IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVII, 1975, Numero 3, Pagina 190

 

 

AA. VV., Crisi e ristrutturazione nell’economia italiana, a cura di Augusto Graziani, Torino, Einaudi, 1975, pp. 560.
 
 
Augusto Graziani è l’economista italiano che con maggiore lucidità ha saputo cogliere i profondi legami esistenti fra lo sviluppo economico italiano e il processo di integrazione europea. In particolare, con Lo sviluppo di un’economia aperta e L’economia italiana 1945-1970, il Graziani ha fornito un modello interpretativo dell’esperienza italiana che fa dipendere le caratteristiche dello sviluppo economico di questo dopoguerra dai vincoli derivanti dalla scelta di mercato aperto compiuta dal nostro paese: le distorsioni e il carattere dualistico dello sviluppo economico italiano sono il frutto di un meccanismo unitario che in questo dopoguerra è stato alimentato dall’apertura dell’Italia alla concorrenza internazionale e al carattere libero-scambista del processo di integrazione economica europea.
La prospettiva adottata dal Graziani in questa sua ultima opera risulta invece completamente differente: l’esperienza italiana degli ultimi 10 anni è interpretata alla luce del conflitto che ha contrapposto lavoratori e capitalisti e, all’interno di questo secondo gruppo, imprese industriali ad alta intensità di capitale a imprese industriali ad alta intensità di lavoro.
Questa diversa prospettiva porta il Graziani a negare l’importanza di elementi che risultavano essenziali nella sua precedente interpretazione. Tipica è in tal senso la rilevanza data dal Graziani, nei due successivi modelli, al vincolo rappresentato per la politica economica italiana dalla bilancia dei pagamenti. La contraddizione esistente nel quadro italiano fra la necessità di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti e la volontà di garantire il pieno impiego e lo sviluppo equilibrato dell’economia rappresentava uno degli elementi cruciali dell’analisi svolta da Graziani alla fine degli anni ‘60; nella più recente analisi, invece, la manovra deflazionistica non appare come prodotto della logica dello stop and go ma come strumento di una politica economica partigiana: «la giustificazione ufficiale (della manovra deflazionistica nel 1969) fu la necessità di combattere il disavanzo della bilancia dei pagamenti. Ma questa volta, l’argomentazione dei conti con l’estero era ancora meno giustificata di quanto non fosse stata nel 1963. Infatti nel 1969 il passivo della bilancia dei pagamenti non era dovuto a eccessive importazioni di merci, ma prevalentemente a una ripresa violenta delle esportazioni di capitali (…). In queste condizioni, sostenere che il passivo della bilancia dei pagamenti imponeva una politica restrittiva era una affermazione palesemente in malafede». Il fatto è che la politica economica perseguita dal governo italiano non si può comprendere, secondo il Graziani, prescindendo dall’obiettivo prioritario di ottenere una redistribuzione del reddito che annulli le conquiste ottenute dai lavoratori con le lotte sindacali.
Il tentativo del Graziani di rivalutare l’importanza della dinamica sociale come fattore determinante lo sviluppo economico italiano va certamente considerato con interesse: suscitano perplessità le modalità con cui questo tentativo è stato condotto. Il fatto è che la maggiore attenzione attribuita alla dinamica del mercato del lavoro e ai rapporti sociali non è venuta ad inserirsi nel modello interpretativo proposto da Graziani negli anni ‘60, ma si propone come una analisi esaustiva alternativa. Questa evoluzione nel pensiero di Graziani suscita perplessità tanto maggiori ove si consideri che la dipendenza dello sviluppo italiano dal contesto internazionale si è sempre più accentuata, raggiungendo una intensità drammatica con la crisi energetica.
 
Dario Velo

 

 

 

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