IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIX, 1997, Numero 3, Pagina 119

 

 

Problemi nuovi schieramenti vecchi
 
 
Gli eventi che hanno portato il governo italiano nello scorso mese di ottobre sull’orlo della crisi e le vicende attraverso le quali questa ha potuto essere evitata meritano una riflessione perché la loro portata va molto al di là del quadro italiano. Essi sono il risultato di contraddizioni che hanno rischiato di esplodere recentemente in Italia, ma che esistono in tutti i paesi dell’Unione, e che discendono direttamente dalla dinamica stessa del processo di unificazione europea.
Bisogna ricordare in primo luogo che le cancellerie e i mezzi di informazione europei hanno percepito chiaramente la forte pericolosità delle turbolenze della politica italiana. Una crisi di governo in Italia, in questa fase, avrebbe seriamente compromesso le chances dell’Italia stessa di far parte del primo nucleo di paesi che adotteranno la moneta unica il 1° gennaio 1999. E, in questo modo, avrebbe gettato una pesante ombra di incertezza sulle sorti stesse dell’Unione economica e monetaria. La presenza dell’Italia è infatti essenziale sia per garantire alla moneta europea una base economica sufficientemente ampia sia per evitare che l’Unione monetaria nasca come una sorta di riedizione istituzionalizzata dell’area del marco tedesco con un’appendice francese. Se quest’ultima prospettiva fosse diventata probabile a causa della probabile defezione dell’Italia, si sarebbe considerevolmente rafforzato in Francia lo schieramento contrario alla moneta europea, che oggi è ridotto al silenzio ma che ripartirebbe all’attacco se l’evolversi degli avvenimenti gliene desse l’opportunità e gli fornisse argomenti convincenti per far passare le proprie posizioni nell’opinione pubblica francese. Il fatto che la crisi sia stata evitata, anche se a prezzo di un compromesso che è stato oggetto di critiche non certo prive di fondamento, deve quindi essere salutato come un successo importante.
 
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La seconda notazione che va fatta è che, per la prima volta dall’inizio del processo di integrazione, il governo di uno Stato membro della Comunità (o dell’Unione) ha rischiato la crisi sulla base di una motivazione esplicitamente europea. Si tratta di un sintomo importante del fatto che l’Europa si sta avviando al redde rationem. Sta apparendo con crescente chiarezza che il futuro degli Europei si gioca sull’unificazione del continente, e in prima istanza sull’entrata in vigore dell’Unione monetaria alla data prevista. E’ quindi inevitabile che gli interessi parassitari che, in diverso modo nei diversi paesi, hanno prosperato e prosperano all’ombra della divisione, e le forze politiche nazionalistiche e corporative che si riferiscono a quegli interessi, e a partire da quelli fanno leva sulle paure e la disinformazione dell’opinione pubblica, vengano allo scoperto e diano battaglia. Ma nello stesso tempo la sempre maggiore visibilità della natura reale della posta in gioco approfondisce la consapevolezza degli interessi e delle forze politiche favorevoli all’Europa e spinge queste ultime ad assumere con crescente lucidità e coraggio le loro responsabilità, accettando i rischi che ogni assunzione di responsabilità comporta.
Mette conto notare che l’instabilità e le tensioni che sono alla radice delle vicende italiane esistono anche in Francia e Germania. E’ ben vero che questi paesi posseggono una struttura istituzionale e un’economia più solide di quelle italiane. Ma è anche vero che in Europa certi divari si stanno colmando e che se, da una parte, in Italia, accanto al permanere, in alcune parti dello schieramento politico, di atteggiamenti irresponsabili e corporativi, si sta sviluppando una genuina cultura della stabilità ed è in via di formazione una nuova classe politica moderna e competente, dall’altra in paesi come la Francia e la Germania la demagogia e il populismo non sono certo assenti. Basti pensare, in Francia, alle fortune elettorali del Fronte Nazionale e agli atteggiamenti nazionalistici e antieuropei che permangono nel Partito comunista e in alcuni settori della destra democratica e della sinistra non comunista; e, in Germania, alla deriva populista di una parte della SPD e della CSU bavarese, oltre che all’atteggiamento di preconcetta chiusura nei confronti dell’Europa degli eredi della SED della RTD nei nuovi Länder. Le tensioni esistono quindi ovunque, e dovunque esse minacciano gli esiti del processo.
 
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La terza ed ultima osservazione è che, in tutti i principali paesi europei, il potere degli interessi contrari all’Europa è enormemente amplificato dalla natura degli schieramenti politici. E’ sintomatico che in Italia si sia potuti giungere sull’orlo della crisi a dispetto del fatto che la necessità di una politica di rigore fosse riconosciuta da una grande maggioranza delle forze presenti in Parlamento e che, se si fosse potuto prescindere dalla logica degli schieramenti, la legge finanziaria sulla quale il conflitto si è aperto sarebbe stata approvata nella sua sostanza senza difficoltà. Ma la crisi è stata sfiorata perché il governo si è ritenuto vincolato, in vista del voto sulla legge finanziaria, non dall’opinione del Parlamento nel suo complesso, ma da quella della maggioranza alla quale si riferiva. Il Presidente del Consiglio Prodi ha rifiutato i voti che l’opposizione gli offriva in modo trasparente e ha preferito dare una prova di coerenza rassegnando le dimissioni.
Bisogna ricordare che l’Italia ha conosciuto nel suo recente passato una lunga stagione di compromessi e di trasformismi che hanno danneggiato la sua immagine a livello internazionale e hanno allontanato i cittadini dalla politica. Per questo l’atteggiamento del governo italiano merita apprezzamento. Ma rimane il fatto incontrovertibile che le vicende recenti portano l’attenzione su di una disfunzione grave e paradossale del sistema politico: il paese si è trovato di fronte ad una svolta decisiva; la svolta era sostenuta dal consenso di una grande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento; eppure l’Italia ha corso il rischio di perdere il treno dell’Europa a causa del voto contrario di una piccola ala della maggioranza.
 
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Il fatto è che oggi, in Italia come in tutti i grandi paesi europei, le forze politiche si schierano secondo una contrapposizione, quella tra destra e sinistra, che riflette la natura dei conflitti sociali e la struttura degli interessi di un’epoca ormai da tempo conclusa, nella quale la divisione della società in classi configurava il fronte fondamentale rispetto al quale, prima che rispetto ad ogni altro, le forze politiche dovevano prendere posizione. Oggi lo spartiacque è diverso. Il problema decisivo sul quale si tratta di prendere posizione e di dividersi è quello dell’Europa. E la contrapposizione tra la maggioranza che vuole l’Europa e la minoranza che vuole perpetuare il quadro politico nazionale interseca la contrapposizione tra destra e sinistra, e divide al loro interno persino la maggior parte dei partiti. Ne discende che ogni governo che vuole portare avanti una efficace politica europea (che, nella fase attuale, per essere efficace deve essere impopolare) è gravemente indebolito dal fatto che deve fare insieme i conti con l’opposizione, che si oppone perché la sua ragione politica le impone di farlo, e con la parte antieuropea della maggioranza. Il caso della Germania è, sotto questo punto di vista, particolarmente eloquente.
E’ vero che in ogni sistema democratico maturo vi è la generale consapevolezza che per la soluzione dei problemi di natura costituzionale è necessario il consenso sia della maggioranza che dell’opposizione, o comunque di una larghissima parte dell’una e dell’altra. E una buona parte delle classi politiche europee condivide la convinzione che un problema come quello dell’Unione monetaria, e più in generale dell’unificazione europea, riveste natura costituzionale. In ogni caso, l’unificazione monetaria e politica dell’Europa si realizzerà soltanto se questo inizio di consapevolezza si consoliderà. Ma l’Europa è un problema costituzionale sui generis, perché la marcia di avvicinamento ad essa coinvolge, attraverso le leggi di bilancio e le riforme strutturali, tutte le politiche più importanti che i governi e i parlamenti nazionali devono elaborare e approvare giorno per giorno, e ciò per un periodo di tempo che, in termini politici, è assai lungo. In questo contesto, chiedere all’opposizione che accetti di sostenere la politica del governo pur rimanendo all’opposizione significa chiederle troppo. E rinunciare al sostegno dell’opposizione significa esporsi continuamente al ricatto dall’ala antieuropea della maggioranza.
 
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Quello che l’Europa sta affrontando è il problema di tutte le grandi svolte storiche, che spesso si compiono senza essere comprese dai loro stessi protagonisti, e che vengono affrontate con strumenti politici ereditati dal passato e inadatti ad affrontare i problemi del presente. Ma la logica delle cose dovrebbe a medio termine prevalere su quella degli schieramenti. Ciò potrà avvenire informe diverse da paese a paese. E’ certo anche possibile, anche se non probabile, che in alcuni paesi, grazie alla presenza di personalità politiche particolarmente prestigiose, o a sistemi elettorali adeguati, rimangano in sella schieramenti abbastanza compatti da portare avanti da soli, per un certo periodo, il processo. Ma è difficile che ciò possa avvenire ovunque, e ancor più difficile che possa durare a lungo. La moneta europea sarà una tappa importantissima del processo di unificazione europea. Ma non lo concluderà. Rimarranno tensioni e difficoltà. Si porrà il problema di rendere stabile l’Unione monetaria attraverso la creazione dell’Unione politica: Perché questo compito possa essere portato a compimento con successo occorrerà un forte e largo consenso. Ciò richiederà, da una parte, una grande mobilitazione popolare e, dall’altra, che le forze politiche sappiano adeguare i loro schieramenti e le loro alleanze all’alternativa storica dalla quale dipende il destino degli Europei.
 
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