IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXIII, 1981, Numero 3-4, Pagina 152

 

 

REAGAN GIOCA A CARTE SCOPERTE
 
 
Reagan ha giocato a carte scoperte quando ha dichiarato, circa le armi nucleari, che è immaginabile «una situazione in cui si potrebbe avere uno scambio di armi tattiche contro le truppe sul campo di battaglia senza che ciò induca l'una o l'altra delle maggiori potenze a premere il bottone». Per pressione sul bottone si intende ovviamente la decisione di lanciare missili strategici. Di conseguenza tutti gli europei hanno dovuto prendere atto della strategia di Reagan che comporta la possibilità di una guerra combattuta in Europa con armi nucleari, quindi immensamente più distruttiva della seconda guerra mondiale, che pure era arrivata ad un livello di distruzione tale da far pensare che l'umanità si fosse imbarbarita. Che cosa si potrebbe difendere con una guerra di questo genere in Europa non si capisce, visto che dopo averla combattuta non ci sarebbe più nulla: né popoli capaci di qualche forma di vita civile, né memoria del passato, né città. Messi di fronte a questa prospettiva gli europei hanno reagito; e, secondo tutta la stampa (che in questo caso acquisisce il carattere di stampa di regime che dice una cosa sola, quella imposta dal potere), Reagan avrebbe rettificato la sua posizione tenendo conto dei legittimi interessi dell'Europa. Ma quando si va a vedere in che cosa consiste questa rettifica non si trova niente. Ciò che Reagan ha detto è che gli americani sarebbero a fianco degli europei sin dal primo giorno di una eventuale aggressione, come se l'alternativa della prima dichiarazione non fosse stata quella fra guerra nucleare in Europa e guerra nucleare sui territori sovietico e americano, ma quella fra una guerra fatta in Europa dai soli europei, anche se sostenuti dagli americani e dai russi, e una guerra con il loro coinvolgimento sin dal principio. Ma questa prospettiva non è mai esistita, ed è perfino impossibile, perché le forze militari dell'Europa occidentale sono integrate nella NATO (indirettamente anche quelle francesi), e quelle orientali del Patto di Varsavia. È evidente che Reagan non ha rinunciato a niente. Ha offerto solo una ciambella di salvataggio ai governanti degli Stati nazionali (prima il bastone, poi la carota), i quali hanno potuto così dire e far dire dalla loro stampa che gli americani avevano rinunciato ad una ipotesi catastrofica per l'Europa. Il doppio gioco è evidente: i lettori avranno pensato, ovviamente, che Reagan aveva rinunciato alla guerra nucleare tattica in Europa. Ma questa cosa non l'ha mai detta e non la poteva nemmeno dire.
È noto che con la fine del monopolio nucleare americano, e con lo sviluppo tecnologico dei mezzi nucleari, gli americani sono passati dalla strategia della risposta nucleare immediata (anti-città) a quella della «risposta flessibile». La risposta flessibile è quello che è: significa che si comincia dai mezzi meno distruttivi e si sale di grado. A un certo gradino ci sono i mezzi nucleari tattici. La risposta flessibile significa dunque che si usano i mezzi nucleari tattici senza usare mezzi nucleari strategici. E, detto in soldoni per l'uomo della strada, ciò significa che si usano le armi nucleari in Europa e non in America e in Russia. Ne segue che quando gli americani hanno adottato la strategia della risposta flessibile hanno basato la loro politica sull'ipotesi di una guerra nucleare tattica in Europa. Ne segue anche che i governanti dei nostri Stati, accettando questa strategia, hanno anche essi accettato la possibilità di una guerra nucleare in Europa. A questo punto si capisce quale fosse lo sdegno dei governanti europei che hanno protestato. Non erano irritati per l'ipotesi di una guerra nucleare tattica, che avevano accettato da tempo, ma perché Reagan aveva messo a nudo la verità.
Nel 1964 avevo pubblicato su Le Fédéraliste un articolo nel quale prendevo in esame la teoria della risposta flessibile e citavo l'opinione del generale Ailleret che affermava due cose: «a) che una difesa classica, o ‘convenzionale’, come si suol dire, non sarebbe in grado di fermare i russi alla cortina di ferro (‘il Reno sarebbe già una soluzione felice. La Somme, l'Aisne, i Vosgi, il Giura e le Alpi sarebbero una soluzione più probabile'); b) che il ricorso alle armi atomiche tattiche potrebbe forse permettere di bloccare l'invasione, ‘ma il prezzo per il campo di battaglia, vale a dire per l'Europa, sarebbe immenso… è evidente che uno scambio nucleare, anche semplicemente tattico, distruggerebbe completamente l'Europa per una profondità di 3.000 chilometri, dall'Atlantico fino alla frontiera sovietica'».
Il lettore potrà notare che dal 1964 ad oggi la situazione è ancora la stessa, ma in peggio, a causa della maggiore precisione delle testate nucleari e della bomba N, il cui impiego è contro i carri armati e quindi fa quasi scomparire il puro livello convenzionale (se entrano in gioco i carri armati entrano in gioco le bombe N). Ciò vale per il secondo punto di Ailleret: la distruzione globale dell'Europa, che non era dubbia allora, lo è ancor meno oggi. Ma vale anche per il primo punto che curiosamente non è mai stato discusso nella polemica di questi giorni. Ailleret diceva che gli europei non erano in grado di arrestare i russi ai confini della Germania occidentale e nemmeno al Reno. Il generale Close sostiene da molti anni che, con l'attuale assetto della NATO, le truppe del Patto di Varsavia arriverebbero al Reno in quarantotto ore. Gli europei non hanno discusso queste tesi, gli americani sì, come risulta da dibattiti al Congresso nel 1976. In questi dibattiti ci si chiese se la NATO era ancora militarmente utile, e se ne trasse la conclusione che lo fosse solo a patto di rafforzare le difese europee sino a un punto tale da consentire una guerra europea che non comportasse uno scambio nucleare strategico fra le grandi potenze. Non c’era dunque bisogno di aspettare le carte messe in tavola da Reagan per sapere queste cose. Ma la stampa di regime non ne aveva parlato.
A questo punto si impone una conclusione. A che cosa pensano gli uomini politici europei quando «pensano» alla difesa dell’Europa? Come mai nel dibattito sulla difesa dell’Europa nessun giornalista e nessun uomo politico ha ricordato la verità, e cioè il fatto che non c’è difesa dell’Europa in una guerra convenzionale perché i russi arriverebbero al Reno in quarantotto ore, e che non c’è difesa nucleare dell’Europa perché il concetto di difesa implica la difesa di qualcosa che sopravvive sia pure a prezzo di sacrifici? Tempo fa La Repubblica ha addirittura ricordato con un titolo a piena pagina che il fronte orientale italiano non reggerebbe più di otto minuti. Ma anche questo fatto, come le tesi di Close, non ha sollevato alcun dibattito. Si direbbe dunque che nessuno si occupa della difesa dell’Europa, e che in primo luogo non se ne occupano proprio quelli che ne parlano.
La verità è che il potere difende se stesso. Che cosa sia il potere degli Stati nazionali l’ha detto con chiarezza Luigi Einaudi. Gli Stati nazionali sono «polvere senza sostanza», e sono incapaci di una difesa autonoma. Ne segue che quando si difende il potere dei nostri Stati si difende un potere che non è quello della difesa dei nostri paesi. Per gli uomini onesti c’è una sola via: 1) la difesa europea nel quadro dello sviluppo di un mondo multipolare; 2) un impegno assoluto per realizzare, sulla base della libertà e della sicurezza di tutte le nazioni, una vera pace.
 
Mario Albertini
(novembre 1981)

 

 

 

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