IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIII, 2021, Numero 2-3, Pagina 83

 

 

L’Unione europea e il ritorno della guerra.
L’urgenza di dar vita a un’Europa federale, sovrana e democratica

 

 

Le notizie e le immagini scioccanti che arrivano dall’Afghanistan costituiscono un vulnus nella nostra coscienza di cittadini dei paesi occidentali che non possiamo pensare di archiviare dopo averle ammantate di parole di orrore e di dichiarazioni di sostegno. Deve esserci chiaro che se non sapremo farci carico di questa tragedia organizzando una solidarietà effettiva sarà la nostra stessa dignità a morirne.

La brutale aggressione della Russia all’Ucraina apre un nuovo capitolo nella storia europea e mondiale. Sancisce la fine definitiva dell’ordine di matrice liberale che dopo il crollo dell’URSS e della guerra fredda gli USA avevano costruito. Era un ordine fondato sull’ideologia che il mercato fosse la forza trainante dello sviluppo, che portasse con sé la democrazia e che creasse una interdipendenza sempre più stretta tale da spingere in direzione della cooperazione e del superamento del confronto geopolitico.

Su questa rivista abbiamo denunciato molte volte la miopia di questa visione che metteva la politica in subordine rispetto al commercio e propagandava di conseguenza la fine della centralità del ruolo di governo delle istituzioni statuali, sminuendo il concetto stesso di cittadinanza; abbiamo pertanto spesso sottolineato le falle sempre più evidenti di questo sistema, insieme al fatto che era una dottrina funzionale agli interessi degli USA e all’esercizio del loro nuovo potere globale dopo il crollo dell’URSS, pur riconoscendo ed elogiando i pregi della globalizzazione e il ruolo straordinario che ha avuto nello sviluppo di tanti paesi e regioni del mondo.

Tutto questo però appartiene ormai al dibattito sul passato. Il presente è segnato dall’aggressività feroce del regime di Putin in Europa, sia per il cambio di paradigma che comporta per la sicurezza non solo nel nostro continente, ma anche a livello globale, sia per gli effetti destinati a produrre sulla globalizzazione e conseguentemente sulla tenuta delle nostre economie, delle nostre società, e in ultima istanza della nostra democrazia.

Nessuno ha ancora risposte definite e chiare da proporre in questa fase. La nostra rivista esce in ritardo proprio per il bisogno di prendere il tempo per provare ad indicare qualche spunto di riflessione. L’unica certezza che ci pare evidente è la necessità di accelerare subito il processo di riforma dell’Unione europea, per attrezzare il sistema politico-istituzionale europeo a fronteggiare una situazione che lo mette fortemente in pericolo. Ci pare chiaro che l’Europa deve usare la spinta di questa emergenza per fare i passi in direzione di una vera unità politica, che le permetta di elevarsi al livello di potenza continentale dotandosi della capacità, dell’autorevolezza e della forza necessarie per agire al proprio interno e nel mondo. Questo passaggio deve derivare dalle conclusioni della Conferenza stessa sul futuro dell’Europa, che ha visto emergere un dibattito importante in questo senso, cui ora è un dovere di tutti i soggetti coinvolti dare seguito.

Questa crisi, persino più delle precedenti, fa risaltare al tempo stesso i pregi dell’UE e le sue mancanze e vulnerabilità. I pregi sono quelli contro cui si scaglia Putin: un modello democratico di successo, attrattivo, che garantisce livelli elevati di benessere, di protezione sociale e di rispetto dei diritti delle persone, in nome dell’autodeterminazione degli individui; un progetto che è nato per stabilire la pace e superare il nazionalismo. È davvero insopportabile in queste condizioni per Mosca il fatto che il modello dell’UE sia vincente ai confini della Russia e sfidi così la concezione dispotica del regime putiniano, che si vanta di rovesciare i valori occidentali in nome dell’illiberalismo, di un’identità comunitaria chiusa che nega le diversità e i diritti dell’individuo e che ritiene la democrazia “un vizio”. Al tempo stesso, i limiti fortissimi dell’Unione europea sono quelli di un’organizzazione ancora in gran parte di natura internazionale, nonostante il progetto e le ambizioni federali da cui è partita: sono ancora nazionali le politiche estere, le difese, il controllo del bilancio, nonostante la moneta unica (federale); l’UE non ha competenze in nessuna materia chiave della sovranità, neppure negli Affari interni, nonostante Schengen e l’abolizione delle frontiere interstatali tra la maggior parte dei paesi UE. In questo modo, con gli Stati che rimangono “i padroni dei Trattati”, gli europei sono politicamente deboli e in più il nazionalismo non è sconfitto, perché non è ancora nata un’istituzione federale che lo supera, politicamente e storicamente, e che afferma nella storia un nuovo paradigma del governo democratico sovranazionale dell’interdipendenza. In questo modo l’UE rimane in bilico; di fronte alle minacce comuni sta trovando la capacità di cooperare per reagire, ma resta impotente nell’azione, non ha un peso efficace a livello internazionale, ha opinioni pubbliche vulnerabili e rischia di veder risalire le forze populiste e nazionaliste amiche di Putin. Proprio questa debolezza è un incentivo ulteriore ai piani di Putin, che sa che è possibile anche farci cadere.

L’Europa, per sopravvivere come Unione, non ha quindi alternative al compiere quei passaggi politico-istituzionali che sono essenziali (e che sono emersi nella Conferenza) per dare competenze, risorse e poteri effettivi alle istituzioni europee per agire nei campi cruciali che solo a livello europeo trovano l’adeguata dimensione di governo. L’UE ha bisogno di avere innanzitutto una vera politica estera, che ha sicuramente una premessa necessaria nell’approfondimento del coordinamento e della cooperazione tra governi, come sta avvenendo di fronte alla guerra; ma per realizzarsi in modo che cambi radicalmente il peso dell’Europa nel mondo deve diventare competenza di un effettivo governo europeo, responsabile di fronte ai due rami del parlamento a livello europeo. Solo creando quindi le condizioni per la nascita di un primo embrione di governo europeo di natura federale (che implica un potere europeo autonomo e democratico sia nel bilancio, con capacità di imposizione diretta a livello europeo, sia nell’attuare direttamente a livello europeo alcune politiche federali, tramite l’attribuzione al Parlamento europeo di poteri effettivi anche di controllo sull’esecutivo), si può fare il salto dal sistema intergovernativo attuale ad uno realmente europeo. Lo stesso vale per la difesa, per l’energia, per la politica migratoria, per alcuni aspetti della sanità. Abbiamo anche cercato, come Movimento federalista europeo, di elaborare, grazie al lavoro di un gruppo di giuristi di grande esperienza, una proposta organica di riforme puntuali in grado di cambiare la natura giuridica e politica dell’UE e di renderla capace di agire in modo efficace; riforme in grado di creare realmente una sovranità europea condivisa, da cui dipendono la vera autonomia strategica e l’indipendenza del nostro continente, pur nella gradualità del passaggio di competenze in alcuni settori che richiedono tempi più lunghi. Trovate il documento nelle pagine interne della rivista. È un contributo al dibattito e soprattutto al lavoro della Convenzione che speriamo possa avviarsi dopo la chiusura della Conferenza e produrre riforme incisive, di natura sostanzialmente costituente.

Resta, per concludere questo editoriale, il fatto, che – a confermare ulteriormente il bisogno urgente di avviare la nascita di un’unione politica federale – si sono aperte incognite che pesano come macigni sul nostro futuro, e che ci ritroveremo a dover affrontare nei prossimi anni. Questa guerra scatenata dalla Russia è parte di un attacco determinato contro ciò che ancora resta dell’egemonia americana a livello globale. Una delle cause scatenanti è stata sicuramente il fatto che gli USA manifestano sintomi profondi di crisi interna (basta ricordare la polarizzazione della società americana, e il consenso che continua ad accompagnare Trump, incluso il suo tentativo di colpo di Stato nel gennaio 2021), e mostrano molte debolezze a livello internazionale. Il caos creato con il ritiro dall’Afghanistan ha sicuramente pesato molto, così come influisce la perdita di influenza e controllo in molte aree del mondo: non solo i vuoti lasciati, che stanno rafforzando le posizioni della stessa Russia (e di altre potenze minori regionali) e favorendo l’espansione dell’influenza cinese, come in Africa e in Medio Oriente; ma anche il minore affiatamento con paesi tradizionalmente alleati, e ora palesemente più determinati a muoversi in modo indipendente, dall’Arabia Saudita, all’India e al Pakistan, per non parlare dell’America Latina dove il processo era iniziato già da molto. In questo nuovo scenario cresce una guerra di potere che utilizza anche lo strumento dell’ideologia, e che, come tale, si fonderà anche sulla forza del consenso che i due sistemi riusciranno ad avere e a mantenere: l’Occidente da una parte, con i suoi sistemi politici liberali, democratici, caratterizzati da un PIL pro capite elevato, un’istruzione diffusa e sistemi avanzati di welfare; e la Cina e la Russia, dall’altro, con i loro regimi che tendono ormai al totalitarismo (con una degenerazione gravissima anche rispetto alle aperture che questi due Paesi avevano avviato nel passato).

Nonostante la forte interdipendenza che la globalizzazione aveva creato con il commercio, c’è la concreta possibilità che si arrivi alla scelta di fatto (in molti campi già iniziata) di sacrificare una fetta di sviluppo economico oggi per rendersi domani autonomi da quello che diventa sempre più “il blocco nemico” e poterlo così combattere meglio, per costruire un’egemonia piena. Se si va su questa strada, quale sistema si dimostrerà più forte, resistendo sul piano del consenso politico alla crisi economica che il decoupling e la rottura dell’interdipendenza comportano? Quale area del mondo sarà più forte, tenendo conto delle caratteristiche delle diverse società e delle diverse realtà demografiche?

Inoltre, la Russia usa spregiudicatamente la propaganda ideologica con la manipolazione della realtà sia verso la propria opinione pubblica, sia verso quella dei paesi antagonisti, per aprire brecce nel fronte del consenso dei paesi NATO, che sono anche chiamati, soprattutto in Europa, a rompere i loro legami e la loro interdipendenza con la Russia, e a pagare un prezzo economico pesante nell’immediato. È un fatto che la ripresa economica post-pandemica, e la stessa transizione ecologica, sono messi in grave pericolo a causa della guerra, e anche la solidarietà tra paesi europei è destinata a diventare nuovamente complessa. In questo quadro, il rischio che le nostre società si spacchino e che politici amici di Mosca prendano il potere in alcuni Stati europei è tremendamente reale.

Al tempo stesso, sul piano della sicurezza, il nuovo scenario (che ci riporta direttamente al secolo scorso e alle due guerre mondiali) con il ritorno della guerra di aggressione ad un paese sovrano, per occuparne parte del territorio e assumere il controllo tramite l’installazione di un governo fantoccio, che nuove sfide pone? Stiamo assistendo al fatto che il paese aggressore usa il possesso delle armi nucleari – che minaccia di usare se direttamente sfidato – come forma di ricatto per non far entrare in guerra la NATO a fianco dell’aggredito. Gli USA alzano i toni contro Putin, forse, anche per coprire questo fatto nuovo, che li rende meno credibili, e quindi più deboli, anche nella prospettiva di possibili scontri con la Cina nell’area del Pacifico. È un fatto che sconfiggere Putin in Ucraina – e quindi incrementare il supporto anche in termini militari all’Ucraina – in questo quadro è assolutamente cruciale, anche per smontare la narrativa del bluff dell’Occidente che non è in grado di intervenire per difendere i propri amici e i valori che propugna.

Per gli europei questo nuovo scenario che Putin ha aperto con l’aggressione in Ucraina è un incubo. Abbiamo costruito il sistema dell’UE sulla fiducia nell’ideologia del mercato come vettore dello sviluppo del sistema internazionale. Abbiamo costruito, per scelta e per ragioni strutturali legate alla nostra realtà di area scarsamente dotata di materie prime, un’interdipendenza con i Paesi che ora ci minacciano che ci rende particolarmente vulnerabili. Non abbiamo saputo sviluppare – a causa della nostra persistente assenza di unità politica e quindi di visione e volontà di azione – una politica di partenariato efficace verso quei paesi terzi che sarebbero cruciali per il nostro sviluppo e che spesso abbiamo lasciato nelle mani di Cina e Russia. Abbiamo affidato agli USA la gestione dei rapporti internazionali e la nostra sicurezza, subendo i contraccolpi del mutare dei loro interessi e della loro capacità di governare il mondo. In una parola, siamo il vaso di coccio di un Occidente che rischia di suicidarsi in una contrapposizione di tipo bipolare “Occidente vs Autocrazie”; e non abbiamo strumenti per promuovere un nuovo assetto che, pur evitando il decoupling, sappia opporsi alle autocrazie, rafforzare la democrazia e i legami tra Paesi che non vogliono entrare nella sfera di influenza dei nuovi totalitarismi. Per far questo occorrerebbe la forza politica di offrire ai paesi che scelgono la democrazia la condivisione di nuove istituzioni internazionali democratiche e sovranazionali, con cui governare insieme alcune sfide esistenziali, dal cambiamento climatico alla salute; e di usare con le autocrazie la forza dei vantaggi portati dall’interdipendenza e dal mercato globale per mantenere forme di interscambio che evitino la totale contrapposizione.

Ecco perché il compito ora dell’Unione europea è quello di costruire rapidamente un’unione politica che permetta di fare investimenti ingenti e politiche europee efficaci e lungimiranti in materia di sviluppo, per la transizione energetica ed ecologica, per lo sviluppo del settore digitale, per creare una politica estera e di sicurezza, una capacità militare autonoma, per diventare un pilastro man mano paritario con gli USA nella NATO e dare una nuova guida alla politica internazionale. Occorre farlo senza farsi bloccare dai veti dei paesi contrari, che possono rimanere nell’attuale mercato senza rinunciare a ciò che oggi l’UE offre, senza però impedire di andare avanti a chi capisce che il nuovo quadro mondiale necessita la nascita di una potenza europea.

Combattere con determinazione e coraggio per la liberazione dell’Ucraina e aprire una vera e profonda riforma dei Trattati: questo devono fare oggi gli europei. Ora o mai più, è veramente la realtà del momento che stiamo vivendo, e che non possiamo permetterci di sottovalutare neanche per un attimo. 

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