IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 4, Pagina 219

 

 

Nota sulla Polonia
 
 
Il caso polacco ha valore storico, nel senso che pone per tutti, e non solo per i polacchi, il problema di come può mutare la storia del mondo. E va da sé che ciò comporta per tutte le forze politiche e sociali la necessità di rivedere la propria interpretazione della storia e la propria condotta alla luce di ciò che è accaduto e che potrà accadere in Polonia. Bisogna dunque, sin dalle prime analisi, non restringere l’orizzonte dell’osservazione, come sarebbe fatale se si pretendesse di esaminare ciò che vi è di nuovo in Polonia con le vecchie teorie, con i vecchi quadri di riferimento o con la cecità del pragmatismo. Tre sono i rilievi da fare per la prima identificazione del contesto nel quale i fatti polacchi assumono il loro vero significato.
Il primo riguarda la connessione storico-causale nella quale gli avvenimenti polacchi devono essere inseriti. Questa connessione è la lotta per le riforme democratiche nel campo dei paesi di socialismo reale. Si tratta di una lotta che riguarda tutti i paesi di questo campo, URSS inclusa; e che ha la sua radice nel carattere stesso di questa esperienza storica. Questo è un punto da sottolineare. Questa tendenza storica si è finora espressa attraverso modelli costituzionali rigidi, e per questo viene giudicata (con grave pregiudizio per la conoscenza e l’azione) come una esperienza rigida, priva di potenzialità evolutive. Ma questa interpretazione è sbagliata, perché se è vero che i modelli costituzionali in questione sono rigidi, è anche vero che il termine ultimo per un giudizio adeguato non sono questi modelli, ma l’intero carattere del processo storico al quale essi appartengono e del quale essi sono solo uno degli aspetti. I processi storici evolutivi (ad esempio quello dell’Europa moderna) hanno sempre smantellato, gradualmente o bruscamente, le forme rigide di Stato, ed è difficile pensare che non abbia carattere evolutivo il processo storico che ha il suo punto di partenza nella rivoluzione sovietica. C’è troppa storia, ci sono troppe motivazioni ideali e materiali, sono coinvolti troppi popoli e troppi uomini per pensare che l’ultima parola a questo riguardo sia stata detta da Stalin.
Se si tiene presente che in Polonia si è riaccesa la lotta per le riforme democratiche che si era sviluppata solo sul piano del dibattito teorico nell’Unione Sovietica del «disgelo», e che fu spenta con la forza in Ungheria e in Cecoslovacchia (come nella stessa Germania orientale), acquista rilievo il fatto che in Ungheria e in Cecoslovacchia il problema delle riforme si era posto in termini di alternativa globale di regime (da nessuna libertà a tutte le libertà), mentre in Polonia lo stesso problema sembra aver trovato finalmente la via di una soluzione graduale. In Polonia i lavoratori, che sono questa volta i diretti protagonisti, hanno potuto assestarsi su un terreno solido (quello del diritto di sciopero sul quale si può non solo attaccare ma anche resistere) senza rovesciare il regime. E hanno ottenuto questa riforma trattando con il governo, rispetto al quale si sono costituiti come un interlocutore sociale, senza giocare tutto in una sola partita.
Ciò significa che nel campo dei paesi di socialismo reale c’è ormai un fatto nuovo di grande portata: il diritto di sciopero. Uno dei pilastri dell’edificio dogmatico sul quale si reggono i modelli costituzionali rigidi del campo è così caduto. Chi crede che il pensiero non conti per nulla nei processi storici può pensare che non sia accaduto nulla. Ma il fatto reale è che la formazione stessa della volontà politica, soprattutto nei giovani, ma anche in seno alle forze già mature, non sarà mai più come prima in tutti i paesi socialisti (URSS inclusa), sia nel caso che l’esperienza polacca venga provvisoriamente bloccata con la forza, sia nel caso della sua continuazione, più probabile a patto che sia sensata la condotta degli occidentali, e che i polacchi restino, come sono già stati, all’altezza del loro difficile compito. In questo caso la via graduale resterà aperta senza interruzioni, con grandi possibilità per tutti i paesi di socialismo reale. Se la Polonia darà la prova che uno Stato socialista può funzionare con il diritto di sciopero, il contagio diventerà irresistibile.
Il secondo rilievo riguarda il dinamismo della nuova situazione polacca, cioè la sua possibilità di avanzare sulla via delle riforme democratiche. A questo riguardo non ci possono essere dubbi. Bisogna tener presente che quando si riesce a negare il diritto di sciopero (col pretesto che la classe operaia, essendo al potere, sciopererebbe contro se stessa — che implica una concezione monistico-totalitaria dello Stato) è molto facile negare anche gli altri diritti di libertà. Ma bisogna tener presente che vale anche il contrario: l’esercizio del diritto di sciopero sta o cade con l’esercizio degli altri diritti di libertà, a cominciare da quello di organizzarsi in modo autonomo, di essere informati e di informare. E c’è un fatto di importanza decisiva per il caso polacco: secondo l’insegnamento della storia costituzionale questa via verso maggiori diritti di libertà può essere percorsa anche in modo graduale, cioè senza provocare rotture insanabili e, di conseguenza, la riscossa del conservatorismo. Queste osservazioni mostrano che la situazione polacca è dinamica, e che in quanto tale questo dinamismo può avere solo due conclusioni: o il ritorno alla proibizione dello sciopero, o la pienezza della democrazia in uno Stato socialista. Ciò significa anche che l’esito più probabile, sia pure in modi e tempi non ancora precisabili, è quello della pienezza della democrazia perché a questo punto la proibizione definitiva e permanente del diritto di sciopero non è facilmente ipotizzabile.
Il terzo rilievo riguarda le condizioni internazionali dell’evoluzione positiva dell’esperienza polacca. Ciò che va chiarito subito è che il caso polacco sta nel quadro dello sviluppo della distensione multipolare, e può quindi avere una conclusione positiva solo con un mondo multipolare che, se non si bara al gioco, significa la fine del Patto atlantico e del Patto di Varsavia, e la trasformazione radicale delle condizioni della sicurezza sia per i paesi europei, sia per le stesse superpotenze. È questo l’aspetto essenziale. Bisogna determinare per l’URSS condizioni di sicurezza che non dipendano solo dal suo confronto con gli USA sul terreno della forza militare, e che non coinvolgano nella bilancia militare USA-URSS i paesi europei.
A questa situazione si potrà giungere solo per gradi, e solo con un governo e con una difesa europea (nel quadro in espansione della Comunità attuale), ma ciò che è importante stabilire sin da ora è che solo con questa prospettiva diventano pensabili sia la pienezza della democrazia in Polonia, sia la ripresa generale della lotta per le riforme democratiche nei paesi di socialismo reale, URSS inclusa. In tutti gli altri casi, che si possono riassumere con la formula di Kissinger del bipolarismo militare più il multipolarismo politico, il progresso ulteriore della Polonia sulla via della democrazia comporterebbe solo un indebolimento della coesione del Patto di Varsavia, e perciò un rafforzamento degli USA e un peggioramento delle condizioni di sicurezza dell’URSS che essa cercherebbe ad ogni costo — e, per quanto sia spiacevole dirlo, a giusta ragione — di evitare.
Il fatto è che la formula di Kissinger del bipolarismo militare più il multipolarismo politico non è che l’ultimo tentativo di ritardare la transizione, di per sé stessa inevitabile, verso il multipolarismo vero e proprio, cioè verso un mondo senza l’egemonia degli USA e dell’URSS. Alla politica bipolare degli USA e dell’URSS, pericolosa e con un forte carattere militare proprio perché contraria al corso della storia, bisogna dunque contrapporre, con prudenza e gradualità ma anche con fermezza, una politica multipolare, per far sì che la transizione verso l’equilibrio internazionale del futuro possa coincidere con la distensione, con il minimo possibile di spese militari e con la soluzione progressiva dei grandi problemi del mondo. Un mondo, bisogna aggiungere, che noi cominciamo a intravedere grazie al coraggio e alla lucidità dei polacchi.
 
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