IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 3, Pagina 183

 

 

LE RAGIONI MORALI E POLITICHE
DEL SERVIZIO CIVILE*
 
 
L’insegnamento di «non uccidere».
L’insegnamento di «non uccidere» si ricava sia dal Vangelo, sia dal liberalismo, dalla democrazia e dal socialismo. Queste dottrine, che costituiscono il patrimonio culturale di tutto il mondo occidentale e di gran parte dell’umanità, hanno affermato per prime il diritto di tutti gli uomini alla libertà e alla eguaglianza. Tuttavia l’universalità del loro insegnamento è stata a lungo dimenticata a causa della divisione del genere umano in Stati nazionali. Solo oggi, alla vigilia del superamento degli Stati nazionali in Europa, assistiamo finalmente allo smantellamento dell’ideologia che ha giustificato il mito della nazione, l’allestimento di eserciti a coscrizione obbligatoria e l’esistenza delle frontiere nazionali. Lo Stato nazionale può essere così considerato per quello che effettivamente ha rappresentato: la struttura statale che ha consentito l’integrazione degli uomini su scala nazionale, e il cui superamento, che avverrà nell’ambito del processo di creazione della Federazione europea, significherà l’avvio della fase sovrannazionale della storia.
 
Il modello dello Stato nazionale.
L’ideologia nazionale, attraverso l’istituzione della leva obbligatoria e della scuola di Stato, ha anteposto l’idea di nazione, e quindi l’appartenenza ad un ristretto gruppo di individui, ai principi dell’eguaglianza e della libertà. Essa ha legittimato la legge del più forte nei rapporti fra Stati, giustificando moralmente e legalmente l’uccisione dello «straniero».
Sull’esempio del modello degli Stati nazionali in Europa anche i popoli che sono pervenuti di recente all’indipendenza si sono organizzati su scala nazionale, macchiandosi di barbarie e violenze analoghe a quelle perpetrate prima nelle guerre europee poi in quelle mondiali. Per questo il superamento della struttura nazionale in Europa può costituire un esempio anche per il resto del mondo. Perciò gli europei hanno sia una responsabilità storica che consiste nella necessità di adeguare la dimensione dello Stato allo stadio raggiunto nel corso della storia, sia una responsabilità morale nei confronti dell’umanità. Dopo aver percorso in quasi tre millenni di storia — privilegio finora unico nella storia dell’umanità —, le tappe dell’integrazione politica e sociale su scala locale (la città Stato greca), su scala regionale (gli Stati italiani del Rinascimento) e su scala nazionale (gli Stati sovrani europei), gli Stati burocratici accentrati si sono serviti della moderna tecnologia per tentare di congelare il corso della storia allo stadio nazionale, opponendosi all’avanzamento del modo di produrre, all’aumentata interrelazione fra gruppi sociali e all’espansione del commercio internazionale con il fascismo, il nazismo, il razzismo e l’autarchia.
Così facendo, la tradizione cosmopolita della cultura europea, dopo aver superato la visione eurocentrica della storia, grazie a Kant, Rousseau, Proudhon, Marx ecc., veniva tradita dalla barbarie e dal riflusso nazional-liberale, nazional-democratico, e nazional-socialista: l’internazionalismo era rinnegato nel momento stesso in cui si accettava di impugnare le armi contro altri proletari e socialisti; la democrazia poteva essere calpestata con la violenza; il liberalismo beffato con la negazione della libertà alla vita; la legge divina sottomessa al culto blasfemo e pagano del «dio nazionale», accettando l’istituzione dei cappellani militari che benedicono bandiere e cannoni.
 
Sovranità e indipendenza.
L’abdicazione al cosmopolitismo da parte dei movimenti cattolico, liberale, democratico e socialista, inaccettabile sul piano culturale, non portò però ad una immediata perdita del consenso popolare nei confronti delle strategie nazionali da essi adottate. Infatti la difesa della sovranità nazionale assoluta poteva ancora essere giustificata con la necessità di salvaguardare, con il mantenimento di quella, l’indipendenza del popolo.
L’esempio dello Stato federale americano aveva tuttavia già dimostrato come l’indipendenza nazionale potesse essere mantenuta a patto di rinunciare alla sovranità nazionale assoluta. In Europa, l’identificazione della sovranità con l’indipendenza fece sì che le conquiste politiche e tecnologiche del XIX secolo, le quali avevano elevato il tenore di vita di tutta la popolazione europea, anziché diventare le premesse per una nuova era di prosperità, sfociassero nell’avvento del totalitarismo e nello scoppio di due conflitti mondiali.
Il mancato adeguamento delle strutture dello Stato all’evoluzione del modo di produrre portò al termine della seconda guerra mondiale all’instaurazione di un equilibrio mondiale dominato dalle due grandi potenze — gli USA e l’URSS — e quindi alla perdita della sovranità in campo militare, economico e della politica estera degli Stati nazionali europei e alla perdita della loro indipendenza. A partire da quel momento, il consenso dei cittadini non poteva più essere raccolto attorno a politiche nazionalistiche in quanto il grado di libertà e di benessere non dipendevano più dal quadro politico nazionale ma dall’equilibrio di potere fra le due super-potenze.
 
Il diritto di «non uccidere» e l’Europa come modello positivo.
Servire in armi l’Italia, la Francia o la Germania oggi significa non solo contravvenire a un principio morale, accettando l’idea ripugnante che è legittimo uccidere un altro uomo perché straniero, ma significa anche non rendersi conto che lo Stato nazionale ha perso la sovranità assoluta.
Senza considerare che il diritto di «non uccidere» non può più essere negato all’indomani dell’elezione europea. Il diritto di voto europeo ha infatti sancito il riconoscimento della democrazia a livello europeo e quindi della cittadinanza federale europea. Prestare il servizio militare significherebbe ammettere la possibilità di uccidere dei cittadini europei o di scatenare una guerra tra Stati europei, che a questo punto sarebbe una guerra civile. L’importanza del voto europeo è stata sottolineata da A. Sacharov, in un articolo apparso su Le Monde il 6 giugno 1979. In quella occasione Sacharov affermava: «È mia opinione che la creazione del Parlamento europeo, e soprattutto l’intenzione di riorganizzarlo in base alle indicazioni che emergeranno dalle elezioni dirette, sia un passo importante nella giusta e necessaria direzione dell’integrazione europea e anzi trampolino in una più ampia prospettiva per la convergenza e l’integrazione di tutti i paesi del mondo. Sono convinto che solo il progresso in questa direzione potrà eliminare i complessi pericoli che minacciano da vicino l’umanità… è risaputo che un numero sempre crescente di problemi della vita moderna a livello mondiale esigerà gli sforzi di tutti. Tali sforzi dovranno essere coordinati tenendo presente le sempre più ampie prospettive poste per gli interessi dell’umanità. Uno di questi problemi globali è la protezione dell’ambiente collegato con quelli relativi alle risorse, alla tecnologia e alla democrazia. Come problema centrale sociopolitico abbiamo la battaglia nei confronti del totalitarismo dilagante e contro la minaccia di una guerra termonucleare a livello mondiale… L’integrazione europea, che nel prossimo futuro è destinata a diventare sempre più reale e immediata, dovrà, lo ripeto, diventare passaggio obbligato e modello per un processo evolutivo che si estenderà a tutto il mondo».
Solo la battaglia per l’eliminazione degli eserciti nazionali e la trasformazione della Comunità europea in una Federazione — il voto europeo è stato il primo atto costituente europeo —, può restituire dignità morale e politica agli europei attraverso il recupero della coscienza del corso della storia, il cui fine resta, secondo l’insegnamento di Kant, l’instaurazione della «pace perpetua» attraverso la creazione della Federazione mondiale.
 
Da che cosa dipende il destino della società.
La crisi della società e dello Stato non si risolve semplicemente criticando lo Stato in agonia. Scopo di ogni cittadino deve essere quello del rinnovamento della società e dello Stato, non la loro distruzione.
Se è vero che la sopravvivenza dello Stato nazionale è stata pagata con l’accettazione della violenza, è pur vero che la sua crisi sta producendo fenomeni preoccupanti per il destino della società. La decomposizione dello Stato, e il conseguente venir meno della lealtà e dedizione alle istituzioni, hanno dato via libera alle spinte corporative e particolaristiche, all’affermazione di modelli di vita fondati sul benessere privato e, tra i giovani, al disprezzo per la vita, attraverso la giustificazione dell’autodistruzione fisica con la droga, e della violenza, nella lotta politica e sociale, con il terrorismo. Il destino della società odierna dipende dalla sua capacità di partecipazione alla programmazione e dalle relazioni che essa riesce ad instaurare con tutti i popoli del mondo per gestire i problemi economici, ambientali e della diffusione dei servizi educativi e sanitari su scala mondiale. Oltre alla necessità politica del superamento dello Stato nazionale, che pone la questione del ristabilimento di un quadro globale di riferimento ad un livello superiore a quello nazionale, esiste dunque il problema di incominciare ad agire in modo da favorire il recupero dei rapporti di solidarietà e la partecipazione democratica alla programmazione a tutti i livelli.
 
Il recupero della solidarietà.
La parrocchia e il quartiere hanno preservato per un lungo periodo di tempo gli ambiti in cui si esprimevano i rapporti di solidarietà tra gli individui di una stessa comunità. Ma la decomposizione della famiglia patriarcale e della vita di quartiere, avvenuta sotto la spinta dell’industrializzazione selvaggia, dell’esplosione della città, della separazione fra luogo di lavoro, di studio, di consumo dei beni e quello di residenza, ha definitivamente spezzato i rapporti di solidarietà sorti spontaneamente in quegli ambiti. La città a misura d’uomo, in cui ciascun individuo era stimato nella misura in cui la sua attività di artigiano, di commerciante, di contadino era apprezzata dagli altri membri della comunità, non esiste più. La città è diventata il luogo per la coltura della violenza e per eludere e disprezzare i principi del patto di convivenza pacifica che lega gli individui che accettano di vivere nella medesima comunità. Così, mentre l’impotenza dello Stato suscita la sfiducia dei cittadini, il quartiere, la città, la regione vengono abbandonati al loro destino. Il ricorso alla finanza pubblica ed alle tradizionali forme di assistenza per affrontare anche i problemi più elementari ai livelli più bassi, quali l’assistenza agli anziani, ai bambini, la sorveglianza dei parchi pubblici o di beni culturali ecc. nei quartieri, mostra quotidianamente i limiti oggettivi incontrati dalle Amministrazioni locali per far fronte a tutte queste esigenze dei cittadini. Il fatto è che nella misura in cui il bene comune non è più considerato come il mezzo attraverso il quale conseguire anche il bene privato, il canale anonimo della burocrazia amministrativa prende il sopravvento sull’iniziativa individuale.
Bisogna ricostruire consapevolmente quei rapporti di solidarietà che in passato si sono sviluppati spontaneamente.
 
Il servizio civile come istituzione educativa.
Un servizio civile obbligatorio per tutti i giovani e aperto ai cittadini, articolato a tutti i livelli, non remunerato e che rispetti le attitudini individuali, prefigura una istituzione educativa che si affianchi ai diversi settori dell’Amministrazione pubblica. In questo modo si offrirebbe la opportunità a tutti i giovani di conoscere i problemi della comunità in cui vivono, di svolgere un’attività pre-politica che consenta loro di valutare le scelte dei politici e dei tecnici, di mettere ciascun individuo nelle condizioni di prendere decisioni che tengano presente il benessere della collettività nell’ambito di un piano globale. Solo facendo coincidere il dovere di considerare il bene pubblico come cosa propria, si potrà promuovere la partecipazione creando un meccanismo che consenta alla volontà generale di esprimersi consapevolmente. Infatti la programmazione, come la democrazia, non è una dote naturale degli individui, ma si può acquisire solo attraverso l’educazione e una scelta responsabile. Come la democrazia è nata ed è prosperata solo dove si è consolidata in istituzioni aperte a tutti i cittadini, così dovrà accadere per la programmazione, che deve coincidere con il governo di tutti.
 
Il servizio civile per partecipare alla programmazione.
La crisi della società si manifesta soprattutto nella crisi della città e nella casualità della pianificazione territoriale. Se il pieno controllo del destino di ciascun individuo deve esprimersi attraverso l’esercizio del voto e il potere dell’autogoverno a tutti i livelli, evidentemente deve essere accresciuta la conoscenza dei processi di formazione della volontà pubblica e della formulazione di piani coordinati. Attualmente, invece, mentre da un lato si sente l’esigenza di accrescere la partecipazione democratica dei cittadini a tutti i livelli, il potere locale resta un espediente di decentramento amministrativo. Mentre il progresso scientifico e tecnologico fa intravvedere la possibilità di una diminuzione del lavoro ripetitivo e manuale e suscita l’esigenza di una diffusione capillare dell’informazione e dell’istruzione — fino a rendere auspicabile la creazione di una scuola in ogni quartiere e di una università in ogni città —, la possibilità dell’aumento del tempo libero viene considerato come una minaccia alle attuali strutture sociali e all’obiettivo del mantenimento della piena occupazione; la telematica rischia di essere impiegata per rafforzare il potere di controllo accentrato; l’istruzione pubblica anziché assolvere al compito di promuovere la diffusione e la trasmissione della cultura, si fonda su di un anacronistico monopolio da parte dello Stato e sulla distribuzione di attestati ormai privi di alcun valore pratico, data la dequalificazione del livello degli studi, e legale data l’esistenza di un mercato europeo del lavoro.
Ovviamente il servizio civile non potrebbe da solo offrire soluzioni a questi problemi. Tuttavia potrebbe aiutare a definirli.
Uno dei compiti che potrebbe essere svolto dal servizio civile riguarda l’individuazione dei campi e dei livelli di definizione della programmazione territoriale, nell’ambito di una filosofia della politica del territorio. Un ulteriore compito del servizio civile riguarda il coinvolgimento di tutti i cittadini e degli organi locali nella definizione di rapporti e programmi formulati dal punto di vista del quartiere, della città, della regione e così via, e non da un punto di vista puramente tecnico o di parte.
È nell’espletamento di questi compiti che desidero svolgere il servizio civile.


* Si tratta del documento allegato alla dichiarazione di obiezione di coscienza con richiesta di prestare il servizio civile, indirizzata al Ministero della Difesa, presentata il 22 dicembre 1979 da Franco Spoltore.

 

 

 

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