IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno II, 1960, Numero 4, Pagina 230

 

 

RELAZIONE INTRODUTTIVA
AL CONVEGNO TRA I DE LEGATI LOMBARDI E TICINESI
DEL CONGRESSO DEL POPOLO EUROPEO ED I PARLAMENTARI LOMBARDI FAVOREVOLI ALLA COSTITUENTE EUROPEA
 
 
Come è noto, il Congresso del Popolo Europeo presentò ai Parlamenti degli Stati membri delle Comunità Europee, nel novembre del 1959, un progetto di trattato concernente la convocazione della Assemblea Costituente Europea.[1] Dopo tale presentazione furono prese, dal M.F.E. e dal C.P.E., iniziative tendenti ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei parlamentari su questo progetto. Queste iniziative ebbero uno speciale risalto in Lombardia dove, analogamente a quanto fatto nelle altre regioni, in data 30 gennaio 1960 fu indirizzata ai parlamentari lombardi una lettera contenente l’invito ad assumere l’impegno di promuovere in Parlamento il dibattito sul progetto di trattato con la presentazione di una mozione in tal senso;[2] e dove furono poi organizzate (l’operazione continua) le cosiddette «bancarelle», con le quali i delegati del C.P.E. hanno ripreso contatto nelle piazze lombarde con gli elettori europei ed i cittadini, li hanno informati dell’azione svolta, e li hanno invitati ad inviare cartoline di plauso per i parlamentari favorevoli alla Costituente, e di sollecito per quelli restii a prendere posizione (le cartoline sono state sinora 4000).
Il successo di queste iniziative ha permesso di organizzare il 26 giugno a Milano, al Circolo della Stampa, un incontro tra i delegati lombardi e ticinesi del C.P.E. ed i parlamentari lombardi, allo scopo sia di riaprire tra la classe politica nazionale ed i federalisti il dialogo interrotto alla fine del 1954, sia di decidere i termini e le modalità dell’azione rivolta ad ottenere in Parlamento il dibattito sul progetto di Trattato.
Al convegno intervennero i Deputati: Pierino Azimonti, Pierantonio Berté, Ettore Calvi, Luigi Galli, Ludovico Montini, Vincenzo Sangalli, ed i Senatori: Arialdo Banfi, Gianmaria Cornaggia Medici, Emanuele Samek Ludovici, Edgardo Savio, mentre i più tra gli altri parlamentari lombardi che si erano, sino alla data del convegno, dichiarati favorevoli alla Costituente,[3] inviarono telegrammi di assenso e di scuse per l’impossibilità di intervenire. Il convegno fu aperto con nobili parole di incitamento e di speranza dal Sindaco di Milano Prof. Virgilio Ferrari, e venne presieduto dalla Prof. Teresa Caizzi che rese nota, tra l’altro, l’adesione personale del Presidente del Senato On. Merzagora. Rivolse parole di saluto il segretario generale del C.P.E. Luciano Bolis. Presero la parola, oltre i parlamentari presenti, Guy Héraud, presidente della commissione di giuristi del C.P.E. che elaborò il progetto di trattato, il segretario regionale del C.P.E. Amedeo Mortara, i delegati Gianni Botti, Lamberto Jori, Carlo Piermei e Giacomo Sfardini. Il convegno dimostrò con chiarezza che la Costituente risolverebbe il problema del potere politico europeo mentre il progetto della Commissione Déhousse per l’elezione diretta della Assemblea delle Comunità elude questo problema, decisivo per l’avvenire degli europei. In chiusura i parlamentari si impegnarono a presentare la mozione alla riapertura delle Camere dopo la pausa estiva, e decisero di costituire a questo scopo due commissioni presiedute rispettivamente dall’On. Montini per la Camera e dall’On. Zelioli Lanzini per il Senato.
Pubblichiamo il testo della relazione introduttiva, tenuta a nome del Comitato Regionale Lombardo da Mario Albertini, segretario regionale del M.F.E.
 
I
In tutti gli Stati europei la struttura della lotta politica costringe i governi e le opposizioni a concentrare la loro attenzione sui poteri e sui problemi nazionali. Questo fatto impedisce normalmente alla maggior parte delle persone di vedere con chiarezza la situazione dell’Europa, e di comprendere seriamente la minaccia di morte che grava sul suo destino. Non è contestabile che questa minaccia sia una realtà.
Infatti non è contestabile: a) che il sistema europeo degli Stati, che controllava il mondo intiero, sia stato sostituito dal sistema mondiale degli Stati che ha trasferito il potere di regolare gli affari internazionali dalle ex-grandi potenze del concerto europeo agli Stati continentali già sviluppati, cioè agli Stati Uniti di America ed alla Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, b) che lo straordinario progresso della scienza e della tecnica abbia portato le dimensioni ottime dello sviluppo economico molto al di là delle dimensioni degli Stati nazionali europei, che sono Stati fondati in epoca precedente la rivoluzione industriale, o quando essa muoveva i primi passi.
Nessuno mette in dubbio questi fatti. Ma molti mettono in dubbio le loro conseguenze, che sono le seguenti: a) i governi degli Stati europei non possono più assicurare in modo autonomo la difesa del loro territorio, quindi hanno perso l’indipendenza politica. Per questa ragione la sorte delle popolazioni loro sottoposte sarà decisa in estrema istanza dai governi degli Stati che hanno conservato l’autonomia militare. Non si sfugge a questo destino con il neutralismo perché l’Europa, per la sua importanza economica e per i suoi legami con il resto del mondo, pesa troppo sulla bilancia mondiale, e quindi è destinata a diventare un soggetto attivo della politica internazionale o a rimanere il massimo oggetto della politica estera dell’America e della Russia, b) i governi degli Stati europei non possono più assicurare lo sviluppo economico nel quadro dove valgono le loro leggi, la loro politica, la loro amministrazione. Per questa ragione la tendenza verso la integrazione dei mercati nazionali, spinta avanti dalla forza stessa delle cose, si svolge incompletamente, è esposta al rischio di ritorni indietro, e soprattutto non è controllabile politicamente.
Naturalmente l’incapacità di assicurare l’indipendenza politica dei cittadini e di controllare politicamente il processo economico si traduce nell’impotenza pressoché totale degli Stati europei, che hanno perso la possibilità di svolgere efficacemente le loro funzioni più importanti. Tale stato di cose è oscuramente avvertito da tutti: dai gruppi politici nazionali, che si rivolgono l’un l’altro l’accusa di causarlo; e dai cittadini, che si disaffezionano fatalmente dai loro Stati e dalle istituzioni democratiche. Ma la causa di tale stato di cose resta inafferrabile. Tutti affermano che i difetti della vita politica italiana dipendono dalla condotta dei partiti opposti al proprio e nessuno osa pensare sino in fondo il rapporto che esiste tra la politica insoddisfacente condotta nel dopoguerra dagli Stati europei e gli Stati stessi che non sono più in realtà strumenti adatti per una efficace politica estera, militare, economica e sociale. Qui sta la radice della lenta ma continua decomposizione della volontà democratica della classe politica e dell’opinione pubblica: nessuno Stato può infatti mantenere buoni ordini quando non sa più servire i bisogni fondamentali dei cittadini.
La situazione, grave al presente, è drammatica rispetto al futuro. Basta pensare, per immaginare il futuro prevedibile, che gli Stati europei costringono l’economia pubblica entro dimensioni che non sono più sufficienti per raccogliere i mezzi indispensabili per la ricerca scientifica. Gli europei non scontano per ora le conseguenze di questo fatto perché possono ancora giovarsi dell’eredità del loro glorioso passato. Ma la situazione è destinata a diventare di giorno in giorno più grave ed a generare infine, se non si porrà rimedio, la fine della civiltà europea.
 
II
In diverse occasioni, con diversi strumenti e con diversi raggruppamenti, i governi degli Stati dell’Europa occidentale hanno riconosciuto ufficialmente questa situazione, come risulta dai fatti seguenti:
1) Nel campo della politica estera e militare i governi del Belgio, della Francia, della Germania, della Gran Bretagna, dell’Italia, del Lussemburgo, dell’Olanda hanno firmato il 23 ottobre 1954 a Parigi il Protocollo modificante e completante il Trattato di Bruxelles. Con tale atto essi istituirono l’Unione dell’Europa occidentale per «perseguire una politica di pace e rafforzare la integrazione progressiva dell’Europa». L’Unione è «organizzata in modo tale da poter esercitare le sue funzioni in permanenza»; il suo scopo è quello di «permettere alle Alte Parti Contraenti di concertarsi su qualunque situazione che possa costituire una minaccia contro la pace».
2) Nel campo della produzione dell’energia i governi del Belgio, della Francia, della Germania, dell’Italia, del Lussemburgo e dell’Olanda hanno firmato il 18 aprile 1951 a Parigi il trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio «fondata su un mercato comune, degli obiettivi comuni e delle istituzioni comuni». Gli stessi governi il 25 marzo 1957 firmarono a Roma il trattato istitutivo della Comunità Europea dell’Energia Atomica dichiarando di essere «convinti che solo uno sforzo comune intrapreso senza ritardo promette delle realizzazioni alla misura della capacità creatrice dei loro paesi».
3) Nel campo della politica economica i governi sopra citati hanno firmato a Roma, il 25 marzo 1957, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea. Secondo l’art. 3 del trattato: «l’azione della Comunità comporta: a) l’eliminazione, tra gli Stati membri, dei diritti di dogana e delle restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci, come di qualsiasi altra misura di effetto equivalente, b) lo stabilimento di una tariffa doganale comune verso gli Stati terzi, c) l’abolizione, tra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, d) l’instaurazione di una politica comune nel dominio dell’agricoltura, e) l’instaurazione di una politica comune nel dominio dei trasporti, f) lo stabilimento di un regime assicurante che la concorrenza non è falsata nel mercato comune…».
Questi sono i casi più importanti perché riguardano praticamente tutti gli aspetti del processo economico, ed aspetti essenziali della difesa militare e della produzione dell’energia. Ma, come è noto, numerosissime sono le organizzazioni internazionali europee alle quali i governi degli Stati europei hanno affidato compiti importanti nei settori politico, economico, sociale e scientifico. In tal modo i governi degli Stati europei hanno riconosciuto ufficialmente di non poter più affrontare, ciascuno per proprio conto, i loro compiti fondamentali, e si sono impegnati ad affrontarli nel quadro supernazionale.
Ma l’Europa non ne ha tratto giovamento. Al contrario, quando si discute come debba essere organizzata la sicurezza europea, quale debba essere la sorte di Berlino, della Germania e così via, proprio l’Europa è assente. Le decisioni che riguardano il destino dei tedeschi, dei francesi, degli italiani, in una parola degli europei, stanno ancora nelle mani dei russi e degli americani. Qual è dunque la causa di tale contraddizione? Gli Europei hanno organizzazioni comuni per la difesa e per il mercato, ma essi non hanno di fatto il potere di partecipare alla formazione delle decisioni internazionali che riguardano il loro modo di difendersi, ed in definitiva di produrre. Che cosa manca a tali organizzazioni?
Le Comunità non dipendono direttamente dai cittadini europei, e perciò non li possono rappresentare nella politica mondiale. Ciò mostra che alle Comunità manca il potere politico. Due sono le conseguenze di tale situazione: a) i governi dei sei paesi delle Comunità, accettando di unificare l’economia ma rimanendo politicamente separati, rinunziano a far valere il peso dell’economia europea — la prima del mondo quanto alla massa delle importazioni e delle esportazioni — nei rapporti internazionali, b) essi hanno così determinato un vero e proprio stato di anarchia, perché hanno trasferito competenze decisive per la sorte degli europei ad un livello dove non esiste il potere politico, ed hanno mantenuto poteri politici sovrani ad un livello dove non esistono più competenze fondamentali.
I governi dei sei paesi delle Comunità hanno in verità riconosciuto anche questa situazione. Essi infatti, quando firmarono i testi relativi alla istituzione della Comunità Economica e della Comunità dell’Energia Atomica, presero l’impegno di unificare le Assemblee delle Comunità e di far eleggere direttamente dai cittadini europei l’Assemblea unificata, e diedero inoltre mandato all’Assemblea stessa di elaborare il progetto della sua elezione. Ciò risulta dall’art. 2 della Convenzione relativa a talune istituzioni comuni alle Comunità Europee, dall’art. 138 del Trattato istintivo della Comunità Economica Europea e da altri articoli dei trattati di Roma.
 
III
In buona moneta le elezioni formano il potere politico perché si ritiene normalmente che i rappresentanti eletti dal popolo abbiano la facoltà di legiferare e di governare. Purtroppo questa non è l’opinione dell’Assemblea delle Comunità, che ha elaborato in Commissione, ed in seguito approvato, un progetto di elezione diretta che non prevede per l’Assemblea, quando essa sarà eletta dal popolo europeo, né la facoltà di fare le leggi, né quella di formare un governo.
E’ inutile spendere parole per dimostrare che in tal modo non si avrà un potere politico europeo, e bisogna invece ricordare che il destino degli europei si decide nella presente fase della politica mondiale. La Federazione Europea non è un buon ideale da realizzare tra una cinquantina d’anni, ma un mezzo indispensabile oggi per raddrizzare le sorti compromesse dell’Europa e per darle un avvenire. Se aspetteremo cinquanta anni, l’Europa non esisterà più. E’ necessario perciò tener presente che per formare il potere politico europeo la prima Assemblea europea eletta direttamente dovrà essere Costituente: solo in questo modo essa potrà infatti organizzare, secondo la volontà democratica del popolo europeo, un sistema di governo. Coloro che ritengono utopistica la lotta per la Costituente ignorano i dati reali del problema europeo. In realtà questa lotta è possibile perché i governi, i parlamenti ed i partiti dei sei paesi sono di fronte al problema dell’elezione diretta dell’Assemblea delle Comunità, e sta a loro scegliere tra il criterio democratico di dare al popolo europeo il diritto di eleggere dei veri rappresentanti, e quello antidemocratico di fare delle elezioni per burla. E’ per imporre questa alternativa che i federalisti hanno presentato ai Parlamenti dei sei Stati membri delle Comunità un progetto di trattato internazionale concernente l’elezione dell’Assemblea Costituente Europea, lo hanno sottoposto all’approvazione dei cittadini europei in tutte le città nelle quali hanno organizzato le elezioni primarie del Congresso del Popolo Europeo, ed hanno chiesto ai parlamenti di questi Stati di pronunziarsi su detto progetto di trattato.
 
IV
Questa riunione tra i delegati lombardi e ticinesi del Congresso del Popolo Europeo eletti dai 150.000 europei di Lombardia affluiti nel 1959 ai 170 seggi che i federalisti poterono approntare contro i circa 5000 seggi delle elezioni nazionali, ed i parlamentari lombardi che hanno accettato di sostenere il progetto di trattato, ha come scopo quello di studiare le modalità ed il termine della presentazione di un ordine del giorno relativo alla Costituente nel Parlamento italiano.
Prima di iniziare questo esame conviene ricordare che l’Europa non è divisa dalla «storia», come si usa dire. Le grandi componenti della storia: la religione, la cultura, la scienza, la tecnica, le tradizioni sono in Europa più unitarie che in India, in Russia e persino nella stessa America del Nord. L’Europa è divisa soltanto perché la classe politica europea ha scelto nel secolo scorso la nefasta concezione dello Stato mononazionale. In realtà i parlamentari ed i governanti degli Stati europei hanno tenuto sinora divisa l’Europa perché hanno conservato la sovranità assoluta dei loro Stati. I parlamentari ed i governanti degli Stati europei hanno tuttavia la possibilità di unire l’Europa perché hanno il potere di trasferire una parte della sovranità dei loro Stati ad una Assemblea Costituente liberamente eletta dal popolo europeo.
Ciò significa che i parlamentari ed i governanti degli Stati europei hanno nelle loro mani l’unità e la divisione dell’Europa; ciò significa che essi portano la responsabilità della vita e della morte dell’Europa. Con le sue elezioni popolari, e con ogni altro mezzo, il Congresso del Popolo Europeo sta facendo conoscere agli europei questa verità; ed i cittadini europei, a grado a grado che l’apprendono, cominciano a sostenere coloro che accettano l’Assemblea Costituente ed a combattere coloro che la rifiutano. Questa lotta non si arresterà, perché i federalisti sono fermamente decisi ad imporre a tutti le loro responsabilità europee.


[1] Questo testo è stato pubblicato su «Il Federalista», anno I, fascicolo 1, giugno 1959.
[2] La mozione proposta ai parlamentari è la seguente: «La Camera dei Deputati (il Senato della Repubblica) invita il Governo, in ottemperanza all’art. 11 della Costituzione, a negoziare con i Governi degli altri Paesi membri delle Comunità Europee la stipulazione del seguente Trattato Internazionale (allegato) per la convocazione di una Assemblea Costituente Europea».
[3] Si tratta dei senatori: Banfi Arialdo, Bergamasco Giorgio, Cornaggia Medici Gianmaria, Lami Starnuti Edgardo, Savio Edgardo, Samek Ludovici Emanuele, Turani Daniele, Zelioli Lanzini Ennio; e dei deputati: Azimonti Pierino, Berté Pierantonio, Biaggi Francantonio, Bucalossi Pietro, Butté Alessandro, Calvi Ettore, Del Bo Dino, Ferrari Giovanni, Galli Luigi, Gennai Tonietti Erisia, Gitti Angelo, Lombardi Giovanni, Migliori Giovanbattista, Montini Lodovico, Origlia Edoardo, Patrini Franco, Pedini Mario, Rampa Leandro, Ripamonti Camillo, Roselli Enrico, Sangalli Vincenzo, Tremelloni Roberto, Vigorelli Ezio, Zappa Franco, Zanibelli Amos, Zugno Faustino.

 

 

 

 

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