IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 1-2, Pagina 75

 

 

DOCUMENTI APPROVATI DAL X CONGRESSO DEL MFE
(BARI, 23-24 FEBBRAIO 1980)
 
PROPOSTA DEL MFE PER
UNA AGENZIA EUROPEA DEL PETROLIO
E UNA POLITICA ENERGETICA COMUNITARIA
 
 
 
La sicurezza degli approvvigionamenti energetici è ormai diventata un problema di importanza vitale per la Comunità. Non è in gioco soltanto il suo futuro economico, ma la sua stessa indipendenza politica. La mancanza di rifornimenti energetici può provocare infatti il collasso delle società industriali avanzate, la cui produzione di beni e servizi diventa materialmente impossibile. E con la crisi della distensione internazionale fra le due superpotenze e l’esplosione di conflitti armati nel Medio Oriente ormai grava sull’Europa la minaccia di una drastica interruzione dei suoi approvvigionamenti petroliferi.
Nonostante questa sfida, occorre purtroppo constatare che la Comunità resta inerme e attende passivamente la soluzione del problema dalla buona volontà altrui. Si è solo cercato, ma con scarso successo sinora, di coordinare le politiche degli Stati membri in fatto di risparmi energetici. La verità è che ogni paese della Comunità ha impostato una propria politica energetica e che manca una vera iniziativa comune.
Eppure va ricordato che, in situazioni del tutto analoghe di grave tensione internazionale, gli europei hanno saputo dotarsi di adeguati strumenti di intervento. Nel 1951 con la CECA si sono sottoposti a controllo gli allora strategici mercati del carbone e dell’acciaio e nel 1957, con la creazione dell’Euratom, si è tentato di gettare le fondamenta dello sviluppo a lungo termine delle moderne tecnologie nucleari.
Ma ora la situazione si è profondamente modificata. Mentre nel 1955 il carbone costituiva di gran lunga la principale risorsa energetica della Comunità (75% del totale, contro il 19% del petrolio), oggi il 55% dei consumi energetici della Comunità è soddisfatto dal petrolio (di cui l’88% è importato) e solo il 21% dal carbone.
Nella presente situazione, pertanto, le istituzioni comunitarie — e in particolare il Parlamento europeo — non tradirebbero certo lo spirito dei Trattati se prendessero l’iniziativa di sottoporre al controllo comunitario anche il mercato petrolifero. In sostanza, si tratta di estendere le competenze del Trattato Euratom anche ai prodotti petroliferi (ed eventualmente al gas naturale). In particolare, all’attuale Agenzia dell’Euratom, che secondo l’art. 52 «dispone di un diritto d’opzione sui minerali, materie grezze e materie fissili speciali prodotte sui territori degli Stati membri, come anche del diritto esclusivo di concludere contratti relativi alla fornitura di minerali, materie grezze o materie fissili speciali provenienti dall’interno o dall’esterno della Comunità», dovrebbe essere riconosciuto lo stesso diritto sui prodotti petroliferi.
In questo modo si otterrebbe una serie di vantaggi.
1. La Comunità acquisterebbe ipso facto una maggior capacità di governo a livello internazionale. È infatti impensabile che possano essere fatti valere gli interessi della Comunità nel suo insieme — la prima potenza commerciale mondiale — se nel fondamentale settore del petrolio prevale la logica della divisione nazionale su quella dell’unità.
2. Attraverso l’Agenzia si potrebbe finalmente sottoporre al controllo delle istituzioni europee — fra cui il Parlamento — il mercato petrolifero, che non è affatto un mercato di concorrenza, ma è dominato dalle gigantesche imprese multinazionali, spesso in grado di ricattare o condizionare gli stessi governi nazionali. L’alternativa al controllo comunitario è solo lo strapotere degli oligopoli e delle oligarchie finanziarie internazionali.
3. Grazie a questa iniziativa, la Comunità, che è di gran lunga il principale acquirente di petrolio, contribuirebbe in misura decisiva a stabilizzare il mercato mondiale delle materie prime. I paesi produttori di petrolio potrebbero finalmente dialogare direttamente, senza l’intermediazione delle multinazionali con un interlocutore in grado di programmare gli acquisti sul lungo periodo e di garantire loro tutta l’assistenza tecnica e scientifica di cui hanno bisogno per il loro sviluppo.
4. L’Agenzia dovrebbe poi stipulare (e chiedere ai privati e alle imprese la stessa cosa) i contratti internazionali in moneta europea. In questo modo, lo scudo diventerebbe una valuta effettivamente circolante a livello mondiale, con immediati vantaggi sia da parte dei paesi fornitori di petrolio, che avrebbero la possibilità di detenere risorse finanziarie in una moneta più stabile del dollaro, sia da parte dei paesi europei. Infatti, il pagamento della fattura petrolifera in scudi realizzerebbe il consolidamento di una parte consistente della bilancia europea dei pagamenti, rendendo responsabile verso l’esterno l’autorità monetaria europea e riducendo, in ugual misura, le responsabilità internazionali delle banche centrali nazionali, le cui riserve in oro e valuta pregiata già dovrebbero contribuire, secondo gli accordi di Bruxelles sul Sistema monetario europeo, a sostenere le emissioni monetarie europee di scudi.
5. Con l’estensione al petrolio delle sue competenze, l’Euratom diventerebbe il principale strumento della politica energetica comunitaria. Solo in questo modo si potrebbero infatti superare le paralizzanti gelosie nazionali. Le risorse energetiche prodotte all’interno o acquisite all’esterno dall’Agenzia apparterrebbero alla Comunità nel suo insieme, che avrebbe dunque il potere di realizzare gli obiettivi della politica energetica proposti dagli organi comunitari di governo.
In questo modo non solo si realizzerebbe una comune politica petrolifera, ma si rilancerebbe anche il moribondo mercato comune europeo dei materiali nucleari, che alcuni governi nazionali, con incredibile leggerezza, vorrebbero smantellare (proprio eliminando le competenze dell’Agenzia, previste dal Capo VI del Trattato Euratom).

 

 

 

 

 

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