IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIV, 2022, Numero 1, Pagina 38

 

 

UN ESERCITO COMUNE EUROPEO
PER LE SFIDE DELLA STORIA

 

 

 

L’aggressione armata perpetrata dall’esercito russo nei confronti dello Stato ucraino ha riportato l’orrore della guerra sul territorio europeo, smentendo coloro che immaginavano un mondo pacifico, liberal-democratico e illuminato dalla guida statunitense. La recente tragedia dimostra pienamente la fragilità dell’attuale assetto mondiale, nel quale, nonostante l’esistenza di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, i rapporti tra Stati sono tuttora regolati non dal diritto, ma dalla forza.

In un’Europa che è costretta oggi ad accettare il fatto che la guerra non sia un retaggio del passato, né un problema esclusivo del Terzo e Quarto Mondo, è cruciale comprendere che la ricerca della pace non può essere etichettata come una mera utopia. È necessario criticare il concetto passivo che si ha di essa, per capire invece che la pace è una tensione attiva, che si basa sull’eliminazione della causa che conduce agli scontri tra Stati: la divisione del mondo in Stati sovrani. Per raggiungere l’obiettivo della pace, l’Unione Europea — l’unione regionale che ha raggiunto, rispetto alle altre organizzazioni internazionali, un grado di sviluppo molto avanzato — deve dunque avere il coraggio di sovrastare il paradigma, superato ma ancora storicamente presente nell’immaginario collettivo, dello Stato-nazione, per dar vita a un’unione politica. Solo in questo modo sarà possibile creare un esercito europeo e trasformare l’Unione Europea da attore poco influente a livello di conflitti internazionali quale è ora, a Stato padrone del proprio destino e in grado di agire in conformità ai propri valori.

La vasta maggioranza degli Stati membri dell’Unione Europea sono membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (21 su 27 totali UE). Sorta il 4 aprile 1949 con la firma del Trattato di Washington, la NATO è un’organizzazione militare a scopo difensivo. L’articolo 5 del suo trattato istitutivo prevede in particolare che “le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale (…)”. Ne consegue che tutti i suoi membri devono essere in grado di provvedere alla sicurezza dei paesi alleati. Per questa ragione nel 2014, pochi mesi dopo l’invasione della Crimea, al summit NATO del Galles fu deciso che si sarebbe dovuto invertire il declino delle spese per la difesa. Come criterio omogeneo atto a valutare l’impegno per l’alleanza fu stabilito che entro dieci anni la spesa per la difesa di ogni Stato membro dovesse ammontare come minimo al 2% del PIL nazionale. Benché di per sé esso non sia un valore indicativo dell’effettiva efficienza e capacità difensiva di un paese, questo fu valutato come il miglior modo per una divisione paritaria dello sforzo per la sicurezza europea e nord-atlantica.

Tra i paesi che hanno superato le aspettative della NATO in investimenti militari vi è la Germania, che deteneva poco prima dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina un budget per la difesa nettamente inferiore rispetto alla minima soglia indicata come sufficiente dall’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (1,4% del PIL nel 2020[1]). Uno Stato che invece, con la dichiarazione del Cancelliere Olaf Scholz al Bundestag del 27 febbraio 2022, ha annunciato, oltre al mantenimento dell’impegno NATO di portare la spesa per la difesa oltre la soglia minima del 2% PIL entro il 2024, anche un investimento immediato di 100 miliardi di euro[2] nel proprio sistema difensivo.

La Germania è un paese il cui riarmo fu una delle questioni più delicate da risolvere dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale. Chiaramente in questo momento non si parla di un riarmo tedesco, ma di un investimento molto più consistente rispetto al passato: si passerebbe da una spesa di 52,765 miliardi di dollari del 2020[3] (1,4%del PIL) a una spesa ipotetica totale di 76, 928 miliardi di dollari (2% del PIL tedesco 2021[4]), ai quali vanno sommati i 100 miliardi di euro stanziati in aggiunta. Entro il 2024 la Germania diventerà dunque il terzo paese al mondo per spese militari complessive, dietro a USA e Cina, anche se è bene chiarire che il Trattato di non Proliferazione Nucleare (NPT), entrato in vigore nel 1970, impedisce agli Stati che — come la Germania — non detenevano il nucleare a scopi bellici entro quella data di sviluppare testate nucleari.

Dopo la creazione della NATO nel 1949, e nei primi anni di Guerra Fredda sul suolo europeo, fu evidente che la Repubblica Federale Tedesca (RFT), ancora priva di mezzi militari, necessitasse di un esercito per fungere da baluardo difensivo per tutta la parte occidentale del continente, trovandosi proprio al confine con il blocco est-europeo controllato dall’URSS. La Francia, spaventata da questa prospettiva, propose nel 1950 di istituire una Comunità di difesa europea (CED), in modo da impedire ipotetici futuri tentativi di aggressione armata per mano tedesca e dotare l’Europa occidentale di un’efficace sistema difensivo. La proposta fu colta da Altiero Spinelli, che suggerì all’allora primo ministro italiano Alcide de Gasperi di proporre l’inserimento di un articolo, che poi diventerà l’art.38 del trattato CED, che prevedesse la creazione, a fianco della CED, di una Comunità politica europea. Nel 1954 il Parlamento francese bocciò la ratifica del trattato CED, ponendo la fine al tentativo più vicino alla creazione di uno Stato federale europeo. Alla Germania fu concesso un riarmo graduale e di bassa entità, sotto l’ancoraggio alla NATO, nella quale la RFT entrò a far parte nel 1955.

A quasi settant’anni di distanza, nonostante il progressivo sviluppo dell’integrazione europea, l’Unione Europea si trova ancora priva di una comunità politica e di un esercito comune, e il problema della difesa viene ancora affrontato, come manifesta l’esempio della Germania, attraverso un aumento delle spese militari nazionali.

La creazione di un esercito europeo, sotto il controllo di uno Stato federale europeo, consentirebbe di superare l’inefficienza e mal allocazione delle risorse dei singoli Stati per la sicurezza: l’aumento delle spese militari da parte di ogni singolo Stato nazionale membro NATO rende le spese degli Stati UE più ricchi — Francia e Germania — simili a quelle della Russia, che spende 61,713 miliardi di dollari per il proprio esercito (2020).[5] Un dato che deve tenere conto anche della differenza tra spesa e reale capacità distruttiva, in quanto con una spesa simile la Russia detiene comunque il secondo arsenale nucleare al mondo. Tentare di risolvere il problema da un punto di vista nazionale fa sì che ogni Stato europeo preso singolarmente non riesca dunque a garantire per sé la propria sicurezza.

La sicurezza rappresenta una delle sfide cui gli Stati nazionali europei sono in grado di far fronte solo in virtù dell’ombrello nordatlantico. Una difesa comune europea riuscirebbe invece a gestire le sfide alle quali gli europei si trovano di fronte, sfide che possono essere affrontate solo se si interviene alla radice dei problemi che le causano: superare le divisioni nazionali e creare un esercito comune europeo, anche tra un gruppo ristretto di Stati, gestito da una Unione federale.

Daniele Berardi


[1] https://www.sipri.org/databases/milex; Stockholm International Peace Research Institute.

[2] Deutscher Bundestag – 20. Wahlperiode – 19. Sitzung. Berlin, Sonntag, den 27. Februar 2022.

[3] https://www.sipri.org/databases/milex; Data for all countries from 1988–2020 in constant (2019) USD.

[4] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD?locations=DE.

[5] https://www.sipri.org/databases/milex; Data for all countries from 1988–2020 in constant (2019) USD.

 

 

 

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