IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXI, 1979, Numero 3-4, Pagina 232

 

 

PER UNA NUOVA LOTTA POLITICA E SOCIALE*
 
 
La crisi della politica è profonda e riguarda in primo grado i giovani che per la loro stessa posizione nella società sono obbligati a pensare il futuro.
Crisi della politica significa anche crisi della società e dello Stato. La famiglia, il quartiere, la città, la scuola non sono più le cellule della vita etica, in cui l’uomo può apprendere per esperienza immediata il valore della vita comunitaria e dare un senso alla sua esistenza. L’autoannullamento fisico di molti giovani mediante la droga testimonia drammaticamente la necessità di ricostruire la dimensione comunitaria della vita, come condizione per la stessa sopravvivenza della società. D’altro canto, i giovani che, spinti dall’entusiasmo delle rivolte studentesche del 1968, hanno tentato di sviluppare la critica al vecchio ordine al di fuori del quadro tradizionale dei partiti, non hanno avuto la possibilità di proporre progetti alternativi per rinnovare la vita pubblica, mentre la critica manichea contro ogni istituzione ha trascinato alcuni sciagurati sulla via del terrorismo.
Occorre pertanto ripensare radicalmente il modo di fare politica e occorre da parte di ciascuno un impegno radicale in questo senso. Il compito grandioso di rinnovare la società e lo Stato potrà essere intrapreso solo da coloro che riprendendo l’insegnamento di tutti i movimenti genuinamente rivoluzionari della storia, si assumeranno la responsabilità di contribuire personalmente alla lotta per l’emancipazione umana, senza ricorrere alle risorse del potere costituito.
I federalisti, che non si sono mai valsi dei mezzi tradizionali del potere, intendono schierarsi al fianco di tutti i giovani che all’interno o all’esterno dei partiti lottano per gli stessi ideali, decisi a portare il loro contributo alla definizione di un nuovo impegno nella lotta politica e sociale. Questo compito è urgente e decisivo. Nessun problema della società contemporanea può oggi essere adeguatamente affrontato senza tener presente la sua dimensione mondiale e perciò quella europea, nella misura in cui l’unità europea è il presupposto per la partecipazione degli europei al governo degli affari mondiali. L’umanità è a una svolta, perché non sa ancora controllare sul piano politico le sue capacità tecniche. Per la prima volta nella storia siamo di fronte alla possibilità di emancipare tutti gli uomini e al rischio dell’autodistruzione. Progettare il futuro è ormai un imperativo. Per questo è indispensabile ricercare a tutti i livelli le forme di governo adatte alla programmazione democratica, per dare una direzione consapevole all’avanzamento del processo produttivo e porre su una base razionale la distribuzione dei frutti del benessere collettivo.
Non si progetta il futuro senza tener presente:
a) che le lotte per la giustizia sociale sino ad ora hanno avuto come obiettivo prioritario la riduzione delle diseguaglianze fra le classi e i ceti e come orizzonte il quadro nazionale. Ma oggi è ormai posto all’ordine del giorno il problema dell’emancipazione del Terzo mondo e della lotta, su scala mondiale, contro la miseria, la fame e il cronico sottosviluppo in cui versa ancora gran parte dell’umanità. La creazione di un nuovo ordine economico mondiale deve oggi essere considerato l’obiettivo fondamentale di chi abbia veramente a cuore il problema della giustizia sociale;
b) che nel quadro di questo primo, grande compito vi è quello di dare una nuova direzione, in particolare nei paesi avanzati, allo sviluppo economico, orientando il processo di ristrutturazione industriale e il modello dei consumi pubblici e privati. L’industrializzazione ha portato con sé benessere e ricchezza, ma anche enormi problemi urbanistici, di degradazione dell’ambiente naturale, oltre che ritmi idi lavoro spesso alienanti. Si tratta di invertire questa tendenza, ma senza rinunciare alle conquiste della società industriale. Ciò comporta la piena valorizzazione della scienza come nuova, cruciale, forza produttiva, perché solo l’applicazione sistematica della scienza ai processi di produzione potrà consentire di eliminare definitivamente la fatica umana e il lavoro alienato. Occorre dunque reagire contro l’irrazionalismo antiscientifico che condanna qualsiasi avanzamento tecnologico nel timore di un possibile uso cattivo delle nuove scoperte. L’uso della tecnologia, come di qualsiasi altra risorsa, dipende dall’uomo. È perciò delle istituzioni democratiche — cioè delle forme di governo — che possono consentire di controllare l’avanzamento del processo produttivo che occorre discutere. Per questo i federalisti possono portare un importante contributo anche al dibattito sul futuro della scienza, i suoi rapporti con la società civile e lo sfruttamento delle nuove tecnologie (automazione, informatica, energia nucleare, ecc.). Le dimensioni plurinazionali della società e della economia impongono una soluzione federalistica al problema del controllo democratico della produzione.
c) che non si governa il futuro senza risolvere il problema della partecipazione politica. La democrazia è in crisi anche perché dove si manifestano con più forza le esigenze di partecipazione, come in Italia, i canali consueti di espressione della volontà popolare si dimostrano inadeguati e le spinte spesso degenerano nel corporativismo. Nei paesi in cui, come in Francia e in Germania, si sono realizzate forme di governo efficienti, manca una vera partecipazione al processo di formazione delle decisioni, tanto che alcuni parlano, riferendosi al regime politico francese, di «monarchia repubblicana». A questo riguardo il problema dei poteri da conferire al Parlamento europeo, nella misura in cui apre un processo costituzionale tanto negli Stati quanto in Europa, consente di porre in termini nuovi il problema della formazione della volontà generale. È evidente che non vi sarà piena partecipazione fino a che anche i livelli minimi di organizzazione della vita politica — come i quartieri — non saranno inclusi nel processo; né vi sarà vera partecipazione a livello di quartiere se poi non si sarà in grado di partecipare alla politica mondiale in piena autonomia. Ecco perché la lotta per l’unità europea è anche l’occasione storica per rinnovare radicalmente il modo di fare politica e governare. Forse, per la prima volta nella storia, gli europei hanno l’occasione di abbattere lo steccato che ha sempre diviso governanti e governati: ogni individuo, ogni cittadino, deve e può avere la responsabilità di governare, per realizzare la sua libertà e quella di tutti.


*Documento elaborato dalla Commissione quadri del M.F.E. per l’avvio della politica di reclutamento e presentato al Comitato centrale del 29-9-1979.

 

 

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