IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIV, 2022, Numero 1, Pagina 9

 

 

L’attualità del regime finanziario della CECA*

 

GIULIA ROSSOLILLO

 

  

1. Premessa.

L’idea di dotare la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, e in particolare la sua istituzione più importante — l’Alta Autorità — del potere di procurarsi autonomamente dagli Stati membri parte delle risorse necessarie allo svolgimento dei suoi compiti nasce poco dopo l’apertura della Conferenza che avrebbe portato all’elaborazione del trattato istitutivo della CECA, quando Jean Monnet intuisce che l’autonomia finanziaria dell’Alta Autorità non solo avrebbe garantito che quest’ultima non dipendesse da contributi degli Stati membri, ma avrebbe anche consentito alla stessa di accedere a condizioni favorevoli al mercato del credito e di utilizzare tali fondi per orientare investimenti nell’interesse generale.[1]

Il regime finanziario della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nato da questa intuizione rappresenta un unicum nel panorama delle organizzazioni internazionali e manifesta il carattere estremamente avanzato di tale organizzazione, anche rispetto all’attuale Unione europea. Tale carattere emerge con particolare chiarezza nei primi anni di vita della CECA, quando ad essa non si era ancora affiancata la Comunità Economica Europea. La forza di attrazione del modello della CEE,[2] organizzazione dagli scopi ben più ampi rispetto alla CECA, unita alla forte crisi del settore carbosiderurgico e dunque a una contrazione del gettito dei prelievi,[3] hanno in effetti negli anni successivi ridimensionato l’autonomia dell’Alta Autorità rispetto agli Stati membri.

È dunque sul breve arco temporale dal 1952 al 1957 che si concentrerà l’analisi, che dal passato cercherà di trarre elementi utili a una lettura della fase attuale del processo di integrazione e spunti per una possibile riforma del sistema di finanziamento dell’Unione.
 

2. I prelievi: prima imposta europea?

La capacità della CECA di finanziarsi stabilendo prelievi sulla produzione di carbone e acciaio e contraendo prestiti, prevista dall’art. 49 del Trattato CECA,[4] costituisce al contempo la manifestazione più chiara dell’autonomia dell’Alta Autorità e il tratto distintivo della CECA rispetto alle altre organizzazioni internazionali. Mentre queste ultime, infatti, sono tipicamente finanziate da contributi degli Stati membri e dunque la loro stessa esistenza dipende in ultima istanza dalla volontà di questi di dotarle delle risorse economiche necessarie allo svolgimento dei loro compiti,[5] la CECA poteva reperire parte delle proprie risorse direttamente dalle imprese (prelievi) e dai suoi finanziatori (prestiti).

Le caratteristiche delle finanze della CECA ora citate hanno portato la dottrina dell’epoca a sottolinearne il carattere rivoluzionario[6] e a definire i prelievi come prima imposta europea, in particolare prima imposta indiretta europea.[7] In effetti, il prelievo aveva natura obbligatoria, non aveva colore né patria,[8] dal momento che poteva essere utilizzato sia nel settore del carbone sia in quello dell’acciaio e in qualsiasi Stato membro, indipendentemente dalle capacità produttive delle industrie dei diversi paesi,[9] ed era direttamente connesso alle competenze della CECA.

Ma soprattutto, il relativo potere dell’Alta Autorità era esercitato dalla stessa direttamente sulle imprese, senza che vi fosse un’intermediazione degli Stati membri.[10] La CECA aveva infatti una Tesoreria centralizzata e le imprese carbosiderurgiche erano tenute a versare, il 25 di ogni mese, le somme dovute presso i conti aperti a nome dell’Alta Autorità nello Stato nel quale esse esercitavano la propria attività, così come su tali conti erano versate direttamente le somme ottenute in prestito.[11]

L’autonomia dell’Alta Autorità in relazione alla riscossione dei prelievi era poi ulteriormente confermata dal fatto che, secondo l’articolo 50 del trattato CECA, essa poteva applicare a carico delle imprese che non rispettassero le sue decisioni in materia delle maggiorazioni fino al 5% per trimestre di ritardo e che le decisioni dell’Alta Autorità che comportavano obblighi pecuniari costituivano titolo esecutivo.[12] Gli agenti dell’Alta autorità disponevano inoltre sul territorio degli Stati membri, nella misura necessaria al compimento della loro missione, dei poteri devoluti dalla legislazione di detti Stati agli agenti delle amministrazioni fiscali.[13]
  

3. I prestiti e le altre forme di finanziamento.

Accanto ai prelievi, l’articolo 49 del trattato CECA prevedeva che essa potesse contrarre prestiti, e dunque indebitarsi. Mentre i prelievi erano destinati a coprire varie tipologie di spese elencate nel Trattato, i fondi avuti in prestito potevano essere utilizzati dall’Alta Autorità solo per concedere prestiti (art. 51).[14]

Vi era tuttavia una stretta correlazione tra le due tipologie di risorse. Non essendo previsto dal Trattato CECA il principio di pareggio di bilancio,[15] nella prima fase di funzionamento dell’organizzazione l’Alta Autorità ha potuto infatti fissare un tasso di prelievo più elevato rispetto alle esigenze della stessa, anche grazie al peso limitato delle spese.

Tali eccedenze hanno dato vita a un fondo di garanzia che ha consentito le operazioni di assunzione ed erogazione di prestiti e ha assicurato alla CECA di accedere a condizioni favorevoli al mercato del credito.[16] In altre parole, è stata la capacità dell’Alta Autorità di procurarsi con un forte grado di autonomia le risorse necessarie per il suo funzionamento a dare alla CECA credibilità quanto alla sua capacità di garantire il rimborso dei prestiti, consentendole di contrarli a condizioni vantaggiose.

Tale circostanza ha reso possibile mettere a disposizione delle imprese produttrici di carbone e acciaio risorse ben più ingenti di quelle da esse pagate tramite i prelievi. In effetti, i finanziamenti (prestiti) concessi dalla CECA hanno consentito negli anni di sostenere la ricostruzione post-bellica, di sviluppare la produzione interna, di perseguire scopi sociali e strutturali come la costruzione di alloggi per gli operai o la creazione di posti di lavoro in zone colpite dal declino dell’industria carbosiderurgica,[17] e dunque di intervenire in modo effettivo a sostegno del mercato comune del carbone e dell’acciaio.
  

4. Il ruolo dell’Assemblea e l’assenza di un vero bilancio della CECA.

Tra i caratteri peculiari del regime finanziario della CECA, che ne segnano la differenza sia rispetto agli Stati membri sia rispetto all’Unione europea, vi è senz’altro il fatto che essa non era dotata di un vero e proprio bilancio, cioè di un documento unitario dal quale risultassero spese ed entrate dell’organizzazione su base annua.[18] In effetti, un bilancio — état prévisionnel nella versione francese del Trattato[19] — era previsto unicamente per le spese amministrative. Secondo quanto disponeva l’articolo 78 del Trattato CECA, in particolare, ciascun organo della Comunità doveva redigere ogni anno un bilancio preventivo delle proprie spese amministrative. I bilanci preventivi erano poi riuniti in un bilancio preventivo generale che doveva essere approvato da una Commissione composta dai Presidenti della Corte, dell’Alta Autorità, dell’Assemblea e del Consiglio e presieduta dal Presidente della Corte. Il bilancio preventivo generale era poi incluso nella relazione generale sull’attività della Comunità presentata su base annua dall’Alta Autorità all’Assemblea (art. 17).

Quanto alle spese diverse dalle spese amministrative, queste erano autorizzate direttamente dall’Alta Autorità senza essere incluse nel bilancio preventivo sopra citato.

La Commissione dei Presidenti era dunque del tutto priva di poteri non solo in relazione alle spese differenti dalle spese amministrative, ma anche in relazione alle entrate,[20] la cui determinazione e gestione era lasciata all’Alta Autorità con l’intervento del Consiglio, quando richiesto.

Ma soprattutto, ad emergere dal meccanismo sopra descritto era il ruolo estremamente limitato dell’Assemblea Comune,[21]rappresentata unicamente dal suo Presidente in sede di approvazione del bilancio preventivo delle spese amministrative e informata a posteriori, una volta approvato il bilancio, nella relazione sull’attività della CECA da parte dell’Alta Autorità.[22]

Tale circostanza va senza dubbio fatta risalire al fatto che la struttura istituzionale della CECA era incentrata sull’Alta Autorità, organo che, nelle intenzioni di Jean Monnet e dei redattori del Trattato, doveva dare impulso all’organizzazione ed incarnare la natura sovranazionale della CECA.[23] A ciò si aggiunga che l’Assemblea era composta di delegati dei Parlamenti nazionali e non era dunque eletta a suffragio universale diretto, elemento questo che ne indeboliva la capacità di ergersi a rappresentante dei cittadini europei.

Le rivendicazioni di maggiori poteri da parte dell’Assemblea non tardarono tuttavia ad emergere.[24] È infatti del marzo del 1953 una risoluzione[25] nella quale l’Assemblea lamentava di non vedersi attribuiti i poteri che normalmente spettano a un Parlamento e chiedeva che le venissero comunicati i bilanci di previsione di tutti gli organi della CECA prima che la Commissione dei quattro Presidenti si pronunciasse sul bilancio di previsione delle spese amministrative. L’anno successivo la stessa Assemblea decideva[26] la convocazione annuale di una sessione straordinaria dopo il termine dell’anno finanziario per consentire, al più tardi entro quattro mesi dall’inizio del nuovo anno finanziario, una sessione costitutiva dell’Assemblea comune, al fine di permettere a quest’ultima di meglio esercitare i suoi poteri di controllo. Così come, nel dicembre dello stesso anno,[27] constatato che il Trattato CECA non escludeva un diritto di controllo da parte dell’Assemblea comune e che l’impiego dei proventi dei prelievi e delle perequazioni era incluso in tale diritto, chiedeva all’Alta Autorità di “prendere tutti i provvedimenti necessari per rendere possibile il controllo parlamentare dell’impiego dei suoi mezzi finanziari e informare periodicamente la Commissione per la contabilità e l’amministrazione della Comunità e dell’Assemblea Comune sull’impiego dei suoi mezzi e le intenzioni di futuro impiego”.[28]

Il problema dei poteri di controllo dell’Assemblea veniva poi fatto oggetto del Rapporto Teitgen del 1955[29] nel quale, dopo aver messo in luce il ruolo essenziale di controllo politico che l’Assemblea avrebbe dovuto esercitare su un organo — l’Alta Autorità — dalle funzioni solo apparentemente tecniche, si metteva in luce l’importanza di un controllo sul bilancio e si prendeva atto con soddisfazione della volontà dell’Alta Autorità, espressa da Jean Monnet nel giugno del 1953, di tenere l’Assemblea e le commissioni competenti informate in tempo utile delle linee generali di azione e dei progetti dell’Alta Autorità, di raccogliere le loro osservazioni e di far conoscere le motivazioni delle decisioni prese.

A partire dal 1957 l’Assemblea, anche in seguito a una dura reazione della stessa alla decisione dell’Alta Autorità, nel 1955, di ridurre il tasso di prelievo dopo aver consultato il Consiglio e senza informarla, sarà sempre consultata dall’Alta Autorità su tutte le decisioni relative ai prelievi.[30]
  

5. CECA e Unione europea a confronto.

Al contrario della CECA, la CEE — e oggi l’Unione europea — si fondava su un modello di dipendenza del livello sovranazionale dagli Stati membri sotto il profilo sia delle fonti di finanziamento sia della procedura di determinazione delle entrate.[31]

Il trattato del 1957 stabiliva infatti che la CEE fosse finanziata da contributi degli Stati membri, come ogni altra organizzazione internazionale. Lo stesso trattato prefigurava tuttavia la possibilità di sostituire tali contributi con risorse proprie, se il Consiglio all’unanimità, dietro consultazione dell’Assemblea, avesse raccomandato agli Stati l’adozione di una simile decisione e gli Stati la avessero adottata in conformità alle loro rispettive norme costituzionali.[32]

Nel 1970[33] venivano dunque stabilite le prime risorse proprie,[34] costituite dai dazi doganali,[35] dai prelievi agricoli,[36] e da una percentuale sull’imposta sul valore aggiunto, percentuale quest’ultima che si prevedeva sarebbe divenuta una risorsa propria solo a partire dal 1975, per consentire la previa applicazione in tutti gli Stati membri delle norme determinanti una base imponibile uniforme.[37] Nel 1988,[38] in seguito alle tensioni tra Parlamento e Consiglio in merito all’approvazione del bilancio e per far fronte all’aumento delle esigenze finanziarie della Comunità dovuto all’accrescersi delle sue competenze, venne poi introdotta la cosiddetta quarta risorsa, consistente in una percentuale del RNL degli Stati membri.

Tra le fonti di finanziamento ora citate va detto che le risorse alle quali l’aggettivo “proprie” meglio si adatta sono le cosiddette risorse proprie tradizionali.[39] Si tratta infatti di risorse strettamente legate alle competenze della Comunità e dunque versate interamente nel suo bilancio, e il cui ammontare non dipende dai fabbisogni dell’organizzazione stessa. La somiglianza con i prelievi CECA è dunque da questo punto di vista molto forte.[40]

Un discorso differente va fatto invece per la percentuale sull’imposta sul valore aggiunto, dal momento che essa non è connessa a competenze esercitate dal livello sovranazionale e si tratta di un’imposta il cui gettito è suddiviso tra Stati membri e Unione.[41]

Ma soprattutto, è la quarta risorsa ad essere impropriamente definita risorsa propria. Trattandosi di una percentuale sul RNL degli Stati membri, essa non si distingue in effetti in nulla dai contributi statali che costituivano l’unica fonte di finanziamento della CEE nei suoi primi anni di funzionamento. Inoltre, essendo destinata a coprire la parte di bilancio non finanziata dalle altre risorse,[42] ed essendo il gettito di queste ultime diminuito negli anni, essa copre ormai circa il 70% del bilancio dell’Unione.

L’elemento che tuttavia più chiaramente manifesta la dipendenza dal punto di vista finanziario dell’Unione dagli Stati membri concerne la procedura attraverso la quale la tipologia e l’ammontare delle entrate dell’Unione vengono stabiliti.

Il trattato di Parigi, in effetti, pur stabilendo la tipologia di risorse e la loro fonte, non prevedeva una procedura di determinazione dell’ammontare massimo del bilancio della CECA e lasciava all’Alta Autorità un’ampia discrezionalità nella determinazione del tasso di prelievo, limitata solo dalla necessità, nel caso in cui la volontà dell’Alta Autorità fosse nel senso di imporre un tasso superiore all’1%, di ottenere un’autorizzazione preventiva da parte del Consiglio a maggioranza di due terzi (art. 50). Pur trattandosi di una disposizione che, come sottolineato in precedenza, non prevedeva alcun intervento dell’Assemblea, l’articolo 50 non consentiva dunque l’esercizio del diritto di veto da parte di uno Stato e, nei limiti previsti dal Trattato, attribuiva il potere di decidere sulle risorse agli organi sovranazionali, sottraendolo agli Stati membri.

L’attuale articolo 311 TFUE si fonda invece sul principio opposto: la decisione sulle risorse proprie — che ne fissa il tetto massimo e le categorie — è adottata dal Consiglio all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, ed entra in vigore solo se approvata dagli Stati membri secondo le loro rispettive norme costituzionali. Inoltre, poiché sono tuttora gli Stati che, attraverso la quarta risorsa, finanziano gran parte del bilancio dell’Unione e che nessun paese ha interesse ad aumentare tale contributo, ne risulta un bilancio di entità estremamente limitata, pari — fino a tempi recenti — a poco più dell’1% del RNL degli Stati membri.

Si tratta di un meccanismo che, peraltro, ha influenza anche sulle spese dell’Unione. Essendo espressamente previsto dall’art. 310 TFUE che nel bilancio entrate e spese debbano essere in pareggio, e non potendo quindi l’Unione fare debito, l’entità limitata delle entrate riduce anche il margine di intervento dell’Unione nel gestire le varie politiche attribuite alla sua competenza.

L’autonomia dell’Unione è poi ulteriormente ridotta dal fatto che le risorse proprie, a differenza dei prelievi CECA, sono percepite dagli Stati membri,[43] che anzi ne trattengono una parte a titolo di spese di riscossione,[44] sicché esse non confluiscono direttamente nel bilancio dell’Unione, bensì compaiono, secondo modalità differenti, nei bilanci degli Stati membri, i quali rimangono dunque gli unici soggetti in grado di intervenire in via giurisdizionale o con altri strumenti per ottenerne il pagamento da parte dei singoli.[45]

In una linea per così dire di continuità con l’esperienza della CECA è invece il ruolo molto limitato attribuito in materia di finanziamento dell’Unione al Parlamento europeo. In effetti, il regime finanziario dell’Unione si caratterizza per una netta distinzione tra procedura relativa alla determinazione delle entrate e procedura per la definizione delle spese e per la possibilità per il Parlamento europeo di influire in modo determinante sulle seconde e non sulle prime. Mentre infatti per quanto riguarda la determinazione delle spese il Parlamento europeo è chiamato a dare la sua approvazione al Quadro finanziario pluriennale deciso dal Consiglio all’unanimità (art. 312 TFUE) e in sede di approvazione del bilancio partecipa alla procedura sullo stesso piano del Consiglio (art. 314 TFUE), in relazione alla decisione sulle risorse proprie esso è semplicemente consultato.

Ora, se il ruolo limitato dell’Assemblea della CECA poteva trovare parziale giustificazione nell’assenza di una legittimazione democratica diretta di tale organo, la posizione marginale del Parlamento europeo in tale materia è difficilmente giustificabile e rappresenta una conferma del ruolo cruciale giocato dagli Stati membri.
 

6. Le prospettive aperte da Next Generation EU.

La crisi pandemica degli ultimi anni, e le gravi conseguenze economiche che essa ha prodotto, hanno portato all’adozione di alcune misure suscettibili di modificare in modo piuttosto profondo il quadro ora tracciato.

Il riferimento è al pacchetto Next Generation EU,[46] che, per far fronte alla situazione di difficoltà generata in molti Stati membri dalla crisi pandemica, prevede l’erogazione di sovvenzioni e prestiti per un valore di 750 miliardi di euro fino al 2026, finanziati mediante l’indebitamento diretto dell’Unione attraverso prestiti contratti dalla Commissione sui mercati finanziari, e che comporta dunque un superamento del principio del pareggio di bilancio, uno dei capisaldi del regime finanziario dell’Unione.[47]

Il rimborso del capitale e i relativi interessi sono a carico del bilancio dell’Unione e tutte le passività dovranno essere rimborsate integralmente entro il 31 dicembre 2058. Per garantire tale debito, si è reso dunque necessario un incremento del bilancio dell’Unione attraverso l’aumento del massimale delle risorse e la previsione della creazione di nuove risorse proprie, per evitare che tale aumento di massimale si risolva in un obbligo per gli Stati membri di versare contributi più ingenti al bilancio comune.

Come stabilisce l’articolo 6 della decisione 2020/2053[48], in particolare, il massimale delle risorse proprie è aumentato in via temporanea di 0,6 punti percentuali “al solo scopo di coprire tutte le passività dell’Unione risultanti dalle assunzioni di prestiti”, attestandosi dunque al 2% dei bilanci nazionali. Quanto alle nuove risorse proprie, la decisione per il momento si limita a prevedere un’aliquota uniforme di prelievo sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclabili, ma è allo studio l’introduzione di altre risorse nei prossimi anni.

Ora, nonostante si tratti di un piano di carattere temporaneo e adottato esclusivamente per affrontare una crisi di gravi dimensioni, Next Generation EU sembra porre le premesse per una trasformazione in senso sostanziale del sistema di finanziamento dell’Unione.

La situazione venutasi a creare in seguito alla pandemia da COVID-19 ha mostrato in effetti come da un lato la dimensione del bilancio dell’Unione sia insufficiente a far fronte alle situazioni di crisi, dall’altro la stessa procedura per la determinazione delle risorse dell’Unione, fondata sulla ricerca di un accordo tra 27 Stati, richieda tempi estremamente lunghi e sia dunque del tutto inadeguata alla necessità di far fronte a situazioni che richiedano risposte pronte e rapide. D’altro lato, il superamento del tabu del debito, e dunque l’aver consentito, anche se in via temporanea, che l’Unione contraesse prestiti, apre una prospettiva che difficilmente potrà essere chiusa una volta superata l’emergenza.

Se questo è vero, si porrà inevitabilmente il problema di trovare meccanismi di finanziamento dell’Unione che le consentano di indebitarsi, ma al contempo di garantire il debito attraverso risorse che non dipendano dagli Stati membri, bensì siano decise autonomamente dall’Unione e versate direttamente da persone fisiche e giuridiche nel bilancio della stessa. Non si tratterebbe di percorrere un cammino sconosciuto e nuovo, ma di prendere ispirazione da un sistema di finanziamento, quello della CECA, che già negli anni Cinquanta si fondava su soluzioni estremamente avanzate. Se tuttavia nella CECA era l’Alta Autorità l’istituzione che deteneva, nei limiti sopra indicati, il potere di determinare le risorse dell’organizzazione, nell’Unione un ruolo centrale dovrebbe essere attribuito al Parlamento Europeo, al quale dovrebbe essere riconosciuta una delle prerogative essenziali di ogni Parlamento, quella di decidere (insieme al Consiglio) non solo sulle spese dell’organizzazione, ma anche sulle sue entrate. 


* Contributo già pubblicato, in forma più estesa, nel volume a cura di A. Arena, La prima assise di una comunità fra popoli: l’attualità della CECA a 70 anni dal trattato di Parigi, Napoli, 2022.

[1] J. Monnet, Mémoires, Paris, Artheme Fayard, 1976, p. 468: « Au cours de cet exposé du 21 juin, je développai un nouvel aspect de l’indépendance et de la force de la Haute Autorité: elle aurait ses ressources propres, grâce à un prélèvement sur les productions de charbon et d’acier, et ne dépendrait pas pour son fonctionnement et ses interventions des subsides des gouvernements. De plus, son crédit moral et financier ferait d’elle le meilleur emprunteur d’Europe. Par ses prêts, elle pourrait orienter les investissements dans l’intérêt général, sans pouvoir coercitif ». Sul punto v. A. Zatti, Le finanze della CECA: spunti e riflessioni per il futuro della UE, in G. Rossolillo (a cura di), L’integrazione europea prima dei trattati di Roma, Soveria Mannelli, Rubettino editore, 2019, pp. 57 ss., a p. 81.

[2] Va peraltro notato che con il trattato di fusione del 1965 (Trattato che istituisce un Consiglio ed una Commissione unica delle Comunità Europee, dell’8 aprile 1965, in GUCE 152, p. 2) alle diverse istituzioni di CECA, CEE ed Euratom si sostituiscono un Consiglio e una Commissione uniche.

[3] La crisi del settore carbosiderurgico ha condotto a una riduzione progressiva del tasso dei prelievi, passato dallo 0,9% del 1953 allo 0,35% del 1957.

 

[4] Secondo l’articolo 49, “L’Alta Autorità ha la facoltà di procurarsi i fondi occorrenti per l’adempimento dei suoi compiti: — stabilendo prelievi sulla produzione del carbone e dell’acciaio; — contraendo prestiti. Essa può ricevere a titolo gratuito”. Come vedremo, i fondi avuti in prestito possono essere tuttavia utilizzati solo per concedere prestiti alle imprese.

[5] Sul finanziamento delle organizzazioni internazionali v. G. Tesauro, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, Napoli, Eugenio Jovene, 1969; N. Parisi, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali. Contributo allo studio delle forme della cooperazione intergovernativa, Milano, Giuffrè, 1986.

[6] In questo senso v. A. Rossignol, Les finances de la C.E.C.A. et le développement financier des institutions européennes, Revue du droit public et de la science politique en France et à l’étranger, 1954, pp. 986 ss., a p. 1019. F. Benvenuti, Ordinamento della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, Introduzione, Padova, CEDAM, 1961, pp. 11 ss. e 17, ritiene addirittura che l’esistenza di un potere tributario manifesti il carattere statuale della CECA.

[7] Sul punto v. A. Rossignol, Les finances de la C.E.C.A…., op. cit., p. 1019; N.P. Weides, Das Finanzrecht der Europäischen Gemeinschaft für Kohle und Stahl, Frankfurt-Berlin, A. Metzler, 1960, pp. 112 ss., il quale ricostruisce il dibattito sulla natura fiscale dei prelievi; G. Olmi, Les ressources propres aux Communautés européennes, Cahiers de droit européen, 1971, pp. 379 ss., a pp. 387 ss.; P. Mioche, Les cinquante années de l’Europe du charbon et de l’acier, Luxembourg, Commission européenne, Office des publications, 2004, p. 71; A. De Feo, Histoire des pouvoirs budgétaires et de la politique de l’Union européenne, Partie I: la Communauté européenne du charbon et de l’acier 1952-2002, Archives historiques du Parlement européen, Centre Robert Schuman d’études avancées, Série sur l’histoire de l’Union européenne, Mars 2015, p. 17. Per una critica a tale ricostruzione v. G. Tesauro, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, op. cit., pp. 161 ss..

[8] L’espressione è di L. Monnory, Art. 49, in R. Quadri, R. Monaco, A. Trabucchi (diretto da), Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, Commentario, vol. II. Art. 46-100, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 654 ss, a p. 656. Come nota D. Strasser, Le finanze dell’Europa, Commissione delle Comunità europee, Collezione “Prospettive europee”, Bruxelles, Commissione europea, Ufficio pubblicazioni, 1979, p. 76, nel corso degli anni questo carattere dei prelievi, che rispondeva a una logica di solidarietà, aveva suscitato recriminazioni da parte degli industriali del settore siderurgico motivate dal fatto che le spese a favore del settore carbonifero erano più elevate.

[9] Come nota N.P. Weides, Das Finanzrecht der Europäischen Gemeinschaft…, op. cit., p. 140, era dunque irrilevante che più del 50% del gettito derivante dai prelievi provenisse dall’industria carbosiderurgica tedesca.

[10] In senso contrario v. G. Tesauro, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, op. cit., pp. 184 ss., il quale ritiene che l’intero procedimento di imposizione sia imputabile agli Stati membri e non all’Alta Autorità.

[11] Sul punto v. A. Coppé, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, in Aspects financiers et fiscaux de l’intégration économique internationale, Travaux de l’institut international de finances publiques, Neuvième session, Francfort, 1953, pp. 178 ss., a p. 180; D. Vignes, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, Paris, 1956, 93; A. Daussin, Le régime financier des Communautés, in W.J. Ganshof van Der Meersch (sous la direction de), Droit des Communautés européennes, Bruxelles, Larcier, 1969, pp. 462 ss., a p. 476; L. Monnory, Art. 49, op. cit., pp. 662-663.

[12] Secondo l’articolo 92 del trattato CECA, “Le decisioni dell’Alta Autorità che comportano obblighi pecuniari costituiscono titolo esecutivo. L’esecuzione forzata nel territorio degli Stati membri viene effettuata per le vie legali vigenti in ciascuno degli Stati, dopo che sia stata apposta, senza altro controllo che quello della verifica dell’autenticità di tali decisioni, la formula esecutiva in uso nello Stato nel territorio del quale la decisione deve essere eseguita. Si provvede a detta formalità a cura di un ministro designato a tale effetto da ciascun Governo. L’esecuzione forzata non può essere sospesa che per decisione della Corte”. Nel senso che anche tale elemento concorra a definire l’originalità e la soprannazionalità della CECA v. N. Parisi, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali…, op. cit., pp. 122 ss.. In senso contrario v. G. Tesauro, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, op. cit., p. 206.

[13] Art. 86, comma 4, del trattato CECA.

[14] Secondo A. Potteau, Recherches sur l’autonomie financière de l’Union européenne, Paris, Dalloz, 2004, p. 94, l’articolo 95, par. 3, del trattato CECA, secondo il quale “… se impreviste difficoltà nelle modalità di applicazione del presente Trattato, rivelate dall’esperienza, o un cambiamento profondo delle condizioni economiche o tecniche che interessi direttamente il mercato comune del carbone e dell’acciaio, rendono necessario un adattamento delle regole relative all’esercizio da parte dell’Alta Autorità dei poteri che le sono conferiti, appropriate modifiche possono esservi apportate, purché non pregiudichino le disposizioni degli articoli 2,3,4, o il rapporto dei poteri rispettivamente attribuiti all’Alta Autorità e agli altri organi della Comunità”, potrebbe essere interpretato nel senso che, nelle ipotesi previste, esso consentisse all’Alta Autorità di ricorrere al prestito per finanziare l’organizzazione. Sul punto v. K. Von Lindeiner-Wildau, La supranationalité en tant que principe de droit, Leiden, A.W. Sijthoff, 1970, p. 107, secondo il quale tale possibilità di “revisione minore” del Trattato sarebbe una manifestazione dell’autonomia costituzionale della CECA e dunque della sua sovranazionalità.

[15] Come nota A. Zatti, Le finanze della CECA…, op. cit., p. 63, l’assenza di un’esplicita previsione di pareggio tra entrate e spese su base annua — presente invece nel Trattato istitutivo della CEE e nell’attuale TFUE — pur non traducendosi in una vera e propria possibilità di finanziare con il debito le spese operative (le somme ottenute in prestito potevano essere utilizzate solo per concedere prestiti), attribuiva all’Alta Autorità un certo margine di discrezionalità, consentendole di accumulare riserve “accantonando fondi o anticipando entrate per far fronte a esigenze congiunturali o circostanze eccezionali”.

[16] Sul punto v. D. Vignes, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, op. cit., p. 92; A Zatti, Le finanze della CECA…, op. cit., pp. 71 e 81. Il fondo di garanzia, non previsto dal Trattato istitutivo, si differenzia dal fondo di riserva, che non è stato in concreto mai costituito, di cui all’articolo 51, par. 3, secondo il quale “L’Alta Autorità può regolare le modalità dei prestiti o delle garanzie in vista della costituzione di un fondo di riserva destinato esclusivamente a ridurre l’ammontare eventuale dei prelievi previsti dall’articolo 50, paragrafo 1, comma 3, senza che le somme così accumulate possano essere utilizzate, sotto qualsiasi forma, per prestiti alle imprese”.

[17] Sul punto v. A. Zatti, Le finanze della CECA…, op. cit., pp. 81 ss..

[18] V. tra gli altri A. Rossignol, Les finances de la C.E.C.A.…, op. cit., p. 989; D. Vignes, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, op. cit., pp. 88 ss.; A. Zatti, Le finanze della CECA…, op. cit., p. 65.

[19] L’utilizzo dell’espressione état prévisionnel anziché budget è messa in rilievo da P. Reuter, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, Paris, Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence, 1953, p. 68, il quale ricollega il mancato utilizzo dell’espressione budget a un atteggiamento di diffidenza nei confronti dell’Assemblea. Sul punto v. anche A. Daussin, Le régime…, op. cit., p. 473.

[20] Sul punto v. N.P. Weides, Das Finanzrecht der Europäischen Gemeinschaft…, op. cit., p. 144.

[21] Secondo A. Rossignol, Les finances de la C.E.C.A.…, op. cit., p. 996, la scelta di attribuire un ruolo marginale all’Assemblea in tale materia ha avuto il merito di evitare lunghe discussioni e rischi di paralisi decisionale in sede di approvazione del bilancio. Sul punto v. anche F. Benvenuti, Ordinamento della Comunità Europea…, op. cit., p. 17, il quale nota come nella CECA i cittadini non avessero “il potere di autoimposizione e cioè la facoltà di intervenire con i propri rappresentanti nella fissazione del tributo”.

[22] Secondo A. Daussin, Les aspects budgétaires de l’intégration économique internationale, in Aspects financiers et fiscaux de l’intégration économique internationale, Travaux  de l’institut international de finances publiques, Session de Francfort, 1957, pp. 57 ss., a p. 73, se il Trattato di Parigi avesse previsto che l’Assemblea fosse chiamata a pronunciarsi sul bilancio di previsione, il suo intervento sarebbe stato quasi privo di significato, dal momento che il bilancio includeva solo le spese amministrative. L’approvazione a posteriori della gestione finanziaria della CECA in sede di relazione dell’Alta Autorità sulla propria attività non comportava invece questo limite, dal momento che essa riguardava tutte le categorie di spese.

[23] Secondo A. Daussin, Le régime…, op. cit., p. 472, nelle organizzazioni internazionali “il n’y a pas […] cet élément politique prédominant qui fait du vote du budget national l’expression de la confiance du parlement à l’égard du gouvernement. Dans l’organisation internationale l’acte approbation du budget ne met pas en présence deux pouvoirs, mais bien des Etats d’une part et, de l’autre, une institution à laquelle ils ont confié certaines tâches sur l’exécution desquelles ils entendent conserver un contrôle absolu”. Tale considerazione sembra tuttavia ben adattarsi alle organizzazioni internazionali finanziate da contributi degli Stati membri e meno a un’organizzazione come la CECA che, se pur entro certi limiti, si era vista attribuito un margine di autonomia finanziaria.

[24] Sul punto v. D. Vignes, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, op. cit., p.p. 88 e 91; A. Rossignol, Les finances de la C.E.C.A.…, op. cit., p. 1019; G. Sperduti, La C.E.C.A. - Ente sovranazionale, Padova, 1966, pp. 57 ss.; C. Delon Desmolin, Existe-t-il un droit budgétaire communautaire ?, in Mélanges en hommage à Guy Isaac, 50 ans de droit communautaire, Tome 2, Toulouse, Presse de l’Université de Toulouse, 2004, pp. 907 ss.; A. De Feo, Histoire des pouvoirs budgétaires…, op. cit., p. 25.

[25] Résolution relative à la communication préalable à l’Assemblée Commune des projets d’états prévisionnels des autres institutions de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier, 11 mars 1953, in Annuaire-Manuel de l’Assemblée Commune, Luxembourg, 1956, p. 379.

[26] Proposta di Risoluzione relativa all’opportunità di convocare una sessione costitutiva dell’Assemblea Comune all’inizio dell’esercizio finanziario, in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio del 9 giugno 1954, p. 404.

[27] Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio dell’11 dicembre 1954, p. 530.

[28] Come nota H.L. Mason, The European Coal and Steel Community, The Hague, Springer Dordrecht, 1955, pp. 104 ss., a partire dal 1954 l’Alta Autorità ha tenuto costantemente informate le Commissioni nelle quali l’Assemblea era suddivisa. Il regolamento di procedura dell’Assemblea (artt. 26 e 38) prevedeva inoltre che l’Assemblea potesse adottare risoluzioni rivolte all’Alta Autorità e che potesse sottoporre a quest’ultima interrogazioni.

[29] Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier, Rapport sur les pouvoirs de contrôle de l’Assemblée commune et leur exercice par M. P.-H. Teitgen (2 décembre 1954), in Annuaire français de droit international, volume 1, 1955, pp. 708 ss..

[30] Sul punto v. A. De Feo, Histoire des pouvoirs budgétaires…, op. cit., p. 25.

[31] Sul punto mi sia consentito rinviare a G. Rossolillo, Autonomia finanziaria e integrazione differenziata, Il Diritto dell’Unione europea, 2013, pp. 793 ss.; V. Constantinesco, Le recours aux modèles fédéralistes?, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources financières de la Communauté européenne, Paris, Economica, 1986, pp. 372 ss., a p. 377, per descrivere il sistema di finanziamento della CEE utilizza l’espressione “confédéralisme financier”.

[32] Articolo 201 TCEE: “La Commissione studierà a quali condizioni i contributi finanziari degli Stati membri di cui all’articolo 200 potrebbero essere sostituiti con risorse proprie, e in particolare con entrate proveniente dalla tariffa doganale comune dopo la definitiva instaurazione di quest’ultima. A tal fine, la Commissione presenterà proposte al Consiglio. Il Consiglio, deliberando all’unanimità, dopo aver consultato l’Assemblea in merito a tali proposte, potrà stabilire le disposizioni di cui raccomanderà l’adozione da parte degli Stati membri in conformità delle loro rispettive norme costituzionali”.

[33] Dec. (CECA, CEE, Euratom) n. 70/243 del Consiglio del 21 aprile 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunità, GUCE L 94, p. 19. Sulla genesi di tale decisione e sui suoi antecedenti v. G. Olmi, Les ressources propres…, op. cit., pp. 400 ss..

[34] Sulla nozione di risorse proprie v. G. Olmi, Les ressources propres aux Communautés européennes, op. cit., pp. 395 s.; C.D. Ehlermann, The financing of the Community: the distinction between financial contributions and own resources, Common Market Law Review, 12 (1982), pp. 571 ss., spec. pp. 574 ss.; G. Isaac, La notion de ressources propres, in Id. (sous la direction de), Les ressources financières…, op. cit., pp. 70 ss., a p. 75.

[35] Secondo l’articolo 2, lett. b), della Dec. (CECA, CEE, Euratom) n. 70/243, op. cit., sono denominati “dazi doganali” i dazi della tariffa doganale comune e gli altri diritti fissati o da fissare dalle istituzioni delle Comunità sugli scambi con i paesi non membri.

[36] Secondo l’articolo 2, lett. a), della Dec. (CECA, CEE, Euratom) n. 70/243, op. cit., sono “prelievi agricoli” i prelievi, supplementi, importi o elementi addizionali e altri diritti fissati o da fissare dalle istituzioni della Comunità sugli scambi con i paesi non membri nel quadro della politica agricola comune, nonché i contributi e altri diritti previsti nel quadro dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero.

[37] La sesta direttiva Iva in materia di armonizzazione delle legislazioni in materia di imposte sulla cifra di affari risale in realtà al 1977 (Dir. (CEE) n. 77/388 del Consiglio del 17 maggio 1977, GUCE L 145, p. 1). La risorsa Iva sarà poi versata al bilancio comunitario solo a partire dal 1. Gennaio 1979.

[38] Dec. (CECA, CEE, Euratom) n. 88/376 del Consiglio del 24 giugno 1988 relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità, GUCE L 185, p. 24.

[39] Le risorse denominate inizialmente dazi doganali e prelievi agricoli sono oggi definite risorse proprie tradizionali e sono costituite “da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune o altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero” (v. art. 2 Dec. (UE, Euratom) n. 2014/335 del Consiglio del 26 maggio 2014 relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, GUUE L 168, p. 105; art. 2 Dec. (UE, Euratom) n. 2020/2053 del Consiglio del 14 dicembre 2020 relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea e che abroga la decisione 2014/335/UE, Euratom, GUUE L 424, p. 1).

[40] Sul punto v. C.D. Ehlermann, The financing of the Community…, op. cit., p. 577.

[41] Sul punto e sul dibattito relativo alla possibilità di classificare l’Iva comunitaria come risorsa propria v. C.D. Ehlermann, The financing of the Community…, op. cit., pp. 578 ss.; G. Isaac, Les ressources financières…, op. cit., pp. 73 ss..

[42] La quarta risorsa assume in effetti la valenza di risorsa residuale (cioè destinata a coprire la parte di bilancio non coperta dalle altre risorse) che prima spettava alla percentuale sull’imposta sul valore aggiunto.

[43] Sulla differente impostazione di Commissione e Consiglio in ordine al controllo sulla riscossione delle risorse proprie risoltasi poi nel prevalere della posizione del Consiglio nel regolamento 2/71 (Reg. (CEE, Euratom, CECA) n. 2/71 del Consiglio del 2 gennaio 1971 recante applicazione della decisione 21 aprile 1970, relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie della Comunità, GUCE L 3, p. 1) v. G. Olmi, Les ressources propres aux Communautés européennes, op. cit., pp. 420 ss..

[44] Inizialmente, una volta accertato che la riscossione fosse avvenuta correttamente, la Comunità restituiva agli Stati il 10% delle risorse tradizionali (dazi doganali e prelievi agricoli). Oggi gli Stati membri possono trattenere direttamente una percentuale di tali risorse, percentuale che attualmente ammonta al 25% (Dec. (UE, Euratom) n. 2020/253, op. cit.).

[45] Secondo G. Isaac, Les ressources financières…, op. cit., p. 76, una completa autonomia della Comunità (Unione) dagli Stati membri implicherebbe non solo l’attribuzione a questa di risorse fiscali, ma anche la possibilità per la Comunità di percepirle essa stessa, se occorre anche con la forza. Come notano J-L. Chabot, G. Guillermin, La rétention des ressources propres de la part des Etats membres, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources financières…, op. cit., pp. 87 ss., il permanere della “sovranità amministrativa” nazionale in materia di raccolta delle risorse proprie consente agli Stati di utilizzare come arma di pressione il rifiuto di versare certe risorse al bilancio dell’Unione, ipotesi verificatasi ad esempio nel 1978, quando Francia, Gran Bretagna e Danimarca si erano rifiutate di versare l’Iva comunitaria per reagire all’aumento delle somme destinate al fondo regionale.

[46] Next Generation EU, adottato parallelamente al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, poggia sulla decisione sulle risorse proprie 2020/2053 (Dec. (UE, Euratom) n. 2020/2053, op. cit.), sul regolamento che istituisce uno strumento dell’Unione europea per la ripresa a sostegno dell’economia dopo la crisi COVID-19 (Reg. (UE) n. 2020/2094, GUUE L 433, p. 23) e sul regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (Reg. (UE) n. 2021/241, GUUE, L 57, p. 17).

[47] Per un commento a Next Generation EU v., tra gli altri, L. Calzolari, F. Costamagna, La riforma del bilancio e la creazione di SURE e Next Generation EU, in P. Manzini, M. Vellano (a cura di), Unione europea 2020. I dodici mesi che hanno segnato l’integrazione europea, Milano, CEDAM, 2021, pp. 169 ss.; B. De Witte, The European Union’s Covid-19 Recovery Plan: the Legal Engineering of an Economic Policy Shift, Common Market Law Review, 58 n. 3 (2021), pp. 635 ss.; P. Dermine, The EU’s Response to the COVID-19 Crisis and the Trajectory of Fiscal Integration in Europe: Between Continuity and Rupture, Legal Issues of Economic Integration, 47 n. 4 (2020), pp. 337 ss.; A. Hinarejos, Next Generation EU: on the Agreement on a COVID-19 Recovery Package, European Law Review, 26 (2020), pp. 451 ss.; B. Laffan, A De Feo (eds.), EU Financing for Next Decade: Beyond the MFF 2021-2027 and the Next Generation EU, Firenze, European University Institute, 2020; L. Lionello, Next Generation EU: Has the Hamiltonian Moment Come for Europe?, Eurojus, 7 n.1 (2020), pp. 22 ss..

[48] Dec. (UE, Euratom) n. 2020/2053, op. cit..

  

 

 

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