IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVIII, 1976, Numero 4, Pagina 241

 

Riproduciamo qui di seguito il testo dei rapporti del Presidente al Comitato federale dell’U.E.F. riunito al Lussemburgo (3-4 aprile 1976) e a Hertenstein (2 ottobre 1976). I rapporti del Presidente, una volta approvati dal Comitato federale, diventano prese di posizioni ufficiali del Comitato stesso, e costituiscono altrettante definizioni — nelle diverse congiunture politiche che fanno di volta in volta da orizzonte all’azione del Movimento — della linea strategica dell’U.E.F.
 
 
 
RAPPORTO AL COMITATO FEDERALE
DEL 2 OTTOBRE 1976
 
 
I. — Io credo che noi dobbiamo riprendere in esame la nostra azione. L’avevamo definita in una situazione nella quale l’obiettivo maggiore (nel senso di Jean Monnet, maggiore in quanto capace di modificare la situazione generale e di rendere più facile la soluzione dei problemi sul tappeto) era la decisione sull’elezione europea. Ora questa decisione, a livello europeo, è stata presa. Si tratta ora di vedere in che misura questa decisione ha cambiato la situazione, e in che misura deve essere rinnovata la nostra azione.
È vero che per l’elezione europea restano ancora da superare le difficoltà a livello nazionale, e che ciò richiede la nostra vigilanza. Ma è anche vero che più l’elezione diventa probabile e avanza la certezza, più l’interesse generale si sposta dall’azione per ottenerla all’elezione stessa come fatto nuovo della vita politica e della situazione europea. Ne segue che è a questo interesse che bisogna ormai riferirsi per spronare i federalisti, esercitare una influenza e sprigionare delle forze, beninteso a patto di stabilire obiettivi che rendano più facile, e non più difficile, il superamento delle ultime difficoltà.
 
II. — Nella fase che si è chiusa — almeno nel senso che una fase nuova, quella della preparazione dell’elezione, prende il sopravvento — l’azione dell’U.E.F. è stata efficace come poche volte, e forse mai, nel passato. Ciò si è tradotto in un notevole rafforzamento della credibilità e del prestigio dell’U.E.F., che risulta ancora più importante se si tiene presente che l’U.E.F. è composta solo da militanti, e quindi non ricava la sua credibilità da personalità politiche che si sono affermate nella politica nazionale.
Ciò prova che il nostro metodo d’azione ha fatto buona prova, e che va applicato ancora. Ma prima di parlarne vorrei osservare che bisogna, in primo luogo, non aspettare le decisioni degli altri, ma prendere l’iniziativa. Circa la nostra azione recente va ricordato che ciò che oggi sembra naturale — la scelta dell’elezione europea come obbiettivo principale e la convergenza delle forze dell’europeismo su questo obiettivo — è stato ottenuto, dopo un periodo abbastanza lungo di incertezza e di discussioni, grazie all’iniziativa e alla fermezza dell’U.E.F. (che si era già battuta con le sue organizzazioni nazionali ancora divise per le elezioni unilaterali) e all’azione di alcuni amici del Movimento europeo e del Consiglio dei comuni d’Europa.
Ricordando questo fatto — la convergenza delle forze dell’europeismo — ho già parlato di uno dei criteri fondamentali del nostro metodo, l’unità; l’unità non solo dell’U.E.F., ma di tutto l’europeismo organizzato (Movimento europeo, e, con alcune differenze nazionali, Consiglio dei comuni d’Europa e le altre organizzazioni europeistiche). Nel loro insieme queste forze rappresentano l’opinione pubblica europea. Ma se sono divise, non contano niente. Se sono unite, possono invece contare molto, perché mostrano che l’europeismo ha una volontà ben definita e diventano così un punto di riferimento per l’azione europea dei governi e dei partiti. E c’è di più. Se queste forze sono unite, possono mobilitare un vastissimo settore dell’opinione pubblica: quello dell’europeismo diffuso.
La seconda ragione del nostro successo sta nella scelta dell’obiettivo giusto, cioè dell’obiettivo maggiore secondo Jean Monnet, e nella concentrazione su questo obiettivo. Per quanto forti siano le forze dell’europeismo, che non dispongono del mezzo di potere che deriva dal voto e dal controllo di centri di potere, possono esercitare una influenza effettiva solo se concentrano tutte le loro energie su un punto solo.
Ciò non significa che noi, come dei maniaci, dovremmo occuparci di una cosa sola. Noi dobbiamo evidentemente, nei limiti del possibile, occuparci di tutto ciò che è utile e necessario per l’Europa, ma, di volta in volta, collegandolo con quel solo punto di azione che consente di migliorare la situazione generale dell’Europa. E va detto che solo scegliendo un obiettivo giusto, e concentrando l’azione su questo obiettivo, si può ottenere sia l’unità dell’europeismo organizzato, sia, in prospettiva, l’unità dell’europeismo diffuso. Il secondo criterio fondamentale sta dunque nella ricerca e nella scelta dell’obiettivo più utile.
Il terzo criterio fondamentale è di carattere organizzativo. Scelto l’obiettivo, si tratta di dirigere tutte le forze dell’europeismo verso questo obiettivo. E ciò è possibile solo se si fissa un traguardo, una scadenza, un appuntamento, in pratica una grande manifestazione unitaria il cui tema sia costituito dall’obiettivo che è stato scelto. Solo in questo modo, con questo riferimento pratico, tutte le componenti delle nostre organizzazioni hanno la possibilità — mentre si occupano di cose diverse perché diverse sono le persone e le situazioni nelle quali agiscono — di orientare la loro azione verso l’obiettivo comune.
 
III. — Dopo queste osservazioni possiamo affrontare, a ragion veduta, il problema dell’aggiornamento della nostra azione. Se quanto ho detto ha senso, si tratta in effetti di prendere in esame sia la questione dell’obiettivo, sia quella della «manifestazione-traguardo» con la quale orientare tutte le forze dell’europeismo verso l’obiettivo, nonché di aprire un dibattito su queste questioni con le forze europeistiche, in primo luogo con il Movimento europeo.
Dirò subito che nella fase che si è aperta l’obiettivo maggiore, cioè il punto nel quale si possono ottenere i maggiori risultati, mi sembra quello della formazione dei programmi elettorali europei dei partiti. Vorrei premettere, tuttavia, un cenno sul rilievo dell’elezione europea. Allo stato dei fatti, la valutazione sulle conseguenze di questa elezione è ancora incerta. Non ci sono previsioni ben fondate anche perché non ci sono idee chiare su che cosa può essere, come può funzionare e come può nascere, una prima forma di governo europeo (e quindi di traduzioni in pratica dei risultati della competizione elettorale).
C’è perfino chi va dicendo (forse perché lo spera?) che l’elezione europea non avrà alcuna conseguenza. A queste persone bisognerebbe opporre l’opinione di Willy Brandt, che al Congresso di Bruxelles ha affermato che il Parlamento europeo eletto direttamente deve dar vita ad un governo europeo e diventare l’Assemblea costituente permanente dell’Europa. Non si tratta di un caso isolato. Brandt ha fatto presto e bene ciò che tutti stanno facendo. Il partito liberale e quello democristiano hanno già costituito i rispettivi partiti europei. Il dibattito per giungere a programmi europei è in corso ovunque, ed è proprio di questi giorni la notizia che Willy Brandt si è impegnato anche a questo riguardo promuovendo incontri tra i socialisti per giungere a un programma comune europeo.
Tutto ciò non succede a caso. È chiaro che l’elezione europea obbliga tutti i partiti a chiedersi in qual modo possono evitare di perdere voti e tentare di guadagnarne. E va da sé che questo modo è europeo, non nazionale. Ormai è lo stesso loro interesse che obbliga i partiti a cercare una via europea efficace. E la cosa più importante è che i partiti devono pensare sin da ora alla seconda elezione europea, al loro futuro europeo. E ciò richiede che il programma sia efficace sin dalla prima elezione, che la montagna dell’elezione europea non partorisca il topolino di una comunità che funziona sempre peggio.
Più si mette l’accento sul programma elettorale europeo dei partiti, più si accelera, e si migliora, questa tendenza già in corso. C’è una evidente relazione fra programma europeo e partito europeo, o almeno stabile coalizione europea di partiti (se un partito presentasse un programma europeo in un paese, e il partito simile un diverso programma europeo in un altro paese, non ci sarebbe evidentemente un programma europeo del gruppo di partiti in questione).
C’è anche una evidente relazione tra il programma europeo e i problemi, soprattutto economici, che interessano gli elettori. Se il programma europeo non indicasse la soluzione dei problemi che non si risolvono, o si risolvono male, nel quadro nazionale, non interesserebbe gli elettori (e quindi farebbe perdere voti).
D’altra parte, nella misura in cui si constata la convenienza di programmi europei concreti, si mette in evidenza la necessità di un esecutivo europeo efficace per eseguirli, e si affronta nel modo migliore la questione della partecipazione degli elettori, che sarà tanto più ampia e sentita quanto più l’Europa sarà presentata come mezzo per risolvere i maggiori problemi dei cittadini.
In sostanza mettendo l’accento sul programma europeo dei partiti, si provoca la discussione e l’esame dei più importanti problemi europei. È per questa ragione che io credo che noi dovremmo, proseguendo la campagna per l’elezione europea, concentrare la nostra attenzione su questo punto, e proporre al Movimento europeo la convocazione del secondo Congresso europeo per la fine del 1977 a Bruxelles, allo scopo di invitare gli esponenti dei partiti a illustrare il punto cui sono giunti nella elaborazione del nostro programma europeo.
 
IV. — Mi restano da fare ancora tre osservazioni brevissime: 1) fino ad ora la preparazione della campagna, e il suo primo sviluppo, hanno avuto come incentivo la necessità di agire per ottenere la decisione sull’elezione europea. La necessità di ottenere buoni programmi europei può costituire un nuovo incentivo per la campagna; 2) mettendo l’accento sulla necessità di buoni programmi europei non si prende ancora in esame il loro contenuto; si pone più una questione di metodo che di sostanza, e quindi non si ostacolano le ratifiche nei paesi difficili; 3) bisogna prepararsi ad affrontare, al momento giusto, le questioni di contenuto, ed avere una visione netta su che cosa può essere, come può nascere e come può funzionare una prima forma di governo europeo. Su questi punti dovremmo iniziare subito il dibattito all’interno dell’U.E.F., per non essere impreparati quando l’elezione metterà questi problemi sul tappeto.

 

 

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