IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LX, 2018, Numero 1, Pagina 58

 

 

MACRON, CARBON PRICING E BILANCIO DELL’EUROZONA*

 

 

Negli anni che hanno seguito la fine della II guerra mondiale, di fronte ai problemi, apparentemente insolubili, creati dal tentativo di rilanciare la produzione del carbone e dell’acciaio in Germania e ai timori francesi di un’espansione della potenza industriale tedesca, Monnet osservava che dall’impasse “si può uscire in un solo modo: con una azione concreta e risoluta su di un punto limitato, ma decisivo, che provochi un cambiamento fondamentale su questo punto e modifichi progressivamente i termini dell’insieme dei problemi”.[1] Questa indicazione di metodo deve essere tenuta presente oggi a fronte della complessità dei problemi cui l’Europa si trova di fronte, che vanno dal confronto industriale e tecnologico con gli Stati Uniti e la Cina alla sfida del terrorismo, dal disordine politico e militare nel Mediterraneo alla tragedia delle migrazioni, dai problemi globali di natura ambientale che gravano sul mondo, a partire dai cambiamenti climatici, ai drammatici problemi dell’occupazione nella transizione verso la società post-industriale. Se affrontati singolarmente questi problemi appaiono difficilmente gestibili da un’Europa ancora debole e divisa, che non riesce a dar vita a una struttura istituzionale di natura federale, in grado di garantire una vera capacità di governo, che oggi più che mai appare invece ineludibile.

Adottando il criterio monnettiano e analizzando gli elementi comuni dei diversi problemi con cui l’Europa deve confrontarsi appare abbastanza semplice giungere alla conclusione che, se si vogliono attuare le misure necessarie per affrontare queste sfide, la prima questione da risolvere riguarda le risorse che servono per attuare le politiche che l’Unione deve promuovere se vuole vincere le sfide del XXI secolo e garantire ai suoi cittadini un futuro di pace e di progresso. E il momento appare opportuno perché, mentre i problemi diventano sempre più pressanti, si stanno già delineando le grandi manovre degli Stati membri dell’Unione per definire il prossimo Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027.[2]

A fronte della complessità dei temi da affrontare, un notevole contributo di chiarezza è venuto dal Presidente Macron che, nel discorso tenuto a La Sorbonne il 26 settembre 2017, ha annunciato una “iniziativa per un’Europa sovrana, unita, democratica” in quanto “soltanto l’Europa può restituirci una capacità di azione nel mondo, a fronte delle grandi sfide contemporanee”.[3] In questo discorso sono presenti notevoli elementi innovativi. Già fin dal suo insediamento all’Eliseo Macron aveva messo l’accento sulla necessità di introdurre un bilancio dell’eurozona (“perché l’Europa ha bisogno di più investimenti e di mezzi per stabilizzare gli shock economici”) e di creare la figura di un Ministro dell’economia e delle finanze per gestire la politica economica dell’area euro. E nel discorso a La Sorbonne ha avanzato proposte precise, e di grande rilievo, in particolare sul problema del bilancio. Non soltanto ha specificato gli obiettivi che un bilancio europeo deve perseguire: “ridurre le divergenze e sviluppare i nostri beni comuni: la sicurezza, la protezione rispetto ai fenomeni migratori, la transizione al digitale, la transizione ecologica, una vera politica di sviluppo e di partenariato e, soprattutto, la moneta”, ma ha altresì sottolineato come la produzione di questi beni comuni debba essere finanziata. E nel suo intervento ha anche indicato delle proposte precise su nuove forme di prelievo utilizzabili per finanziare un bilancio europeo “più forte nel cuore dell’Europa, nel cuore della zona euro”.

Macron ha altresì sottolineato che “un bilancio non può fare a meno di una guida politica forte grazie a un ministro comune e un controllo parlamentare incisivo a livello europeo. Solo la zona euro con una moneta forte e internazionale può rappresentare per l’Europa il quadro di una potenza economica mondiale. Allora affrontiamo il problema nel senso giusto: se l’euro ha la vocazione a diventare la moneta di tutti gli Stati dell’Unione una volta che abbiano soddisfatto i criteri, costruiamo senza ritardi una zona euro forte, efficace, solidale e questa potenza beneficerà domani tutti coloro che vi si aggiungeranno”.

Nel dibattito politico sono ormai sempre più frequenti le prese di posizione a favore della creazione di un bilancio dell’Eurozona, dotato di risorse proprie e gestito da un Ministro europeo dell’Economia e delle Finanze,[4] che faccia parte della Commissione e presieda l’Eurogruppo e sia al contempo responsabile nei confronti del Parlamento europeo. L’idea che sta dietro a queste proposte è che l’Unione monetaria debba, da un lato, dotarsi di uno strumento che possa essere impiegato in senso anticiclico qualora si presentassero nuovamente situazioni di recessione — anche al fine di assicurare la stabilità della moneta unica — e, d’altro lato, possa disporre di risorse per garantire la sicurezza interna e esterna dell’Unione e per accompagnare le trasformazioni strutturali dell’economia europea rese necessarie dalle innovazioni tecnologiche e dalla transizione ecologica in atto, in modo tale da sostenere la competitività esterna delle imprese europee in un mondo globalizzato e promuovere la piena occupazione della forza lavoro, accompagnata da livelli adeguati di remunerazione.

In realtà, dopo la Brexit, l’ipotesi di creare un bilancio per l’eurozona al fine di rafforzare il funzionamento dell’Unione economica e monetaria appare certamente più realistica. In base al Trattato, infatti, con l’eccezione del Regno Unito e della Danimarca,[5] tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono alla fine tenuti a entrare nell’area dell’euro e hanno quindi un interesse a favorire un rafforzamento degli strumenti a disposizione dell’Eurozona.[6]

Anche la Commissione riconosce ormai l’opportunità che “siano attivati meccanismi per permettere agli Stati membri dell’area euro di prendere decisioni al loro interno, con un rafforzamento dell’Eurogruppo e nel Parlamento europeo”, pur rilevando che “questo problema politico diventerà meno rilevante nel tempo man mano che sempre più Stati membri aderiranno all’euro”.[7] Ma se, in una prospettiva di medio periodo, il quadro di riferimento deve rimanere il bilancio dell’Unione, “nel frattempo è essenziale la massima trasparenza nei confronti degli Stati membri che non aderiscono all’euro per quanto riguarda i passi ulteriori per approfondire l’Unione economica e monetaria”.[8]

La scelta di Macron si colloca in questa prospettiva: nell’illustrare le sue proposte di riforma egli parla continuamente di Europa, nel senso che le ritiene necessarie per l’intera Unione, e non solo per un gruppo di paesi. Ma, al contempo, il Presidente francese ha ben presente il ruolo centrale dell’euro e la necessità di contemperare “l’ambizione di avanzare di alcuni e il rispetto del ritmo di ogni paese”. E, conseguentemente, Macron sottolinea che l’obiettivo da raggiungere è di garantire nuove risorse per un bilancio dell’Eurozona collocato all’interno del bilancio dell’UE, per evitare che coloro che vogliono frenare il processo di approfondimento dell’Unione monetaria possano impedire ai paesi dell’area euro di avanzare più rapidamente, ma avendo presente che, nel medio periodo, tutti gli Stati dell’Unione vi entreranno a pieno titolo.

In realtà, è possibile prefigurare una soluzione che soddisfi entrambe queste esigenze, stabilendo che, in parte, le risorse proprie che verranno create per finanziare il bilancio europeo siano destinate a confluire in una linea del bilancio dell’Unione che potrà essere utilizzata soltanto per i paesi dell’area euro.[9] Le decisioni su queste risorse e sul loro impiego verranno prese in seno all’Eurogruppo, sotto la direzione di un Ministro europeo dell’Economia e delle Finanze che faccia parte a pieno titolo della Commissione con il rango di Vice Presidente, sotto il controllo del Parlamento europeo che deciderà su questa materia — dopo un dibattito generale in presenza di tutti i membri — con un voto limitato ai rappresentanti dei paesi dell’area euro.

Ma prima di prendere in esame le risorse che possono essere destinate al finanziamento del bilancio è utile definire il quadro di riferimento, ossia la struttura di bilancio che consenta di mettere in evidenza il ruolo delle diverse voci di spesa e, in conseguenza, con quali risorse debbano essere finanziate. Uno schema di bilancio che può essere utilizzato a questo scopo[10] prevede un primo capitolo (Trasferimenti fra gli Stati membri) in cui confluiscono i Fondi strutturali, il Fondo di coesione e i pagamenti diretti agli agricoltori per il sostegno del reddito. Trattandosi sostanzialmente di spese di carattere redistributivo fra i diversi paesi membri si può ritenere che possano continuare a essere finanziate con contributi nazionali proporzionali al PIL.

Più rilevante, e più innovativo, può risultare il secondo capitolo di bilancio (Beni pubblici europei), in cui vengono incluse le politiche economiche di sviluppo (politiche per il mercato interno e politica agricola strutturale, ma soprattutto programmi di R&D, innovazione tecnologica, politiche ambientali, misure sociali per superare le difficoltà della transizione verso un’economia post-industriale), la sicurezza interna e il controllo dell’immigrazione, la politica estera, la difesa comune, le spese amministrative e le spese per interessi sui bonds emessi dall’Unione. Queste spese, che rappresentano il cuore della nuova politica dell’Unione per far fronte alle principali sfide cui l’Europa si trova di fronte, devono essere finanziate non soltanto con le risorse proprie tradizionali (IVA, dazi doganali), del tutto insufficienti, ma con nuovi prelievi che devono essere introdotti al fine di avviare finalmente una finanza federale. Un terzo capitolo di bilancio può infine includere le operazioni in conto capitale, in particolare le spese di investimento per progetti comuni (ad es. Galileo), finanziate con prestiti emessi sul mercato.

Il saldo della parte corrente del bilancio, in base alle norme dei Trattati, deve risultare in pareggio.[11] Ma il tetto delle risorse che si possono impiegare per stanziamenti di pagamento relativi a questi primi due capitoli può raggiungere, sulla base delle decisioni già in vigore, l’1,23% del Pil europeo.[12] Se il margine fra questo tetto e i pagamenti effettuati (che sono di poco inferiori all’1%) fosse compiutamente sfruttato, si potrebbe da subito aumentare di circa un quarto le dimensioni del bilancio dell’Unione. Questa prospettiva di un aumento iniziale delle dimensioni della spesa compatibile con i limiti di stanziamento fissati nel QFP in scadenza appare utile e realistica per avviare una riforma graduale e progressiva del bilancio, tenendo tuttavia sempre presente che gli studi sul finanziamento di un’Unione monetaria[13] suggeriscono che a regime il bilancio debba raggiungere un livello pari almeno al 2-2,5% del Pil europeo.

Per quanto riguarda le imposte che possono essere destinate a finanziare un bilancio di dimensioni accresciute, nel suo intervento a La Sorbonne Macron ha indicato innanzitutto che “le imposte europee nel settore digitale o ambientale potranno costituire una vera risorsa europea che finanzi le spese comuni”. Al di là di queste forme di prelievo ha proposto di riflettere sulla possibilità di “destinare almeno in parte un’imposta per questo bilancio, per esempio l’imposta sulle società una volta realizzata la sua armonizzazione”.[14]

Sul tema delle imposte da applicare nel settore digitale Macron osserva che, in un mondo integrato, la concorrenza deve essere leale. Per questa ragione “non è accettabile di avere attori europei che sono tassati e attori internazionali che non lo sono, attori del settore digitale che non subiscono alcuna tassazione e che fanno concorrenza ad attori dell’economia tradizionale che pagano le imposte”. In realtà, a proposito della web tax, qualcosa già si muove. I Ministri dell’Economia di Germania, Francia, Italia e Spagna hanno presentato alla riunione informale di Ecofin a Tallinn del 29 settembre 2017 la proposta di introdurre una Equalisation Tax parametrata al volume d’affari generato in Europa dalle compagnie digitali e, con altri sei paesi (Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Romania, Slovenia), hanno sottoscritto una dichiarazione politica in cui sottolineano la necessità di procedere rapidamente e chiedono alla Commissione di avanzare una proposta legislativa. La Commissione ha quindi presentato una prima Comunicazione[15] in cui esamina le diverse opzioni possibili per introdurre questo tipo di prelievo.

Macron ha auspicato che il partenariato con l’Africa diventi un elemento centrale per la rifondazione del progetto europeo e, al fine di reperire le risorse necessarie, il Presidente francese propone di “rilanciare su nuove basi il progetto di una tassa europea sulle transazioni finanziarie”. Macron rileva che la Gran Bretagna ha già introdotto una misura simile — lo Stamp Duty — e osserva che “se noi decidiamo collettivamente di adottare l’imposta britannica, nessuno potrà dire che si verranno a creare svantaggi competitivi per l’Unione europea”. Un’imposta simile, con aliquota moderata, ma una larga base imponibile, può quindi rappresentare un primo passo per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, destinata a fornire risorse importanti al bilancio europeo.[16]

Ma l’elemento più importante che emerge dall’intervento di Macron rispetto alle risorse da destinare al finanziamento del bilancio europeo riguarda certamente la carbon tax.[17] Questa imposta — un’accisa sull’utilizzo di combustibili fossili che nel processo di combustione emettono anidride carbonica — deve necessariamente essere introdotta a complemento dell’Emissions Trading System (ETS),[18] se l’UE vuole tener fede agli impegni assunti alla COP21 (Conferenza delle parti sul clima) di Parigi.[19] Il Presidente francese sottolinea innanzitutto che “una chiave fondamentale per il riacquisto della nostra sovranità europea è di essere capaci di rispondere alla prima delle grandi trasformazioni del mondo, la transizione ecologica. Questa trasformazione rivoluziona il nostro modo di produrre e di distribuire, e i nostri comportamenti. L’Europa deve essere all’avanguardia di una transizione ecologica efficace ed equa. A questo fine, dobbiamo trasformare i nostri trasporti, le nostre abitazioni, le nostre industrie. Ma se non avremo negli anni a venire un prezzo significativo per tonnellata di carbonio al fine di consentire un riorientamento profondo delle nostre economie, allora i nostri sforzi saranno inutili”.

Partendo da questi presupposti Macron avanza anche proposte concrete sulla struttura di questo prelievo ambientale. In primo luogo, per quanto riguarda il prezzo che deve gravare sulle emissioni di CO2, Macron sostiene che, per essere efficace, non deve essere inferiore a 25-30 euro per tonnellata. E’ il prezzo minimo per promuovere il passaggio dell’economia europea alla fase post-industriale, per sostenere i settori in difficoltà a fronte della transizione ecologica e per accompagnare i territori che soffriranno della trasformazione delle strutture produttive. Una carbon tax che fissi un prezzo minimo pari a 25-30 euro per tonnellata di emissioni di anidride carbonica è in grado di fornire un gettito che oscilla fra 55 e 66 miliardi di euro nella UE-27.[20] Ma se il tasso di prelievo salirà poi gradualmente fino a 50 euro — livello minimo suggerito dagli scienziati che si occupano di Climate Change[21] —, il gettito nell’Europa a 27 raggiungerebbe i 110 miliardi, con un’incidenza di soltanto 11cent per un litro di benzina.

Nel suo discorso a La Sorbonne Macron ha anche sottolineato — e questo punto appare ancora più innovativo — che la fissazione di un prezzo sulle emissioni di carbonio deve essere accompagnata dall’imposizione di una tassa alla frontiera — equivalente alla tassa pagata dalle imprese europee — per evitare distorsioni di origine fiscale e conseguentemente o una perdita di competitività per le imprese europee o addirittura la delocalizzazione di produzioni europee verso paesi che non applicano un prezzo per il carbonio (il c.d. carbon leakage), con effetti negativi anche dal punto di vista del controllo dei cambiamenti climatici. Una tassa alla frontiera porterebbe all’incirca altri 24 miliardi di euro alle casse del bilancio europeo,[22] cui si dovrebbe aggiungere anche il gettito delle aste per l’acquisto dei permessi negoziabili nell’ambito dell’ETS che, secondo le indicazioni del Rapporto Monti,[23] dovrebbe ugualmente essere assegnato alle finanze dell’Unione. Si arriverebbe così agevolmente a un raddoppio del bilancio dell’Unione, oggi fermo al 1% del Pil europeo, assolutamente inadeguato per finanziare le nuove politiche di cui l’Europa ha urgente bisogno.

Un punto ulteriore riguarda la realizzazione di un mercato europeo dell’energia che funzioni veramente. La politica energetica europea, che dovrà avere come obiettivo prioritario la realizzazione di un sistema economico eco-sostenibile, dovrà essere gestita nel quadro di una nuova Agenzia dell’ambiente e dell’energia, nata da una trasformazione dell’Euratom. Una revisione del futuro dell’Euratom è stata prevista da Juncker nel Rapporto sullo stato dell’Unione, preannunciando la presentazione da parte della Commissione di una Comunicazione sul futuro delle politiche dell’UE per l’energia e il clima, che contempli la revisione del trattato Euratom (tenendo conto della dichiarazione n. 54 di cinque Stati membri allegata all’atto finale del trattato di Lisbona) sulla base della procedura prevista dall’articolo 192, paragrafo 2, secondo comma, del TFUE.

In questa prospettiva, la carbon tax potrebbe svolgere un ruolo simile a quello previsto dal Trattato CECA che, all’articolo 49,autorizzava un prelievo sulla produzione di carbone e di acciaio, destinato a finanziare la ristrutturazione della produzione in questi settori. La carbon tax può quindi essere concepita non soltanto come un prezzo fissato per correggere le esternalità negative legate ai consumi di energia fossile, ma altresì come un prelievo finalizzato a sostenere la ricerca e la produzione nel settore delle energie rinnovabili e, al contempo, a favorire le profonde trasformazioni strutturali legate alla contrazione delle produzioni tradizionali che utilizzano combustibili fossili e alla progressiva ristrutturazione del settore nucleare, oltre che a sostenere la riconversione della forza lavoro impiegata nei settori in declino.

In conclusione: nel discorso di Macron sono presenti proposte concrete per far avanzare le politiche necessarie alla soluzione dei problemi con cui l’Europa deve confrontarsi, ma inserite in un contesto di sviluppo democratico del processo di unificazione europea. L’idea di fondo è che lo scopo delle riforme proposte è di consentire all’Europa di riconquistare una sovranità che è di fatto perduta in un mondo globalizzato, perché “soltanto l’Europa può assicurare una sovranità reale. Sovranità, unità e democrazia sono, per l’Europa, indissociabili”.

Ma il processo ipotizzato da Macron si fonda su basi realiste, in quanto nel quadro dell’Unione europea a 27 si è sviluppata un’area caratterizzata da una moneta comune, che deve svilupparsi con un bilancio dotato di effettive risorse proprie, capace di garantire non soltanto la stabilizzazione del ciclo, ma altresì la competitività della produzione europea in un mondo globalizzato e la sostenibilità sociale a fronte dei cambiamenti resi necessari dall’evoluzione verso una società post-industriale. Al contempo, le risorse del bilancio dovranno favorire la transizione dell’economia verso un modello di sviluppo sostenibile, garantendo anche in questo caso la sostenibilità sociale dei cambiamenti resi necessari dal progressivo rafforzamento di un sistema economico carbon free.

Queste profonde trasformazioni dell’Unione economica e monetaria, completata finalmente con l’avvio di un’Unione fiscale, dovranno essere accompagnate da un rafforzamento della capacità di governo dell’eurozona, con la creazione di un Ministro dell’economia e delle finanze responsabile della gestione della politica di bilancio e soggetto al controllo del Parlamento europeo. Ricordando la citazione iniziale di Monnet, si può dunque concludere che Macron ha saputo individuare nella riforma del bilancio e nella definizione delle risorse necessarie per finanziarlo il punto decisivo da cui può partire il processo che deve portare a uno sviluppo federale del processo di unificazione europea.

Alberto Majocchi

 


* Nella rubrica “Interventi” vengono ospitati articoli che la redazione ritiene interessanti per il lettore, ma che non riflettono necessariamente l’orientamento della rivista.

[1] Il “Memorandum Monnet” del 3 maggio 1950, in M. Albertini, Il federalismo. Antologia e definizioni, Il Mulino, 1979, p. 286.

[2] La durata del Quadro finanziario pluriennale è stata finora di 7 anni, ma il Trattato prevede altresì una durata minima di 5 anni. Se questa divenisse la durata normale dei QFP, “una cornice temporale quinquennale sarebbe (…) coerente con i mandati del Parlamento europeo e della Commissione, il che rafforzerebbe il dibattito democratico sulle priorità di spesa dell’UE e collocherebbe più chiaramente il bilancio dell’UE al centro della politica europea” (Commissione europea, Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE, Bruxelles, 28 giugno 2017, p. 26).

[3] Initiative pour l’Europe. Discours d’Emmanuel Macron : Pour une Europe souveraine, unie, démocratique, Paris, 26 Septembre 2017.

[4] Nel suo recente discorso sullo Stato dell’Unione anche Juncker propone la nomina di un Ministro europeo dell’Economia e delle Finanze (J.C. Juncker, State of the Union’s Address 2017, Brussels, 13 September 2017). La proposta è stata inclusa formalmente nella roadmap presentata dalla Commissione (European Commission, Further steps towards completing Europe’s Economic and Monetary Union: a roadmap, COM(2017)821final, Brussels, 6 December 2017).

[5] Nel Consiglio Europeo di Edimburgo (dicembre 1992), preso atto che in base al Protocollo annesso al Trattato di Maastricht la Danimarca non parteciperà alla terza fase dell’Uem, si è altresì deciso che “la Danimarca parteciperà pienamente alla seconda fase dell'Unione economica e monetaria e continuerà a partecipare alla cooperazione in materia di politica dei cambi nell'ambito del sistema monetario europeo”.

[6] La Bulgaria, che non fa ancora parte dell’Unione monetaria, ha comunque ancorato all’euro il valore della sua moneta.

[7] Nel discorso sullo Stato dell’Unione Juncker auspica altresì che “l’euro diventi la moneta unica per l’insieme dell’Unione europea”.

[8] European Commission, Reflection Paper on the Deepening of the Economic and Monetary Union, Brussels, 31 May 2017, p. 27.

[9] “We do not need parallel structures. We do not need a budget for the euro area, but a strong euro area budget line within the EU budget” (J.C. Juncker, State of the Union’s Address 2017, op. cit.). Una tesi analoga è avanzata nell’Italian Position Paper, Reforming the European Monetary Union in a Stronger European Union, dove si afferma, dopo aver sostenuto l’importanza della creazione di un rainy-day fund per assolvere alla funzione di stabilizzazione nell’area euro, che “from an institutional point of view, the fund should be managed by a European Treasury and could be part of a Euroarea budget line within the EU budget” (p. 12).

[10] A. Iozzo, S. Micossi e M.T. Salvemini, A new budget for the European Union?, CEPS Policy Brief, No. 159, May 2008.

[11] Questa prescrizione normativa è contenuta nell’articolo 310 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

[12] Nel Quadro finanziario pluriennale 2014-2020 l’ammontare massimo di risorse proprie da destinare a stanziamenti di pagamento è fissato all’1,23% del reddito nazionale lordo di tutti gli Stati membri. L’ammontare massimo degli stanziamenti per impegni non può superare l’1,29% del RNL dell’UE.

[13] Commission of the European Communities, Report of the Study Group on the Role of Public Finance in European Integration, Brussels, April 1977; Stable Money - Sound Finances. Community Public Finance in the Perspective of EMU, European Economy, 1993, n. 53.

[14] La difficoltà politica per garantire l’introduzione di nuove forme di prelievo è legata alla disposizione dell’articolo 311 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che richiede l’unanimità per le decisioni del Consiglio riguardanti il sistema delle risorse proprie. Appare dunque rilevante la scelta di Juncker che sostiene la necessità di adottare il principio della maggioranza qualificata anche per questo tipo di decisioni.

[15] European Commission, A Fair and Efficient Tax System in the European Union for the Digital Single Market, COM(2017)547final, Brussels, 21.9.2017.

[16] In vista del Vertice sul clima di Parigi del 12 dicembre 2017 quattro ministri del governo francese rilanciano, con una Tribuna pubblicata sul Journal du Dimanche del 10 dicembre 2017 dal titolo “Rendre notre économie renouvelable”, l’introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie, il cui gettito dovrebbe essere destinato a fornire le risorse necessarie per un controllo efficace dei cambiamenti climatici.

[17] La carbon tax è un prelievo ambientale che ha come obiettivo di getting prices right. Sul mercato i prezzi coprono l’insieme dei costi monetari, ma non tengono conto dell’uso di risorse ambientali. Il carbon pricing, ossia far pagare un prezzo per le emissioni di CO2, garantisce una risposta efficiente a questo fallimento del mercato.

[18] L’ETS limita le emissioni di circa 11.000 imprese (produzione di energia elettrica, grandi impianti industriali energy-intensive fra cui raffinerie, acciaierie, produzione di ferro e alluminio, cemento, vetro, ceramiche, carta e cartone, e settore aereo operante in Europa) attraverso la concessione di permessi di emissione, che possono essere negoziati sul mercato. Il sistema di collocazione gratuita dei permessi viene progressivamente sostituito nel periodo 2013-2020 da un meccanismo di asta per l’attribuzione dei permessi.

[19] La COP21, che si è svolta dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, ha negoziato, con il consenso delle 195 parti partecipanti, l’Accordo di Parigi sulla riduzione dei cambiamenti climatici, che prevede l’obiettivo di limitare l’incremento del riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius (°C) rispetto ai livelli pre-industriali. L’Unione europea si è fissata inizialmente l’obiettivo di ridurre entro il 2020 di almeno il 20% le emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990. Nell’ottobre 2014 l’obiettivo è stato portato al 40% di riduzione entro il 2030, e all’85-90% entro il 2050 se i paesi sviluppati si impegneranno ad adottare misure altrettanto significative.

[20] Secondo i dati Eurostat, le emissioni di gas a effetto serra per l’UE-27 nei settori che non rientrano nell’ETS ammontano nel 2015 a 2.192 milioni di tCO2.

[21] Nel Report of the High-Level Commission on Carbon Prices, pubblicato nel 2017 e frutto del lavoro di un gruppo di esperti presieduto da J.E Stiglitz e N. Stern su incarico di Ségolène Royal e Feike Sijbesma, co-chairs della Carbon Pricing Leadership Coalition High-Level Assembly, si giunge alla conclusione che “the explicit carbon-price level consistent with achieving the Paris temperature target is at least US$40-80 by 2020 and US$50-100 by 2030, provided a supportive policy-environment is in place”. Questi prezzi corrispondono, al tasso di cambio attuale, a un prezzo minimo che oscilla fra €34 e €68 nel 2020 e €42,5 e €85 nel 2030. Un tasso pari a €50 si colloca quindi nella fascia media di questo range.

[22] Le emissioni di CO2 derivanti dai processi produttivi all’interno dell’UE-28 ammontano a 5,6 tCO2 per persona (dati Eurostat). Di questi, “a smaller part, equal to 1.1 tonnes/person, is estimated to have originated from production activities outside the EU-28 that created intermediate and final products that were then imported into the EU-28 for final use”. Date queste emissioni pro-capite incorporate in prodotti che provengono dall’esterno dell’Unione e data la popolazione residente nell’UE-27, pari a 441 milioni, le emissioni totali “importate” ammonterebbero a 485,5 tCO2. Applicando alla frontiera un’imposta di €50, pari alla carbon tax pagata all’interno dell’UE, si avrebbe quindi un ulteriore gettito pari a 24 miliardi di euro.

[23] Future Financing of the EU, Final Report and Recommendations of the High Level Group on Own Resources (Chairman Mario Monti), Brussels, December 2016.

 

 

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