IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno II, 1960, Numero 3, Pagina 168

 

 

ASTRATTISMO MORALISMO E MIOPIA IN POLITICA
 
 
Ai federalisti vengono spesso mosse, da più parti degli schieramenti politici nazionali degli Stati europei, le accuse di astrattismo e di moralismo politico. Sterilmente astratta, secondo queste accuse, è la diagnosi che i federalisti fanno della situa zione politica europea. Essa si incentra sulla critica degli Stati nazionali sovrani, considerati semplicisticamente come l’origine di tutti i mali d’Europa: tutti i molteplici e multiformi fattori che contribuiscono a determinare la storia degli uomini, e per ciò anche la storia degli Europei, sono ridotti dai federalisti, secondo le accuse suddette, ad un’unica determinante, costituita dalle dimensioni e dalla struttura dello Stato. Se si parla della politica estera, dicono i nostri critici, i federalisti affermano che gli Europei hanno perduta la loro indipendenza militare e politica perché sono divisi dagli Stati nazionali sovrani; se si dibatte sulla politica economica e sociale, i federalisti affermano che gli Europei non possono costruire un’economia capace di utilizzare tutte le scoperte della scienza e della tecnica moderne perché sono divisi dagli Stati nazionali sovrani, che gli Europei non sono in grado di attuare una efficiente politica di giustizia sociale perché sono divisi dagli Stati nazionali sovrani; se si discute dei problemi della libertà e della democrazia, i federalisti affermano che gli Europei non possono mantenere e sviluppare le loro libertà perché sono divisi dagli Stati nazionali sovrani. Insomma, asseriscono i nostri critici, la diagnosi dei federalisti sulla situazione politica d’Europa si basa su un’eccessiva astrazione, cioè su un’eccessiva semplificazione dei dati di fatto, in base alla quale la divisione in Stati nazionali sovrani diventa, come si diceva, l’origine di tutti i mali d’Europa.
In conseguenza di tale diagnosi eccessivamente semplificata, continuano i nostri critici, i federalisti coltivano l’illusione che basti sostituire agli Stati nazionali sovrani una Federazione degli Stati europei per risolvere tutti i problemi degli Europei. I sognati Stati Uniti d’Europa diventano una specie di panacea universale, che farà la felicità degli Europei. Ogni problema d’Europa che oggi non sembra trovare soluzione o che non sembra facilmente risolubile, concludono trionfanti i nostri critici, sarà miracolosamente risolto da quei bontemponi di federalisti con la bacchetta magica degli Stati Uniti d’Europa. L’astrattezza che inficia la diagnosi dei federalisti sulla situazione politica d’Europa diventa macroscopicamente visibile nell’illusorio mito che essi fanno della Federazione degli Stati europei.
Non è difficile rigettare queste accuse di astrattismo politico che ci sono rivolte. Intanto non è forse inutile ricordare che qualsiasi diagnosi politica di una certa situazione si basa su astrazioni, per la semplice ragione che per capire una situazione da un punto di vista determinato, per esempio politico, bisogna distinguere i dati di fatto rilevanti da quelli che rilevanti non sono, bisogna separare le circostanze che influiscono in maniera determinante da quelle che possono dirsi puramente di contorno. E ciò vien fatto in base all’esperienza accumulata dagli uomini ed ai ragionamenti coerentemente svolti intorno ad essa.
Ora, l’eccessiva semplificazione che ci viene rimproverata non appartiene alla diagnosi dei federalisti, essa appartiene alla realtà. E’ la serie di catastrofi che ha portato negli ultimi cinquanta anni gli Stati europei alla posizione attuale, e non già il punto di vista dei federalisti, a rendere estremamente semplificata la situazione politica d’Europa. Ciascun Stato europeo non ha più l’indipendenza militare perché non può difendere automaticamente il suo territorio e i suoi cittadini, ed in conseguenza non può condurre una politica estera a lungo andare indipendente. Ciò è ormai vero non solo per l’Italia, per la Germania o per la Francia, nonostante le tragicomiche bombe atomiche del Sahara e gli atteggiamenti mistici del generale De Gaulle, ma per la stessa Inghilterra, che ba dovuto recentemente rinunziare alla produzione dei missili balistici per l’eccessiva onerosità che l’impresa comportava. Ciascun Stato. europeo non è in grado di conseguire una razionale divisione delle risorse e del lavoro, né di utilizzare le nuove tecniche messe a disposizione dalla scienza, e segnatamente l’energia atomica e l’automazione, perché questo come quel fine si possono raggiungere soltanto con un grande mercato comune di dimensioni continentali. E un grande mercato comune di dimensioni continentali implica una politica economica ed una politica monetaria comuni, e cioè un potere politico europeo comune. Basta mettere semplicemente a paragone ciò che viene attuato negli U.S.A. e nell’U.R.S.S. sulla via dell’applicazione pratica dell’energia nucleare e dell’automazione con ciò che negli stessi campi viene attuato in Europa per convincersi che l’economia europea, se sarà costretta entro i piccoli spazi economici degli Stati nazionali sovrani, è destinata al tramonto. Per le stesse ragioni le misure per una più equa redistribuzione del reddito sociale, se prese a livello nazionale, non riescono ad attenuare in misura apprezzabile, per lo meno nei paesi più poveri, la crudezza dei contrasti sociali. E’ noto a tutti, per esempio, che, dopo quattro o cinque anni di congiuntura favorevolissima per l’economia italiana, tanto che la stampa internazionale ha parlato addirittura di «miracolo italiano», il divario di sviluppo economico e sociale tra il Nord e il Sud dell’Italia è rimasto tale e quale. Nessuno dei maggiori Stati europei, infine, se si esclude l’Inghilterra, offre oggi il quadro di una vita democratica effettiva, con il gioco reale di una maggioranza al governo e di una minoranza che rappresenti una vera e propria alternativa, cioè che possa ragionevolmente diventare domani maggioranza al governo. E ciò proprio a cagione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani, poiché nessun sistema democratico può mantenersi a lungo andare quando i problemi fondamentali degli uomini che vivono nel suo ambito non sono risolubili da esso. In Francia è lo stesso peso politico del Parlamento e dei partiti che viene sempre più ridotto e ridicolizzato sotto gli sprezzanti scapaccioni del generale De Gaulle; in Germania al partito democristiano non si contrappone alcuna seria alternativa ed al vecchio democristiano Adenauer europeista di nome si sta preparando la successione del nazionalista democristiano Erhard; in Italia la recente lunghissima crisi di governo ha dimostrato per l’ennesima volta l’impossibilità di un’alternativa politica, essendo rappresentati entrambi i corni di essa dallo stesso partito di maggioranza relativa. In conclusione, gli Stati nazionali sovrani non possono assicurare agli Europei la difesa, lo sviluppo economico più avanzato, la giustizia sociale, la libertà e la democrazia. Questi sono i dati invero estremamente semplici della situazione attuale dell’Europa, e non le astratte ed arbitrarie semplificazioni dei federalisti. Per controbattere questi dati di fatto bisogna confutarli, bisogna eventualmente presentarne altri che si ritengano ugualmente o maggiormente rilevanti e tali da modificare il quadro, ma non approda certamente a nulla accusare i federalisti di un gratuito astrattismo politico. Né i federalisti pensano, con ciò, di costruire una filosofia della storia dove il motore sia costituito dalle dimensioni e dalla struttura dello Stato. Essi sanno che i problemi che sono posti alla volontà di civiltà degli uomini sono a volta a volta diversissimi e imprevedibili nella storia umana. Essi, molto più umilmente, affiggono il loro sguardo ai problemi fondamentali per il futuro prevedibile degli europei. Essi si  limitano a dire che, se gli Europei vogliono avere l’indipendenza militare e politica, se gli Europei vogliono sviluppare l’economia moderna ed i sistemi più avanzati di giustizia sociale, se gli Europei vogliono vivere in regime di libertà e di democrazia, i loro nemici sono gli Stati nazionali sovrani che li dividono.
Perciò, per i federalisti, la Federazione degli Stati d’Europa non è la panacea universale. E neppure è, di per se stessa, la soluzione dei principali problemi degli Europei. La lotta non sarà finita con la carta della costituzione federale: essa continuerà per il consolidamento della struttura politica federale e per l’indirizzo politico che la Federazione dovrà tenere all’interno e nel mondo. Ma l’unione del popolo europeo in un patto federale è una condizione indispensabile per la soluzione dei suoi principali problemi. A differenza degli Stati nazionali, la Federazione degli Stati europei avrà la forza demografica ed economica sufficiente per assicurare la propria difesa contro qualsiasi aggressione; a differenza degli Stati nazionali, la Federazione degli Stati europei potrà costruire un grande mercato economico di dimensioni continentali poiché sarà in grado di attuare una politica economica e una politica monetaria comuni, e potrà quindi, sulla scorta degli influssi benefici esercitati dall’unificazione economica, attuare una efficace politica sociale; a differenza degli Stati nazionali, la Federazione degli Stati europei garantirà agli Europei la libertà e la democrazia poiché potrà attuare un sistema effettifo di divisione e di controllo dei poteri pubblici. La Federazione degli Stati europei non è, pertanto, un gioco di prestigio degli allegri federalisti, essa è la premessa indispensabile perché gli Europei possano seriamente disporre del proprio destino.
Ma oltre che di astrattismo, come dicevamo al principio, i federalisti vengono spesso accusati, da parte di molti di coloro che militano negli schieramenti politici nazionali degli Stati europei, di moralismo politico. Mentre tutti coloro che si occupano «realisticamente» di politica si sforzano di studiare e di portare a soluzione i singoli problemi politici «concreti» che si presentano nell’ambito di ciascun Stato nazionale, i federalisti, secondo questa accusa, non si interessano affatto di tali problemi, ma si limitano a cantilenare moralisticamente: «bisogna fare la Federazione degli Stati europei». Si parli del problema dei rapporti tra Stato e chiesa, si parli dei problemi economici e sociali, si parli del problema della scuola, si parli insomma di qualsiasi questione politica o sociale in qualsiasi Stato nazionale europeo, continuano i nostri critici, federalisti non entrano nel merito di ciascun problema, non portano contributi per la sua soluzione: essi ripetono ogni volta, con tono sempre più accorato e petulante, che occorre costruire gli Stati Uniti d’Europa. La posizione dei federalisti, concludono con soddisfatta convinzione questi critici, non è quella del politico che forgia strumenti nel mondo duro della realtà per raggiungere fini determinati e conseguibili, la loro posizione è quella di chi, incapace di lottare per gli obbiettivi concreti, si chiude nella sfera di cristallo del moralismo che ha sempre ragione. Quella dei federalisti, aggiungono, è una evasione moralistica dalla realtà.
E’ facile dimostrare che questa accusa di moralismo non è in realtà un’accusa diversa da quella di astrattismo che abbiamo precedentemente considerato. Essa è soltanto un modo diverso di presentare quella. Infatti è proprio perché si considera la diagnosi che i federalisti fanno della situazione politica europea astratta e non vera, che si può dire che i fini che essi indicano agli Europei e che essi proclamano di voler raggiungere sono moralistici. E’ unicamente perché si considerano non veri i semplicissimi, e tristissimi, dati di fatto della situazione politica europea che i federalisti non si stancano di rilevare, o molto più spesso perché non vi si pensa, che si può tacciare di sterile moralismo chi lotta per modificarli, e si può scambiare per il duro mondo della realtà la ragnatela dei feticci nazionali che paralizza la volontà e l’iniziativa degli europei e in cui annaspano i risolutori «realisti» dei problemi «concreti». I federalisti non ripetono a vanvera e in ogni occasione che occorre costruire la Federazione degli Stati europei. Essi avvertono soltanto instancabilmente e di continuo gli Europei, quando si parla di politica estera, che gli Stati nazionali sovrani non hanno più l’indipendenza; quando si parla di politica economica e sociale, che gli Stati nazionali sovrani li costringono in seconda linea; quando si parla delle garanzie democratiche e di libertà, che gli Stati nazionali sovrani soffocano queste garanzie. Essi avvertono gli Europei che per risolvere questi loro problemi fondamentali è condizione indispensabile la edificazione della Federazione degli Stati europei. Ancora una volta sono questi semplici dati di fatto, queste semplici asserzioni, che bisogna controbattere; non ha senso accusare semplicemente i federalisti di astrattismo o moralismo che dir si voglia.
I federalisti tengono sempre presenti i dati essenziali della situazione politica europea, il nodo politico dalla cui soluzione o non soluzione dipende la possibile rinascita o la fine certa della civiltà di libertà e di giustizia degli Europei. Essi non sono in una posizione astratta, perché i fatti sui quali basano la loro lotta sono ormai talmente evidenti da essere compresi molto bene e da trovare chiare espressioni nel senso comune. La lotta federalista richiede un impegno morale, una concentrazione di pensiero e di volontà, non comuni, poiché è una lotta condotta contro tutte le apparenze e tutti i tabù che la forza d’inerzia delle costruzioni umane butta addosso agli Europei. Essa non è inficiata da moralismo sterile, poiché ha delineato con chiarezza il suo nemico, il suo obbiettivo e i suoi strumenti politici: gli Stati nazionali sovrani ed i profittatori delle loro sovranità abusive; la Federazione degli Stati europei; i militanti federalisti che raggruppano nel Congresso del Popolo Europeo i cittadini europei in cui si è svegliato il lealismo europeo contro il lealismo nazionale per ottenere, nei momenti in cui gli Stati nazionali riveleranno inesorabilmente con la maggiore gravità la loro incapacità ed inefficienza, la convocazione di un’Assemblea Costituente Europea incaricata di redigere la legge fondamentale degli Stati Uniti d’Europa.
Non dunque del contrasto tra il presunto astrattismo e moralismo dei federalisti e il presunto non astrattismo e non moralismo di questi loro critici si tratta. Il contrasto è un altro. E’ il contrasto tra coloro che considerano i problemi politici di fondo di ciascun Stato europeo nel loro proprio contesto della situazione europea e dell’equilibrio mondiale di potere, e coloro che credono invece di poter capire i problemi politici e il funzionamento della macchina di elaborazione della volontà politica per esempio in Italia, in Francia o in Germania, senza allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali; tra coloro che guardano spregiudicatamente i dati di fatto coperti dalle abitudini e dalle parole nazionali, e coloro che da queste abitudini e da queste parole sono imprigionati e ipnotizzati. Tra i federalisti e i politici nazionali che non riescono a vedere al di là della punta del loro naso, o vedono troppo bene nelle loro tasche. Tra i federalisti e i politici nazionali in lotta donchisciottesca con i loro mulini a vento. E poiché questo è il vero contrasto, i federalisti sanno che siffatte critiche saranno ancora e continuamente rivolte contro di loro, finché abitudini e parole nazionali non saranno squarciate e ridotte al loro alveo legittimo, con stupore dei miopi e disappunto dei profittatori, dalla costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
 
Mario Stoppino

 

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