IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIV, 2022, Numero 2-3, Pagina 70

 

 

I gruppi regionali
nell’Unione europea: una forma
inesplorata di differenziazione*

 

FEDERICO FABBRINI E IAN COOPER

 

 

 1. Introduzione

Nell’ambito dell’Unione europea (UE) sono presenti numerosi gruppi regionali di Stati membri coinvolti in forme di cooperazione istituzionalizzate, ma separate dalla loro cooperazione all’interno delle istituzioni dell’UE. Secondo i nostri calcoli, i gruppi di questo tipo oggi attivi sono tredici. Si trovano in ogni parte d’Europa — nord, sud, est e ovest — e ognuno dei ventisette Stati membri partecipa ad almeno uno di essi. Si tratta di gruppi che si differenziano tra loro in vari modi. Alcuni di essi esistono da lungo tempo (per esempio il Benelux, creato nel 1944), mentre altri sono di recente creazione (ad esempio la Lega Anseatica, creata nel 2018). Variano nelle dimensioni da due membri (cooperazione franco-tedesca, Summit iberico) a dodici (iniziativa dei Tre Mari). Alcuni sono fortemente istituzionalizzati (ad esempio l’Assemblea Baltica), mentre altri lo sono in maniera minima (ad esempio il Triangolo Weimar, il Triangolo Slavkov). Alcuni implicano una cooperazione ampia in una serie di settori (ad esempio il Gruppo di Visegrád), mentre altri si concentrano unicamente su un settore di competenza (ad esempio il Forum di Salisburgo). Alcuni sono volti principalmente a una cooperazione interna (ad esempio la Cooperazione di difesa dell’Europa centrale), mentre altri si occupano del coordinamento delle politiche a livello europeo (ad esempio EuroMed e il gruppo Nordico-Baltico). Nonostante queste varianti, tuttavia, tutti questi gruppi rappresentano forme di cooperazione dal basso che si collocano a un livello intermedio tra i singoli Stati membri e l’UE nel suo complesso.

Lo scopo di questo articolo è di prendere in esame il fenomeno delle cooperazioni regionali nell’UE al fine di mappare questa dinamica politica inesplorata e di analizzare le sue conseguenze sul processo di integrazione europea. Si tratta dunque di un lavoro che persegue un doppio obiettivo. Da un lato, l’articolo cerca di identificare i gruppi regionali di cooperazione dal basso (Bottom-Up Regional Groups) esistenti nell’UE, di comparare le loro funzioni e di definire la loro organizzazione. Dall’altro, esso analizza l’impatto che questi gruppi regionali sono suscettibili di avere sull’integrazione europea, distinguendo tra gruppi che perseguono un quadro di cooperazione puramente amministrativa e gruppi che al contrario sono stati creati come strumenti di definizione di priorità e sono volti a moltiplicare la capacità degli Stati membri partecipanti di influire sulle politiche europee nell’ambito della governance dell’UE.

Così facendo, l’articolo cerca di colmare un vuoto nella letteratura giuridica e di scienza politica sull’integrazione europea. Nonostante molti esperti regionali abbiano studiato uno o più di questi gruppi, poche ricerche li hanno analizzati e confrontati come fenomeno generale. Ne è manifestazione il fatto che non vi sia nemmeno una denominazione comunemente accettata per questi gruppi — variamente denominati partnerships, alignments, blocs, alliances o groupings[1] — per non parlare di una nozione comunemente accettata di cosa essi siano. Solo pochi lavori hanno cercato di offrire una panoramica generale dei gruppi regionali nell’UE. Si tratta tuttavia di lavori[2] che non sono aggiornati ai più recenti sviluppi di questo settore, che hanno visto la creazione di tre nuovi gruppi regionali dal 2015 (il Triangolo Slavkov, l’iniziativa dei Tre Mari, la Nuova Lega Anseatica) e il significativo aggiornamento di uno vecchio (la Cooperazione franco-tedesca, rafforzata dal Trattato di Aachen del 2019). Lavori più recenti in questo campo sono stati più settoriali, e tendono ad essere brevi analisi della cooperazione dal basso tra Stati membri alla luce delle sfide poste dalla crisi dell’euro,[3] da Brexit[4] e dalla pandemia da Covid-19.[5] Molti dei lavori più ampi[6] si concentrano su un singolo gruppo regionale anziché studiarli nel loro complesso come fenomeno pan-UE. Alcuni lavori si sono concentrati più ampiamente su gruppi regionali relativi a una particolare area geografica dell’Europa, ad esempio l’Europa centro-orientale,[7] che ha visto un proliferare di molti gruppi adiacenti, sovrapposti e contenuti l’uno nell’altro. Alcuni autori hanno focalizzato la loro attenzione principalmente su un solo gruppo regionale, ma sono anche attenti a questioni più ampie quali il modo di tipizzare i gruppi[8] o di studiare la cooperazione all’interno di specifici gruppi regionali, come nel caso dei rapporti tra l’Assemblea Baltica con il Benelux e il Gruppo di Visegrád.[9] La prospettiva di altri autori è di guardare come un singolo Stato membro possa difendere la propria posizione diplomatica attraverso la partecipazione a molteplici gruppi regionali, come la Polonia[10] o l’Austria.[11] Ma nel complesso è evidente che c’è una lacuna nella letteratura, che evidenzia una pressante esigenza di una rassegna aggiornata e onnicomprensiva del fenomeno dei raggruppamenti regionali nell’UE.

Questo articolo va quindi al di là di questa dottrina ad hoc per valutare il fenomeno del raggruppamento regionale da una prospettiva teorica più ampia e per riflettere sulle sue implicazioni per gli studi europei e in particolare per le teorie della governance differenziata. In particolare, riteniamo che questo tipo di cooperazione politica dal basso rappresenti una particolare forma di differenziazione all’interno dell’UE, anche se non è sempre riconosciuta come tale. Questo perché molte analisi sull’integrazione differenziata sono concentrate sulla misura in cui le norme di diritto dell’UE non sono applicate in modo uniforme nell’Unione a causa di deroghe e opt-out di cui beneficiano diversi Stati membri.[12] Il problema di questa concettualizzazione basata sulle norme è che si tratta di una differenziazione dall’alto, nel senso che prende come linea di base l’applicazione piena delle norme in tutta l’UE e poi misura le deviazioni da questo standard. Si tratta senza dubbio di un tipo di analisi valido e molto utile, ma non riesca a catturare il quadro completo perché tende a lasciare fuori le forme di cooperazione dal basso, quali quelle qui analizzate.

Va sottolineato che i gruppi regionali così come qui definiti sono istituzionalmente separati dall’UE e non sconfinano significativamente nella sfera di competenza dell’Unione. Molti gruppi regionali hanno una struttura largamente informale, dal momento che sono privi di personalità giuridica e di capacità decisionale formale, e dunque non hanno “competenze” nel senso giuridico del termine. Inoltre, i gruppi regionali generalmente sono forum di cooperazione interstatale relativi a politiche estranee ai campi di competenza esclusiva dell’UE, e riguardano settori nel quali la competenza è concorrente con quella degli Stati membri (ad esempio energia, trasporti, giustizia e affari interni) o è di sostegno agli Stati membri (ad esempio industria, turismo).[13] Molti gruppi regionali comportano una cooperazione in politica estera, un settore nel quale gli Stati membri mantengono un’autonomia politica significativa anche se è in parte un settore di competenza dell’UE. Inoltre, alcuni gruppi regionali hanno la funzione di forum di coordinamento politico, ovvero servono da piattaforma nei quali gruppi di Stati membri coordinano le loro posizioni in merito a questioni correnti di politica dell’UE, ma non hanno una competenza vera e propria in questi settori. Per tutte queste ragioni, i gruppi regionali non corrispondono alla più diffusa definizione di integrazione differenziata, che tipicamente si verifica quando uno o più Stati non partecipano a una politica comune nella quale l’UE ha competenza e ha adottato atti: i gruppi regionali costituiscono una forma diversa di integrazione differenziata dal momento che rappresentano una cooperazione dal basso che si verifica frequentemente al di fuori della sfera di competenza dell’UE.

Questo articolo si propone di fornire uno studio complessivo dei gruppi regionali, definiti come forme di cooperazione tra Stati membri dell’UE che non sono istituzionalmente connesse all’Unione, sia che promuovano sia che non promuovano l’integrazione europea. Il nostro metodo consiste per prima cosa nell’individuare i gruppi regionali sulla base di criteri oggettivi, e poi di compararli tra loro; questo evita pregiudizi di selezione. Infatti, ciò che emergerà nelle pagine seguenti è che un gruppo regionale può i) operare a favore dell’integrazione europea, ii) operare contro l’integrazione europea, o iii) avere un effetto neutro rispetto all’integrazione europea; e in effetti l’atteggiamento di un gruppo regionale nei confronti dell’integrazione europea può cambiare nel tempo. La letteratura sull’integrazione differenziata nell’UE si è concentrata sulla prima categoria, mentre ha tralasciato le altre due. Questa rassegna costituisce dunque un importante contributo alla letteratura sull’integrazione differenziata nell’UE proprio perché allarga il campo di indagine empirica per includere tutte le ipotesi di cooperazione istituzionalizzata tra Stati membri nell’UE.

L’articolo è strutturato in questo modo. La Sezione 2 fornisce una definizione di gruppi regionali, chiarendo quali sono le caratteristiche che consideriamo necessarie perché una forma specifica di cooperazione regionale rientri nella nostra definizione; e offre una lista dei gruppi regionali esistenti. La Sezione 3 confronta i gruppi regionali esistenti, classificandoli sulla base della loro longevità (pre e post adesione), della loro struttura istituzionale (complessa o basilare), del loro ambito di applicazione (settoriale contro generale) e del grado in cui sono attivi/inattivi. La Sezione 4 esamina le differenti funzioni che i gruppi regionali possono svolgere — avanguardia di integrazione, cooperazione funzionale, coordinamento politico, o resistenza. Infine, la Sezione 5 riflette sui profili di potenziale ricerca ulteriore sui gruppi regionali come strumento per arricchire la conoscenza di integrazione europea e integrazione differenziata.
 

2. Definizione dei gruppi regionali

L’Europa è un’area geografica di forte interdipendenza, nella quale coesistono molteplici forme di cooperazione internazionale tra Stati sia all’interno sia all’esterno dell’UE. In questo articolo ci occuperemo unicamente di una particolare forma di cooperazione, che ha luogo all’interno dell’UE, ma non è parte della struttura istituzionale dell’Unione. Per questa ragione ci baseremo su cinque criteri attraverso i quali definire un gruppo regionale. In particolare, un gruppo regionale può essere definito una forma di cooperazione internazionale che risponde a queste cinque caratteristiche: i) è una cooperazione istituzionalizzata; ii) è attualmente attiva; iii) i suoi partecipanti sono tutti attualmente Stati membri dell’UE; iv) è istituzionalmente separata dall’UE; v) gli Stati partecipanti sono geograficamente vicini, appartenendo alla stessa area regionale dell’Unione. Qui di seguito, ci soffermeremo più nel dettaglio su questi criteri, per rendere più chiara la natura dei Gruppi Regionali oggetto di questo articolo anche attraverso una contrapposizione con esempi di altre forme di cooperazione che invece non vi rientrano.
  

2.1. Cooperazione istituzionalizzata.

Definiamo un gruppo regionale all’interno dell’UE come un gruppo istituzionalizzato, cioè un gruppo che ha una struttura permanente che si traduce nel suo funzionamento nella prassi. Per esempio un gruppo regionale può essere definito come istituzionalizzato se al suo interno si tengono riunioni regolari tra ministri o parlamentari, anche se, come spiegheremo nella sezione 3, il grado di struttura organizzativa dei gruppi regionali può variare significativamente da un gruppo all’altro. Questo criterio esclude invece quelle alleanze tattiche temporanee tra Stati membri, che si verificano ad esempio quando essi esprimono i loro voti nel Consiglio dell’UE.[14] Inoltre esclude tutti quei gruppi di Stati membri che vengono descritti come aventi un’identità collettiva, ma che sono privi di ogni forma istituzionale. Per esempio, i sei paesi fondatori — gli Stati originari della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e della Comunità economica europea (CEE) — spesso sono identificati come gruppo, ma non è possibile trovare alcuna manifestazione istituzionale di questa particolare identità di gruppo — ad eccezione forse di un’unica riunione dei Ministri degli affari esteri dei Sei prima del referendum su Brexit[15] – e dunque non possono essere classificati come gruppo regionale.
  

2.2. Attualmente attivo.

In stretta relazione con il criterio precedente, definiamo un gruppo regionale come un gruppo nel quale la cooperazione è attualmente attiva. La ratio di questo criterio è che il nostro proposito qui non è quello di fornire un quadro storico di tutti i gruppi regionali che sono esistiti all’interno dell’UE, ma solo di passare in rassegna quelli che attualmente esistono. Questo esclude forme di cooperazione che esistevano un tempo ma sono state sciolte o sono cadute in disuso. Un esempio di gruppo regionale che non esiste più è l’Unione europea occidentale (UEO), un’organizzazione di cooperazione militare che è stata attiva dalla fine degli anni Ottanta agli anni Novanta e che era stata creata da Stati membri dell’UE che erano anche Stati membri della NATO. Nel tempo i compiti dell’UEO sono stati trasferiti all’UE e l’UEO è stata sciolta nel 2011. In questo articolo abbiamo applicato questo criterio in modo liberale, in modo da includere quei gruppi regionali che sono attualmente attivi anche se ci sono state delle pause nel recente passato nella loro attività – ad esempio non si è sempre tenuta una riunione annuale. Per questo motivo, prendiamo in esame sia il Triangolo di Slavkov (noto anche come trilaterale di Austerlitz) di Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia, fondato nel 2015, sia il Triangolo di Weimar (Francia, Germania, Polonia) fondato nel 1991, perché entrambi hanno tenuto riunioni nel 2020.[16]
  

2.3. Solo Stati attualmente membri dell’UE.

Definiamo gruppo regionale una cooperazione della quale sono parti solo Stati attualmente membri dell’UE. La ratio alla base di questo criterio consiste nel fatto che il nostro proposito è di analizzare i gruppi regionali come un fenomeno interno all’UE e all’integrazione europea. L’utilizzo di questo criterio ha come conseguenza l’esclusione di importanti forme di cooperazione regionale che includono sia Stati membri sia Stati non membri dell’UE, quali il risalente Consiglio nordico (fondato nel 1952), che include tre Stati membri (Danimarca, Finlandia e Svezia) e due Stati non membri (Norvegia e Islanda), insieme alle regioni semi-autonome di Åland, le isole Faroe e la Groenlandia. Si tratta di un criterio che esclude anche le cooperazioni regionali che includono il Regno Unito (oggi ex-Stato membro dal 31 gennaio 2020), e in particolare le sue relazioni bilaterali multilivello con l’Irlanda, inclusi il Consiglio britannico-irlandese, la Common Travel Area e l’Assemblea parlamentare britannico-irlandese.[17] Prima di Brexit, la Common Travel Area tra Regno Unito e Irlanda era un esempio importante di governance differenziata all’interno dell’UE, dal momento che si trattava di una zona separata di libera circolazione delle persone al di fuori dell’area Schengen. Tuttavia, ora che il Regno Unito è uscito dall’UE, questa relazione bilaterale non può più essere definita come un gruppo regionale interno all’UE.
  

2.4. La separazione istituzionale dall’UE.

Un gruppo regionale è un gruppo di Stati membri dell’UE che persegue una forma di cooperazione separata dalle politiche comuni perseguite a livello dell’Unione. Sulla base di questa definizione, l’Eurozona, nella quale oggi 19 Stati membri su 27 condividono una moneta comune, non è un gruppo regionale, perché si tratta di Stati membri che perseguono una politica comune, la terza fase dell’Unione economica e monetaria (EMU).[18] Inoltre, si tratta di una forma differenziata, ma dall’alto anziché dal basso, dal momento che gli Stati che non ne fanno parte sono Stati che godono di opting-out o di deroghe rispetto alla politica comune.[19] Questo è vero anche per molte altre politiche comuni dell’UE nell’ambito delle quali alcuni Stati hanno esercitato un opt-out. Bisogna tuttavia notare che in alcuni casi un gruppo regionale può mettere in atto una politica comune che poi viene adottata a livello dell’UE. L’Accordo di Schengen del 1985 ne è un buon esempio. Originariamente, si trattava di un accordo tra cinque degli allora dieci Stati membri dell’UE volto ad abolire i controlli interni alle frontiere. Tuttavia, con l’espansione dell’area Schengen l’UE ha alla fine promosso una politica di libera circolazione delle persone estesa a tutta l’Unione. Così, mentre l’originale accordo di Schengen a cinque era un gruppo regionale, cioè una cooperazione distinta dall’UE, questo non è più vero, perché l’acquis di Schengen è stato incorporato nei trattati istitutivi (salvo che per cinque Stati membri che beneficiano di un opt-out o non rispondono ancora ai requisiti minimi di partecipazione).[20]

Per il resto, i trattati UE non dicono nulla sull’esistenza e lo status dei gruppi regionali, con un’eccezione: il Benelux. In quanto forma più risalente di gruppo regionale, creata nel 1944, il Benelux è anche l’unico esempio di gruppo regionale esplicitamente riconosciuto nei trattati UE. Infatti, l’articolo 350 TFUE (tuttora) stabilisce che: “Le disposizioni dei trattati non ostano all’esistenza e al perfezionamento delle unioni regionali tra il Belgio e il Lussemburgo, come pure tra il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, nella misura in cui gli obiettivi di tali unioni regionali non sono raggiunti in applicazione dei trattati”.[21] Questa disposizione, che è codificata nei trattati UE fin dal Trattato di Roma del 1957 istitutivo della Comunità Economica Europea, si limita a riconoscere l’esistenza del Benelux come un gruppo regionale pre-UE. Non vi sono altre disposizioni dei Trattati che riconoscano l’esistenza di singoli gruppi regionali o che consentano la loro creazione; questa assenza di disposizioni espresse mette in luce la loro separazione istituzionale dall’UE.
  

2.5. Prossimità geografica.

L’ultimo criterio che determina se un insieme di Stati costituiscono un gruppo regionale è la prossimità geografica. Questo è senza dubbio il criterio meno preciso tra quelli utilizzati per definire un gruppo regionale e a nostro avviso è soddisfatto quando gli Stati che partecipano a un gruppo regionale appartengono alla medesima area geografica dell’Europa: come tali, non è necessario che siano adiacenti (con confini contigui di terra o di mare), ma è sufficiente che siano situati in generale nella medesima regione all’interno dell’Europa. Si tratta di un criterio che nasce dalla nostra osservazione del fatto che, con un’eccezione (il gruppo Arraiolos), ogni gruppo è concentrato in una particolare regione europea, anche se gli Stati parti sono relativamente dispersi geograficamente. Ad esempio, i membri della Nuova Lega Anseatica si trovano tutti nell’Europa del nord, anche se sono dispersi in un’ampia fascia geografica che va, da ovest a est, dall’Irlanda fino all’Estonia. Similmente, il Triangolo di Weimar, che include Francia, Germania e Polonia, comprende tre Stati confinanti, che, data la loro dimensione geografica, si estendono dall’Oceano Atlantico fino al confine con Russia e Bielorussia. Il criterio della prossimità regionale esclude dalla nostra definizione di gruppi regionali forme di cooperazione basate su fattori privi di relazione con la collocazione regionale o geografica. Per questa ragione, questo articolo esclude il gruppo Arraiolos — l’eccezione sopra menzionata — che è un vertice informale, che ha avuto inizio nel 2003, dei presidenti degli Stati membri dell’UE con regimi parlamentari o semi-presidenziali (cioè che non hanno monarchi come capi di Stato). 

Alla luce di questi cinque criteri, possiamo oggi identificare tredici gruppi di Stati membri all’interno dell’UE che rispondono alla nostra definizione di gruppo regionale (vedi Tabella 1). A questi si potrebbe aggiungere un quattordicesimo gruppo, la cooperazione franco-italiana, lanciata il 26 novembre 2021 con la firma del Trattato del Quirinale da parte del Presidente francese Emmanuel Macron e dell’allora Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi.[22] Il Trattato del Quirinale si propone di stabilire relazioni più strette tra i due Stati membri, prevedendo anche fori istituzionali di coordinamento delle posizioni sugli affari europei — e come tale è modellato sul Trattato dell’Eliseo del 1963 che stabilisce una cooperazione franco-tedesca. Tuttavia, il Trattato del Quirinale non è stato ancora ratificato dai due Stati, e bisognerà vedere come opererà nella prassi. Ne consegue che identifichiamo qui la cooperazione franco-italiana solo come un potenziale quattordicesimo gruppo regionale, lasciando la sua valutazione concreta a una futura ricerca.
  

Tabella 1 – Gruppi regionali dal basso nell’Unione europea

Gruppo

Paesi coinvolti

    Creaz.

Scopo

Caratteri istituzionali

Benelux

Belgio, Lussemburgo, Olanda

   1944

Unione politico economica

Unione Doganale (1944); Assemblea Parlamentare (1955); Unione Economica (1958); Corte di giustizia del Benelux (1965); Unione del Benelux (2008)

Cooperazione franco-tedesca

Francia, Germania

   1963

Cooperazione politica

Trattato dell’Eliseo (1963); Trattato di Aachen (2019); Assemblea parlamentare franco-tedesca

Summit iberico

Portogallo, Spagna

   1983

Dialogo politico

Summit bilaterali dei Primi Ministri

Gruppo di Visegrád

Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia

   1991

Cooperazione politica

Riunioni ministeriali e summit dei leaders; Fondo di Visegrád (2000); Cooperazione interparlamentare (2003)

Assemblea baltica

Estonia, Lettonia, Lituania

   1991

Cooperazione politica

Assemblea baltica (1991); Consiglio dei Ministri baltico (1994)

Triangolo di Weimar

Francia, Germania, Polonia

   1991

Dialogo politico

Riunioni dei Ministri degli Affari esteri, Summit occasionali dei leaders

Forum di Salisburgo

Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia

   2000

Cooperazione in materia di affari interni

Riunioni dei Ministri degli Interni (due all’anno); riunioni dei Capi della polizia; riunioni a margine delle riunioni UE

Gruppo nordico-baltico

Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Svezia

   2004

Coordinamento politico

Riunioni ministeriali in prossimità delle riunioni europee

Cooperazione centroeuropea di difesa

Austria, Croazia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia (Polonia: osservatore)

   2010

Collaborazione militare, controllo delle migrazioni

Riunioni dei Ministri della Difesa

EuroMed

Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna e, dal 2021, anche Slovenia e Croazia

2013

Cooperazione politica

Riunioni ministeriali; Summit dei leaders nazionali dell’Europa del sud

Triangolo Slavkov/

Austerlitz

Austria, Repubblica ceca, Slovacchia

2015

Cooperazione politica

Summit dei leaders

Iniziativa dei Tre Mari

Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia

2016

Cooperazione in materia di infrastrutture nord-sud, economia, energia, trasporti, affari

Summit annuali dei Presidenti nazionali; forum imprenditoriali

Nuova Lega Anseatica

Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Olanda, Svezia

2018

Coordinamento di politica economica

Riunioni dei Ministri delle Finanze

Cooperazione franco-italiana [?]

Francia, Italia

2021

Cooperazione politica

Trattato del Quirinale (2021)

 

3. Comparazione tra gruppi regionali.

Dopo aver identificato l’elenco dei gruppi regionali interni all’UE attualmente esistenti sulla base della definizione fornita nella sezione precedente, procediamo adesso a una classificazione di queste forme di raggruppamento regionale. Il fenomeno dei gruppi regionali, infatti, è alquanto eterogeneo, e le tipologie di gruppi che attualmente operano all’interno dell’UE variano su più dimensioni. In particolare, ai fini analitici riteniamo che sia utile differenziare i gruppi regionali sulla base di queste quattro variabili: i) il momento della loro istituzione, sulla base del quale verranno distinti vecchi gruppi antecedenti l’appartenenza all’UE e nuovi gruppi creati tra Stati dopo il loro ingresso nell’UE; ii) il livello di istituzionalizzazione, che varia da meccanismi molto semplici a meccanismi molto sofisticati; iii) il loro ambito di competenza, con alcuni gruppi regionali che si occupano di questioni specifiche settoriali e altri che riguardano un ambito più ampio e generale; e infine iv) il loro grado di attività, che varia da intenso, con gruppi regionali che si riuniscono regolarmente, a quasi nullo, con gruppi regionali che vengono solo episodicamente rivitalizzati dagli Stati partecipanti per obiettivi specifici. Comprendere le caratteristiche di questi gruppi regionali è utile per determinare il loro impatto sull’integrazione europea (analisi che svolgeremo nella prossima sezione), ed è questo il motivo per il quale nel prosieguo di questa sezione analizzeremo questi quattro criteri più nel dettaglio.
  

3.1. Longevità, pre- post-adesione.

I gruppi regionali possono essere classificati sulla base del fatto che gli Stati membri partecipanti abbiano creato queste forme di cooperazione prima di aderire all’UE o dopo l’adesione, o nel momento in cui alcuni erano membri dell’UE e altri no. Dei tredici gruppi esistenti ne abbiamo identificati, sulla base della definizione fornita nella sezione 2, quattro creati prima che i loro membri aderissero all’UE (Benelux, Summit iberico, Gruppo di Visegrád, Gruppo Baltico). Tuttavia, il Benelux può essere definito un “pioniere”, dal momento che è stato creato prima dell’UE, mentre gli altri tre casi i loro membri hanno aderito insieme a un’UE già esistente.[23] L’Unione doganale del Benelux (1944) ha precorso ed è servita come modello per la CEE (1957), che ha contribuito a fondare. Per quanto riguarda gli altri tre, la loro ragion d’essere è dovuta in larga parte ad aiutare i loro membri a preparare l’adesione all’UE negli anni seguenti alla creazione del gruppo regionale — 1983-1986 per Portogallo e Spagna, 1991-2004 per gli Stati dell’Assemblea baltica e del Gruppo di Visegrád. Tuttavia, la cooperazione tra gli Stati partecipanti a questi gruppi regionali è rimasta ed ha continuato ad evolversi nei decenni a partire dalla loro adesione all’UE.

Solo tre dei tredici gruppi regionali sono ibridi, nel senso che sono Stati creati da una compagine di Stati membri e Stati non membri dell’UE (il Triangolo di Weimar, il Forum di Salisburgo, la Cooperazione centroeuropea in materia di difesa). Tutti questi tre costituiscono in un certo senso un ponte tra est e ovest. Il Triangolo di Weimar (creato nel 1991) ha consentito un dialogo di alto livello tra l’est (Polonia) e l’ovest (Francia e Germania) proprio nel momento in cui la guerra fredda stava finendo, il Forum di Salisburgo (2000) ha consentito una cooperazione in materia di affari interni tra l’Austria e vari Stati che stavano accedendo alla CE, e la Cooperazione centroeuropea in materia di difesa ha permesso una cooperazione tra cinque Stati membri e la Croazia prima dell’adesione. Anche qui, la cooperazione è continuata anche dopo che tutti gli Stati partecipanti avevano aderito all’UE.

Infine, sei gruppi regionali si sono formati quando tutti gli Stati partecipanti erano già nell’UE. La cooperazione franco-tedesca, il Gruppo nordico-baltico, l’EuroMed, l’Iniziativa dei Tre Mari, il Triangolo di Slakov e la Nuova Lega Anseatica sono stati creati da Stati che erano già membri dell’UE. Con un’eccezione (la cooperazione franco-tedesca), si tratta di creazioni relativamente recenti, un fattore che è utile a mettere in luce la misura della tendenza verso la formazione di gruppi in un’UE sempre più eterogenea.
  

3.2. Struttura istituzionale.

I gruppi regionali variano anche nella misura della loro istituzionalizzazione. Agli estremi, si va dal Benelux, un’organizzazione complessa con il suo Consiglio intergovernativo, Comitati di ministri, un’Assemblea parlamentare, Corte di giustizia e Segretariato,[24] al Gruppo nordico-baltico, un gruppo privo di leader e di struttura formale, e che si sostanzia in “merely a loose, informal club whose members have a habit of consulting and coordinating with each other”.[25] Infatti, un gruppo regionale può essere più o meno istituzionalizzato sulla base di diversi fattori: a) il numero e la complessità delle sue strutture istituzionali; b) lo statuto giuridico del loro documento fondativo — trattato, dichiarazione, dichiarazione congiunta, ecc. — se ne ha uno; c) la presenza o meno di un segretariato, e dunque di funzionari.

Sulla base di questi fattori, vediamo che i tredici gruppi regionali possono essere classificati in tre gruppi sulla base del loro livello di istituzionalizzazione. Quattro di essi sono altamente istituzionalizzati (Assemblea baltica, Benelux, duo franco-tedesco, Gruppo di Visegrád), nel senso che hanno una struttura istituzionale (quasi-) permanente che va al di là di riunioni intergovernative e include ad esempio una cooperazione interparlamentare. Quattro gruppi regionali sono moderatamente istituzionalizzati (Cooperazione centroeuropea in materia di difesa, EuroMed, Summit iberico, Forum di Salisburgo, Iniziativa dei Tre Mari), nel senso che, nonostante la loro cooperazione sia fondamentalmente limitata a riunioni intergovernative, a questo livello la cooperazione è relativamente stabile e robusta. Infine, quattro gruppi regionali sono istituzionalizzati solo in maniera minima (Nuova Lega anseatica, Gruppo nordico-baltico, Triangolo di Slavkov, Triangolo di Weimar), dal momento che la loro cooperazione è relativamente tenue e in un certo senso ad hoc, con una struttura istituzionale limitata o nulla.

Nell’ambito dei quattro gruppi regionali altamente istituzionalizzati, l’architettura della cooperazione regionale va al di là di semplici summit, dal momento che si fonda su una struttura istituzionale più permanente, che coinvolge altre istituzioni interne oltre ai governi nazionali. In particolare, il Benelux ha dal 1955 un’Assemblea parlamentare — tecnicamente il Consiglio consultivo interparlamentare del Benelux, composto da 21 parlamentari nazionali olandesi (eletti dalle due camere del Parlamento), sette parlamentari nazionali lussemburghesi (scelti tra i membri del parlamento monocamerale) e 21 parlamentari nazionali belgi (eletti pro-quota sia dal Parlamento nazionale/federale sia dalle assemblee delle regioni federate e comunità).[26] La sede dell’Assemblea parlamentare ruota tra gli Stati partecipanti ogni due anni, ma l’istituzione si riunisce annualmente, allo scopo di fornire pareri ai governi degli Stati partecipanti — che si riuniscono anche a livello intergovernativo nel Consiglio dei Ministri del Benelux. Inoltre, il Benelux ha anche un segretariato, con sede a Bruxelles, e una Corte — creata nel 1965 e operativa dal 1974, che si pronuncia su rinvii pregiudiziali proposti dalle Corti supreme olandese, belga e lussemburghese relativi a normative comuni ai tre Stati e opera come giudice del lavoro per il personale dell’Unione economica del Benelux. Similmente, dal 1991, gli Stati baltici hanno la loro assemblea composta da 60 delegati, 20 ciascuno, eletti dai Parlamenti di Estonia, Lituania e Lettonia, così come un Consiglio dei Ministri baltico che, insieme al Segretariato con sede a Riga, supporta l’organizzazione. Il Gruppo di Visegrád non ha un’Assemblea parlamentare ma organizza la cooperazione interparlamentare attraverso riunioni regolari di relatori parlamentari e comitati tra i suoi quattro membri.[27] Inoltre c’è un Fondo di Visegrád (stabilito nel 2000) che sostiene la cooperazione regionale, con la sua struttura istituzionale separata, incluso un segretariato.

Similmente, la cooperazione franco-tedesca si basa su un sistema di governance ancora più profondo, descritto da alcuni come “the most institutionalized form of member state cooperation within a regional political organization”.[28] Mentre il Trattato dell’Eliseo del 1963 stabiliva le basi per rapporti bilaterali tra questi due Stati fondatori dell’UE, con riunioni regolari a livello dei capi di Stato e di governo, dal 2003 è stato convocato regolarmente ogni due anni un Consiglio ministeriale franco-tedesco, nel quale gli interi gabinetti dei due governi si riuniscono congiuntamente per discutere questioni di interesse comune. Inoltre, in seguito agli sforzi del Presidente francese Macron di rilanciare la cooperazione franco-tedesca, il trattato di Aachen del 2019 ha oggi creato un’Assemblea parlamentare franco-tedesca che, come previsto da un accordo interparlamentare successivo, ha lo scopo di “elaborare proposte su tutte le questioni di interesse per le relazioni franco-tedesche con l’obiettivo di andare verso la convergenza del diritto francese e tedesco”.[29] L’Assemblea parlamentare, composta da 100 membri — 50 scelti tra i loro deputati dal Bundestag tedesco e 50 dall’Assemblée Nationale francese — ha ora adottato il proprio regolamento e ha iniziato a operare. In sintesi, come evidenziato nella panoramica precedente, i gruppi regionali possono essere forme di cooperazione interstatale in gran parte non strutturate, oppure possono diventare vere e proprie unioni all’interno dell’UE, con priorie strutture esecutive, legislative, amministrative e talvolta anche giudiziarie.
  

3.3. Campo d’azione.

I gruppi regionali variano in modo significativo per quanto riguarda la portata delle loro politiche: alcuni perseguono un compito piuttosto specifico, concentrandosi su politiche settoriali predefinite, e altri invece coprono molteplici aree di cooperazione tra gli Stati membri partecipanti. In particolare, dei 13 gruppi regionali esistenti che abbiamo identificato nella sezione precedente, quattro — il Forum di Salisburgo, la Cooperazione di Difesa dell’Europa centrale, l’Iniziativa dei Tre Mari e la Lega anseatica — hanno un mandato limitato, che si concentra su aree politiche specifiche — vale a dire, nell’ordine: la cooperazione negli affari interni, il coordinamento militare, la cooperazione in materia di energia, trasporti, infrastrutture e imprese, e il coordinamento delle politiche economiche nel contesto della riforma dell’UEM. Per contro, gli altri nove gruppi regionali hanno un mandato molto più ampio. Ciò è soprattutto vero per i quattro gruppi regionali altamente istituzionalizzati — la cooperazione franco-tedesca, il gruppo di Visegrád, il Benelux e i Baltici — che hanno ad oggetto sia la cooperazione economica sia la cooperazione politica. Ma lo stesso si può dire anche per gli altri cinque gruppi regionali che non sono altamente istituzionalizzati. Il Gruppo nordico-baltico è una configurazione che consente il coordinamento in un’ampia gamma di politiche, in quanto permette ai ministri o ai funzionari partecipanti di questi Stati di incontrarsi prima o a margine di importanti riunioni dell’UE (Consiglio, COREPER). Per quanto riguarda gli altri, la riunione dei leader nazionali o dei ministri degli Esteri (come nel caso di EuroMed, del Vertice iberico, del Triangolo di Slavkov e del Triangolo di Weimar) consente una discussione politica di ampio respiro su qualsiasi argomento di interesse reciproco, che può comprendere questioni strategiche di alta politica (dialogo diplomatico) o temi tecnici (ad esempio, questioni transfrontaliere regionali o locali). Ad esempio, il Triangolo di Weimar, pur avendo un funzionamento per lo più episodico (vedi sotto), si concentra su questioni di sicurezza, ma nell’ambito di un dialogo politico più ampio. L’EuroMed, pur nascendo originariamente (come EuroMed 7, prima dell’adesione della Croazia e della Slovacchia nel 2021) come blocco di Stati membri dell’UE meridionale in risposta alla crisi dell’euro, si è focalizzato fin dall’inizio su questioni che vanno oltre la riforma dell’UEM, per affrontare essenzialmente qualsiasi argomento all’ordine del giorno dell’UE (comprese le migrazioni, il rispetto dello Stato di diritto e la Brexit). Queste variazioni tra i gruppi regionali e la loro diversa portata politica influenza chiaramente la loro rilevanza, dal momento che i gruppi che hanno un mandato più ampio generalmente svolgono un ruolo più incisivo nell’UE (si veda la sezione 4).
  

3.4. Frequenza degli incontri.

Come abbiamo spiegato nella sezione 2, in questo articolo ci concentriamo esclusivamente sui gruppi regionali attualmente attivi nell’UE. Questi ultimi, tuttavia, possono differire in modo significativo nell’intensità della loro attività. Quindi l’ultimo criterio per classificare i gruppi regionali è la frequenza con la quale sono effettivamente convocati e operano. Secondo questo criterio, quattro dei 13 gruppi regionali identificati nella sezione precedente (il Triangolo di Weimar, il Forum di Salisburgo, la Cooperazione di Difesa dell’Europa centrale e l’Iniziativa dei Tre Mari) sono chiaramente poco attivi. Ad esempio, il Triangolo di Weimar, istituito ufficialmente nel 1991, si è riunito solo in modo irregolare: il vertice dei ministri degli Esteri, nell’ottobre 2020, è stato il primo a svolgersi dal 2016 e non c’è stato un vertice trilaterale dei leader nazionali dal 2011. Questo conferma l’incerto peso strategico che gli Stati membri partecipanti, e in particolare la Francia, attribuiscono a questo gruppo. Analogamente, l’Iniziativa dei Tre Mari ha finora prodotto risultati limitati: anche se l’Iniziativa ha organizzato un vertice annuale dei presidenti nazionali (molti dei quali hanno poteri costituzionali limitati), e in un’occasione ha visto la partecipazione di un presidente degli Stati Uniti (Donald Trump nel 2017), in generale i 12 Stati membri partecipanti sembrano attribuire una rilevanza istituzionale limitata all’iniziativa, che sembra quindi operare principalmente a un livello istituzionale inferiore, come forum d’affari.

Al contrario, altri gruppi regionali sembrano essere molto più attivi. In particolare, i quattro gruppi regionali dotati di una struttura organizzativa di spessore (vedi sopra) — con cooperazione sia intergovernativa che interparlamentare, come il Benelux, i Baltici, la cooperazione franco-tedesca e il Gruppo di Visegrád — continuano a interagire attivamente attraverso le forme istituzionalizzate previste dai loro accordi di partenariato. Tuttavia, anche altri gruppi regionali che si basano ancora su un’organizzazione istituzionale molto più semplice sembrano essere molto più rilevanti di quanto appare. È il caso di EuroMed, che pur essendo esclusivamente un vertice di leader, ha permesso ai capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’UE del Mediterraneo di sviluppare posizioni comuni su questioni di interesse comune. In ogni caso, va tenuto presente che, oltre agli incontri pubblici, ce ne possono essere molti altri dietro le quinte: i ministri e i funzionari dei gruppi regionali sono spesso soliti coordinare la loro posizione a margine delle riunioni a livello UE.
 

4. Spiegazione dei gruppi regionali

Qual è lo scopo dei gruppi regionali? Perché vengono creati? Questa sezione cerca di rispondere a questa domanda distinguendo tra i gruppi regionali che hanno esclusivamente la funzione di facilitare la cooperazione tra gli Stati partecipanti (ad esempio il Benelux, il Gruppo baltico, o il Forum di Salisburgo), e i gruppi regionali che invece sono concepiti come forme di cooperazioni interstatali per sviluppare posizioni comuni tra gli Stati partecipanti e definire l’ordine del giorno a livello UE (Nuova lega anseatica, EuroMed, Cooperazione franco-tedesca, Visegrád). Più specificamente, per quanto riguarda lo scopo dei gruppi regionali, possiamo grosso modo tipizzarli sulla base dei diversi scopi che ciascuno di essi persegue. L’elenco non è esclusivo, nel senso che un gruppo regionale può perseguire più scopi contemporaneamente e gli scopi che persegue possono cambiare nel tempo. Sulla base di questo criterio possiamo identificare quattro ideal-tipi di gruppo regionale che possiamo chiamare: a) avanguardia di integrazione, b) strumento di cooperazione funzionale, c) strumento di coordinamento politico e d) cellula di resistenza. Questi tipi di gruppo regionale sono emersi — grosso modo in quest’ordine — nel corso della storia del processo di integrazione europea.
  

4.1. Avanguardia di integrazione.

Un’avanguardia di integrazione è un gruppo di Stati che persegue una maggiore integrazione reciproca al fine di promuovere l’integrazione nell’intera UE. I migliori esempi sono il Benelux e la cooperazione franco-tedesca, anche se in modi diversi. Il Benelux, avviato nel 1944 prima dell’inizio dell’integrazione europea del dopoguerra, è un modello, in quanto ha stabilito forme di cooperazione istituzionale tra i tre Paesi, come ad esempio un’unione doganale, che sarebbero poi state adottate dall’UE nel suo complesso.[30] La cooperazione franco-tedesca è un motore, in quanto i due Paesi avviano congiuntamente un’ulteriore integrazione con l’obiettivo che venga successivamente adottata dall’UE nel suo complesso, esercitando uno stile di leadership congiunta che è stato definito “embedded bilateralism”.[31] Questa relazione bilaterale è stata formalizzata nel Trattato dell’Eliseo del 1963, ma è stata prefigurata nel piano Schuman del 1950, concepito inizialmente da Francia e Germania e a cui si sono uniti l’Italia e i Paesi del Benelux per formare la CECA. Il Benelux e la coppia franco-tedesca continuano a essere entità separate all’interno dell’UE. Inoltre, entrambi continuano a rinnovare e rafforzare la loro cooperazione, come si evince dal trattato del 2008 che istituisce l’Unione del Benelux[32] e dal trattato franco-tedesco di Aquisgrana del 2019.[33]
  

4.2. Strumento di cooperazione funzionale.

Un secondo scopo perseguito da un gruppo regionale può essere quello di strumento di cooperazione funzionale. In questo caso, l’attenzione si concentra sulla cooperazione interna tra gli Stati membri partecipanti piuttosto che sul coordinamento delle posizioni rispetto alle politiche comuni a livello di UE. La cooperazione può concentrarsi non solo su questioni di “alta politica” (ad esempio, scambi diplomatici, difesa), ma anche su aree legate a questioni pratiche transfrontaliere e regionali (ad esempio, energia, trasporti, turismo). Molti dei gruppi regionali che hanno dato vita a questo tipo di cooperazione sono stati fondati da Stati che all’epoca non erano ancora membri dell’UE ma che aspiravano ad entrarvi: il Vertice iberico, il Gruppo di Visegrád, l’Assemblea baltica, il Forum di Salisburgo (che comprendeva anche l’Austria, all’epoca Stato membro). La cooperazione funzionale sembra essere anche l’obiettivo principale di alcuni altri gruppi regionali creati più di recente, tra cui la Cooperazione di Difesa centroeuropea e l’Iniziativa dei Tre Mari. Naturalmente, la cooperazione funzionale può coesistere con l’impegno a livello dell’UE. Il Forum di Salisburgo, nato come forum principalmente per la cooperazione interna in materia di giustizia e affari interni e per preparare i suoi membri all’adesione all’UE, è ora impegnato anche nel coordinamento delle politiche a livello dell’UE, dove i suoi sette membri (un quarto degli Stati membri dell’UE) hanno il diritto formale di iniziativa legislativa in alcune questioni relative alla giustizia e agli affari interni (art. 76 del TFUE).[34]
  

4.3. Strumento di coordinamento politico.

Una terza funzione di un gruppo regionale è quella di coordinare le politiche dei suoi Stati membri, concentrandosi sul livello dell’UE, piuttosto che sulla cooperazione interna tra gli Stati partecipanti. Forse il miglior esempio di questo tipo di gruppo è quello nordico-baltico, composto dai tre Stati baltici e dai tre Stati nordici membri dell’UE (Danimarca, Finlandia e Svezia). Questo gruppo è un sottoinsieme di un gruppo più ampio, che comprende anche due Stati non appartenenti all’UE, Norvegia e Islanda.[35] Mentre il secondo è un’istituzione complessa che comporta un’ampia cooperazione interna tra questi otto Paesi, il primo esiste principalmente per consentire ai sei paesi membri che fanno parte dell’UE di coordinare le loro posizioni politiche in seno al Consiglio/Consiglio europeo, in genere attraverso riunioni ministeriali prima delle riunioni del Consiglio. Altri esempi di gruppi regionali il cui scopo è il coordinamento delle politiche sono EuroMed, composto dal 2021 dai nove Stati membri mediterranei dell’UE (Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia, Spagna) e la Nuova Lega Anseatica (composta dai Paesi del Gruppo nordico baltico più Irlanda e Paesi Bassi).

A differenza di un’avanguardia di integrazione, un gruppo regionale che agisce come coordinatore politico non promuove necessariamente la causa dell’integrazione dell’UE in generale, ma piuttosto gli interessi particolari di un sottogruppo di Stati membri. In effetti, diversi gruppi regionali con agende politiche concorrenti possono scontrarsi tra loro quando negoziano politiche dell’UE in seno al Consiglio o al Consiglio europeo. Questo tipo di dinamica politica è emersa alla fine degli anni 2010, negli anni successivi al referendum sulla Brexit (2016), quando l’UE era alle prese con proposte di riforma dell’architettura della governance economica dell’UE, come l’idea di una capacità fiscale per l’Eurozona.[36] Tali riforme sono state sostenute dall’EuroMed, che comprende molti dei Paesi più colpiti dalla crisi dell’euro, che ha invocato una maggiore solidarietà sotto forma di debito condiviso. Gli Stati membri del Nord, che non avevano più il Regno Unito come alleato in questo dibattito, si sono riuniti nella Nuova Lega Anseatica per opporsi a queste mosse. Il duo franco-tedesco ha cercato di trovare una linea di compromesso tra le posizioni del nord e del sud, in particolare con la “dichiarazione di Meseberg” del giugno 2018,[37] ma anche questa non è riuscita a ottenere un consenso. Lo stallo tra questi diversi gruppi regionali — ognuno dei quali rappresentava un diverso insieme di preferenze politiche per il futuro dell’UE — è stato infine risolto nel 2020, quando l’UE è stata duramente colpita dal Covid-19, che ha reso necessaria la creazione di un nuovo Fondo di ripresa per affrontare le conseguenze economiche della pandemia.[38] L’impulso più importante per il pacchetto di salvataggio è venuto dal duo franco-tedesco, la cui proposta congiunta di un Fondo per la Ripresa di 500 miliardi nel maggio 2020 è diventata il progetto del Fondo “Next Generation EU” (NGEU).[39] La Nuova Lega Anseatica era divisa sulla questione e l’opposizione si è ridotta a quattro Stati membri — i cosiddetti quattro frugali di Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia (un raggruppamento ad hoc che non è, secondo la nostra definizione, un gruppo regionale) — e così il NGEU è stato infine adottato.[40] Questa vicenda costituisce un forte segnale della crescente importanza dei gruppi regionali nella politica dell’UE.
 

4.4. Cellula di resistenza.

In quarto e ultimo luogo, c’è la possibilità che un gruppo regionale agisca come una cellula di resistenza. In questo caso, un gruppo di Stati membri lavorerebbe attivamente insieme contro i valori fondamentali dell’UE. Certo, questa tipologia di gruppo regionale è una sottocategoria del gruppo precedente, ovvero i gruppi regionali che perseguono il coordinamento delle priorità politiche a livello UE tra gli Stati membri partecipanti. Tuttavia, in questo contesto, il coordinamento politico è specificamente diretto a vanificare il raggiungimento degli obiettivi politici dell’UE, eludendo o sovvertendo le norme dell’UE.[41]  Per questo motivo, dato il suo scopo finale, consideriamo questa come una funzione distintiva di un gruppo regionale. L’esempio più evidente di azione di questo tipo da parte di un gruppo regionale — anche se molto contestato — è quello del Gruppo di Visegrád, che ha agito per ostacolare l’attuazione del Sistema europeo comune di asilo (CEAS)[42] e, di conseguenza, le basi stesse dello stato di diritto nell’UE.[43] Come è noto, in risposta alla crisi migratoria del 2015, l’UE ha adottato una serie di misure di emergenza che, in uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, hanno istituito tra l’altro un meccanismo di ricollocazione temporanea dei richiedenti asilo. Tuttavia, nonostante queste misure fossero vincolanti dal punto di vista giuridico, i Paesi di Visegrád — agendo all’unisono — si sono rifiutati di rispettare il meccanismo di ricollocazione, nei fatti sabotandolo.[44] Sebbene l’azione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sia stata giudicata nel 2019 una violazione del diritto dell’UE dalla Corte di giustizia europea, la resistenza coordinata dal gruppo di Visegrád ha plasmato profondamente le risposte dell’UE alla crisi migratoria e i piani di riforma del sistema europeo comune di asilo.
 

5. Conclusioni: gruppi regionali e integrazione differenziata

Cosa ci dicono i gruppi regionali sull’integrazione dell’UE e sulla governance differenziata? Questo articolo ha esaminato i gruppi regionali come un aspetto inesplorato della governance differenziata in Europa. Nel libro, Ever Looser Union?, Frank Schimmelfennig e Thomas Winzen hanno esaminato in dettaglio i meccanismi dell’integrazione differenziata, distinguendo tra tipologie di differenziazione, descrivendone le cause e valutandone gli effetti normativi sull’integrazione dell’UE. Tuttavia, abbracciando una definizione ristretta di differenziazione come situazione che si verifica quando le norme giuridicamente vincolanti dell’UE, codificate nei trattati e nella legislazione dell’UE, esentano o escludono esplicitamente i singoli Stati membri da specifici diritti o obblighi discendenti dallo status di membro,[45] Schimmelfennig e Winzen hanno lasciato fuori dalla loro analisi complessiva il fenomeno dei gruppi regionali. Infatti, per loro stessa ammissione “there are other forms of flexibility such as [...] informal cooperation among group of states”[46] che devono essere studiate ulteriormente per ottenere un quadro più chiaro di tutte le forme di integrazione differenziata nell’UE. Questo articolo ha cercato di fare esattamente questo, concentrandosi sul fenomeno che si verifica quando “groups of members [states] cooperate informally besides and beyond the institutional formats and legal rules of the EU”.[47]

A tal fine, questo articolo ha innanzitutto definito i gruppi regionali, concettualizzando questo fenomeno dal basso come un caso di cooperazione istituzionalizzata tra gruppi di Stati membri dell’UE appartenenti alla stessa regione geografica. Inoltre, l’articolo ha limitato l’analisi ai gruppi regionali attualmente attivi, tralasciando i casi storici di cooperazione interstatale che sono stati sciolti o assorbiti nelle strutture dell’UE. Sulla base di questa definizione, l’articolo ha identificato 13 gruppi regionali e li ha classificati sulla base di diversi criteri, tra cui la loro longevità (se sono stati fondati prima o dopo l’adesione all’UE), la loro complessità istituzionale (se hanno una struttura organizzativa semplice, basata esclusivamente sulla cooperazione a livello degli esecutivi, o piuttosto una struttura complessa e sofisticata, che include anche la cooperazione interparlamentare e meccanismi per la risoluzione giudiziaria delle controversie), la loro portata politica (se hanno un focus ristretto su compiti specifici o un mandato più ampio) e la frequenza delle loro riunioni e operazioni (se a intervalli regolari o rare).

Si sono quindi valutati i gruppi regionali, riflettendo sulle loro finalità. In questo modo, abbiamo distinto tra i gruppi regionali che servono solo come quadro per la cooperazione funzionale, che accrescono la capacità degli Stati partecipanti di risolvere questioni transfrontaliere o di promuovere progetti di interesse comune, e i gruppi regionali che invece svolgono una funzione di coordinamento delle politiche, e che aumentano quindi la capacità dei loro membri di far sentire la loro voce nel processo decisionale dell’UE. Un tipo particolare di gruppo regionale che abbiamo identificato è quello di avanguardia di integrazione europea, con il Benelux e la cooperazione franco-tedesca come esempi principi di gruppi regionali che forniscono, rispettivamente, un modello di integrazione su piccola scala e un motore per sviluppare ulteriormente la cooperazione interstatale tra tutti i Paesi che sono disposti a partecipare. Tuttavia, la nostra analisi ha evidenziato anche il caso dei gruppi regionali che fungono da cellule di resistenza verso un’ulteriore integrazione europea. In questo caso, gli Stati membri che si coalizzano tra loro promuovono le loro preferenze condivise a livello europeo, ma lo fanno per eludere o sovvertire le norme dell’UE che non amano — un processo drammaticamente visibile nel rifiuto del Gruppo di Visegrád di attenersi ai provvedimenti adottati dall’UE sulla ricollocazione dei richiedenti asilo all’indomani della crisi migratoria.

Questa indagine sui gruppi regionali, una forma di differenziazione all’interno dell’UE finora largamente ignorata, getta nuova luce sulla questione se la governance differenziata debba essere valutata positivamente o negativamente dal punto di vista dell’integrazione europea.[48] Sebbene la letteratura recente tenda a essere cautamente favorevole all’integrazione differenziata,[49] la nostra analisi richiama l’attenzione sui casi di differenziazione che non sono istituzionalmente collegati all’UE e, in quanto tale, va oltre il dibattito standard sui costi e i benefici della flessibilità rispetto all’uniformità nella governance dell’UE. Abbiamo osservato che alcuni gruppi regionali hanno un effetto positivo sull’integrazione dell’UE come avanguardia, e questo è vero anche storicamente: l’area Schengen è nata come gruppo regionale, ma ha cessato di esserlo quando i suoi obiettivi politici sono stati adottati dall’UE nel suo complesso. Inoltre, alcuni gruppi regionali sono nati come cooperazione tra gli Stati in fase di preadesione, aiutandoli a prepararsi ad entrare nell’UE. I gruppi regionali possono anche avere un effetto ampiamente neutrale, come quando consentono agli Stati membri di coordinare le loro posizioni nei dibattiti politici in seno all’Unione. L’effetto dei gruppi regionali può essere neutro anche quando servono come gruppi di cooperazione funzionale; il loro peso diventa tuttavia significativo nella misura in cui dimostrano che è possibile per gli Stati membri dell’UE partecipare a forme durevoli di cooperazione istituzionalizzata al di fuori delle strutture dell’UE (non diversamente dai patti interstatali nel sistema federale statunitense). Tuttavia, è anche vero che i gruppi regionali possono avere un effetto negativo sull’integrazione dell’UE, e anzi promuovere la disintegrazione (sotto forma di erosione delle norme dell’UE), diventando cellule di resistenza, un forum in cui gli Stati membri recalcitranti possono organizzarsi in barba alle leggi dell’UE. Pertanto, questa indagine ha rivelato un’ampia gamma di potenziali effetti dei gruppi regionali sull’integrazione dell’UE, siano essi positivi, neutri o negativi. In ogni caso, i gruppi regionali rimangono un fattore da tenere in considerazione nel diritto e nella governance dell’UE e speriamo che questo articolo possa aver aperto un’ulteriore strada per la ricerca sulla tema della differenziazione nell’UE.


[*] Federico Fabbrini è Professore ordinario di diritto dell’Unione europea presso la Dublin City University e Direttore Fondatore del Brexit Institute. Ian Cooper è Fellow presso il Brexit Institute. L’articolo è stato originariamente pubblicato in inglese con il titolo Regional Groups in the European Union: Mapping an Unexplored Form of Differentiation in European Papers 7 (2022) ed è stato tradotto in italiano da Giulia Rossolillo. Gli autori desiderano ringraziare Giulia Rossolillo e Il Federalista per il supporto e l’invito a contribuire.

[1] I. Rūse, Nordic-Baltic Interaction in European Union Negotiations: Taking Advantage of Institutionalized Cooperation, Journal of Baltic Studies, 45 n. 2 (2014), p. 229.

[2] M. Dangerfield, The Visegrád Group in the Expanded European Union: From Preaccession to Postaccession Cooperation, East European Politics and Societies, 22 n. 3 (2008), p. 630, https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0888325408315840; A. Inotai, Correlations between European Integration and Sub-Regional Cooperation: Theoretical Background, Experience and Policy Impacts, Russian & East European Finance and Trade, 34 (1998), p. 3, https://www.jstor.org/action/doBasicSearch?scope=eyJwYWdlTmFtZSI6ICJSdXNzaWFuICYgRWFzdCBFdXJvcGVhbiBGaW5hbmNlIGFuZCBUcmFkZSIsICJwYWdlVXJsIjogIi9qb3VybmFsL3J1c2Vhc2V1cmZpbnRyYSIsICJ0eXBlIjogImpvdXJuYWwiLCAiamNvZGVzIjogImVtZXJtYXJrZmluYXRyYWQ6cnVzZWFzZXVyZmludHJhOnNvdmVhc2V1cmZvcnRyYTphbXJlc29lYWV1Zm90ciJ9&Query=Correlations+between+European+Integration+and+Sub-Regional+Cooperation%3A+Theoretical+Background%2C+Experience+and+Policy+Impacts; M. Klemenčič, Formal Intergovernmental Alliances in the European Union: Disappearing or Still Alive?, EUSA Twelfth Biennial International Conference, 2011; I. Rūse, (Why) do Neighbours Cooperate? Institutionalised Coalitions and Bargaining Power in EU Council Negotiations, Leverkusen, Budrich UniPress, 2013, p. 1.

[3] G. Lewicki, Hansa 2.0. A Return to the Golden Age of Trade?, Varsavia, Polish Economic Institute, 2019, https://www.europeansources.info/record/hansa-2-0-a-return-to-the-golden-age-of-trade/.

[4] E. Brattberg, K. Brudzińska and B. Pires de Lima, Contending European Views on a New Post-Brexit Balance, Washington, Carnegie Endowment for International Peace, 25 March 2020, carnegieendowment.org.

[5] K.O. Lang and N. von Ondarza, Friends in Need: the Corona Pandemic Changes the Landscape of Groups and Coalitions in the EU, Berlino, Stiftung Wissenschaft Und Politik, Comment n. 26 (2020), https://www.ssoar.info/ssoar/handle/document/68792.

[6] M. Górka, The Three Seas Initiative as a Political Challenge for the Countries of Central and Eastern Europe, Politics in Central Europe, 14 n. 3 (2018), p. 55, https://www.politicsincentraleurope.eu/?page=archive; V. Kleinberga, Bowling Together: Nordic Baltic Six in the European Union, (2019), Latvijas intereses Eiropas Savienībā, 2019/1, p. 17; M. Vidal and J. Wouters, The Trials and Tribulations of the Benelux, in T. Giegerich, D. Schmitt and S. Zeitzmann (eds), Flexibility in the EU and Beyond: How Much Differentitation Can European Integration Bear?, Baden Baden, Nomos, 2017, p. 283.

[7] L. Cabada, The Visegrád Cooperation in the Context of Other Central European Cooperation Formats, Politics in Central Europe, 14 n. 2 (2018), p. 165, https://www.politicsincentraleurope.eu/?page=archive; V. Jančošekovà, Regional Cooperation in Central and Eastern Europe and its Implications for the EU, European View, 16 n. 2 (2017), p. 231, https://link.springer.com/article/10.1007/s12290-017-0460-8.

[8] M. Dangerfield, The Visegrád Group in the Expanded European Union, op. cit., p. 630.

[9] R.M. Cutler and A. von Lingen, Emerging Interregional Parliamentarism: The Case of the Baltic Assembly, in M. Müftüler-Baç, K. Raube and J. Wouters (eds), Parliamentary Cooperation and Diplomacy in EU External Relations, Cheltenham, Edward Elgar Publishing, 2019, p. 120.

[10] A. Kirpsza, With Whom to Cooperate in Brussels? The Effect of Coalition-building with the Three Seas Initiative, Visegrád Group and Germany on Poland’s Success in EU Lawmaking, in M. Grabowski, A. Mania and T. Pugacewicz (eds), Global Politics in the 21st century: Between Regional Cooperation and Conflict, Berna, Peter Lang Verlag, 2019, p. 205.

[11] P. Müller, Europeanization and Regional Cooperation Initiatives: Austria’s Participation in the Salzburg Forum and in Central European Defence Cooperation, Austrian Journal of Political Science, 45 n. 2 (2016), p. 23, https://webapp.uibk.ac.at/ojs/index.php/OEZP/issue/view/181.

[12] F. Schimmelfennig and T. Winzen, Ever Looser Union? Differentiated European Integration, Oxford, Oxford University Press, 2020.

[13] C’è un Gruppo Regionale che incide su un’area di competenza esclusiva dell’UE: il Benelux, che tra le altre cose è un’unione doganale che precede l’unione doganale dell’UE e che è riconosciuta dai trattati istitutivi, come specificato infra.

[14] M.O. Hosli, Power, Connected Coalitions, and Efficiency: Challenges to the Council of the European Union, International Political Science Review, 20 n. 4 (1999), p. 371, https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0192512199204004.

[15] E. Zalan, EU Founding States Pledge Deeper Integration, euobserver, 10 febbraio 2016, https://euobserver.com/eu-political/132204.

[16] I. Romanyshyn, The Surprise Return of the “Weimar Triangle”, euobserver, 7 gennaio 2021, https://euobserver.com/opinion/150499; NewsNow, Matovic: Borders between Slovakia, Czech Republic and Austria Remain Open, NewsNow, 9 settembre 2020, newsnow.tasr.sk.

[17] V.E. Tannam, Brexit and the Future of British-Irish Relations in F. Fabbrini (ed), The Law & Politics of Brexit. Vol. 2. The Withdrawal Agreement, Oxford, Oxford University Press, 2020, p. 254.

[18] V.F. Fabbrini, Economic Governance in Europe: Comparative Paradoxes, Constitutional Challenges, Oxford, Oxford University Press, 2016.

[19] V. anche S. Baroncelli, Differentiated Governance in European Economic & Monetary Union, European Papers - A Journal on Law and Integration, 7 n. 2 (2022), p. 867, https://www.europeanpapers.eu/en/content/e-journal/archive.

[20] V. anche J. Silga, Differentiation in EU Migration Policy: The “Fractured” Values of the EU, European Papers, 7 n. 2 (2022), p. 909, https://www.europeanpapers.eu/en/content/e-journal/archive.

[21] Oltre al Benelux, l’art. 350 riconosce anche l’ancor più risalente Unione economica tra Belgio e Lussemburgo, che risale al 1921. Ai nostri fini, non consideriamo quest’unione come un gruppo regionale, dal momento che è stata assorbita dal Benelux. M Vidal and J Wouters, The Trials and Tribulations of the Benelux, op. cit., p. 286.

[22] V. Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica francese per la cooperazione bilaterale rafforzata (2021]); https://www.governo.it › Trattato_del_Quirinale.

[23] A. Inotai, Correlations Between European Integration and Sub-Regional Cooperation…, op. cit., p. 80.

[24] M. Vidal and J. Wouters, The Trials and Tribulations of the Benelux, op. cit..

[25] P. Kuusik and K. Raik, The Nordic-Baltic Region in the EU: A Loose Club of Friends, Swedish Institute for European Policy Studies - European Policy Analysis, 10 (2018), p. 2.

[26] Per una descrizione dettagliata del Parlamento del Benelux v. www.beneluxparl.eu.

[27] K. Borońska-Hryniewiecka and J. Grinc, Actions Speak Louder Than Words? The Untapped Potential of V4 Parliaments in EU Affairs, East European Politics and Societies: and Cultures, 36 n. 3 (2021), p. 23, https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/08883254211012770; Polish Sejm, Interparliamentary Cooperation of the Visegrád Group Countries, oide.sejm.gov.pl.

[28] U. Krotz and L. Schramm, An Old Couple in a New Setting: Franco-German Leadership in the Post-Brexit EU, Politics and Governance, 9 n. 1 (2021), p. 48, https://www.cogitatiopress.com/politicsandgovernance/issue/view/241.

[29] Accord Parlamentaire Franco-Allemand [2019], art. 6.

[30] A. Inotai, Correlations Between European Integration and Sub-Regional Cooperation, op. cit., p.80.

[31] U. Krotz, J. Schild, Shaping Europe: France, Germany, and Embedded Bilateralism from the Elysée Treaty to Twenty-First Century Politics, Oxford, Oxford University Press 2013.

[32] M. Vidal, J. Wouters, The Trials and Tribulations of the Benelux, op. cit., 286.

[33] U. Krotz, L . Schramm, An Old Couple in a New Setting: Franco-German Leadership in the Post-Brexit EU, op. cit., p. 54.

[34] P. Müller, Europeanization and Regional Cooperation Initiatives…, op. cit., p. 28.

[35] V. Kleinberga, Bowling Together, op. cit., p. 17; I. Rūse, Nordic-Baltic Interaction in European Union Negotiations…, op. cit..

[36] F. Fabbrini, A Fiscal Capacity for the Eurozone: Constitutional Perspectives in Depth Analysis (February 2019), study commissioned by the European Parliament Constitutional Affairs Committee, www.europarl.europa.eu.

[37] B. Eichengreen, The Euro after Meseberg, Review of World Economics, 155 n. 1 (2019), p. 15, https://link.springer.com/article/10.1007/s10290-018-0329-1.

[38] F. Fabbrini, Brexit and the Future of the European Union: The Case for Constitutional Reforms, Oxford, Oxford University Press, 2020, e F. Fabbrini, EU Fiscal Capacity: Legal Integration after Covid-19 and the War in Ukraine, Oxford, Oxford University Press, 2022.

[39] U. Krotz and L. Schramm, Embedded Bilateralism, Integration Theory, and European Crisis Politics: France, Germany, and the Birth of the EU Corona Recovery Fund, Journal of Common Market Studies, 60 n. 3 (2022), p. 526, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/jcms.13251.

[40] V.F. Fabbrini, Europe’s Economic and Monetary Union beyond Covid-19 (June 2021), report commissioned by the Department of Finance of Ireland / Presidency of the Eurogroup, www.gov.ie.

[41] M. Dawson, Coping with Exit, Evasion, and Subversion in EU Law, German Law Journal, 21 n. 1 (2020), p. 51, https://www.cambridge.org/core/journals/german-law-journal/article/coping-with-exit-evasion-and-subversion-in-eu-law/167631A97C98C875E9326822B0EBA313.

[42] V. anche J. Silga, Differentiation in EU Migration Policy:…, op. cit..

[43] V. anche R. Uitz, The Rule of Law in the EU: Crisis, Differentiation, Conditionality, European Papers, 7 n. 2 (2022), https://www.europeanpapers.eu/it/content/e-journal/archivio.

[44] B. De Witte and E. Tsourdi, Confrontation on relocation — The Court of Justice endorses the emergency scheme for compulsory relocation of asylum seekers within the European Union: Slovak Republic and Hungary, Common Market Law Review, 55 n. 5 (2018), p. 1457, https://kluwerlawonline.com/journalarticle/Common+Market+Law+Review/55.5/COLA2018119.

[45] F. Schimmelfennig and T. Winzen, Ever Looser Union?, op, cit., pp. 3-4.

[46] Ibid., p. 176.

[47] Ibid., p. 4.

[48] C. Lord, Utopia or Dystopia? Towards a Normative Analysis of Differentiated Integration, Journal of European Public Policy, 22 n. 6 (2015), p. 783, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13501763.2015.1020839.

[49] V. F. Schimmelfennig and T. Winzen, Ever Looser Union?, op. cit., p. 179, secondo i quali “DI has enabled the EU to move to a level and scope of European integration [...] that would have been impossible under the constraints of uniform integration”); E. Hirsh Ballin e al., European Variations as Key to Cooperation, Berlino, Springer, 2020.

 

 

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