IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVII, 1975, Numero 4, Pagina 251

 

 

Enrico Berlinguer, Santiago Carrillo, Una Spagna libera in un’Europa democratica, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp. 65.
 
 
Il volume comprende i discorsi pronunciati dal Segretario generale del P.C.I. Enrico Berlinguer e dal Segretario generale del P.C. spagnolo Santiago Carrillo in occasione della manifestazione antifranchista svoltasi a Livorno nel luglio scorso.
L’analisi sviluppata dai due uomini politici risente dell’occasione per cui è stata composta; una manifestazione pubblica, di massa, non è l’occasione migliore per un approfondimento teorico o per una analisi che puntualizzi le posizioni politiche dell’oratore.
Ciò tuttavia non basta a spiegare perché nessuno dei due oratori abbia affrontato a fondo il problema delle «cause internazionali» della dittatura spagnola. Il problema è tanto importante che è stato scelto come titolo del volume: «una Spagna libera in un’Europa democratica», ma nessuno degli oratori ha spiegato con chiarezza cosa significhi questa affermazione. Berlinguer si è limitato ad una frase generica e in ultima analisi ambigua: «la riconquista della democrazia in Spagna, lo sviluppo democratico in Italia, possono assicurare all’Europa occidentale… nuovo slancio nella soluzione dei problemi con i quali è chiamata a confrontarsi, in una prospettiva di libertà di democrazia, di progresso e di pace». Altrettanto vale per il discorso di Carrillo.
Il fatto è che le posizioni tenute da Berlinguer e Carrillo a Livorno rappresentano una conferma della situazione delicata in cui si trovano oggi il partito comunista italiano e spagnolo.
In entrambi i casi stiamo assistendo ad una profonda trasformazione, cioè al tentativo di questi due partiti di ottenere una più ampia autonomia d’azione nei confronti del partito comunista sovietico e di assumere la fisionomia di partiti popolari e democratici in grado di svolgere un ruolo di primo piano e di assumere responsabilità di governo nell’ambito di sistemi politici a democrazia rappresentativa.
Questa evoluzione è stata agevolata e incentivata dalla natura dei problemi che si pongono alla classe politica dei due paesi. Per la Spagna, il passaggio dal franchismo alla democrazia è un’operazione di carattere costituzionale che richiede l’impegno unitario di tutte le forze democratiche. Per l’Italia, la crisi in cui versano il paese e le istituzioni repubblicane risulta tanto grave che solo una fase politica con natura costituente potrebbe offrire una soluzione ad essa. In entrambi i paesi i partiti comunisti hanno dovuto porsi il problema di compartecipare alla gestione del potere, nella coscienza che solo il concorso di tutte le forze politiche può permettere la mobilitazione delle energie necessarie a superare i problemi sul tappeto.
Elemento cruciale perché questo coraggioso tentativo riesca è la scelta europea, non a caso compiuta dal partito comunista italiano e spagnolo e rifiutata dallo stalinista Cunhal e da Marchais. La nascita di un polo europeo autonomo spezzerebbe l’equilibrio bipolare che ancora oggi regge i rapporti internazionali e che, riflettendosi sugli equilibri interni dei sistemi politici nazionali, rappresenta l’ostacolo principale alla partecipazione al governo dei partiti comunisti nell’area occidentale.
Se questa è la scelta che è stata compiuta dal P.C.I. e dal P.C. spagnolo, va posto tuttavia in luce che essa non ha la possibilità di esprimersi compiutamente fino a quando l’Europa sarà solo un’opzione e non una realtà politica. È evidente che, fino a quando l’Europa non sarà una realtà politica, i partiti comunisti europei continueranno ad essere tenuti a rispettare la leadership di Mosca, anche se potranno fruire di un certo grado di autonomia. Fino a quando l’equilibrio internazionale sarà bipolare, i partiti europei potranno scegliere soltanto fra la subordinazione agli Stati Uniti o all’Unione Sovietica; in questo quadro, non si vede come potrebbe (e perché dovrebbe) un partito comunista optare per la leadership statunitense.
In questa fase storica si comprende pertanto come i dirigenti comunisti parlino sempre più spesso di «Europa democratica» e possano giungere ad accettare il principio dell’elezione europea, ma debbano mantenersi prudenti quando precisano le implicazioni della propria opzione europea, per non suscitare reazioni nette da parte dei dirigenti sovietici ancora autorevoli agli occhi della base del partito e comunque alleati oggi indispensabili.
Il fatto essenziale che questo volume conferma è la disponibilità dei partiti comunisti italiano e spagnolo ad impegnarsi, nei limiti ad essi possibili, nella lotta per la democrazia europea.
Spetta a tutte le forze democratiche far sì che questi fermenti nel P.C.I. e nel P.C. spagnolo non muoiano, soffocati dalla reazione stalinista. Lo strumento è l’elezione europea, che cancellerebbe dal quadro politico europeo ogni disegno stalinista ed eversivo.
 
Dario Velo

 

 

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