IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno III, 1961, Numero 2, Pagina 85

 

 

IL FUMO E L’ARROSTO

  

 
Gottfried Dietze, The Federalist. A Classic on Federalism and Free Government, The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1960, pagg. 378, $ 6.50.

 
 
Contrariamente a quanto fa Brugmans, Gottfried Dietze, Associated Professor alla Johns Hopkins University, rifacendosi alla classica opera di Hamilton, Jay e Madison, considera il termine «Federalismo» nel solo campo politico-costituzionale e prende pertanto in esame una questione molto importante: quella dello Stato federale. Delimitato così il campo Dietze, attraverso l’analisi del pensiero degli autori del Federalist, individua le tre funzioni essenziali svolte dallo Stato federale in America: il mantenimento della pace all’interno, il conseguimento della sicurezza nei confronti degli altri Stati e la tutela dei fondamentali diritti di libertà dei cittadini. L’analisi di queste tre funzioni è condotta da Dietze, dato l’oggetto del suo studio, con particolare riferimento alle condizioni esistenti in America nel periodo in cui il Federalist fu scritto: ma le sue conclusioni hanno portata teorica e rimangono pertanto generalmente valide.
Hamilton, Jay e Madison individuarono la radice delle innumeri manchevolezze degli Articles of Confederation, con i quali gli americani avevano fatto la guerra e cominciato la loro vita indipendente, nella carenza di potere a livello dell’associazione degli Stati. In effetti il carattere confederale dell’associazione lasciava praticamente intatte le sovranità dei singoli Stati. I risultati di questa situazione testimoniavano chiaramente le insufficienze del sistema: i singoli Stati perseguivano politiche particolaristiche tra loro contrastanti, il commercio era causa di continue controversie e tensioni, le dispute territoriali erano frequenti. Di conseguenza la confederazione non presentava un fronte compatto verso l’esterno, e non solo non poteva garantire la sicurezza propria e dei suoi membri ma rifletteva addirittura nelle sue divisioni i contrasti tra le potenze europee, che riducevano i deboli Stati americani a facili strumenti della loro politica di potenza. Infine tutte queste tensioni agivano sulla stessa struttura costituzionale dei tredici Stati indebolendo i poteri locali e spingendoli verso un pronunciato centralismo. Gli effetti di tale accentramento erano piuttosto accentuati che leniti dal fatto che si trattava di regimi di democrazia parlamentare; non per nulla il tema del dispotismo della maggioranza ritorna continuamente nelle pagine del Federalist, e specialmente negli scritti di Hamilton, come uno dei più temibili nemici da combattere.
La costituzione uscita dalla Convenzione di Filadelfia aveva tutti i requisiti per far cessare i mali di cui soffrivano gli Stati americani sotto gli Articles of Confederation: con l’allargamento dell’orbita del governo (un potere federale attivo sull’area di parecchi Stati), e la conseguente possibilità di unificare democraticamente uno spazio molto più vasto di quello unificabile con un potere unitario si poteva: a) togliere agli Stati associati la possibilità di fare la loro politica estera e militare, impedendo che i loro dissensi reciproci sfociassero sul terreno della forza e della guerra, b) conseguire una compagine unitaria sufficientemente forte da rendere impossibile il tentativo di coinvolgere l’America nei conflitti europei come un satellite, e sconsigliabile il tentativo di attaccarla, c) realizzare una divisione del potere particolarmente efficace, tale da ostacolare la violazione dei fondamentali diritti di libertà dei cittadini.
Per questo problema i tre autori del Federalist si rifecero a Montesquieu, modificando però la sua teoria nel senso richiesto dalla loro esperienza, e dalla loro acuta percezione dei problemi del potere. La teoria della divisione del potere contenuta nel Federalist riesce pertanto più concreta di quella di Montesquieu. In effetti la teoria di Montesquieu, applicata agli Stati democratici formatisi nell’Europa continentale dopo la rivoluzione francese, non rallentò il processo di centralizzazione in atto; mentre negli Stati Uniti la costituzione federale ha costituito un potente argine contro il centralismo. La divisione del potere in America ha funzionato più come un meccanismo politico per definire senza contrasti violenti il punto d’equilibrio tra potere centrale e poteri statali che come una divisione giuridico-formale del potere nell’esecutivo, nel legislativo e nel giudiziario. Negli Stati unitari gli interessi divergenti — tali da costituire la base reale di una divisione del potere — non si cristallizzano rispettivamente attorno al legislativo, all’esecutivo e al giudiziario ma attorno ai partiti, e questi, quando si installano al governo, controllano in modo unitario tutti gli organi del potere. In uno Stato federale invece gli interessi divergenti possono cristallizzarsi rispettivamente attorno agli Stati e al governo centrale, ed è precisamente questo contrasto di fondo che permette alla divisione del potere di risultare efficace.
Questa struttura del potere rese possibili due importanti caratteristiche della costituzione americana. In primo luogo divenne effettiva e funzionante (ciò che non accade sul continente europeo) la Judicial Review, la revisione costituzionale esercitata dalla Corte Suprema. L’Alta Corte funziona in realtà quasi come l’ago della bilancia del potere; è l’organo attraverso il quale gli Stati fanno pesare il proprio potere nei confronti del governo federale. In secondo luogo l’esecutivo — pur restando limitato — poté essere decisamente rafforzato. Come già si è accennato, Hamilton considerava la dittatura parlamentare che si profilava nei tredici Stati americani come un nemico da debellare. Rifiutando l’ideologia rousseauiana, e allontanandosi anche dalla tradizione liberale inglese per la quale, dati gli sviluppi della storia d’Inghilterra, il Parlamento era una garanzia di libertà, egli riconosceva — e si tratta di un’asserzione di validità indiscutibile — che quando il parlamento prende il sopravvento ha la stesse probabilità di instaurare una dittatura che si riscontrano quando prende il sopravvento l’esecutivo. Tale dittatura, sostenuta dall’ideologia della volonté générale, è particolarmente pericolosa perché con la sua instabilità e la sua turbolenza opprime senza governare, non può esprimere una vera e propria politica.
Hamilton sostenne pertanto che occorreva rafforzare al massimo l’esecutivo nei confronti del legislativo; e che quest’ultimo doveva venire ulteriormente indebolito dall’aggiunta di una seconda camera, formata dai rappresentanti degli Stati. Anche in questa ipotesi il conferimento di tanti poteri all’esecutivo a danno del legislativo non risulta pericolosa perché la struttura federale dello Stato, realizzando la divisione del potere più tra i diversi Stati (ivi compreso il potere centrale) che tra i diversi rami del governo federale, assicura comunque una forte barriera contro il rischio della concentrazione del potere.
Questi argomenti, come i molti altri che vengano in luce nello studio del federalismo, sono analizzati con chiarezza e sistematicità dal Dietze, che mette bene in evidenza come gli autori del Federalist si fossero resi conto della novità, e della importanza, del nuovo sistema di governo introdotto dalla Convenzione di Filadelfia. Dietze premette, all’analisi del pensiero del Federalist, una esposizione molto utile del modo con il quale questo testo venne accolto negli altri paesi.
 
Francesco Rossolillo

 

 

 

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