IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LX, 2018, Numero 2-3, Pagina 159

 

 

UN PROGETTO DI TRATTATO PER L’ISTITUZIONE DI UN BILANCIO AD HOC PER L’EUROZONA*

 

 

La crisi dell’Unione europea.

La crisi che sta vivendo l’Unione europea non ha precedenti nella sua stessa storia. L’impasse che oggi il progetto sperimenta non è infatti legato a questioni specifiche, politiche od economiche, come altre volte è accaduto in passato, e in modo particolarmente grave con la crisi finanziaria dal 2011 e quella migratoria nel 2015-2016; è, piuttosto, l’effetto della vittoria elettorale delle forze nazionaliste e anti-democratiche che vogliono smantellare le strutture del processo di unificazione europea, non solo in nome di un ritorno a fantomatiche sovranità nazionali, ma anche dell’affermazione di regimi politici che orgogliosamente rivendicano la loro vocazione illiberale.

Le forze illiberali al governo paralizzano ormai l’UE perché nell’ambito del Consiglio Europeo e del Consiglio hanno fatto venir meno la condizione necessaria al funzionamento minimo del sistema: vale a dire la condivisione della volontà da parte di tutti i membri di salvaguardare l’esistenza del quadro europeo, per quanto interpretato in base a visioni differenti. Sotto questo aspetto, quanto sta avvenendo in Italia non può e non deve essere sottovalutato.

Rispetto a questa situazione che si è venuta a creare, i temi specifici che le forze anti-europee sfruttano per guadagnare consenso presso l’opinione pubblica (in particolare la questione migratoria e la questione economica) diventano solo pretesti a fini elettorali, ben al di là delle dimensioni reali dei problemi. Rimane quindi vero, da un lato, che le cause del successo delle forze antisistema in Europa sono radicate in larga parte nelle difficoltà incontrate dalla politica democratica nel governare la globalizzazione. Ma, ciò detto, dall’altro lato è altrettanto vero che le forze anti-democratiche sono un problema in sé, che non è destinato a scomparire tamponando i problemi che essi evocano strumentalmente. Per opporre alla loro propaganda soluzioni efficaci, la politica democratica deve pertanto riuscire a rifondare il progetto europeo.
 

La battaglia per salvare la democrazia.

Francia e Germania, da sempre motore dell’integrazione europea, hanno anche una responsabilità supplementare in questo momento. Di fatto, i loro governi sono diventati i baluardi della democrazia in Europa. Due sono i compiti che devono fronteggiare: salvare l’Europa, riuscendo ad imprimere una forte accelerazione al processo di costruzione dell’unità politica del continente; ed essere un punto di riferimento per le forze democratiche nella battaglia per riportare il nazionalismo fuori dalla storia europea. E’ una battaglia su cui devono convergere, al di là delle differenze specifiche che caratterizzano i partiti di destra e di sinistra, tutti i democratici, analogamente a quanto accaduto nella guerra e nella resistenza al nazi-fascismo, perché il pericolo non è inferiore oggi per gli europei, che rischiano di autodistruggersi e di privare le prossime generazioni di ogni prospettiva di futuro.

Le elezioni europee del prossimo anno saranno un appuntamento decisivo in questa battaglia per le sorti della democrazia in Europa. E lo saranno anche per valutare la determinazione della politica e delle forze democratiche nel mettere in campo un progetto alternativo a quello nazionalista e anti-europeo.

In questo percorso, un momento di verifica cruciale sarà quello del Consiglio europeo di dicembre, dove i governi di Francia e Germania si sono impegnati a presentare un progetto che indichi innanzitutto come sciogliere alcuni dei nodi che stanno bloccando l’UE. Tra questi, in primo piano è il nodo del completamento dell’Unione economica e monetaria, una riforma che, al contrario di altre in cui sono soprattutto la Commissione e il Parlamento europeo ad avanzare proposte, resta invece nelle mani dei governi; e si tratta forse del dossier più delicato per capire se è possibile avanzare sulla via dell’unificazione politica.

Nelle indicazioni avanzate dalla Francia, l’obiettivo è quello di fare dell’Eurozona una potenza economica globale; e da tempo sono in corso i negoziati con la Germania per valutare quali proposte avanzare congiuntamente. Un primo risultato è stato raggiunto con la Dichiarazione di Meseberg del 19 giugno 2018. Il nodo cruciale e più controverso è quello della creazione di un bilancio autonomo della zona Euro. Un bilancio di questo genere, nel quadro dell’Unione monetaria, avvia il percorso per l’istituzione di un primo effettivo potere fiscale a livello europeo, e quindi per la creazione di una sovranità europea, affiancata a quelle nazionali, in una materia al cuore delle prerogative della statualità. Il passaggio è quindi decisivo innanzitutto sul piano politico, perché avvia la trasformazione della natura del sistema istituzionale europeo, creando uno strumento politico genuinamente federale e rendendo necessario (per ragioni di sostenibilità democratica), nell’attribuire un potere decisionale autonomo agli organi europei preposti al governo di questa competenza, un potere di controllo democratico da parte del Parlamento europeo.

Se Francia e Germania, insieme ai paesi più europeisti, avranno il coraggio di proporre a dicembre questo tipo di riforma per l’area Euro, accompagnandolo all’impegno di sostenere l’avvio di un processo di revisione dei Trattati in tempi certi, il confronto politico in vista delle elezioni europee cambierà radicalmente. La possibilità che le forze democratiche e pro-europee si uniscano su una piattaforma comune di riforma dell’Unione europea ne uscirà immensamente rafforzata, e darà sostanza alla campagna elettorale, aiutando il fronte europeista a cercare il dialogo con i cittadini e a sfidare la propaganda delle forze anti-sistema sulla base di una visione coraggiosa e ambiziosa.
 

Il coraggio dell’avanguardia.

Se un progetto di riforma della zona Euro di questa natura verrà portato in Consiglio europeo non sarà condiviso da tutti i 27 Stati dell’Unione europea, e probabilmente neanche da tutti quelli dell’area Euro. Oggi, il tema fondamentale è diventato proprio quello di non rimanere prigionieri dei governi che mirano a bloccare gli ingranaggi comunitari e a distruggere le basi della stessa Unione europea. Per questo oggi ridiventa centrale il tema delle integrazioni differenziate e della necessità di un’assunzione di responsabilità da parte di un’avanguardia di paesi per sbloccare l’impasse. Non esistono altre strade: nel quadro comunitario a 27 è infatti impensabile una riforma graduale dell’Unione partendo dai Trattati vigenti, dove tutti gli strumenti di flessibilità presenti implicano l’accordo per andare avanti da parte di quelli che non lo vogliono fare, e quindi un ruolo comunque costruttivo da parte di chi è contrario; e al tempo stesso un progetto costituente per cambiare i Trattati a 27 è improponibile nell’attuale situazione.

Non è la prima volta, del resto, che il problema si pone nella storia europea. L’esordio stesso della CECA è potuto avvenire grazie alla rottura del quadro del Consiglio d’Europa, al cui interno era impossibile fare passi concreti per avviare l’integrazione. Solo sei Paesi hanno condiviso la volontà di dar vita alla prima Comunità europea, con caratteristiche genuinamente sovranazionali; ma, al tempo stesso, questa Comunità è sempre rimasta aperta agli altri paesi che avessero voluto entrare a farvi parte. Come sempre quando diventa necessario ricorrere al concetto di avanguardia e di nucleo iniziale, non si deve temere la creazione di entità chiuse; anche i precedenti lo dimostrano: non si è mai trattato di escludere, bensì di avviare un processo che permettesse anche agli altri Stati, inizialmente scettici, di entrare a farne parte, una volta maturata la decisione. Anche la nascita dell’Unione monetaria è stato un altro esempio in questo senso. Si è trattato di un progetto che è potuto partire solo grazie ad un’azione guidata da un’avanguardia, cosa di cui ai tempi si era molto consapevoli; basta rivedere il dibattito di quegli anni sul nucleo duro e sulla federazione nella confederazione per rendersene conto. Sin dalla stesura del progetto, infatti, alcuni Stati sono stati contrari e hanno preteso, contro la determinazione degli altri a procedere, di poter usufruire di clausole speciali di opting out; ma anche tra chi aveva sottoscritto l’impegno, le riserve e le difficoltà erano tali che è stata necessaria una forte iniziativa da parte di Francia e Germania, che hanno così innescato il meccanismo di spingere gli altri, inizialmente poco pronti ad un’adesione immediata, a prepararsi ad entrare.

Anche recentemente il Fiscal Compact ha mostrato come alcune decisioni vitali per salvaguardare il funzionamento dell’UE possano essere prese a maggioranza anche solo da una parte dei paesi membri; il fatto che poi il numero di Stati aderenti sia arrivato a 25 è la dimostrazione che quando un’iniziativa viene avviata le adesioni poi si moltiplicano. Il precedente del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria entrato in vigore nel 1° gennaio del 2013 è indicativo anche per il fatto che dimostra la possibilità sia di continuare ad operare nel quadro dell’Unione europea con il supporto delle istituzioni comunitarie anche stipulando un trattato internazionale tra una parte dei paesi membri dell’UE; sia di poter far entrare in vigore questo Trattato a maggioranza, senza dover raggiungere l’unanimità.

Oggi serve la stessa determinazione; e la posta in gioco è molto più alta che nel passato. Per questo Francia e Germania devono riprendere il cammino interrotto con la nascita dell’Euro. Come allora bisogna rilanciare l’idea di un nucleo duro di paesi che funga da magnete per contrastare le spinte centrifughe; come allora bisogna creare condizioni effettive di forte integrazione che leghino gli uni agli altri i destini degli Stati; come non è stato fatto allora, bisogna che la natura politica dell’iniziativa si traduca anche in cambiamenti istituzionali che facciano nascere una sovranità politica europea.

E’ in questa ottica che vogliamo proporre, come contributo al processo in corso a partire dalla Dichiarazione di Meseberg, e in vista dell’elaborazione delle proposte per il Consiglio europeo di dicembre, un progetto, di Paolo Ponzano, Giulia Rossolillo e Luca Lionello, di possibile Trattato, per avviare le riforme dell’Unione monetaria nella direzione, da tempo indispensabile, di una vera unione politica federale.

Luisa Trumellini

Milano, 15 settembre 2018

 

PROGETTO DI TRATTATO TRA I PAESI DELL’EUROZONA

 I SOTTOSCRITTI PAESI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA
LA CUI MONETA E’ L’EURO,
DI SEGUITO DENOMINATI “PARTI CONTRAENTI”,

desiderosi di compiere ulteriori passi avanti sulla via dell’integrazione politica dell’Europa,

consapevoli tuttavia del fatto che altri paesi dell’Unione europea non sono disponibili, allo stato attuale, a compiere tali passi avanti e a consentire le condivisioni di sovranità necessarie a tal fine,

preoccupati del fatto che l’attuale asimmetria tra un’unione monetaria dotata di una sovranità propria e indipendente da quella dei singoli Stati ed un’unione economica basata sul mero coordinamento delle politiche nazionali potrebbe minacciare a termine la stabilità stessa della zona Euro in caso di shock economici asimmetrici tra i vari paesi,

considerando che tale minaccia potrebbe concretizzarsi, in caso di nuova crisi economica dopo la fine dei meccanismi di intervento messi in opera dalla BCE, in assenza di meccanismi di stabilizzazione dotati di risorse sufficienti e che permettano di contrastare i suddetti shock asimmetrici fra i paesi della zona Euro,

convinti della necessità di stimolare la convergenza economica tra i paesi della zona Euro incoraggiando gli investimenti e riducendo la disoccupazione,

convinti della necessità di coniugare una sana gestione della finanza pubblica da parte delle parti contraenti con una maggiore crescita economica a livello della zona Euro,

HANNO CONVENUTO LE DISPOSIZIONI SEGUENTI:

ARTICOLO 1

Con il presente Trattato le parti contraenti, in qualità di Stati membri della zona Euro, decidono di creare: i) un bilancio proprio separato dal bilancio dell’Unione europea e addizionale a quest’ultimo con l’obiettivo di stimolare la convergenza e la competitività economica delle parti contraenti attraverso investimenti per l’innovazione e lo sviluppo del capitale umano; ii) uno strumento ad hoc, denominato Fondo europeo per l’occupazione, al fine di intervenire, in caso di gravi crisi e/o shock asimmetrici, sul conseguente aumento improvviso della disoccupazione in alcuni paesi.

ARTICOLO 2

L’ammontare di tale bilancio proprio sarà complessivamente di 80 miliardi di Euro annuali. Le risorse del bilancio proverranno per un periodo iniziale di tre anni da contributi nazionali delle parti contraenti. Al fine di realizzare gli obiettivi del presente Trattato, i contributi nazionali destinati ad alimentare il presente bilancio non saranno calcolati all’interno del rapporto del 3% tra deficit annuale e prodotto interno lordo dei paesi contraenti previsto dal Patto di Stabilità e di Crescita.

L’ammontare del Fondo per l’occupazione sarà di 8 miliardi di Euro annuali, provenienti da contributi nazionali delle parti contraenti. Anche in questo caso i contributi nazionali destinati ad alimentare il Fondo non saranno conteggiati all’interno del rapporto del 3% tra deficit annuale e prodotto interno lordo dei paesi contraenti previsto dal Patto di Stabilità e di Crescita. L’attivazione del Fondo avverrà automaticamente in caso di condizioni specifiche.

ARTICOLO 3

Le parti contraenti versano i loro contributi finanziari al bilancio e al Fondo secondo una ripartizione conforme alla loro partecipazione finanziaria al bilancio dell’Unione europea. Il bilancio e il Fondo saranno gestiti dalla Commissione europea, in cooperazione con le parti contraenti, sulla base di un regolamento finanziario ad hoc allegato al presente accordo. In particolare, spetterà alla Commissione europea verificare che il bilancio e il Fondo siano utilizzati unicamente per raggiungere gli obiettivi di cui all’art. 1 del presente Trattato e non finanzi spese previste dal bilancio dell’Unione europea a beneficio di tutti gli Stati membri dell’Unione. La Commissione europea farà rapporto al Parlamento europeo dell’esecuzione del presente bilancio e del Fondo e ne sarà responsabile nei suoi riguardi.

ARTICOLO 4

Le parti contraenti decideranno, al più tardi nel corso del terzo anno a partire dalla data di entrata in vigore del presente Trattato, le misure necessarie per assicurare il finanziamento successivo del presente bilancio e del Fondo[1] e per integrare le disposizioni del presente Trattato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. A tale proposito le parti contraenti si impegnano a richiedere una revisione complessiva dei Trattati europei.

ARTICOLO 5

Il presente Trattato è aperto all’adesione di ogni Stato membro dell’Unione europea che abbia deciso di dotarsi dell’Euro in quanto moneta unica dell’Unione.

ARTICOLO 6

Il presente Trattato è ratificato dalle parti contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali. Esso entrerà in vigore il 1° Gennaio 2021, a condizione che almeno tre/quarti dei paesi contraenti abbiano depositato il loro strumento di ratifica presso il Segretariato del Consiglio dell’Unione europea.


* Questo documento è stato presentato alla Direzione nazionale del Movimento federalista europeo il 15 settembre 2018.

[1] Le parti contraenti decideranno al contempo se il presente bilancio/Fondo dovrà continuare ad essere finanziato da contributi nazionali ai sensi dell’articolo 2 oppure da risorse proprie dell’Unione europea o, se del caso, da un’imposta europea ad hoc decisa nel frattempo dalle stesse parti contraenti.

 

 

 

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