IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIII, 2021, Numero 1, Pagina 144

 

 

LA CENTRALITÀ DELLA RIFORMA
DELLA COMMISSIONE EUROPEA
NEL QUADRO ISTITUZIONALE DELL’UE*

 

 

1. Premessa.

In questo breve scritto intendo svolgere alcune considerazioni sulla cosiddetta “Forma di Governo dell’Unione Europea”,[1] intesa come analisi della distribuzione dei poteri tra gli organi di vertice dell’UE, al fine di individuare quali riforme possono essere considerate utili al fine di avanzare nel senso di un’Europa federale, sovrana e democratica. Non tratterò, dunque, dei requisiti che dovrebbe avere l’auspicata Federazione europea ma solo delle possibili riforme coerenti con un’evoluzione in quella direzione.

Non intervengo, pertanto, sul tema della distribuzione delle competenze per materia tra UE e Stati membri,[2] né entro nel dettaglio delle necessarie riforme del Parlamento europeo,[3] anche se cruciali per lo sviluppo anzidetto, ma cercherò di dare una visione d’insieme degli interventi necessari per modificare l’equilibrio dei poteri entro il cosiddetto “triangolo istituzionale”.

Si tratterà di valutazioni concernenti il “sistema politico-istituzionale”, quindi non limitate al dato giuridico ma attente anche alla sua effettiva applicazione.
 

2. Analisi del quadro generale.

Fatto salvo un cenno alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ormai chiaramente destinata ad entrare sempre più nell’equilibrio dei poteri interni all’UE e in quello dei rapporti UE–Stati membri, l’attenzione è rivolta alle tre istituzioni direttamente coinvolte nei processi decisionali: il Parlamento europeo, il Consiglio (strettamente collegato al Consiglio europeo, per la riconducibilità di entrambi ad un unico centro di potere) e la Commissione.

È certamente evidente la centralità del ruolo del PE nell’ottica federalista, tuttavia, a mio avviso, è la Commissione, in quanto embrione di un potenziale governo,[4] a rappresentare lo snodo fondamentale per comprendere (e modificare) l’equilibrio tra i poteri che agiscono nel quadro istituzionale dell’UE.

Quest’affermazione resta fondata nonostante vada considerato che, dopo il Trattato di Lisbona, il tradizionale confronto fra metodo comunitario (e prospettiva federalista) e metodo intergovernativo non è più rappresentato dalla dialettica fra Commissione e Consiglio, ma piuttosto da quella fra Consiglio Europeo e PE.[5] In questi anni abbiamo infatti assistito ad uno “sbilanciamento di potere” a favore del Consiglio europeo, il quale, progressivamente, ha acquisito un ruolo politicamente centrale nel sistema europeo, divenendo il vero organo di governo dell’UE. Al di là del tutt’altro che irrilevante potere di orientamento conferitogli dal Trattato, esso ha esteso la sua influenza sul potere esecutivo e legislativo, vale a dire sui lavori della Commissione e del Parlamento europeo.[6]

Il peso dei “consigli” si è rafforzato ulteriormente con la crisi economica,[7] con un’evidente “trasformazione intergovernativa” del quadro istituzionale dell’Unione che, rischia di produrre una vera e propria “implosione intergovernativa” del sistema.[8]

La Commissione è, peraltro, l’organo che più incarna la natura ibrida dell’UE, infatti non può essere inquadrata come organo di governo, in base alle categorie statuali del diritto costituzionale, né come organo meramente esecutivo, del tipo del quale solitamente si avvalgono le organizzazioni internazionali.[9] Perciò è la cartina al tornasole dell’evoluzione del sistema europeo di governo: una compressione del ruolo della Commissione a favore del Consiglio starebbe a significare la prevalenza di un assetto intergovernativo dell’UE, viceversa, il consolidarsi del suo rapporto fiduciario con il PE e una conseguente acquisizione di capacità di indirizzo politico, del quale diremo in seguito, avvicinerebbe il sistema istituzionale europeo ad una prospettiva di governo federale.

Negli ultimi anni, dopo il fondo toccato con la presidenza Barroso, abbiamo assistito ad un rafforzamento di Consiglio europeo e PE che si sono contesi (e probabilmente si stanno ancora contendendo) il controllo sulla Commissione. La soluzione che troverà questo contrasto sarà determinante per capire la direzione presa dall’UE. Un po’ come lo fu il braccio di ferro tra sovrani costituzionali e parlamenti per il controllo del governo.[10]
 

3. Le riforme su cui puntare.

3.1. Il progressivo rafforzamento del PE nel processo legislativo, mediante una generalizzazione del ricorso alla procedura ordinaria, la cosiddetta “codecisione”, è indubbiamente un passaggio cruciale.

È altresì centrale, tuttavia, il potere di determinare l’indirizzo politico, vale a dire l’individuazione e il perseguimento degli obiettivi politici, che nelle democrazie liberali nasce dal rapporto Governo-Parlamento[11] e che nell’UE è, ai sensi dell’art. 15 TUE,[12] fortemente concentrato nelle mani del Consiglio europeo, il quale ha mostrato in modo evidente il tipico limite degli organi intergovernativi: ciascun componente risponde solo al proprio elettorato ed agisce di conseguenza, con il rischio che paesi più forti (per diversi motivi, non necessariamente e solo demografici o economici) prevalgano oppure che si determinino situazioni di stallo o di compromesso al ribasso.

3.2. Quel che manca nel sistema istituzionale europeo è un organo di governo sovranazionale, responsabile, in qualche misura, davanti ai cittadini europei nel loro complesso.

La Commissione, attualmente, non può essere considerata l’effettivo titolare del potere esecutivo, i cui aspetti più rilevanti condivide con altre istituzioni[13] ma, soprattutto, non è coinvolta in misura adeguata nella determinazione dell’indirizzo politico. Essa, inoltre, non può essere considerata legata da un rapporto di fiducia in senso stretto con il PE.[14] Il voto di approvazione previsto da parte del PE nei confronti della Commissione è, infatti, ancora distante da un’effettiva mozione di fiducia, richiama piuttosto l’attività di controllo del PE ed è, dunque, riconducibile ad un “gradimento” più che ad un meccanismo di investitura di poteri di governo da parte di una maggioranza parlamentare.[15] A ciò si aggiunga che, nonostante sia stato inserito un collegamento tra esito delle elezioni del PE e proposta del Presidente della Commissione, questo non produce una connotazione politicamente omogenea del Collegio dei commissari (a differenza di quanto tendenzialmente accade per un effettivo Governo) “sulla cui composizione il Presidente incide solo relativamente”, essendo chiamato a trovare un accordo in seno al Consiglio, mentre provengono “dagli Stati membri le proposte per la nomina degli altri membri della Commissione”,[16] meccanismo, per inciso, irrigidito dalla previsione della presenza di un cittadino per ogni stato membro, regola non superata nonostante quanto disposto dal Trattato di Lisbona.[17] In questo senso va anche il meccanismo previsto per la rimozione della Commissione, la “mozione di censura”, il quale anche per l’elevato quorum richiesto richiama più la messa in stato d’accusa per una responsabilità giuridica che una sfiducia politica, mentre “il rapporto di fiducia comporta sempre la responsabilità politica del governo nei confronti del parlamento, che questo può far valere mediante l’approvazione di una mozione di sfiducia che costringe il primo a dimettersi”,[18] tant’è che alcuni sistemi parlamentari prevedono la presunzione della fiducia, salvo voto contrario. Ricordiamo infine che il sistema europeo non prevede né procedure di scioglimento anticipato del PE, né vincoli di sfiducia costruttiva.[19]

3.3. È prioritario, dunque, agire per aumentare il grado di legittimazione democratica sovranazionale delle istituzioni europee.[20] E tra le possibilità sul tappeto quella del rafforzamento della Commissione risulta la più praticabile, quella che offre la minor resistenza e una maggior versatilità, essendo ipotizzabili interventi a Trattati invariati o con modifiche puntuali e circoscritte degli stessi, oltre che, ovviamente e auspicabilmente, con l’adozione di un Trattato-Costituzione. È inevitabile che ciò comporti un ridimensionamento se non un superamento del metodo comunitario; d’altronde “la teoria funzionalista dell'integrazione soprannazionale ha in comune con quella federalista l'obiettivo del superamento della sovranità assoluta”[21] e, dunque, quel momento è connaturato al pensiero funzionalista sul quale si fonda il metodo comunitario, sulla crisi e le prospettive di evoluzione del quale si è aperto, già da almeno un decennio, un dibattito tra chi considera necessario mantenerlo, sostanzialmente, alla base del processo decisionale europeo e chi invece vede in un suo adeguamento alle esigenze di creare un potere politico europeo democraticamente legittimato l’unica possibilità per superarne le difficoltà ed evitare un regresso in senso intergovernativo.[22]

3.4. L’obiettivo immediato, a mio avviso, deve essere quello di giungere ad una sorta di codeterminazione dell’indirizzo politico tra il Consiglio europeo e una Commissione (necessariamente “depurata” delle attuali funzioni di garanzia a favore di un’Autorità amministrativa indipendente o di un organo giurisdizionale[23]) legata da un effettivo rapporto fiduciario al PE,[24] chiamato ad essere, insieme ad un Consiglio privato delle residue funzioni esecutive, pienamente titolare del potere legislativo. Per inciso va rilevato che una tale trasformazione dovrebbe prendere in considerazione una rivisitazione tanto del sistema delle “formazioni” del Consiglio, quanto di quello delle relative presidenze, ponendo fine alla presidenza di turno basata su di una rotazione semestrale, foriera, finora, di non poca confusione di ruoli.

Dico Consiglio europeo e Commissione perché in un sistema come quello europeo non è sostenibile un’improvvisa estromissione della componente intergovernativa dal circuito della determinazione dell’indirizzo politico e la trasformazione del Consiglio europeo, che è la più rilevante istanza intergovernativa del sistema, in una mera presidenza collegiale dell’Unione, con le conseguenti caratteristiche di garanzia e di neutralità.[25]

Dunque, almeno inizialmente, si tratterebbe di un sistema effettivamente “bicefalo”, ma non semipresidenziale,[26] con un potere di indirizzo politico condiviso tra istituzioni intergovernative, PE e Commissione, mentre attualmente esso è sbilanciato a favore dei governi. La Commissione sarebbe caratterizzata da una “doppia legittimazione” concessa tanto dal PE quanto dalla componente intergovernativa.[27] Ma la sintesi dovrebbe avvenire nell’ambito esecutivo, non in quello legislativo. La problematicità del modello si potrebbe, in prospettiva, presentare laddove si affermasse un orientamento politico diverso tra PE e Consiglio europeo, ipotesi denominata in dottrina, richiamando il caso francese già in un commento al progetto di Costituzione per l’Europa, “coabitazione”.[28]

La dialettica tra Consiglio europeo e PE dovrebbe portare, comunque, ad una condivisione dell’indirizzo politico, in prospettiva con una prevalenza della volontà del PE, in virtù dell’asse privilegiato con la Commissione, come è proprio dei modelli “bicefali” non autoritari. Tale prevalenza non potrebbe comunque prescindere dalla costante ricerca di una condivisione dell’indirizzo politico.

3.5. In un quadro del genere assumerebbe una notevole rilevanza l’organo chiamato a dare raccordo e sintesi tra i due soggetti legittimanti. Quest’organo non potrebbe che essere il Presidente della Commissione, punto di caduta della mediazione tra i due poteri. In quest’ottica è opportuna una seria riflessione sull’eventualità, già consentita dai trattati,[29] di procedere ad un’unificazione della presidenza del Consiglio europeo e di quella della Commissione in capo a quest’ultima.

In questo senso è necessario operare per il rafforzamento dello Spitzenkandidat,[30] anche attraverso qualche forma di istituzionalizzazione dello stesso (senza volere con questo escludere a priori interventi più forti ed incidenti sulla “forma di governo” dell’UE come l’elezione diretta di un presidente unico). Non è comunque possibile evitare che, in assenza di una formale elezione diretta, il PE, per raggiungere la prescritta maggioranza assoluta, debba optare per lo Spitzenkandidat proposto da una formazione diversa da quella che ha raggiunto la maggioranza relativa o, addirittura, per un’altra persona, come avvenuto con la cosiddetta “maggioranza Ursula”.

Nella procedura di designazione del Presidente della Commissione, oltre che i rapporti di forza Consiglio europeo-PE, giocano un ruolo fondamentale i partiti europei.[31] Al fine di rafforzare la legittimazione del PE e, tramite questo, della Commissione, nonché il ruolo degli stessi (debolissimi) partiti europei, merita attenzione la proposta di istituire un collegio unico europeo con liste transazionali, i cui capilista siano i candidati in pectore per ciascuna lista (che, è bene sottolinearlo, potrebbe essere anche di coalizione: i partiti sarebbero incentivati coalizzarsi se il meccanismo dimostrasse di essere idoneo ad influenzare la nomina) alla carica di Presidente della Commissione.

Questo meccanismo consentirebbe di enfatizzare il quadro europeo della competizione elettorale, finora troppo caratterizzata da una visione meramente nazionale, dando un ruolo ed una visibilità maggiore ai partiti europei e mettendo in evidenza le loro proposte di candidatura alla carica di Presidente della Commissione, che avrebbero così un’ancora più forte legittimazione democratica.

È noto che un meccanismo del genere è inusuale, anche in stati federali. Per comprenderne le ragioni e valorizzarne gli aspetti positivi bisogna però tenere presente l’assoluta originalità del processo di integrazione europea. Nel quale gli stimoli istituzionali volti a favorire l’affermazione di un quadro decisionale comune democratico e non meramente intergovernativo sono più necessari che mai.[32]

Questo strumento non può essere immaginato come alternativo ai collegi elettorali nazionali (tipici di tutte le federazioni) ma piuttosto come elemento di competizione elettorale sovranazionale, politicamente (non giuridicamente, per non scivolare in una surrettizia elezione diretta del presidente della Commissione, meccanismo pure plausibile ma sul quale ci sono non poche perplessità) collegato al candidato presidente. Auspicabilmente con un elemento premiale da un punto di vista elettorale che, in prospettiva, potrebbe indurre a creare liste transnazionali di coalizione.

3.6. In questo quadro andrebbe ripreso — anche se aggiornato, depurandolo dal previsto meccanismo di rotazione paritaria di difficile realizzazione e di dubbia utilità — il tentativo, pur contenuto nel Trattato di Lisbona, di giungere al superamento della regola della presenza nella Commissione di (almeno) un cittadino di ciascuno Stato membro, questo anche per escludere la possibilità che la stessa sia concepibile come un (ennesimo) consesso di rappresentanti degli Stati.[33] Questa scelta rafforzerebbe il ruolo della Commissione come portatore in via esclusiva dell’interesse dell’UE nel suo insieme e di conseguenza il ruolo politico della Commissione che diverrebbe la portatrice di una visione comunemente condivisa dell’interesse europeo, data dal contemperamento dei diversi interessi (nazionali, locali, trasversali ecc.) che sono presenti nel Continente, così come interpretati da una concezione ideale comune. Ma ciò che sarebbe davvero determinante, pur in presenza del mantenimento, per obbligo giuridico o semplicemente per prassi, della presenza di un cittadino per Stato membro[34] è l’attribuzione di un’effettiva facoltà di scelta dei membri della Commissione al Presidente eletto. Questo obiettivo può essere conseguito con diverse modalità, a seconda della discrezionalità che si vuole attribuire al Presidente, che variano dalla sua scelta nell’ambito di rose di nomi (più o meno numerose) proposte dagli Stati, alla sua proposta al Consiglio europeo, al quale residuerebbe un potere di veto difficilmente esercitabile, fino ad arrivare ad una nomina diretta dei commissari da parte del Presidente.

3.7. Un rapidissimo cenno al ruolo della Corte di Giustizia. La giurisdizione dell’UE, è da sempre centrale per il processo di integrazione, la sua giurisprudenza ha spesso colmato le lacune lasciate dalle deboli istituzioni europee ed anticipato in via interpretativa scelte poi fatte proprie dai trattati. Dopo un periodo di compressione del suo ruolo (dagli anni Novanta in poi) è tornata ad avere un ruolo rilevante per definire la portata dell’ordinamento europeo e i suoi rapporti con quelli nazionali. Fondamentale si è rivelato il dialogo tra giudici europei e nazionali. In questo senso andrebbe ripensata anche la formazione della Corte di Giustizia, al fine di accentuarne il legame con le giurisdizioni nazionali piuttosto che con gli esecutivi nazionali.
 

4. Per una distinzione per materia del “governo” dell’UE.

La struttura di “governo” dovrebbe necessariamente, almeno in una prima fase, essere diversa tra l’area economico-finanziaria e il settore della politica estera e di difesa, per il quale è comunque auspicabile un concreto e rapido rafforzamento. Ciò non toglie che sia essenziale un potenziamento dell’esecutivo europeo anche in quest’ambito: il “potere estero” infatti vede in tutti gli ordinamenti una netta prevalenza del ruolo del governo rispetto alle assemblee parlamentari.

Il grado di avanzamento del processo di unificazione europea in ambito di politica estera e di difesa è tuttavia molto arretrato rispetto a quello del Mercato unico e dell’Unione economico-monetaria. In esso è pertanto inevitabile, almeno inizialmente, una maggiore presenza dell’approccio intergovernativo (altrove largamente superato e superabile) sia pure sempre più temperato da alcuni elementi comunitari. Il processo di integrazione è diverso in ambito economico-monetario e di politica estera e di difesa ma è soprattutto molto disomogeneo per quanto riguarda i tempi di realizzazione: l’UEM è caratterizzata da un iter che può essere più graduale ma che è iniziato da più tempo ed è quindi ormai maturo per un completamento in senso federale; il percorso della politica estera e di difesa è quasi appena iniziato ma, per sua natura, è meno frammentabile nel tempo. Quindi o si arresta o procede rapidamente. Nella politica estera e di difesa è infatti più complesso un avanzamento lento e graduale essendo più netto e deciso lo iato tra cooperazione intergovernativa e unione politica.

Ciò non toglie che, per avere buone possibilità di avanzamento e per la credibilità politica del progetto di integrazione in politica estera e di difesa, sia opportuno che venga stilato un programma di lungo periodo (quanto lungo è davvero difficile a dirsi, anche relativamente poco, se pensiamo che per la CED-CEP tutto si svolse nell’arco di meno di quattro anni, dal Piano Pleven al voto contrario dell’Assemblea Nazionale francese[35]) per l’integrazione dei relativi poteri, con tappe precise, collocate in un adeguato ordine cronologico, sulle orme di quanto accaduto nell’iter che ha portato alla moneta unica.

Infine, andrebbe immaginato un diverso ruolo delle istituzioni per la governance degli ambiti (il Mercato unico, innanzi tutto) nei quali potrebbero rimanere gli Stati che non volessero aderire ad una riforma dei trattati pur non volendo (o potendo) né impedirla, né abbandonare l’UE. Per realizzare una tale dicotomia sarebbe necessario, nel momento in cui si profilasse la mancanza di un accordo unanime, un patto tra Stati, per così dire, “innovatori” e “immobilisti” in grado di garantire entrambi nonché di rendere plausibile e praticabile la separazione tra i due livelli di integrazione.[36]
 

5. Cenno conclusivo.

Le proposte di riforma istituzionale possono essere molto diverse tra loro, soprattutto più si scende nei dettagli. È giusto formularne al fine di dare un contributo serio al dibattito politico ed indirizzarlo su quelli che appaiono punti chiave nella prospettiva auspicata, nel caso di chi scrive, quella federale. È, tuttavia, necessario mantenere la flessibilità che la politica impone. Senza innamorarsi troppo dei propri “modelli” ma avendo comunque ben presenti gli aspetti rilevanti delle proposte, sui quali non transigere.

Se formulate e gestite in quest’ottica possono avere la loro utilità. Come scriveva Calamandrei: “anche la preparazione dei piani a tavolino e i calcoli anticipati dei giuristi possono avere, nella storia, il loro valore pratico”, essere una forza storica “che, ragionando in via d’ipotesi su una realtà ancora in divenire, concorre a dirigerla e a plasmarla secondo le previsioni”, considerando che “tra gli altri coefficienti che possono indurre gli uomini a volere, c’è anche quello di persuaderli che, se volessero, le difficoltà pratiche per arrivare allo scopo non sarebbero insormontabili. Il motto volere è potere è più vero capovolto: potere è volere.”[37]

Salvatore Aloisio


[*] Si tratta della rielaborazione della relazione tenuta alla 1a Commissione, Le riforme per un’Europa federale, sovrana e democratica, del 30° Congresso nazionale del Movimento federalista europeo, svoltosi a Vicenza il 22-24 ottobre 2021.

[1] Sulla cauta utilizzabilità della nozione generale di “forma di governo” e di “indirizzo politico” con riferimento all’Unione europea v., per tutti, il recente studio di E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea. Alcuni profili rilevanti, Diritto e Società, n. 1 (2021), p. 10 ss..

[2] Sulle quali v. P. Ponzano, La strategia dei federalisti per la riforma dell’Unione europea, Il Federalista, questo numero, p. 103.

[3] A proposito del quale v. G. Rossolillo, Verso una reale democrazia europea, Il Federalista, questo numero, p. 107.

[4] La centralità del ruolo e dei poteri del governo nell’evoluzione verso uno Stato federale è sottolineata, sia pure con un utilizzo del termine in un’accezione particolarmente ampia, da A. Hamilton, nei saggi nn. 23 e 70 del Federalist. Anche M. Albertini in più occasioni si sofferma sul tema: evidenziando come cruciale il trasferimento di poteri militari, monetari e fiscali ad un governo europeo (v. La strategia della lotta per l’Europa, Giornale del Censimento, 2 n. 1 (1966) e ibid. 2, n. 2 (1966), ora in M. Albertini, Tutti gli scritti, V, 1965-1970, a cura di N. Mosconi, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 130 ss., nonché Un governo per l’Europa, Giornale del Censimento, 1 n. 1 (1965), ora in Id., Tutti gli scritti, V, 1965-1970, op. cit., p. 31 ss.); sottolineando la rilevanza del governo comune per la realizzazione della moneta comune (v. L’aspetto di potere della programmazione europea, Il Politico, 35, n. 1 (1970), ora in M. Albertini, Tutti gli scritti, 1965-1970, op. cit., p. 491 ss., spec. 499 ss.); indicando come approdo del “gradualismo costituzionale” la realizzazione di uno Stato europeo con tutte le competenze necessarie per l’azione di un governo federale normale (v. Elezione europea, governo europeo e Stato europeo, Il Federalista, 18 n. 4 (1976), ora in M. Albertini, Tutti gli scritti, VII, 1976-1978, a cura di N. Mosconi, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 159 ss., in part. p. 164); non trascurando, peraltro, il fondamentale ruolo del PE, quando stigmatizza l’assenza di un governo europeo ma apprezza il “Progetto Spinelli” perché prevede “un controllo parlamentare della Commissione, che comincerebbe ad assumere la forma di un governo europeo” (v. L’Europa sulla soglia dell’unione, Il Politico, 50 n. 4 (1985), ora in M. Albertini, Tutti gli scritti, IX, 1985-1995, a cura di N. Mosconi, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 67).

Su questo aspetto l’attenzione di Spinelli è, infatti, costante: nel quadro del metodo costituente incentrato sul Parlamento, il rapporto tra l’assemblea parlamentare e la Commissione è una chiave di volta per trasformare quest’ultima in un governo europeo. Senza risalire alle riflessioni sulla CED, il disegno è chiaro nelle valutazioni che Spinelli svolge nel periodo in cui è Commissario, quando inserisce tra le finalità della piattaforma politica della riforma istituzionale quella di “costituire un vero governo europeo i cui membri siano uomini politici di primo piano, scelti mediante una procedura appropriata dal Consiglio e dal Parlamento” e che assorba “le funzioni decisionali di tipo più propriamente governative del Consiglio” (cfr. Le istituzioni europee. Progetti di riforma, Critica Sociale, 1972, ora in A. Spinelli, Una strategia per gli Stati uniti d’Europa, a cura di S. Pistone, Bologna, Il Mulino,1989, p. 192) ma anche nel progetto di Trattato adottato nel 1984 dal PE e che porta il suo nome, nonostante la delusione nei confronti della Commissione (in proposito v. U. Morelli, A. Spinelli e l’azione federalista. Il sistema comunitario, in Altiero Spinelli: il pensiero e l’azione per la federazione europea, a cura di U. Morelli, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 72 ss.). Nel disegno istituzionale delineato dal Progetto spicca la volontà di rafforzare il ruolo politico della Commissione attribuendo al suo presidente il potere di designarne i membri e legando l’organo al PE con un vero e proprio voto di fiducia sul programma (art. 25), con l’intento di farla diventare “un vero esecutivo politico” (cfr. il famoso discorso tenuto in Aula il 14 febbraio 1984 in A. Spinelli, Discorsi al Parlamento europeo 1976-1986, a cura di P.V. Dastoli, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 336).

[5] In questo senso v. L.S., Rossi, Equilibri istituzionali e metodi di integrazione dell’Unione, in A. Tizzano (a cura di), Verso i 60 anni dai Trattati di Roma. Stato e prospettive dell’Unione europea, Torino, Giappichelli, 2016, p. 72.

[6] In questo senso, L. Frosina, La crisi “esistenziale” dell’Unione europea tra deriva intergovernativa e spinte centrifughe, Nomos, 2 (2018), p. 5. Un caso esemplare è rappresentato da quanto accaduto nelle politiche relative all’immigrazione, nelle quali, nonostante quanto disposto dagli artt. 78 e 79 del TFUE, “l’Unione tende a riprodurre dinamiche analoghe a quando l’immigrazione e l’asilo erano ancora politiche di cooperazione internazionale tra gli Stati europei, con il risultato che essa appare spesso agire come strumento per la realizzazione di politiche e di obiettivi nazionali, piuttosto che come un’organizzazione sovranazionale che persegue proprie finalità ed obiettivi nell’interesse dei popoli europei”, malgrado una larga previsione della procedura legislativa ordinaria, infatti, “il metodo intergovernativo ha continuato a plasmare le modalità e le priorità dello sviluppo di questa politica e sembra ancora esserne la cifra dominante” a tal punto che “gran parte delle misure sono discusse e adottate in seno al Consiglio Giustizia e affari interni, sovente sotto stretta ‘direzione’ da parte del Consiglio europeo”, cfr. C. Favilli, Le politiche di immigrazione e asilo: passato, presente e futuro di una sovranità europea incompiuta, Annali AISDUE, Sezione “Atti convegni AISDUE”, n. 12, 14 gennaio 2022, https://www.aisdue.eu/chiara-favilli-le-politiche-di-immigrazione-e-asilo-passato-presente-e-futuro-di-una-sovranita-europea-incompiuta/.

[7] Sul punto v. L. Frosina, La crisi “esistenziale” dell’Unione europea, op. cit., p. 1, nonché, diffusamente, S. Cafaro, L’Unione Economica e Monetaria dopo la crisi, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, passim.

[8] Così S. Fabbrini, Sdoppiamento: una prospettiva nuova per l'Europa, Bari, Laterza, 2017, p. 18 ss..

[9] Così, F. Capotorti, voce Commissione delle Comunità europee, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma, 1994, p. 2. Un’accurata ricostruzione della genesi dell’organo, del suo ruolo nella fase iniziale e nei successivi sviluppi in M. Patrono, Il governo della prima Europa, Padova, CEDAM, 2003, rispettivamente pp. 28 ss., 85 ss. e 127-132. Sul punto v. altresì S. Gozi, Il governo dell’Europa, II ed., Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 32-33, e T. Christiansen, La Commissione europea, in S. Fabbrini (a cura di), L’Unione europea. Le istituzioni e gli attori di un sistema sovranazionale, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 127-128.

[10] Per una ricostruzione dei passaggi che portano all’evoluzione in senso parlamentare v., tra i tanti, M. Volpi, Libertà e autorità. La classificazione delle forme di stato e delle forme di governo, Torino, Giappichelli, 2000, pp. 79 ss., in part. pp. 85-91 e, più sinteticamente, A. Barbera – C. Fusaro, Il governo delle democrazie, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 28 ss.. Per far comprendere le difficoltà che incontra la prospettiva costituzionale dell’Europa, G. Amato, In Europa, finalmente, Montesquieu e Cammeo, in AA.VV., Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. I, Torino, Giappichelli, 2006, p. 121, fa riferimento ad un passaggio ancora più risalente, quello dalle monarchie assolute (o dallo Stato di polizia) allo Stato costituzionale.

[11] In questo senso v. M. Volpi, Libertà e autorità…, op. cit., p. 79; nonché T. Martines, voce Indirizzo politico, in Enciclopedia del diritto, XXI, Milano, Giuffré, 1971, pp. 134 ss. Per una visione di sintesi delle diverse nozioni di indirizzo politico, E. Cheli, La sovranità, la funzione di governo, l’indirizzo politico, in G. Amato – A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, II. L’organizzazione costituzionale, V ed., Bologna, Il Mulino, 1997, p. 13.

[12] Il quale, al § 1 recita: “Il Consiglio europeo dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali”.

[13] Mette in evidenza il carattere frammentato del potere esecutivo europeo E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea, op. cit., p. 14. In questo senso, v. già S. Fabbrini, Oltre Lisbona: l’enigma costituzionale dell’integrazione europea, Rivista italiana di scienza politica, 39 (2009), p. 358, dove sottolinea l’assenza nell’Unione di un “un governo inteso come singola istituzione autorizzata ad esercitare la decisione ultimativa”; nonché, con particolare riferimento al Consiglio europeo, V. Edjaharian, Art. 15, in H.J. Blanke, S. Mangiameli (Eds.), The Treaty on European Union (TEU). A Commentary, Heidelberg-New York-Dordrecht-London, Springer, 2013, p. 624; mentre sottolinea come non ci sia un organo di governo nell’UE, ma addirittura tre, M. Luciani, Complessità della struttura istituzionale, in E. Paciotti (a cura di), La Costituzione europea. Luci ed ombre, Milano, Booklet, 2003, p. 62.

[14] In questo senso v. B. Guastaferro, La prima volta del Presidente della Commissione “eletto” dal Parlamento europeo. Riflessioni sui limiti del mimetismo istituzionale, Studi sull’integrazione europea, 9 (2014), pp. 531 ss., dove sottolinea (pp. 533-534) come la Commissione ed il suo Presidente non godano “in Parlamento di una maggioranza (espressione di un orientamento politico ben definito) che si aggrega intorno ad un determinato indirizzo politico”, come è invece proprio dei regimi di governo parlamentari.

[15] In proposito, con riferimento al quadro normativo pre-Lisbona ma per molti aspetti non mutato, L. Ronchetti, Sovranazionalità senza sovranità: la Commissione e il Parlamento dell’UE, Politica del diritto, 32 (2001), p. 215. Più di recente solleva dubbi sulla rilevanza di questi elementi per la determinazione di una forma di governo parlamentare in seno all’UE E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea, op. cit., pp. 39 ss.

[16] B. Guastaferro, La prima volta del Presidente della Commissione, op. cit., p. 532.

[17] Come noto, il TUE, all’art. 17.5, aveva previsto che, a decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione avrebbe dovuto essere composta da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri. Aggiungeva però che questo sarebbe accaduto a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non avesse deciso di modificare tale numero. È proprio quanto successo con la Decisione 2013/272 con la quale è stato deliberato di mantenere il numero dei commissari uguale a quello degli Stati membri, vanificando la precedente previsione.

[18]Cfr. M. Volpi, Libertà e autorità, op. cit., p. 83. Considerazioni critiche sulla mozione di censura in E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea, op. cit., p. 42.

[19] L’assenza della possibilità di uno scioglimento anticipato del Parlamento europeo è per S. Fabbrini, The European Union and the Puzzle of Parliamentary Government, Journal of European Integration, 37 (2015), p. 8, motivo di esclusione della presenza di una forma di governo parlamentare nell’Unione.

[20] Già dieci anni or sono E. Gianfrancesco, La Commissione nel quadro istituzionale dell’Unione: una ricognizione, in https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0347_gianfrancesco.pdf, Rassegna 9/2012 (04.10.2012), p. 36, notava che “la partita vitale della Commissione si gioca sul piano della legittimazione politica e dell’assunzione di un ruolo da protagonista nella definizione dell’indirizzo politico dell’Unione”.

[21] Cfr. S. Pistone voce Europeismo, in Enciclopedia delle scienze sociali (1993), ora in https://www.treccani.it/enciclopedia/europeismo_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/; sui tre principali filoni di pensiero che influiscono sul processo di integrazione europea v. altresì Id., L’integrazione europea. Uno schizzo storico, Torino, UTET, 1999, pp. 9 ss..

[22] Nel primo senso v. R. Dehousse, Conclusion: Obstinate or Obsolete?, in Id. (Ed.). The “Community Method”. Obstinate or Obsolete?, London, Palgrave-McMillan, 2011, pp. 199 ss.. In senso opposto, per una revisione del metodo comunitario che lo adatti ad una democratizzazione dell’UE tale da aumentarne la legittimazione e l’autorevolezza politica, sia pure con tagli diversi, v., fra i tanti, nel quadro di un interessante discussione sul tema ospitata, una decina d’anni or sono, da Notre Europe, F. Chaltiel Terral, De la méthode fonctionnaliste à la méthode démocratique, in https://institutdelors.eu/wp-content/uploads/2020/08/methodefonctionalisteoudemocratiquechaltielneoct12-2.pdf; M. Maduro, Politiser l’UE pour renforcer la méthode communautaire, in https://institutdelors.eu/wp-content/uploads/2020/08/politisationue_maduro_ne_oct12-1.pdf; P. Ponzano, Méthode intergouvernementale ou méthode communautaire: une querelle sans intérêt? In https://institutdelors.eu/wp-content/uploads/2020/08/bref23-pponzano_01-1.pdf.

[23] Non è questa la sede per approfondire, come meriterebbe, il problema e le sue possibili soluzioni. Basti qui segnalare come un ruolo più politico e la relativa legittimazione elettorale della Commissione striderebbero con le sue funzioni connesse al ruolo di “custode dei trattati” che fanno riferimento alla caratteristica tradizionalmente attribuitale di organo “neutro” o di garanzia. In proposito si vedano, con riguardo al caso della concorrenza, le relazioni al Convegno su Il ruolo della Commissione tra derivazione partitica e funzioni neutrali nel progetto di Costituzione europea, parte seconda, Le funzioni della Commissione dopo il tramonto della “neutralità”: il caso della tutela della concorrenza, Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 15 (2005), p. 1113 ss.; nonché R. Manfrellotti, Sistema delle fonti e indirizzo politico nelle dinamiche dell’integrazione europea, Torino, Giappichelli, 2004, pp. 38 e 49 ss. e G. Amato, In Europa, finalmente, op. cit., p. 125.

[24] Lievemente diverso pare l’orientamento espresso da P. Ponzano, La Commissione europea: composizione e ruolo nel sistema istituzionale dell’Unione, Il Diritto dell’Unione Europea, 3/2004, p. 515, il quale propone una responsabilità politica collegiale della Commissione sia di fronte al Consiglio europeo che al PE, mentre qui si privilegia una condivisione del potere di indirizzo tra Commissione e Consiglio europeo, a fronte di un rapporto fiduciario della Commissione con la sola camera elettiva.

[25] Il progressivo rafforzamento del Consiglio europeo sembra confermare l’ormai risalente affermazione di C. Pinelli, Ipotesi sulla forma di governo dell’Unione europea, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1989, p. 333, secondo cui: “Il Consiglio europeo (…) non può essere assimilato, nelle sue funzioni, e tantomeno nella sua struttura, ai Capi di Stato dei regimi parlamentari, trattandosi della più cospicua istanza intergovernativa del sistema”. Anche A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, Il Mulino, 2002, p.165, esclude la configurabilità del Consiglio europeo come Capo di Stato collegiale a causa delle modalità di formazione della volontà di quest’organo.

[26] Nei sistemi semipresidenziali, infatti, la fonte di legittimazione del Presidente e del Parlamento è la medesima, mentre il Consiglio europeo non rappresenta l’UE nel suo insieme in quanto (indirettamente) responsabile solo nei confronti degli Stati membri ma, sostanzialmente, non responsabile in quanto istituzione. In questo senso sembra ancora più forte l’analogia col sovrano che fonda la propria legittimazione su di una fonte diversa da quella del parlamento. In proposito, E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea, op. cit., nota 38 e 92, considera inutilizzabile il modello della forma di governo semi-presidenziale per inquadrare la forma di governo dell’Unione.

[27] Parla di un rapporto di “doppia fiducia” alla Commissione da parte del Parlamento e del Consiglio europeo, in occasione della formazione della Commissione Von der Leyen, A. Manzella, Nell’emergenza, la forma di governo dell’Unione, Astrid Rassegna, 316 n. 5 (2020).

[28] Così, G.G. Floridia, Il cantiere della nuova Europa. Tecnica e politica nei lavori della Convenzione europea, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 413.

[29] In questo senso, tra i tanti, v. R. Adam – A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, II ed., Torino, Giappichelli, 2017, p. 75.

[30] Per una ricostruzione della genesi della prassi che ha dato vita agli Spitzenkandidaten e delle difficoltà incontrate dalla stessa v. N. Lupo, La forma di governo dell’Unione, dopo le elezioni europee del maggio 2019, in https://www.giurcost.org/LIBERAMICORUM/lupo_scrittiCostanzo.pdf, e O. Suárez, ¿Réquiem por el Spitzenkandidat?, Política y Sociedad, 58 n. 1 (2021), https://doi.org/10.5209/poso.74302.

[31] Tra i tanti, v. R. Perrone, Rafforzamento identitario dei partiti politici europei e democrazia nell’Unione: quali strumenti?, Giurisprudenza costituzionale, 62 n. 2 (2017), p. 929.

[32] Per qualche ulteriore considerazione in questo senso, mi sia consentito rinviare a S. Aloisio, Circoscrizione unica europea e liste transnazionali: un’occasione perduta per realizzare uno strumento eccezionale di rappresentanza parlamentare davvero sovranazionale, in D. Preda – F. Velo (a cura di), A settant’anni dal Congresso d’Europa a L’Aja. Unità ideale e unità politica, Bari, Cacucci, 2020, pp. 261 ss., in part. pp. 267 ss..

[33] Così, G.G. Floridia, La forma di governo nel progetto della Convenzione, Democrazia e Diritto, 2/2003, p. 154.

[34] E. Gianfrancesco, Un approccio costituzionalistico alla Commissione europea, op. cit., p. 14, ritiene che la presenza di un Commissario per Stato possa avere aspetti positivi per le relazioni Commissione-Stati membri mentre l’“abbandono della presenza integrale degli Stati membri in seno al Collegio non sembra imprescindibile per una caratterizzazione della Commissione come organo in grado di esprimere un proprio originale indirizzo in ordine all’interpretazione ed attuazione dell’‘interesse generale dell’Unione’”.

[35] Sulle vicende dalla CED-CEP, v. almeno D. Preda, Storia di una speranza: la battaglia per la CED e la Federazione europea nelle carte della delegazione italiana (1950-1952), Milano, Jaca Book, 1990 e Id. Sulla soglia dell’unione: la vicenda della Comunità Politica Europea (1952-1954), Milano, Jaca Book,1994.

[36] La questione è presente già nelle riflessioni elaborate per la realizzazione dell’UE. In proposito di particolare interesse A. Padoa Schioppa, Unione europea e Comunità europea: due assetti istituzionali incompatibili?, Il Federalista, 30 n. 3 (1988), pp. 210 ss.. 

[37] P. Calamandrei, Disegno preliminare di federazione mondiale - Presentazione (1949), ora in Id., Scritti e discorsi politici, a cura di N. Bobbio, I, 2, Firenze, La Nuova Italia, 1966, p. 466.

 

 

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