IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXI, 1979, Numero 3-4, Pagina 234

 

 

PER UN SERVIZIO CIVILE EUROPEO*
 
 
La crisi della civiltà europea.
L’Europa è oggi scossa da una crisi profonda, morale e civile, oltre che politica. Ma con l’elezione diretta del Parlamento europeo è iniziato un processo che, scuotendo da cima a fondo la società europea e aprendo nuove prospettive sul suo futuro, potrà risvegliare le energie morali degli europei, oggi solo sopite sotto le ceneri di fatiscenti istituzioni statali, del tutto sorde alle aspirazioni dei giovani e della società contemporanea.
Innanzitutto, con l’elezione europea e il rilancio dell’unione economica e monetaria si sono create le premesse per consolidare l’unità europea nel contesto internazionale. L’unità è oggi indispensabile per consentire agli europei di portare la loro parola di pace e di giustizia nel mondo senza subire passivamente l’egemonia delle superpotenze. L’indipendenza e l’autonomia sono il presupposto dell’esistenza di un popolo.
Ma la decisiva conquista del voto europeo apre anche nuove prospettive di grandiose riforme sociali e civili, che urgono invano da tempo perché compresse entro i confini angusti e soffocanti dello Stato nazionale. Il voto europeo è il primo passo di un processo costituente che pone in discussione tutte le istituzioni che la vecchia Europa ha ereditato dal periodo della prima industrializzazione e della formazione dello Stato napoleonico. Per la prima volta, dall’epoca della Rivoluzione francese, gli europei hanno l’occasione di mettere radicalmente in discussione le loro strutture sociali e di dare finalmente una risposta agli straordinari problemi del nostro tempo.
La linea continua dello sviluppo civile in Europa si è oggi spezzata. Il miglioramento del tenore di vita delle masse lavoratrici e la loro sempre più attiva partecipazione al potere si sono accompagnati, nel secolo scorso, all’introduzione massiccia delle conquiste della scienza e della tecnologia nel processo produttivo. Ma oggi sembra fiorire un nuovo luddismo contro la civiltà della scienza, perché in nome della difesa dello status quo sociale si rifiuta ogni miglioramento tecnologico che lo «minacci» (come l’automazione, l’informatica, ecc.). Eppure è certamente vero che la riduzione della giornata lavorativa e un aumento (o non peggioramento) del benessere collettivo non sono possibili senza trasformazioni tecnologiche e produttive profonde. Esse si rendono inoltre tanto più necessarie quanto più a cuore abbiamo i problemi della industrializzazione del Terzo mondo. Il Terzo mondo non potrà mai essere aiutato davvero, con i fatti e non solo con le parole, da società avanzate ma ancora in lotta con la scarsità e quindi inevitabilmente portate a dipendere dalle loro egoistiche conquiste (è noto in proposito l’atteggiamento protezionistico di partiti e sindacati europei verso la «minaccia» di importazioni a buon mercato provenienti dal Terzo mondo).
Oggi viviamo una crisi economica di dimensioni mondiali, ma solo in Europa questa crisi è in primo luogo crisi di civiltà. La disunione condanna gli europei all’impotenza. A patto di superare le loro anacronistiche sovranità monetarie nazionali, essi potrebbero divenire la prima potenza monetaria e commerciale del mondo, dando così un contributo decisivo alla soluzione della crisi del dollaro e alla fondazione di un nuovo ordine economico mondiale. Ma non basta. L’inflazione e la disoccupazione sono due mali la cui radice profonda deve prima di tutto essere ricercata nella disgregazione della società civile, nel prevalere della lotta corporativa fra le categorie e nella sopraffazione dei più forti sui deboli. È oggi in crisi l’idea di solidarietà fra gli europei e fra di loro e il genere umano. È necessario perciò ritrovare un nuovo senso della solidarietà, della comunità e dello Stato. Nessuna convivenza civile è possibile se la società viene concepita come un aggregato di individui isolati e se lo Stato non si fonda sul dovere di ciascuno verso tutti.
Bisogna dunque reagire alla crisi trovando il coraggio di proporre alcune riforme semplici, ma capaci di orientare il pensiero e l’azione, in specie dei giovani, verso i fondamentali principi della convivenza civile, del contributo di ognuno alla libertà e alla giustizia di tutti e per tutti. Il processo di rifondazione della società e dello Stato riguarderà certo più generazioni ed avrà un significato ed una portata decisivi non solo per gli europei, ma per tutti i popoli, in particolare quelli del Terzo mondo che oggi guardano all’Europa come un alleato naturale nella loro lotta alla miseria. Non ci si può illudere sulle enormi difficoltà da superare. Ma bisogna tentare, anche con proposte apparentemente utopistiche, perché la vera colpa della vita politica contemporanea è quella di essere incapace di pensare e di far pensare al futuro. Anche una proposta inattuabile oggi, ma capace di suscitare speranze, può dare copiosi frutti domani.
 
Partecipazione e cittadinanza europea.
Lo Stato ottocentesco ha saputo garantire, entro certi limiti, l’esercizio delle libertà individuali, ma si dimostra del tutto incapace, nel nostro secolo, di far partecipare i cittadini alla formazione delle decisioni di governo. Lo Stato non può più essere governato da pochi. L’industrializzazione e lo sviluppo economico hanno creato le condizioni, emancipando prima le classi e poi gli individui, affinché tutti i cittadini possano prendersi carico della gestione degli affari pubblici. Anzi, la partecipazione popolare si manifesta come assolutamente indispensabile per sciogliere alcuni decisivi nodi dello sviluppo sociale e civile.
Non si può in effetti pensare di affrontare i problemi della transizione dalla società industriale, fondata sulla catena di montaggio e sul lavoro ripetitivo ed alienante, alla società post-industriale, fondata sull’automazione, sul lavoro creativo e su un maggiore tempo libero, senza gli strumenti della programmazione democratica. Si tratta di rimettere in discussione lo stesso concetto di fabbrica, di realizzare imponenti redistribuzioni delle attività fra settori e regioni, di modificare profondamente la preparazione scolastica, professionale e scientifica. A ciò si devono poi aggiungere tutte quelle modificazioni che si rendono indispensabili per emancipare il Terzo mondo, che non può restare più a lungo confinato nel suo ghetto di miseria. La ristrutturazione industriale a livello mondiale comporterà certo sconvolgimenti produttivi e sociali non inferiori a quelli della prima rivoluzione industriale. A tutto questo, ovviamente, non si potrà far fronte senza adeguate strutture partecipative. Oggi, a differenza del secolo scorso, gli individui vogliono governare il processo produttivo e non esserne travolti, perché solo così possono governare anche la propria esistenza materiale.
Per questo occorre proporre nuovi metodi di partecipazione politica. Oggi la fabbrica, la scuola, i servizi pubblici, la città, ecc. sono tante attività sconnesse, solo casualmente riunite su un solo territorio, perché mancano ancora le strutture adeguate ad una vita comunitaria integrata. D’altro canto, la vita del quartiere — basta pensare al problema energetico — non è più indipendente dalla soluzione dei problemi europei e mondiali. Bisogna dunque realizzare delle formule partecipative che consentano al livello più basso, il quartiere, di affrontare i propri problemi comunitari in piena autonomia, ma nello stesso tempo di partecipare ai livelli più alti di governo, per tutte quelle decisioni che trascendono la dimensione territoriale minima.
Occorre anche prendere atto che questa riforma partecipativa è già in corso perché, con la conquista del voto europeo, i cittadini della Comunità hanno il potere di decidere la politica europea. Si tratta ora di continuare la lotta non solo per rendere effettiva la partecipazione al livello europeo (che sarà solo potenziale fino a che la Comunità non avrà un vero governo), ma anche ai livelli inferiori. Il successo di questa lotta presuppone un capovolgimento nel concetto stesso di cittadinanza. L’ideologia dello Stato nazionale ha imposto l’identificazione della cittadinanza con la nazionalità, escludendo qualsiasi livello inferiore o superiore allo Stato nazionale di partecipazione politica (tanto che le elezioni degli enti locali vengono denominate «amministrative»). Ma questa concezione monistica sta andando in frantumi. Con la nuova fase, appena iniziata, di vita politica europea — e nella misura in cui si affermeranno strutture partecipative a tutti i livelli — è destinato a prendere forma un concetto pluralistico di cittadinanza europea. Si dovrà infatti riconoscere la sovranità a tutti i livelli di governo. Si è cittadini del quartiere, della città, della regione, ecc., fino al livello europeo. Bisogna prendere coscienza che la partecipazione è il contenuto effettivo della cittadinanza.
Il punto di partenza di questa trasformazione profonda della società europea non può che essere l’impegno personale di tutti gli europei, in particolare dei giovani che più degli altri sono portatori di nuove esigenze e speranze. Non ci si può nemmeno illudere sulle difficoltà da superare. La lotta per una effettiva partecipazione coincide con quella per lo smantellamento del vecchio Stato napoleonico accentratore, insieme a tutti gli interessi corporativi e i gangli parassitari prosperati in questi anni di decadenza della vita pubblica.
Ecco perché la trasformazione deve iniziare dal basso. E non si vede mezzo più adatto per vincere questa difficile battaglia che un servizio civile europeo. La vita della propria comunità migliorerà se ciascuno si impegnerà personalmente e disinteressatamente alla sua gestione. Bisogna ricostruire lo Stato a partire dall’individuo. Solo se ogni cittadino sarà migliore, anche lo Stato, che non esiste se manca la solidarietà di tutti con tutti, lo sarà.
 
Un servizio civile europeo per partecipare alla ricostruzione della società e dello Stato.
La proposta di un servizio civile nel quadro comunitario, istituito dal Parlamento europeo, intende rappresentare una prima positiva risposta alla crisi della società contemporanea. Questo servizio civile dovrà essere obbligatorio per tutti i giovani (comprese le ragazze) che giungeranno alla maggiore età e alla fine dei loro studi, ma dovrà essere aperto a tutti i volontari, di qualsiasi età, che intendono mettere a disposizione della collettività le loro energie.
Chi obietta alla obbligatorietà del servizio civile dovrebbe tenere presente che comunque oggi si è già tenuti a prestare il proprio servizio militare (salvo che in Gran Bretagna). In ogni caso l’obbligatorietà consisterebbe solo nell’accettare un periodo supplementare di istruzione obbligatoria, perché il servizio civile deve essere anche inteso come l’applicazione pratica di quei doveri fondamentali del cittadino verso la comunità che già oggi costituiscono l’oggetto dei corsi di educazione civica, ma che vengono subito dimenticati appena usciti dall’aula. Infine, se il servizio civile non fosse obbligatorio, si violerebbe un fondamentale principio di eguaglianza, perché tutti i cittadini devono dare il loro contributo alla gestione e al miglioramento della propria comunità.
Il principio del volontariato deve, invece, essere assolutamente mantenuto per quanto riguarda la scelta del tipo di attività che il giovane intende svolgere. L’organizzazione del servizio civile dovrebbe concretizzarsi nell’istituzione di una specie di «agenzia europea di collocamento e di programmazione», che avrebbe il compito di raccogliere, da un lato, le richieste degli enti pubblici e, dall’altro, orientare i giovani sulla base delle loro capacità ed aspirazioni verso il servizio civile più opportuno.
In pratica, il servizio civile europeo dovrebbe riguardare i seguenti tre settori fondamentali di intervento.
a) Servizio civile nella pubblica amministrazione. In tutte le economie avanzate, il più diffuso benessere materiale e la conquista di un maggior tempo libero hanno fatto sì che la domanda per attività educative, ricreative, sanitarie, ecc. si espanda in continuazione. Questo processo investe tanto il mercato, quanto la pubblica amministrazione. Ma, mentre per le professioni ed attività private sorge al più un problema di programmazione e di orientamento del governo dell’economia, per quanto riguarda la pubblica amministrazione occorre affrontare con decisione una sua profonda e strutturale riforma.
L’idea che i servizi pubblici, cioè tutte quelle attività di pubblica utilità che i meccanismi di mercato non riescono ad attivare, debbano sempre essere forniti da impiegati statali stipendiati sta mostrando due fondamentali limiti. Per un verso, la generalizzazione dei servizi e la loro estensione quantitativa hanno provocato un gonfiamento assurdo dei bilanci statali, con ulteriori problemi di gestione dell’economia e di controllo dell’inflazione. Per l’altro, la qualità del servizio è progressivamente scaduta, per l’impossibilità di applicare standards di efficienza come nelle imprese (quando una infermiera è abbastanza premurosa?), per il degradamento del senso civico e per l’elefantiasi degli enti pubblici.
A tutti questi inconvenienti si potrebbe opporre un radicale rimedio introducendo il servizio civile in tutti quei settori pubblici — e a tutti i livelli di governo — in cui il senso civico e l’altruismo costituiscono i requisiti più importanti di una certa mansione. Si tratterebbe in pratica di affiancare del personale volontario a quello permanente e professionale. Ospedali, scuole, asili, ecc., possono accogliere migliaia di persone di buona volontà, che per una particolare attitudine o abilità intendono rendersi utili. È davvero scandaloso che oggi si ponga il problema di limitare l’espansione dei servizi pubblici per ragioni economiche, quando la radice del problema non è la quantità di risorse materiali da dedicare ai servizi, ma l’incapacità dello Stato di sfruttare le enormi risorse etiche potenziali della società.
Inoltre, l’inserimento di personale volontario, dotato di fresche ed esuberanti energie civiche, costituirebbe il miglior antidoto contro l’attuale inefficienza della pubblica amministrazione. L’idea dello Stato popolare, al servizio dei cittadini, sembra ormai una concezione del tutto ignorata dalla burocrazia pubblica. Si potrà cominciare a realizzarla veramente trasformando l’attuale burocrate privo di ideali in un «servitore civile» della sua comunità.
Un tale snellimento della pubblica amministrazione non avverrà a scapito dell’occupazione produttiva vera e propria. È necessario ricordare questa verità perché essa non è ancora, purtroppo, ben compresa da partiti e sindacati, che ormai non distinguono più fra impiego pubblico e privato. Occorre non dimenticare che il reddito viene prodotto dall’industria e dall’agricoltura: la spesa statale per il personale consiste soltanto nell’utilizzazione del denaro pubblico per mantenere dei «lavoratori improduttivi», per usare un’espressione degli economisti classici, perché una nazione non diventa affatto più ricca se impiega le sue entrate fiscali per pagare una legione di soldati o una schiera di bidelli.
Il servizio civile nella pubblica amministrazione deve poi essere organizzato a tutti i livelli di governo, da quello europeo ai livelli locali.
Il servizio civile su scala comunitaria potrebbe costituire una sorta di compagnonnage europeo, cioè un periodo di apprendistato precedente il lavoro vero e proprio. Nulla vieta, in effetti, che un medico (ma il discorso vale per quasi tutte le professioni e i mestieri) al termine dei suoi studi presti servizio civile in più paesi europei — in una specie di tour d’Europe — mettendosi a disposizione delle comunità e degli enti pubblici che hanno richiesto il suo aiuto, con reciproco vantaggio, perché l’ente pubblico può godere di personale specializzato e il medico può approfondire le sue conoscenze tecniche e scientifiche in un altro paese europeo e apprenderne la lingua. Questo interscambio europeo di esperienze diventerà particolarmente prezioso con l’allargamento della Comunità, perché i giovani delle regioni più povere potranno godere delle strutture formative di quelle più ricche e, per converso, i giovani più fortunati potranno prestare il loro aiuto alle popolazioni più emarginate.
Al livello locale assume notevole importanza il servizio civile in attività educative e di programmazione del territorio e tutela dell’ambiente. Una vera riforma della scuola comporta certamente una più ampia osmosi fra comunità locale e scuola. La scuola si deve aprire a tutti e la comunità può, a sua volta, contribuire a trasmettere il patrimonio delle conoscenze collettive ai giovani. In ogni quartiere o città vi sono innumerevoli persone che aiuterebbero volentieri gli insegnanti nei loro compiti e, nel contempo, vi sono altrettante persone, di ogni età, che sarebbero liete di trovare un aiuto ed una guida per i loro studi artistici, di perfezionamento, aggiornamento, ecc.
Infine, l’idea che si debba realizzare una programmazione del territorio è solo ai suoi primi timidi passi nella vita politica europea. Si favorisce ancora la formazione di megalopoli e non di rado si assiste allo scempio del patrimonio urbanistico fatto dalle stesse amministrazioni pubbliche. In questo settore il lavoro da compiere è immenso e forse il primo passo può consistere in un grande censimento dei beni urbani e naturali che meritano di essere tutelati. A questo fine il servizio civile è addirittura insostituibile perché nessun architetto può sapere meglio di chi ama la propria terra e la propria città quali siano i beni da salvaguardare.
A questa attività di censimento, si devono poi aggiungere l’organizzazione di scavi archeologici, la custodia di musei e biblioteche (mettendoli davvero al servizio dei cittadini), la lotta contro l’inquinamento, ecc.
b) Servizio militare. Il servizio militare deve essere considerato come una particolare modalità di espletamento del servizio civile. Occorre cioè rovesciare l’attuale punto di vista che considera l’impegno dei giovani in attività civili alternative a quelle militari come un rifiuto di compiere il proprio dovere di cittadini e perciò da punirsi con un periodo più lungo di ferma. D’altro canto, la difesa dell’Europa sarà una necessità, e quindi un dovere, fino a che tutti gli Stati del mondo non accetteranno il disarmo, unendosi in un patto federale mondiale. Essere veramente antimilitaristi significa battersi per la realizzazione dell’unità politica del genere umano e il superamento del principio della sovranità nazionale esclusiva, che tiene i popoli divisi e limette uno contro l’altro armati. Servizio militare e servizio civile dovranno rappresentare una alternativa con pari dignità per tutti i giovani europei.
c) Servizio civile per il Terzo mondo. Uno dei principali compiti che l’Europa dovrà affrontare sarà quello di progettare e mettere in esecuzione un grande «Piano Marshall europeo» per lo sviluppo del Terzo mondo e la fondazione di un nuovo ordine economico internazionale. L’Europa deve dare l’esempio al mondo intero che è possibile fondare su una base nuova di amicizia e di cooperazione i rapporti fra paesi industrializzati e sottosviluppati.
Elemento fondamentale di questo piano sarà certamente la possibilità di utilizzare le conoscenze tecniche e scientifiche accumulate dalla società europea per avviare le prime esperienze di industrializzazione nel Terzo mondo. In questa prospettiva, non si vede alcun limite possibile all’impegno europeo: qualsiasi tecnico, ingegnere, letterato o semplice operaio può contribuire, con la sua esperienza, ad aiutare i popoli più poveri a uscire dalla condizione disumana in cui si trovano. La creazione di un efficace servizio civile per lo sviluppo del Terzo mondo dimostrerà coi fatti la vocazione universalistica della civiltà europea.
 
Prendere coscienza della cittadinanza europea per consolidare la democrazia.
Il servizio civile deve costituire non solo uno strumento fondamentale per far partecipare gli europei alla costruzione dell’Europa, ma anche l’occasione per rimettere la democrazia in una relazione vivente con il processo di emancipazione del genere umano e rafforzarne così il significato e il valore nell’animo degli europei. Oggi la cittadella della democrazia è minacciata su più fronti. Solo negli Stati Uniti e in Europa occidentale esistono dei regimi democratici storicamente consolidati. Ma persino nell’Europa mediterranea la democrazia non può essere considerata affatto come una conquista irreversibile. Il terrorismo, inoltre, dilaga in ogni parte del mondo come metodo di lotta politica.
Rafforzare la democrazia è un compito di vitale importanza, perché la partecipazione stessa è possibile solo se tutti accettano la democrazia come metodo di lotta politica. Non vi può essere partecipazione se la volontà di pochi, per mezzo della violenza, soffoca o minaccia di soffocare quella della maggioranza.
L’essenza della democrazia consiste nella volontà di tutti di rispettare le regole concordate per prendere decisioni comuni. Solo con questo principio si può estenderne continuamente la portata, sino al raggiungimento dell’eguaglianza di tutti gli uomini, che è possibile solo con la creazione di una legge perfettamente giusta. Solo con le leggi si può stabilire l’eguaglianza, che non esiste in natura. Il rispetto della forma è dunque la sostanza stessa della democrazia. Per questo, per consolidarla, non vi è mezzo più efficace che quello di rendere più consapevole ogni cittadino del valore supremo del rispetto della legalità democratica.
La democrazia in Europa potrà rafforzarsi, e con essa la partecipazione politica, se ogni cittadino europeo si impegnerà solennemente, con un pubblico giuramento al momento di assumersi le responsabilità politiche fondamentali (il diritto di voto e la prestazione del servizio civile), a rispettare i principi fondamentali della democrazia, in particolare quello del rispetto delle leggi — anche quando si tratta di cambiarle perché sono ancora ingiuste — del rifiuto della violenza come metodo di lotta politica e del ricorso alla disobbedienza civile, solo nella forma della resistenza passiva, nei casi di ingiustizia intollerabile della legge. Bisogna rendere militante la democrazia se si vuole far prevalere la ragione sulla violenza.
Già oggi esiste in vari paesi europei il dovere, per gli impiegati statali, gli insegnanti, i militari, ecc., di giurare il rispetto della costituzione nazionale. Ma questo giuramento (che del resto è nato più come tentativo di rendere i sudditi docili nei confronti del potere costituito, piuttosto che di rafforzare la democrazia) ha praticamente perso ogni valore ed è diventato una formula di rito, data la crisi di sfiducia che ha investito tutti gli Stati europei, incapaci di garantire una reale indipendenza economica e politica ai propri cittadini. Ben diversa è la situazione della Comunità europea. Essa non ha una vera costituzione scritta (salvo i Trattati), ma viene considerata ormai dagli europei come un bene inestimabile, perché in nessun’altra parte del mondo si è potuto godere, come in Europa, di un così lungo periodo di pace e di benessere. È naturale dunque che gli europei contribuiscano al suo rafforzamento assicurandole lealtà. Sarà il giuramento del rispetto della legalità democratica e del rifiuto della violenza la pietra fondamentale della costituzione europea.
Prendere coscienza del valore della democrazia, per meglio difenderla, non significa tuttavia accettare passivamente la volontà della maggioranza, come si potrebbe interpretare, fraintendendolo, il significato del giuramento. Il giuramento consiste nell’impegno del singolo a rispettare la volontà generale, come auspicava Rousseau, perché senza di essa non vi è società, ma solo anarchia e violenza di tutti contro tutti. Tuttavia la volontà della maggioranza non coincide con la giustizia e il rispetto assoluto della libertà individuale. L’uomo può sbagliare. E anche una maggioranza può sbagliare. Ma a ciò non vi è altro rimedio che il diritto supremo dell’individuo alla disobbedienza civile (nonviolenta). Chi crede di essere nel giusto deve contestare il potere. Ma solo se compie questo rifiuto nel rispetto delle leggi e del suo personale giuramento, continuerà a far parte della comunità — che come lui ha accettato il principio del dialogo e della discussione per modificare le leggi — e potrà così sperare che un giorno i suoi concittadini lo ascoltino e cambino opinione. Sarà invece un traditore della sua comunità e perderà ogni diritto ad essere ascoltato se tenterà con la violenza di sopraffare la volontà dei suoi concittadini.


*Documento predisposto da Guido Montani, per conto della Commissione quadri del MFE.

 

 

 

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