’eloquenza e generosità di Marc. Ma riflettono anche la consapevolezza comune ai federalisti europei di quel tempo che, nell’era nucleare appena iniziata con Hiroshima e Nagasaki, solo una Federazione mondiale poteva garantire la salvezza dalla catastrofe nucleare. Quando il Movimento per un governo federale mondiale tenneil suo congresso di fondazione, a Montreux e subito prima del congresso dell’UEF, un terzo dei membri eletti nel suo Consiglio e due terzi dei membri del suo Comitato esecutivo coincidevano con i membri del Comitato centrale dell’UEF.[23] Ma gli hamiltoniani europei ed i federalisti mondiali si divisero, ed è solo recentemente che il legame fra la Federazione europea e quella mondiale ha cominciato ad essere di nuovo apprezzato.
Ancora una volta sono stati gli hamiltoniani di Pavia ad avere l’energia intellettuale necessaria per inquadrare questo legame nella loro elaborazione teorica.[24] Politicamente, la loro idea è stata quella di legare le energie dei movimenti pacifisti ad una soluzione istituzionale capace di garantire la pace perpetua. Dalla Gran Bretagna, dove Federal Union ha propagandato la causa della federazione sia europea che mondiale, Christopher Layton ha dimostrato recentemente come la Comunità europea possa contribuire alla costruzione di un ordine mondiale.[25] Nella prospettiva dei federalisti europei la logica politica di questo pensiero è che sta diventando sempre più chiaro a molte persone che gli obiettivi della pace e della prosperità, che hanno costituito gran parte della spinta del movimento verso una Federazione europea, non possono essere realizzati senza un progresso verso un ordine federale non solo in Europa, ma nel mondo. L’idealismo che ha spinto tante persone a lavorare per la Federazione europea dopo la seconda guerra mondiale non ha molte possibilità di rivivere al momento attuale, a meno che la Comunità (o l’Unione, o la Federazione) europea non sia vista come un fattore primario nella promozione della pace e della prosperità mondiale, cioè nella costruzione di una Federazione mondiale.
C’è anche un legame strutturale fra il processo della creazione di una Federazione europea e quello della creazione di una Federazione mondiale. La supremazia sulla politica mondiale da parte delle due superpotenze costituisce un punto di partenza poco propizio per la marcia verso un’unione federale mondiale. I due rivali sono quasi costretti a concentrarsi sulla loro reciproca rivalità e sull’equilibrio di potere che la condiziona, piuttosto che sul tentativo di superare la loro lotta sostituendo l’equilibrio strategico ed il predominio della forza con una politica indirizzata esclusivamente allo sviluppo della società civile e con il governo della legge. Né è particolarmente rassicurante per il resto del mondo la possibilità di un loro accordo. «Non è desiderabile», come scrive Wheare nella sua classica opera sul governo federale, «che una o due unità componenti siano così forti da poter prevalere sugli altri le piegare a loro favore la volontà del governo federale».[26] Una prospettiva di questo genere potrebbe allontanare molti dall’idea di un’unione più stretta ma caratterizzata dal predominio di due superpotenze.
La Comunità europea, con una popolazione maggiore di quella dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti e con un livello maggiore di sviluppo economico, ha una posizione favorevole per far evolvere l’equilibrio internazionale facendogli superare l’attuale fase duopolistica, a patto che si consolidi la sua capacità di agire con la riforma della Comunità in una Unione e quella dell’Unione in una federazione. Gli Europei sarebbero quindi in grado di influenzare un mondo sempre più policentrico, i cui centri di potere comprenderebbero non solo gli USA e l’URSS, ma anche Stati quali Brasile, Cina, India e Giappone, oltre all’Europa occidentale, avviandolo verso un sistema federale in cui ci sia la prospettiva di un’ampia distribuzione di potere fra i diversi continenti.
 
La Federazione europea e il federalismo proudhoniano nel suo insieme.
 
Due delle forze più potenti nell’economia e nella politica mondiali di oggi sono l’avanzamento delle nuove tecnologie ed il crescente desiderio di libertà democratiche. Nessun sistema politico può avere successo a meno che non sia progettato in modo da tener conto di queste due forze: a meno che non sia in grado di riconciliare, per usare le parole di Marc, «le necessità di un’organizzazione collettiva» con «le libertà particolari». Questa è la ragione per cui i compiti politici essenziali del nostro tempo sono quelli di sostituire la sovranità assoluta degli Stati-nazione con il federalismo politico e la cattiva distribuzione del potere economico con il federalismo economico. Tale federalismo deve essere applicato a vari livelli. Vi è l’esigenza di garantire l’autonomia dei governi locali e regionali entro gli Stati nazionali, così come di creare federazioni di Stati nazionali ai livelli subcontinentale, continentale e mondiale. Vi è il bisogno di autonomia delle piccole unità di produzione, sia indipendentemente che nel quadro di grandi ditte con strutture federali e cooperative, come pure vi è quello di creare imprese multinazionali di dimensioni continentali o mondiali. Bisogna stabilire delle priorità per l’azione politica entro questa vasta cornice del federalismo proudhoniano. E’ normale che diverse persone abbiano preferenze diverse. Le mie sono quelle di creare una Federazione europea e di lavorare per un sistema federale mondiale, sia per salvaguardare la pace che per sviluppare il benessere tramite la conduzione comune di un’economia sempre più interdipendente.
Invece di cercare di aumentare la sinergia fra elementi diversi del federalismo globale, tuttavia, i federalisti che hanno scelto una priorità hanno troppo spesso sprecato le loro energie polemizzando con i federalisti che ne hanno scelta un’altra. Poiché il rispetto per le differenze è un principio basilare del federalismo e poiché i fini sono influenzati dai mezzi, tali atteggiamenti esclusivi non sembrano un punto di partenza promettente per l’applicazione dei principi federalisti. Conflitti interni tra gruppi diversi di federalisti sono soprattutto un ostacolo supplementare al progetto federalista, che incontra già abbastanza resistenza da parte di forze antifederaliste.
Ferdinand Kinsky ha attirato l’attenzione sul riavvicinamento fra hamiltoniani e proudhoniani in anni recenti e sull’ampio riconoscimento da parte di tutte le tendenze federaliste della necessità urgente di una costituzione federale per l’Europa.[27] Ho cercato, nelle pagine precedenti, di dimostrare alcune delle ragioni per cui la battaglia per una costituzione europea ed altri elementi del federalismo globale dovrebbero essere considerati come complementari.
In questa prospettiva non si può prescindere dall’opera di Alexandre Marc. Dall’applicazione del federalismo nei campi più diversi della politica, dell’economia e della società all’identificazione di una base psicologica, filosofica e religiosa per un giusto rapporto fra persona e società[28] Marc non ha mai cessato di pensare, scrivere e soprattutto insegnare per «raggiungere gli uomini uno a uno, per formarli».[29] Il polo antinomico del suo istinto combattivo è stato la sua spinta generosa a vedere questi elementi diversi come un tutto ed a capire la loro complementarietà. Il corpus del suo lavoro ci invita ad adottare una visione intellettuale generosa in cui collegare le strategie delle varie tendenze esistenti fra i federalisti. E’ nostro dovere rispondere riflettendo ed agendo in forme complementari per raggiungere i nostri diversi fini federalisti.
 
John Pinder


* Pubblichiamo questo scritto di John Pinder perché affronta un problema importante, quello dei diversi sviluppi del federalismo nei diversi tentativi di farne la regola di un nuovo comportamento politico. Osserviamo tuttavia che egli analizza in questo saggio gli orientamenti teorici e strategici di una «scuola» della quale pensa che la redazione di questa rivista faccia parte. Dobbiamo pertanto far presente che non ci riconosciamo nel cosiddetto federalismo «hamiltoniano». Noi ci riferiamo a Hamilton (e congiuntamente a Jay e Madison) perché nel loro pensiero è riflessa con chiarezza l’invenzione delle istituzioni federali che è avvenuta — di fatto e non intenzionalmente — nell’Assemblea di Filadelfia. Per questo Hamilton segna uno spartiacque nella storia del federalismo, che diventa qualcosa di definito solo allora. Per il resto, il nostro riferimento è ovviamente all’intera storia del pensiero politico, con una prospettiva che utilizza il materialismo storico e, in primo luogo, gli scritti di politica e di filosofia della storia di Kant (e va da sé che abbiamo studiato, come non si può non fare, anche il pensiero di Proudhon). Vogliamo ancora sostenere che la concezione del federalismo che si è manifestata, a partire dal 1958, nella nostra rivista, ha avuto diverse espressioni, pur nel riferimento costante al Manifesto di Ventotene (per un primo inquadramento si veda il saggio di Lucio Levi «Recenti sviluppi della teoria federalistica», pubblicato nel numero 2-1987 di questa rivista).
Noi siamo in ogni caso completamente d’accordo con Pinder circa la necessità di affrontare sin da ora i problemi della reciproca conoscenza delle diverse esperienze teoriche del federalismo che cerca di diventare una forza politica, anche se non è ancora possibile disporre di tutta la letteratura e di tutte le fonti a volta a volta necessarie.
[1] Cfr. Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. Io Ulisse, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 307-8.
[2] P.-J. Proudhon, «Du principe fédératif et oeuvres diverses sur les problèmes politiques européens», in Oeuvres complètes, Parigi, Librairie Marcel Rivière, 1959.
[3] Questo articolo è stato pubblicato in: César E. Diaz-Carrera (a cura di), El Federalismo Global, Madrid, 1987. Si ringrazia il professor Diaz per aver concesso che venga pubblicato in Il Federalista.
[4] Robert Aron e Alexandre Marc, Principes du fédéralisme, Parigi, Le Portulan, 1948, p. 19.
[5] Ferdinand Kinsky, «Fédéralisme et personnalisme», in Repères pour un fédéralisme révolutionnaire: l’Europe en formation, 190-192, gennaio-marzo 1976.
[6] Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio: la goccia e la roccia, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 63.
[7] Alexandre Marc, «Taisez-vous, bavards!», in Repères, cit., p. 10.
[8] Jean Buchmann, «Du fédéralisme comme technique générale du pouvoir», in Henri Rieben (a cura di), Le fédéralisme et Alexandre Marc, Losanna, Centre de recherches européennes, 1974, p. 116.
[9] Vedi John Pinder, «Economic and Social Powers of the European Union and the Member States: Subordinate or Coordinate Relationship?», in Roland Bieber, Jean-Paul Jacqué, Joseph H.H. Weiler (a cura di), An Ever Closer Union, Bruxelles, Commission of the EC for the European University Institute, 1985.
[10] Alexandre Marc, «Taisez-vous, bavards!», in Repères, cit., p. 18.
[11] Il mensile dell’AICCRE ha ripetutamente sottolineato il contributo particolare dato dagli enti locali e regionali in Italia.
[12] Ciò è stato personalmente confermato da Gustavo Malan.
[13] Vedi O. C. (Osvaldo Coisson), «Nota bibliografica», «Chivasso -19 dicembre 1943: la Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine», in Novel Temp, n. 23, Sampeyre, Piemonte, settembre-dicembre 1983, pp. 5-11, in cui sono pubblicati anche la Dichiarazione e un articolo di Gustavo Malan intitolato «Quarant’anni dopo». Vedi anche Emilio Chanoux, Federalismo e autonomie (Quaderni dell’Italia libera, senza data), 1944; L. R. (Giorgio Peyronel), «Federalismo, autonomie locali, autogoverno», in L’Unità Europea, n. 4, Milano, maggio-giugno 1944, p. 3, e «Federalismo e autonomie», ibidem, n. 5, luglio-agosto 1944, pp. 2-3; Giorgio Peyronel, «La Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine al convegno di Chivasso il 19 dicembre 1943», in Il movimento di liberazione in Italia, n. 2, Milano, settembre 1949, pp. 16-26. L’articolo di Chanoux e il secondo articolo di Peyronel pubblicato sull’Unità Europea sono citati in inglese da Walter Lipgens in: Documents on the History of European Integration, Vol. l: Continental Plans for European Union 1939-1945, Berlino e New York, de Gruyter, 1985, pp. 534-6.
[14] Risoluzione politica generale del Congresso UEF di Montreux (27-31 agosto 1947), pubblicata in Jean-Pierre Gouzy, Les pionniers de l’Europe communautaire, Losanna, Centre de recherches européennes, 1968, pp. 156-8 e, in parte, in R. Aron e A. Marc, op. cit., pp. 144-5. Le citazioni qui riprodotte sono pubblicate in inglese in W. Lipgens, A History of European Integration 1945-1947, pp. 575, 590 e il testo completo della Risoluzione in Andrew and Frances Boyd, Western Union, Londra, Hutchinson, senza data, (1948 o 1949), pp. 141-8.
[15] Vedi J.-P. Gouzy, ibidem, p. 150. La Charte fédéraliste è stata pubblicata nella raccolta Réalités du présent, textes et documents, Parigi, Presses d’Europe, 1963.
[16] Vedi, ad esempio, Francesco Rossolillo, Città, territorio, istituzioni nella società post-industriale, Napoli, Guida, 1983, e vari articoli in numeri recenti de Il Federalista.
[17] Vedi Erno Loone, Sovremennaya Philosophiya Istorii, Tallin, 1980.
[18] Robert Aron, «Précurseur: Arnaud Dandieu (1897-1933)», in H. Rieben (a cura di), op. cit., pp. 44-5.
[19] Alexandre Marc, «Monnaie et socialisme», in Les cahiers du fédéralisme, suppl. al n. 212 di L’Europe en formation, dicembre 1977, p. 43.
[20] Vedi Lucio Levi e Sergio Pistone, «L’alternativa federalista alla crisi dello Stato nazionale e della società industriale», in Il Federalista, XXIII (1981), pp. 80-102. Gli stessi temi sono stati affrontati in Lucio Levi: Crisi della Comunità europea e riforma delle istituzioni, Milano, Franco Angeli, 1983 e in Francesco Rossolillo, «Il federalismo nella società post-industriale», in Il Federalista, XXVI (1984), pp. 122-137.
[21] Vedi, ad esempio, Amitai Etzioni, Political Unification, New York, Holt, Rinehart and Wilson, 1965; K. C. Wheare, Federal Government, Londra, Oxford University Press, 1946 (trad. it. Del governo federale, Milano, Comunità, 1949).
[22] Risoluzione politica generale del Congresso UEF di Montreux (27-31 agosto 1947), pubblicata in J.-P. Gouzy, op. cit. e W. Lipgens, A History, cit.
[23] Vedi W. Lipgens, A History, cit., p. 588.
[24] Vedi Mario Albertini, Lo Stato nazionale, Napoli, Guida, 1980, p. 158, e vari articoli ed editoriali de Il Federalista, come, per esempio, «Verso un governo mondiale», nel primo numero in tre lingue della rivista, XXVI (1984), pp. 3-9.
[25] Christopher Layton, One Europe: One World, suppl. speciale al n. 4 del Journal of World Trade Law, Ginevra, in collaborazione con Federal Trust, Londra, 1986; l’articolo è stato ripubblicato con il titolo Europe and the Global Crisis: A First Exploration of Europe’s Potential Contribution to World Order, Londra, Federal Trust e International Institute for Environment and Development, 1986.
[26] K. C. Wheare, op. cit., 1951, p. 52.
[27] Ferdinand Kinsky, «Où en est la stratégie fédéraliste?», in L’Europe en formation, 258, novembre-dicembre 1984, p. 37.
[28] Vedi, ad esempio, Denis de Rougement, «Alexandre Marc et l’invention du Personnalisme», in H. Rieben (a cura di), op. cit., e Ferdinand Kinsky, «Fédéralisme et Personnalisme», op. cit.
[29] Jean-Pierre Gouzy, «L’apport d’Alexandre Marc à la pensée et l’action fédéralistes», in H. Rieben (a cura di), op. cit., p. 6.

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