IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXVII, 1995, Numero 3, Pagina 204

 

 

GOVERNO GLOBALE E CITTADINANZA GLOBALE*
 
 
Per ogni movimento sociale democratico in buona fede è necessaria una costante riflessione sui problemi dei rapporti di fiducia tra aderenti e organi, della linea politica, delle priorità e della gestione.
Questo compito non è meno difficile ora, nel 1995, anno del cinquantesimo anniversario dell’ONU, a causa delle enormi trasformazioni politiche e sociali che la società mondiale sta subendo. Come militanti di movimenti e organizzazioni sociali internazionalistiche, noi siamo posti di fronte non solo alla sfida di interpretare e capire gli avvenimenti attuali in un quadro politico fluido e sottoposto a veloci mutamenti. Noi dobbiamo affrontare delle sfide in quanto individui. La globalizzazione, il «nuovo ordine mondiale», la riforma delle Nazioni Unite: questi non sono discorsi vaghi, non sono questioni «fuori portata» presentate dai governi nazionali. Ognuno di noi è coinvolto personalmente, come cittadino.
Per questo, affrontando i problemi della riforma dell’ONU e del governo globale, lo farò in modo da suscitare, spero, delle idee e da stimolare un dialogo riguardo all’individuo, al cittadino dell’emergente comunità globale, e riguardo al ruolo delle organizzazioni i cui aderenti sono i singoli cittadini.
Che cosa significa «governo globale» e qual è il senso del connesso concetto di «globalizzazione»? Ambedue sono aggiunte relativamente nuove al nostro comune lessico politico.
Il governo si potrebbe riferire a un qualche sistema di gestione delle questioni politiche che riguardano il popolo o a un certo modo di prendere e realizzare certe decisioni politiche. Ma abbiamo effettivamente raggiunto uno stadio della storia umana nel quale si manifestano il bisogno e le necessarie precondizioni per un governo su scala globale?
Secondo un autorevole gruppo di uomini di Stato ed esperti a livello internazionale, la risposta a questa domanda è positiva.
All’inizio di quest’anno, è stato pubblicato e ampiamente pubblicizzato un volume intitolato Our Global Neighbourhood (Il nostro villaggio globale), in occasione delle manifestazioni commemorative per il cinquantesimo anniversario delle Nazioni Unite. Quest’opera contiene il Rapporto della Commissione sul governo globale, presieduta da Ingvar Carlsson, primo ministro svedese, e da Shridath Ramphal, già Segretario generale del Commonwealth.
I membri della Commissione includono molti di coloro che hanno elaborato il Rapporto Nord-Sud sullo sviluppo (coordinato da Willy Brandt), il Rapporto della Commissione Nyerere sulla cooperazione Sud-Sud, quello della Commissione Palme sul disarmo e la sicurezza internazionale e infine quello della Commissione Brundtland su ambiente e sviluppo. Sono persone che gravitano attorno a un’area politica progressista, internazionalista e moderatamente di centro-sinistra. La maggior parte dei membri della Commissione sul governo globale sono, o sono stati in passato, funzionari di grado elevato di un governo nazionale o di una organizzazione internazionale. La Commissione è stata istituita con i contributi di fondazioni e di governi nazionali.
La formula dei gruppi di lavoro internazionali di questo tipo dà ottimi esiti. L’insieme di «esperti» comprende rappresentanze regionali, ciascuna con il suo contributo e con un notevole passato politico. Una serie di incontri e colloqui in tutto il mondo non solo fornisce alla Commissione delle testimonianze — un insieme di idee vecchie, nuove e riciclate —, ma contribuisce a creare consenso sul Rapporto della Commissione. La presentazione al pubblico del Rapporto nelle maggiori capitali del mondo costituisce di per sé una grande campagna.
Ma ciò che in realtà determina il successo o meno di questi Rapporti di gruppo è l’analisi politica che sottostà al loro messaggio. Le idee che essi propongono sono perfette? Hanno esse una qualche risonanza fra la gente di tutto il mondo, specialmente fra gli accademici e le organizzazioni non governative che sono critici nei confronti della loro divulgazione? Ricordando il Rapporto della Commissione Palme non si può che lodare la saggezza dei relatori; le proposte formulate a partire dal concetto di sicurezza comune hanno introdotto un salto qualitativo nel discorso politico sui problemi del disarmo, del controllo delle armi e della sicurezza internazionale. Allo stesso modo la Commissione Brundtland è stata anticipatrice di un movimento d’opinione a livello mondiale che era pronto ad abbracciare con convinzione una serie di idee implicite nel concetto di sviluppo sostenibile.
E allora, il mondo è pronto per un governo globale? Forse sì.
Si dovrebbe riconoscere naturalmente che il governo globale è un’idea di enorme portata. I Rapporti citati prima hanno messo a fuoco una serie di questioni settoriali, come lo sviluppo internazionale, i rapporti fra ambiente e sviluppo, oppure il controllo delle armi e la sicurezza internazionale. Ma quando si parla di governo, ci si riferisce al sistema internazionale per se.
Comunque, l’importanza dell’argomento e l’ampiezza del discorso sul governo sono del tutto adeguate all’epoca in cui viviamo. Dopo tutto, il mondo è immensamente cambiato negli ultimi anni.
Del governo mondiale si è cominciato ad occuparsi con attenzione negli anni Novanta, gli anni cioè del dopo guerra fredda. Qualcuno ha parlato di fine della storia e forse ciò è fuorviante, ma non c’è dubbio che stiamo vivendo l’alba di una nuova era.
Nella prima metà di questo secolo sono state combattute due terribili guerre mondiali, conclusesi con la fine del colonialismo e la disfatta del fascismo. Ora, i vari decenni di guerra fredda hanno condotto al trionfo del capitalismo e al declino del comunismo. Possiamo essere contenti del fatto che il superamento del comunismo sia stato portato a compimento, almeno finora (perché è una vicenda ancora aperta) senza eccessivo spargimento di sangue.
Ma ci sono altre notevoli caratteristiche dell’attuale momento evolutivo della storia. Una è la crescente accettazione nel mondo dei principi dell’economia di mercato. Anche quegli Stati i cui governi non hanno ancora del tutto superato il comunismo o l’autoritarismo stanno tentando di adattare le loro economie ai modelli del libero mercato. La crescita di economie basate su di esso non si limita alle politiche economiche nazionali. Ovunque gli Stati sentono la necessità di abolire le restrizioni al commercio internazionale e di partecipare ai sistemi regionali o globali di libero commercio. Molto significativa al riguardo è la recente creazione della World Trade Organization, caratterizzata da un meccanismo di soluzione delle controversie molto più vincolante rispetto a quello del GATT. Inoltre ora esercitano una grande influenza enti internazionali di controllo, come la Bank for International Settlements (Banca dei regolamenti internazionali) e l’International Monetary Fund (Fondo monetario internazionale). Tutti questi organismi hanno decisamente aumentato la capacità di operare a livello internazionale da parte di grandi società.
Ritornerò brevemente in seguito sulla mancanza di un adeguato controllo politico di questa crescente economia globale.
Ad accompagnare e rafforzare la globalizzazione della vita economica si aggiunge una grande quantità di innovazioni tecnologiche che stanno trasformando non solo l’andamento delle politiche globali, ma anche la nostra vita quotidiana. Siamo tutti consapevoli del grado di interdipendenza prodotto dai satelliti, dai computer, dalle comunicazioni aeree, dai mass-media, dalle cosiddette autostrade informatiche, ecc. La velocità di questi cambiamenti è in continua accelerazione. Non vorrei soffermarmi troppo su di essi, non solo perché il grado della nostra interdipendenza è del tutto evidente, ma perché dilungarsi servirebbe solo a ricordarci tutto ciò che dobbiamo ancora imparare sui computer e sulla posta elettronica. Oggi sarebbe quasi necessaria una laurea per leggere la guida-TV. Il villaggio globale, ha ormai fatto la sua comparsa.
Un’altra importante tendenza o caratteristica del dopo guerra fredda è la crescente accettazione della democrazia come forma ideale di governo. Una recente stima ci informa che i governi democratici nel mondo sono il 60%. La democrazia crea il quadro politico all’interno del quale sono meglio garantiti i diritti fondamentali dei cittadini.
E dato che stiamo passando in rassegna gli avvenimenti più rilevanti del XX secolo, non possiamo solo ricordare due guerre mondiali tragicamente distruttive e quattro decenni di guerra fredda, ma per converso dobbiamo ammettere che le relazioni umane hanno raggiunto un più alto grado di civiltà. Ciò è dovuto, in misura non irrilevante, alla crescente influenza di un corpo di leggi relative ai diritti umani universali. La presenza di norme relative ad essi universalmente accettate fornisce un sostegno alle democrazie nazionali, specialmente in quegli Stati in cui le istituzioni e le tradizioni democratiche non sono così consolidate come vorremmo che fossero.
Qualche anno fa, il Segretario generale dell’ONU Boutros Ghali, nella sua Agenda for Peace parlò della necessità di costruire la pace. Un anno dopo, prendendo in esame quello che era stato fatto (o non era stato fatto) per attuare le sue proposte, disse: «La costruzione della pace richiede il rafforzamento di quelle istituzioni che servono principalmente a diffondere e radicare la prosperità tra i popoli. E’ sempre più chiaro che i fondamenti di ciò vanno identificati nella democrazia e nello sviluppo. Le democrazie non si combattono quasi mai fra di loro. La democratizzazione è un sostegno per la causa della pace. La pace, a sua volta, è una condizione indispensabile per lo sviluppo. Per questo la democrazia è essenziale per garantire uno sviluppo duraturo. E senza sviluppo non vi può essere democrazia. Le società che non godono di un certo benessere di base tendono a produrre conflitti. Così tre grandi priorità sono strettamente connesse». E’ davvero rimarchevole che un Segretario delle Nazioni Unite si esprima in questi termini parlando di democrazia e che il fatto che sia una forma di governo auspicabile sia accettato come autoevidente.
L’insieme di questi fattori — la crescita della democrazia, la dimensione globale del mercato, l’interdipendenza prodotta dalle comunicazioni e dalla tecnologia, così come altri fattori che non ho ricordato — sembra davvero che stia creando le precondizioni necessarie per un governo su scala globale.
Più precisamente, vorrei identificare quelle precondizioni da una parte nella comunanza di valori (i principi democratici, i diritti universali, la rule of law, l’economia di mercato) e dall’altra nella sensazione di condividere uno spazio politico definito, un sentimento di appartenenza a una comunità, la comunità globale.
E ciò ci porta a considerare quello che è forse il problema principale per quanto riguarda il governo globale. Infatti, sebbene tutti noi possiamo accettare la globalizzazione come un dato indubitabile e possiamo concordare sul fatto che esistono uno spazio politico condiviso e un insieme di problemi globali che i singoli Stati non possono risolvere e che richiedono un nuovo ordine mondiale basato sulla cooperazione internazionale, tuttavia le nostre istituzioni sono miseramente inadeguate al compito. Non possiamo sperare, nel XXI secolo, di dotarci di un governo adeguato basandoci sui modelli istituzionali degli anni Quaranta.
Queste considerazioni aprono la questione della riforma delle Nazioni Unite.
A questo riguardo vorrei mettere in evidenza alcune idee specifiche e praticabili in questa fase della storia. Ma non voglio esporre una lista completa di questioni strettamente legali e di proposte di riforma dell’ONU. Non c’è mai un’unica via da imboccare: il cammino verso la meta sarà necessariamente graduale e ogni riforma aprirà nuove prospettive e richiederà successive riforme da apportare ad altre parti del sistema.
Vorrei suggerire due percorsi possibili. Primo, per quanto riguarda la strategia, credo che la via di minore resistenza consista nella creazione di nuovi organismi, od organismi aggiuntivi, rispetto alle istituzioni esistenti, piuttosto che nel tentare di ridisegnare o riformare ciò che già esiste. La deprecabile ma prevedibile mancanza di progressi nella riforma del Consiglio di sicurezza lo dimostra.
Secondo, credo che si debba considerare prioritario concentrarsi su proposte che aumentino il ruolo degli individui negli affari mondiali. Non si può continuare ad accettare un sistema internazionale basato soltanto sulla sovranità degli Stati nazionali. La globalizzazione sta inesorabilmente sottraendo agli Stati le leve politiche su cui si basa l’esercizio del governo. Il potere politico sta assumendo una dimensione transnazionale, ma il potere transnazionale è sottratto al controllo democratico.
Per questo credo che sia di vitale importanza che le organizzazioni dei cittadini, come il World Federalist Movement, siano sempre più coinvolte attivamente nelle questioni del governo globale. Sono i nostri diritti democratici in quanto cittadini ad essere calpestati quando, per esempio, una massa di speculatori rampanti condiziona la politica monetaria canadese più dei parlamenti che eleggiamo. E’ difficile che le élites accademico-burocratiche dei governi nazionali facciano sentire vigorosamente la loro voce per rivendicare la democrazia a livello transnazionale. Noi dobbiamo insistere: è la nostra cittadinanza globale che è in gioco.
Che ci piaccia o meno, ci si sta avviando verso il governo globale. Ma la questione essenziale è se questo governo sarà controllato democraticamente, oppure se le decisioni politiche che condizionano le nostre vite saranno prese da funzionari non eletti e privi di responsabilità, il cui lealismo va ai governi nazionali e alle élites transnazionali, ma non al popolo.
Ogni comunità ha bisogno di un governo e la comunità globale richiede un governo globale e una democrazia globale.
Per alcuni il concetto di governo globale è utopistico, o temibile, o ambedue le cose. lo credo invece che sia una questione di senso comune e, francamente, ciò che ritengo «offensivo» è l’attuale ordine mondiale basato sulla competizione fra Stati nazionali: ciò è un’offesa alla nostra comune umanità.
Il governo globale sembra un’utopia solo a coloro che vogliono denigrarlo senza ragione. Quando si pensa ad esso, al fatto che sia da perseguire e a come ciò possa avvenire, è importante concepirlo come un processo in evoluzione. Si potrebbe pensare, in modo semplicistico, di creare le istituzioni di un governo mondiale e di imporle all’attuale ordine mondiale anarchico e caotico, ma ciò non potrà accadere.
Vorrei concludere suggerendo alcune idee sulla riforma dell’ONU che possono essere considerate come concreti passi avanti verso l’obiettivo di aumentare il ruolo legittimo degli individui negli affari mondiali.
Innanzitutto vorrei suggerire la creazione di un Tribunale criminale internazionale, una delle più promettenti idee di riforma che le Nazioni Unite stanno prendendo in considerazione. Il progetto riguarda la creazione di una Corte internazionale che abbia il potere di perseguire gli individui per crimini commessi contro l’umanità, così come per altre gravi violazioni del diritto internazionale.
Quando scoppia una guerra e l’ONU mette in atto delle iniziative per ristabilire la pace e la sicurezza, ci sono tre opzioni di cui dispone: le trattative diplomatiche, le sanzioni economiche e, se ambedue falliscono, l’uso della forza militare. Come è successo in Iraq, e più recentemente ad Haiti, le sanzioni dell’ONU possono diventare una punizione per i singoli cittadini di uno Stato inflitta loro per i crimini commessi dai suoi leaders.
La creazione di un Tribunale criminale internazionale contribuirebbe a cambiare questa situazione rendendo gli individui, inclusi i leaders nazionali, responsabili per aver commesso alcune delle peggiori violazioni del diritto internazionale. A differenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja, che si occupa di casi relativi ai rapporti fra gli Stati, il Tribunale criminale internazionale potrebbe perseguire gli individui per le violazioni del diritto internazionale.
Tribunali istituiti ad hoc, al fine di perseguire persone accusate di genocidio in Bosnia e in Rwanda, sono già attivi, e il loro successo ha aperto la strada all’ONU per la creazione di un Tribunale criminale permanente.
L’anno scorso, la International Law Commission dell’ONU ha concluso il suo lavoro su una bozza di Statuto per un tale Tribunale e la proposta sarà ridiscussa nella sessione annuale dell’Assemblea generale dell’ONU. Il Canada e un certo numero di altre medie potenze vogliono convocare una Conferenza che elabori un Trattato per l’istituzione del Tribunale, mentre gli Stati Uniti e qualche altra grande potenza preferirebbero rinviare la proposta per ulteriori approfondimenti. Forse sarà necessario attuare il progetto, attraverso un Trattato, anche se non tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite vi parteciperanno (come è avvenuto per la Corte internazionale di giustizia).
La seconda idea che voglio proporre riguarda la possibilità di creare un’Assemblea parlamentare alle Nazioni Unite, il cui modello è il Parlamento europeo.
La creazione di un organismo parlamentare dell’ONU con funzioni consultive, secondo l’articolo 22 della Carta, formato da parlamentari nazionali, potrebbe essere attuata molto facilmente e senza spese rilevanti. Anche se i suoi poteri sarebbero all’inizio alquanto limitati, tuttavia esso rafforzerebbe il sistema delle Nazioni Unite sotto vari punti di vista: a) farebbe aumentare il sostegno dell’opinione pubblica e l’appoggio politico per il lavoro dell’ONU; b) garantirebbe ai cittadini un certo grado di rappresentanza, darebbe a «Noi popoli [delle Nazioni Unite]» una voce che si affiancherebbe a quella dei governi e farebbe filtrare il primo raggio di legittimità democratica tra le istituzioni mondiali di governo globale; c) con la sua presenza rafforzerebbe l’idea che esiste una società globale, che c’è un’ampia serie di questioni internazionali le quali richiedono il rafforzamento dell’ONU; d) sarebbe un organismo con la funzione di rappresentare il comune interesse globale piuttosto che gli interessi degli Stati nazionali; e) rafforzerebbe l’Assemblea generale, oltre che gli altri organi delle Nazioni Unite; t) rafforzerebbe e consoliderebbe il lavoro svolto dalle Organizzazioni non governative (ONG) in relazione a problemi globali sia presso l’ONU sia nei rispettivi paesi; g) favorirebbe la tendenza all’instaurazione di un governo democratico in tutti gli Stati del mondo; h) costituirebbe una nuova fonte di idee, stimolerebbe azioni politiche che contribuiscano alla soluzione dei problemi internazionali e potrebbe inoltre agire come una leva sui governi affinché procedano alla riforma dell’ONU.
Se è accettabile che un organismo come la CSCE abbia un’Assemblea parlamentare, è certamente fondata la pretesa di una Assemblea parlamentare dell’ONU.
Ci sono altre proposte di riforma dell’ONU che si potrebbero discutere. Da quando tale riforma è diventata sempre più importante e d’attualità, è in corso un vivace dibattito a livello internazionale intorno a idee quali la riforma del Consiglio di sicurezza, il ruolo delle ONG nelle attività dell’ONU, le possibili misure (come la riforma del Comitato economico-sociale, o la creazione di un Consiglio di sicurezza economico) per inserire il processo decisionale internazionale relativo alle questioni economiche nell’ambito del sistema ONU, e infine l’affidare nuovi incarichi al moribondo Trusteeship Council (Consiglio per l’amministrazione fiduciaria). Si dovranno inoltre approfondire le questioni relative alle iniziative di peacekeeping, cioè al mantenimento della pace.
Comunque il mio scopo prioritario era quello di mettere a fuoco qualche idea relativa all’attribuzione di un ruolo maggiore degli individui negli affari mondiali. E’ ormai giunto il momento di ripensare il concetto di cittadinanza a livello personale, nazionale e globale. Ovunque la gente si sta sempre più rendendo conto che l’orizzonte della comunità si è allargato, e credo che molti ormai non solo accettino, ma accolgano con favore le crescenti responsabilità che derivano dalla cittadinanza globale. Se questo processo continua, c’è la speranza che il nuovo ordine mondiale sarà basato su solidi fondamenti di solidarietà e tolleranza reciproche a livello mondiale.
 
Fergus Watt


* In questa rubrica vengono ospitati interventi che la redazione ritiene interessanti per il lettore, ma che non riflettono necessariamente l’orientamento della rivista.

 

 

 

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