IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXV, 1983, Numero 4, Pagina 167

 

 

L’UNIONE EUROPEA E IL FUTURO DEL MEZZOGIORNO*
 
 
1. I motivi di un impegno specifico della forza federalista europea del Mezzogiorno nel processo di integrazione europea.
Per la migliore soluzione dei problemi politici, sociali ed economici, occorre realizzare un impegno di presenza, proposta e tutela dei propri interessi in tutte le sedi in cui si estrinseca il potere decisionale. Rispetto agli attuali problemi del Mezzogiorno d’Italia, il potere decisionale viene esercitato su quattro livelli: a) il livello internazionale, nel quale hanno sede sia i centri di potere politico più importanti del mondo (Stati Uniti d’America e Unione Sovietica), sia i grandi centri di interesse capitalistici e finanziari che, sulla base delle strategie industriali, commerciali, monetarie, tecnologiche, determinano molte delle condizioni che vincolano gli altri centri decisionali; b) il livello europeo e, in particolare, la Comunità economica europea che, nonostante le contraddizioni, le insufficienze e l’attuale stato di crisi, continua ad essere una importante fonte di decisioni, ma pure un ineliminabile presupposto per la ricerca di un futuro migliore; c) il livello statale, al quale afferisce il complesso di poteri e di prerogative non ancora espropriate dal livello decisionale internazionale e non ancora trasferite né alla Comunità economica europea né alle diverse Regioni; d) il livello regionale, che, malgrado le incertezze, i contrasti con i poteri centrali, gli equivoci e le insufficienze di vario genere, diventa sempre più importante non solo in Italia ma, in generale, in tutti i Paesi dell’Europa occidentale: non va dimenticato che in alcuni Stati europei, per esempio nella Repubblica Federale Tedesca, i poteri regionali sono ben più importanti che in Italia.
In altri termini si vuole ricordare che, dopo la seconda guerra mondiale, nella realtà italiana, europea e mondiale, a fianco ai due tradizionali livelli di potere, quello internazionale e quello dello Stato nazionale, ne sono sorti altri due, cioè quelli connessi con il processo d’integrazione europea e con il processo di regionalizzazione.
D’altro canto, i federalisti sanno bene che occorre favorire l’attuazione puntuale del principio di sussidiarietà secondo il quale le competenze vanno attribuite agli organismi che meglio le sanno e le possono esercitare e, quindi, sanno bene che, per non poche materie, lo Stato nazionale risulta essere obsoleto dal punto di vista storico, cioè incapace di tutelare gli interessi dei propri cittadini sia sul piano interno che sul piano internazionale. In questa situazione i federalisti affermano che, per evitare al continente europeo vuoti di potere che aumentano di fatto le prerogative e le forze dei centri di decisione dominanti a livello internazionale, è indispensabile costruire in Europa una struttura di potere articolata, tale da consentire il migliore esercizio delle competenze politiche, culturali, economiche, monetarie, scientifiche, tecnologiche e (perché no?) pure militari.
È in questa prospettiva che si colloca e va inquadrata la specifica azione politico-culturale della forza federalista del Mezzogiorno d’Italia. Se è vero che tutti i federalisti e, più in generale, tutti i cittadini hanno l’esigenza inderogabile dell’avvento in Europa di un sistema politico-istituzionale diverso e conforme alla prospettiva in precedenza indicata, è anche vero che dell’Europa nuova hanno maggior bisogno proprio quei federalisti che appartengono all’area del Mezzogiorno, la quale, notoriamente, è caratterizzata, da una grandissima debolezza socio-economica e i cui interessi sono altrettanto notoriamente poco protetti sul piano dello Stato nazionale, sul piano dell’attuale Comunità economica europea e sul piano internazionale.
 
2. L’accentuazione degli squilibri socio-economici.
La situazione di sottosviluppo del Mezzogiorno è tanto evidente, generalmente nota e consolidata nel tempo che attualmente ogni richiamo ad essa risulta sempre meno stimolante ai fini della mobilitazione politico-culturale e, più semplicemente, ai fini della «cattura» dell’attenzione. Più esattamente è da notare che l’esistenza di gravi squilibri socio-economici in Italia e in Europa non costituisce più notizia interessante per nessuno, anzi, viene accolta con malcelata noia anche da molti dei diretti interessati.
D’altro canto, c’è pure chi contesta il richiamo alla condizione di netta inferiorità del Mezzogiorno ricordando che venti anni or sono, o quarant’anni or sono, o cent’anni or sono, o mille anni or sono, la condizione di vita del Mezzogiorno era anche peggiore. E ciò è pure vero, ma non è neppure falso il fatto che anche negli altri ambienti un tempo si viveva peggio, così come un tempo il divertimento preferito era la partecipazione agli spettacoli di lotta tra i gladiatori.
Ma è proprio vero che per il Mezzogiorno le condizioni stiano migliorando? Occorre intendersi, in quanto se ciò può essere vero per certi aspetti in un riferimento storico interno, è certamente falso se il riferimento si fa rispetto alle aree sviluppate dell’Italia e più ancora rispetto alle aree sviluppate dell’Europa.
Infatti, la condizione socio-economica del Mezzogiorno è peggiorata rispetto agli inizi degli anni ‘70 per molti aspetti, come è risultato da recenti ed autorevoli indagini, inchieste e rapporti. Si considerino a tal proposito, per esempio, le seguenti circostanze: a) la disoccupazione ha raggiunto il massimo storico di poco meno di un milione di unità; b) la popolazione è aumentata decisamente, passando, in un solo anno (dal 31-12-1981 al 31-12-1982) da 20.057.843 a 20.231.614, con un incremento di ben 173.771 unità. Ma, ciò che è più grave, è continuato, nello stesso tempo, l’esodo dalle campagne e l’inurbamento, o meglio, la crescita caotica delle mostruose periferie delle maggiori città; c) la valvola pur insoddisfacente dell’emigrazione forzata si è bloccata e, anzi, cresce sempre più il numero dei lavoratori che rientrano nel Mezzogiorno, perché espulsi dai posti di lavoro che avevano in altre aree; d) la produzione agricola è scesa, in questi ultimi anni, ai livelli che aveva all’inizio degli anni ‘70; e) il comparto minerario, tradizionalmente sviluppato in alcune regioni meridionali (Sardegna e Sicilia), tende sempre più ad essere disattivato; f) molte delle cattedrali nel deserto, che erano state realizzate e presentate come un’assicurazione per un futuro migliore agli inizi degli anni ‘70, sono state drasticamente ridimensionate ed evidentemente «sconsacrate», se è vero che i padrini di un tempo sono oggi introvabili; g) alcune grandi industrie, che pure sono tecnologicamente valide, si trovano a dover competere per la sopravvivenza con industrie ubicate nel Nord Italia, in una situazione incerta quanto contradditoria e avvilente; h) molte piccole e medie imprese costituitesi per effetto indotto dalle nuove grandi imprese sono fallite in seguito alla crisi di molte di queste ultime; i) l’investimento in macchinari, cioè il rinnovamento tecnologico, si è bloccato, mentre cresce l’esigenza della riconversione industriale per fronteggiare la concorrenza internazionale; l) è aumentato decisamente il numero dei punti di vendita del dettaglio di piccola e piccolissima dimensione (circa 29.000 in più dal 1971 al 1981), quali occasioni di rifugio per disoccupati e di sottoccupazione, con conseguenze negative anche per la razionalizzazione degli apparati distributivi; m) né va dimenticato il dramma dei fenomeni di criminalità organizzata che sono in progressivo sviluppo e che costituiscono una piaga tanto più deprecabile in quanto, oltre tutto, peggiorano le possibilità di impianto di nuove iniziative economiche.
Orbene, è semplicemente spaventoso che tutto ciò «non faccia più notizia».
La situazione risulta essere ancora più drammatica se il confronto viene realizzato in termini relativi, cioè rispetto alle aree forti dell’Italia e più ancora rispetto alle aree forti dell’Europa. Mentre la condizione del Mezzogiorno, pur in presenza dei gravissimi fenomeni sopra indicati, può considerarsi, per altri aspetti, migliorata con riferimento alla situazione esistente all’inizio degli anni ‘70 (si pensi all’avvenuto incremento dei consumi e all’incremento di poco meno del 100% in dieci anni del reddito pro-capite), la situazione delle aree europee più forti non solo non presenta alcune delle gravi circostanze proprie del Mezzogiorno, ma, in più, ha fatto riscontrare un netto miglioramento negli ultimi anni: per esempio l’incremento del reddito pro-capite delle dieci maggiori regioni europee, nessuna delle quali è italiana, è stato pari a poco meno del 300% in dieci anni. Ma attenzione, l’incremento rispettivamente del 100% per il Mezzogiorno e del 300% delle aree forti, non si è basato sullo stesso dato iniziale in quanto già all’origine le divergenze erano grandi: ciò significa che in valori assoluti il divario non è cresciuto solo proporzionalmente alla differenza iniziale, ma in modo molto più che proporzionale.
In tale quadro è certo che i differenziali apprezzati dagli imprenditori per gli investimenti sono aumentati a favore delle regioni più forti e non può pertanto meravigliare che nell’ambito della complessiva stasi dello sviluppo economico, che si è manifestata nei tempi recenti in Europa e in Italia, il Mezzogiorno si sia distinto quale area di maggiore flessione dello sviluppo (-1% nel 1982); come non può meravigliare che la ripresa economica già affermatasi in altri Paesi e, forse, iniziata pure a livello italiano, potrebbe non arrivare nel Mezzogiorno.
Un altro aspetto particolarmente allarmante dell’attuale condizione del Mezzogiorno e del distacco che esso manifesta rispetto alle regioni sviluppate italiane ed europee, è costituito dalla sua assenza quasi totale dai comparti tecnologici di avanguardia e dal settore terziario avanzato. Invero, nel complesso si può affermare che in questo periodo, in cui il progresso scientifico e tecnologico è particolarmente intenso e perseguito con fermezza anche dalle maggiori regioni italiane, nel Mezzogiorno si assiste ad un progressivo impoverimento scientifico e tecnologico, come è stato rilevato anche in occasione dell’ultima assemblea annuale della Svimez.
Su questo punto si può concludere che nella soluzione dei problemi del dualismo in Italia e in Europa non solo non si è in presenza di una inversione di tendenza, ma neppure di una stabilizzazione dei divari e ciò implica, evidentemente, un peggioramento progressivo delle condizioni di vita del cittadino del Mezzogiorno in tutti gli aspetti della sua vita associata: nell’economia come nel lavoro, nelle scuole come negli ospedali, nella pubblica amministrazione come nella società civile. Se è discutibile che l’Italia stia diventando il primo dei Paesi sottosviluppati, in quanto non sarebbe più l’ultimo dei paesi industrializzati, è certo che questa modifica di qualificazione sta avvenendo per il Mezzogiorno.
 
3. Il mutamento quale elemento caratterizzante della conduzione attuale del mondo.
L’indicata situazione si verifica mentre il mondo sta forse attraversando il periodo di più intenso mutamento di tutta la sua lunga storia, per molti aspetti che si alimentano vicendevolmente e che schematicamente possono essere espressi nel modo seguente: a) sul piano politico lo strapotere degli USA e dell’URSS cresce sempre più mentre il declino dell’Europa continua ed i 4/5 dell’umanità emarginata si presentano sulla scena mondiale in modo disordinato e non efficace ma, comunque, con pressanti richieste di sviluppo; b) sul piano economico e tecnologico, alcuni settori industriali un tempo fondamentali per lo sviluppo ora perdono importanza, mentre si affermano nuovi processi produttivi e nuovi prodotti. La concorrenza internazionale si accentua non solo per effetto dell’azione delle imprese multinazionali, ma pure per la nuova presenza di alcuni Paesi di recente industrializzazione. Le imprese spaziali diventano sempre più ardite, la microelettronica impone radicali cambiamenti, l’informatica e la telematica penetrano sempre più profondamente nella vita quotidiana, soprattutto nei Paesi più sviluppati. Crescono i consumi e migliorano per molti le condizioni di lavoro, ma ciò avviene in presenza di sacche di vergognosa opulenza e di grave indigenza e, persino, di rilevanti casi di morte per fame; c) sul piano sociale e civile si affermano nuovi valori culturali, tramontano tradizionali ideologie, la vita civile e le organizzazioni sociali assumono configurazioni radicalmente diverse rispetto a quelle del passato anche per effetto dei nuovi sistemi di comunicazione e delle nuove tecnologie di produzione; d) sul piano militare, che in questo quadro di mutamento non va dimenticato, è da citare la nuova dimensione della sostanziale mancanza di pace, con l’equilibrio del terrore, la corsa agli armamenti, la proliferazione degli ordigni nucleari e l’invenzione di armi sempre più sofisticate, basate sui microprocessori.
 
4. Il sottosviluppo del Mezzogiorno è problema europeo.
I cittadini del Mezzogiorno sono tanto abituati a vivere nella condizione di sottosviluppo, di dipendenza, di perifericità, di marginalità e pure, non raramente, di sopraffazione che essi, in generale, subiscono passivamente sia l’indicata condizione che i grandi mutamenti in atto nel mondo.
Rispetto a tali circostanze molti si sentono impotenti e accolgono scetticamente ogni nuova «promessa» di risanamento, abituati come sono, alle «speranze deluse».
Questo atteggiamento deve essere radicalmente rifiutato perché, da un lato, aggiunge male al male e, dall’altro lato, favorisce i responsabili dei disastri del Mezzogiorno, in quanto implica il rifiuto di opporre resistenza alle variabili negative.
È necessario convincersi che l’attuale condizione del Mezzogiorno è l’effetto del comportamento degli uomini e quindi può essere superata sulla base dell’impegno degli uomini: né va dimenticato, a questo proposito, che la volontà umana consente di trasformare i deserti in fertili pianure, come consente di camminare sulla luna.
Occorre riflettere, altresì, sul fatto che gli effetti delle nuove scoperte scientifiche e delle nuove realizzazioni tecnologiche non possono essere arrestati con la supposizione che essi non esistano o col disinteresse. Al contrario, se gli effetti e le potenzialità del mutamento si comprendono a fondo diventa possibile sfruttare le opportunità e contrastare i condizionamenti negativi.
Il fatto che ciò non avvenga costituisce una delle componenti non secondarie della maggiore incidenza che per il Mezzogiorno hanno gli effetti negativi del mutamento rispetto agli effetti positivi i quali, nelle evoluzioni storiche, si accompagnano sempre ai primi.
Occorre infine, prendere atto del fatto che lo Stato nazionale italiano è incapace di risolvere radicalmente i problemi del dualismo socio-economico, trasformatisi ormai in problemi del trialismo per effetto del progressivo decadimento di alcune aree un tempo sviluppate. La nostra Repubblica, nonostante alcuni presupposti costituzionali positivi, ad iniziare dalla democrazia e dal regionalismo, ha dimostrato, in 40 anni di tentativi sostanzialmente falliti, la sua cronica inadeguatezza a eliminare la condizione di netta inferiorità socio-economica delle regioni del Mezzogiorno.
Di fronte alla nuova situazione di internazionalizzazione dell’economia, della scienza e della tecnica, di fronte alle sfide storiche dei grandi centri di potere, lo Stato nazionale dimostra chiaramente di non avere la «dimensione» sufficiente per affrontare efficacemente i problemi dell’intero popolo italiano e a maggior ragione non può e, forse, neppure vuole (ma ciò è irrilevante posto che, appunto, non possa) risolvere i problemi delle popolazioni del Mezzogiorno.
L’eliminazione del dualismo o, meglio, del trialismo in Italia, in effetti, richiede risorse, potere politico, capacità di tutela di interessi, impegni economici, iniziative di ricerca scientifica e tecnologica e di sviluppo, disponibilità di strumenti di intervento nell’economia internazionale (dagli strumenti monetari a quelli commerciali) che sono evidentemente e notoriamente preclusi al singolo Stato nazionale europeo.
Se ciò è vero, risulta evidentemente fuorviante, oltre che illusorio, continuare a sperare nella soluzione degli indicati problemi sulla base di un impegno esclusivo dello Stato nazionale italiano.
Il sottosviluppo del Mezzogiorno, in altri termini, non può essere considerato nell’attuale periodo storico le nell’attuale situazione internazionale un problema esclusivamente italiano, bensì è un problema europeo, sia per l’indicata inadeguatezza dello Stato nazionale, sia per altri motivi, tra i quali i più rilevanti paiono i seguenti: a) il Mezzogiorno è da sempre parte integrante dell’Europa, non solo per motivi geografici, ma pure per motivi storici, per motivi culturali, per motivi economici, ecc.; b) il Mezzogiorno quale parte importante dell’Italia, è, da oltre un trentennio, impegnato con altre aree europee nella realizzazione di quel grandioso progetto di cooperazione tra i popoli, di pace e di sviluppo che è il processo di integrazione europea.
In questo contesto il Mezzogiorno ha certamente pagato notevoli costi, maggiori rispetto ai costi di altre aree, e ha avuto minori vantaggi. Ha buon diritto, pertanto, di reclamare dall’Europa una giusta attenzione nei confronti del suo presente e del suo futuro.
 
5. La funzione della Comunità economica europea per il superamento del «trialismo» socio-economico.
La Comunità economica europea scaturita dai Trattati di Parigi del 1951 e di Roma del 1957 e dalle successive evoluzioni ed involuzioni non ha neppure essa la possibilità di interventi incisivi nella realtà socio-economica europea e delle sue distinte aree. È questa una verità che i federalisti conoscono e affermano da tanto tempo e che di recente è stata ribadita anche da autorevoli uomini politici e di governo (per esempio il Ministro francese Delors), dai più attenti studiosi e da vari giornalisti. Pare sufficiente ricordare, a questo proposito, l’analisi presentata di recente da Albert che, tra l’altro, ha richiamato i motivi dell’attuale debolezza strutturale della CEE evidenziando, in particolare, le seguenti circostanze: a) la mancanza di un mercato europeo comune dei capitali, necessari per finanziare gli investimenti per l’indispensabile riconversione industriale; b) l’interruzione dello sviluppo del sistema monetario europeo alla sua prima fase; c) la crisi del Mercato comune agricolo connessa anche con la predisposizione dei montanti compensativi che hanno scomposto, almeno in parte, il mercato comune, prima realizzato, in distinti mercati nazionali; d) l’inadeguata struttura del bilancio comunitario e la sua esiguità dimensionale; e) l’insufficienza di investimenti nel settore energetico e, quindi l’accentuazione della relativa crisi; f) l’inesistenza di una dimensione europea della ricerca; g) la mancanza di un mercato comune delle commesse pubbliche.
In una situazione in cui la CEE non riesce ad affrontare efficacemente i problemi di concorrenza internazionale e, quindi, non riesce a proporsi quale fonte di cooperazione internazionale e di sviluppo per tutti, non ci si può fondatamente attendere che essa affronti in modo risolutivo i problemi di sviluppo del Mezzogiorno, né i problemi di rilancio di altre aree un tempo sviluppate ed ora in grave crisi a causa della concorrenza internazionale. Infatti, la cosiddetta politica regionale europea, la cosiddetta politica mediterranea e altre simili iniziative se non sono inutili, non costituiscono neppure un realistico tentativo di eliminare o di attenuare il sottosviluppo: l’obiettivo massimo è quello di ridurne la crescita. Malauguratamente la CEE non riesce a conseguire neppure questo obiettivo.
Ma questa circostanza è ineluttabile perché l’intervento nel sistema socio-economico del Mezzogiorno italiano, come in generale in quello europeo, richiede l’esistenza di un potere politico, di risorse e di strumenti che l’attuale Comunità economica europea non ha.
 
6. L’impegno della forza federalista meridionale per l’Unione europea.
Se il problema del sottosviluppo del Mezzogiorno d’Italia è problema europeo e se la Comunità economica europea non è in grado di affrontarlo, ogni possibilità di soluzione va ricercata in una trasformazione della Comunità europea che le attribuisca un’adeguata capacità di intervento sulla realtà socio-economica. Lo stesso Parlamento europeo ha autorevolmente sancito che occorre il rinnovamento della CEE.
In particolare, è indispensabile il suo adeguamento politico, economico, monetario, scientifico e tecnologico ai problemi attuali del Mondo, dell’Europa, dei diversi Stati nazionali, del Mezzogiorno d’Italia e delle singole Comunità locali.
A favore di questo rinnovamento, che diventa sempre più urgente quanto più passa il tempo e quanto più si aggravano i problemi, sono impegnati i federalisti europei e deve essere ancora più impegnata, a motivo del maggior bisogno e della maggiore urgenza, la forza federalista del Mezzogiorno d’Italia.
Esiste attualmente un’importante occasione per esercitare in modo proficuo l’impegno per il rinnovamento europeo: l’occasione è fornita appunto, dal progetto di Unione europea che, fra qualche settimana, sarà approvato definitivamente dal Parlamento europeo e che passerà alla ratifica degli Stati nazionali in concomitanza con la campagna per le seconde elezioni europee a suffragio universale e diretto.
Nei prossimi mesi, la forza federalista del Mezzogiorno dovrà impegnarsi decisamente per coinvolgere nella fase di passaggio storico dalla CEE all’Unione europea tutte le popolazioni di questa area emarginata del Vecchio Continente, ad iniziare dalla sua classe dirigente che, purtroppo, è spesso assente o distratta, mentre nel mondo sono in corso processi decisivi e nuovi sviluppi della scienza, della tecnica e dell’economia che non potranno non incidere per tanto tempo anche sulla realtà del Mezzogiorno.
La forza federalista del Meridione e delle Isole non può lasciar passare invano la grande opportunità di dare un decisivo contributo all’impegno federalista europeo per realizzare con la Unione europea il rilancio del Mezzogiorno nella pace e nella giustizia internazionale e, più in generale, per dotare il Vecchio Continente di una valida configurazione politico-istituzionale e di idonei strumenti di intervento sulla realtà socio-economica mondiale.


* Documento preparato da Giuseppe Usai in vista della prima Conferenza meridionale della forza federalista, che si terrà a Potenza il 21-22 gennaio 1984.

 

 

 

 

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