IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LX, 2018, Numero 2-3, Pagina 142

 

 

DALL’EURO ALLA DIFESA FEDERALE EUROPEA: L’EUROPA E IL NUOVO ORDINE MONDIALE*

 

 

1. Considerazioni generali.

L’obiettivo di questa relazione è di analizzare i progressi fatti dalla nascita dell’euro, elemento federale dell’Unione europeaallo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune europea conseguente all’attuazione della Cooperazione strutturata permanente (PESCO), nata nel dicembre del 2017. Ci concentreremo soprattutto sulle caratteristiche federali dell’Unione economica e monetaria, cioè sulla gestione dell’euro, e sullo sviluppo della politica di difesa che non ha ancora caratteristiche federali, sebbene sia indubbio che la PESCO abbia una ispirazione federale e che sia possibile che il suo futuro sviluppo vada ulteriormente in questa direzione.

Sono i cambiamenti avvenuti in Europa e nel mondo a partire dal 1989 che hanno richiesto la trasformazione della Comunità europea, di natura economica, in un’Unione europea di natura politica, trasformazione che è avvenuta con il Trattato di Maastricht, firmato nel febbraio del 1992 ed entrato in vigore a partire dal gennaio 1993. Questo Trattato ha fissato le basi per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria, che non sarebbe diventata una realtà fino al 1° gennaio 1999, anno in cui l’euro è nato come moneta internazionale. La Politica comune di sicurezza e difesa, derivata dalla stesso Trattato, sarebbe stata lanciata nel 1993.

Le prime azioni di natura difensiva sono state il risultato dell’attuazione della Politica europea di sicurezza e difesa all’inizio del XXI secolo, quando sono state lanciate le operazioni di gestione delle crisi. La base della politica di sicurezza e di difesa comune si trova nel Trattato di Lisbona, in vigore dal 2009nel quale per la prima volta si fa riferimento alla difesa territoriale. Tuttavia l’attuazione di una vera politica di difesa, in grado di facilitare l’autonomia strategica dell’Unione europea, non è probabilmente emersa fino al dicembre del 2017 e attualmente è ancora in via di sviluppo, soprattutto come risultato dell’attuazione della Strategia globale per la politica di sicurezza e difesa del giugno 2016.

La nascita e lo sviluppo di una politica di difesa è in larga misura la conseguenza di tre fattori: l’aumento delle minacce per l’Unione europea a partire dal 2014, in conseguenza in primo luogo dell’annessione illegittima della Crimea da parte della Russia e in secondo luogo della nascita e dell’espansione dell’Isis e del terrorismo jiadista; l’annuncio del recesso del Regno Unito dall’Unione europea (che è divenuto un federatore interno) e l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (come federatore esterno), che richiede l’applicazione e lo sviluppo di questa politica.
 

2. L’euro come espressione del progetto federale dell’Unione europea.

L’ultima decade del XX secolo è destinata ad avere una particolare importanza per il progetto di unità europea, perché l’Unione europea ha dato vita al suo primo progetto federale, l’euro, che era stato reso possibile in parte da un insieme di misure di coesione economica e sociale. Si trattava anche di trarre il massimo frutto dall’Europa senza confini, poiché i vantaggi ottenuti con il mercato interno sarebbero andati perduti se fosse stata mantenuta la possibilità di svalutazioni competitive tra gli Stati membri. E’ per questo motivo che l’Unione economica e monetaria è emersa come una necessità. Lo stesso dovrà avvenire per il modello federale di processo decisionale, perché una banca non può funzionare con decisioni prese all’unanimità; è necessario il modello federale

Il 2 maggio 1998, il Consiglio europeo decise di dare inizio alla terza fase dell’UEM e indicò quali paesi vi avrebbero partecipato in quanto rispondenti ai criteri di convergenza: Germania, Austria, Belgio, Spagna, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda e Portogallo. Nello stesso giorno, il Parlamento europeo approvò il passaggio a questa terza fase con 468 voti a favore, 64 contrari e 24 astensioni. In modo analogo sono stati nominati i membri del Consiglio esecutivo della BCE, che divenne operativo il 1° gennaio 1999 sostituendo l’Istituto monetario europeo (IME) ed assumendo la responsabilità della politica monetaria.

Bisogna sottolineare il carattere federale del Comitato esecutivo perché non vi sono rappresentati tutti gli Stati membri, ma è composto da soli sei membri, scelti esclusivamente sulla base della loro competenza professionale. Si tratta di una BCE indipendente da qualsiasi potere politico, senza alcuna relazione con l’Eurogruppo, formazione del Consiglio che riunisce gli Stati che partecipano alla moneta unica.

Contemporaneamente vennero fissati i rapporti di cambio relativi fra le monete dei paesi partecipanti e decisa la nascita del Consiglio dell’euro, che successivamente divenne l’Eurogruppo, formato dai Ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri dell’eurozona. Tale Consiglio si è riunito la prima volta il 4 giugno 1998 al Lussemburgo.

L’importanza di questa decisione è stata enorme ed è assurta ad evento storico quando l’euro è divenuto una moneta unica a tutti gli effetti. In questo senso, Ramón Tememes è arrivato a dire “che la realizzazione dell’euro diventa una dichiarazione di indipendenza, simile a quella fatta a suo tempo — tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo — dalle tredici colonie con l’unificazione del dollaro.” L’importanza dell’euro è innegabile: ha garantito la stabilità monetaria, l’uniformazione dei tassi di inflazione e di interesse, il superamento delle barriere di cambio, l’aumento del commercio intracomunitario e l’uso della moneta unica europea come mezzo di pagamento internazionale.

E’ stato sostenuto con forza, dopo la crisi economica, che l’architettura dell’euro non era soddisfacente. Probabilmente era il solo risultato ottenibile considerando i rapporti di forza in quel momento. Ciò che però è chiaro è che se quella decisione non fosse stata presa allora, non sarebbe più stato possibile farlo in un momento successivo. Senza l’Unione economica e monetaria gli effetti della crisi sull’Europa sarebbero stati ben più devastanti. Fin dall’inizio, l’eurozona ha rappresentato quasi il 20% del PIL mondiale.

Va osservato che l’opinione pubblica allora non rispose con grande entusiasmo all’avvio della terza fase perché i vantaggi che ne sarebbero derivati non erano visti con chiarezza. Così, con un referendum tenutosi in Danimarca il 28 settembre 2000, l’inserimento della corona danese nell’euro è stato respinto dal 53% dei votanti, sebbene i partiti politici e l’Unione avessero fatto campagna a favore. Tre anni dopo, il 14 settembre 2003, accadde la stessa cosa con il referendum in Svezia, nel quale l’adesione all’UEM è stata respinta.

Nonostante Danimarca, Svezia e Regno Unito abbiano deciso di non adottare l’euro, la Grecia lo ha adottato nel 2011, la Slovenia nel 2007, Cipro e Malta nel 2008, la Slovacchia nel 2009, l’Estonia nel 2011, la Lettonia nel 2014 e la Lituania nel 2015. Attualmente, risolta la crisi dell’euro del 2012, vi sono 19 paesi membri e virtualmente tutti gli Stati membri dell’Unione europea stanno negoziando l’adesione. Oggi, nel 2018, l’euro rappresenta il 38% del paniere di monete del Fondo monetario internazionale contro il 43% del dollaro, l’11% dello yuan, l’8% dello yen e l’8% della sterlina. Analogamente, ci sono circa quaranta Stati che usano l’euro come moneta pur non appartenendo all’UEM.

Dobbiamo tener presente il carattere federalizzante e federatore della moneta unica. Federalizzante perché è espressione di un processo politico in corso e federatore perché con la moneta unica tale processo è stato accelerato. E’ unanimemente accettato che l’Unione economica e monetaria rappresenti il fattore che maggiormente influenza la trasformazione della Comunità di natura economica nell’Unione di natura politica.

Ciò è dovuto al fatto che che la politica monetaria è gestita dalla Banca centrale europea (BCE) in modo sovranazionale e secondo un modello chiaramente federale. Il funzionamento di questa banca è ispirato al modello della Bundesbank tedesca, il cui organismo decisionale è costituito da un numero di membri inferiore a quello dei Länder. La BCE è la sola istituzione con carattere chiaramente federale dell’UE. La Germania, per raggiungere la sua unificazione ed impegnarsi per una Germania europea anziché per un’Europa tedesca, ha abbandonato la sua moneta, il marco tedesco, che aveva dato eccellenti risultati. In cambio della scomparsa del marco e della sua incorporazione nell’euro, ha richiesto che la Banca centrale utilizzasse lo stesso sistema di gestione della Banca centrale tedesca, la Bundesbank.

Con l’euro, il progetto di unificazione europea raggiunge un nuovo stadio della costruzione europea, nella misura in cui l’euro è la prima espressione di natura chiaramente federale dell’UE. E’ importante ricordare il legame tra di esso e la coesione economica e sociale ed il modello sociale. Abbiamo visto come il Fondo per la coesione aiuti gli Stati a rendere possibile la convergenza. Le monete non sono neutre, ma riflettono un modello. Il dollaro è considerato da tempo “la moneta dell’impero”, mentre l’euro è visto a livello internazionale come espressione dell’economia sociale di mercato, che dà vita a un diverso modello di società, la società del welfare, nonostante le difficoltà che ha incontrato in conseguenza di un’eccessiva applicazione di politiche di austerità nella seconda decade del XXI secolo.
 

3. L’emergere dell’Unione europea come attore globale, normativo e diplomatico.

Esaminando la dimensione internazionale del progetto di unità europea dalle sue origini ai giorni nostri, va osservato che, soprattutto al suo inizio, a partire dal 1950, esso è stato un soggetto passivo della società internazionale, in conseguenza dalla Guerra fredda e della politica dei blocchi, ed ha avuto solo un’influenza limitata, inizialmente come attore commerciale e successivamente come attore economico. E’ solo dopo il 1989, con la scomparsa della politica dei blocchi e con le conseguenze della trasformazione della natura della costruzione europea da economica a politica — dopo Maastricht — e, dall’inizio del XXI secolo, del progressivo sviluppo della politica estera comune, che l’UE sarebbe diventata un global player.

Tre fattori principali spiegano questa crescita, a volte imperfetta e contradditoria, nella politica mondiale: a) la crescita del suo peso commerciale ed economico, specialmente con la nascita della moneta come espressione del modello di società del welfare, che copre metà della spesa sociale mondiale; b) l’importanza della cooperazione per lo sviluppo e per l’aiuto umanitario, che corrisponde anch’essa a circa la metà del totale mondiale, e il finanziamento del sistema della Nazioni unite, pari anch’esso il 50% del totale; c) lo sviluppo della diplomazia europea comune, solo a partire dal 2011, che analizzeremo più avanti

Contemporaneamente, dall’inizio del XXI secolo, l’UE è divenuta un attore normativo, per usare l’espressione di Ian Manners, secondo il quale una potenza normativa è quella il cui potere sta nella capacità di modificare le regole internazionali: in questo caso, nella direzione di una maggior regolamentazione internazionale a difesa di valori condivisi, come i diritti umani, lo Stato di diritto, ecc. Questa dimensione internazionale è la conseguenza del modello interno di società del welfare, che implica un equilibrio tra mercato, società e Stato.

Così, l’UE ha partecipato attivamente alla governance del mondo, in alcuni casi addirittura prendendone la guida, su questioni come i diritti umani, l’abolizione della pena di morte, la Corte penale internazionale, il Tratto di Parigi sui cambiamenti climatici del 2015 o gli obiettivi delle Nazioni Unite per il 2030 sullo sviluppo sostenibile, approvati nel 2015 dall’Assemblea generale e promossi dall’UE. Non vanno dimenticati l’importante iniziativa dell’UE, nel 2008, per il lancio del G20, di cui ormai ha chiaramente la guida, e l’impatto che questo ha avuto sulla regolamentazione internazionale attraverso i dieci Vertici, compreso quello di Amburgo nel luglio del 2017 e l’undicesimo, in Argentina nel novembre 2018.

Il debutto e lo sviluppo dell’UE come attore diplomatico sta avendo un forte impatto. Ciò è stato reso possibile dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009, che ha previsto l’esistenza di una diplomazia europea comune, che implica l’esistenza di un “Ministro”, che attualmente è l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza; un “Ministero” che è l’organizzazione amministrativa centrale del Servizio per l’azione esterna a Bruxelles; e alcune “Ambasciate” o delegazioni dell’UE all’estero, come spiegherò in dettaglio più sotto.

Attualmente, questa ambasciate — prima erano solo delegazioni della Commissione — sono in tutto 146 — al 2019 — (le ultime due sono in Kuwait e in Turkmenistan), sono accreditate presso Stati e organizzazioni internazionali e stanno effettivamente funzionando e sviluppandosi. Si tratta praticamente di tutti gli Stati della comunità internazionale, tenendo conto che 28 sono Stati membri. Vi sono anche 10 ambasciatori con accreditamenti multipli. Questa nuova diplomazia è diversa da quella degli Stati membri; due terzi dei diplomatici sono costituiti da funzionari della Commissione e del Consiglio dell’UE ed il rimanente terzo è formato da diplomatici degli Stati membri. Va anche ricordato che questa nuova diplomazia amplia i diritti di cittadinanza grazie all’assistenza consolare.

In ogni caso, bisogna tener presente che entrambe le diplomazie hanno funzionato per più di sette anni contemporaneamente, senza un rapporto gerarchico e con una relazione di “compatibilità” — in nessun caso di “complementarietà” — dal momento che ciascuna di esse agisce secondo le proprie competenze. Ciò non significa che questo coordinamento funzioni bene in tutti i casi e permetta un rafforzamento dell’azione comune europea. Contemporaneamente, le ambasciate degli Stati membri cominciano a chiudere e in alcuni casi sono incorporate nelle ambasciate dell’Unione.

Questo è il modo con cui emerge l’attore diplomatico, il cui ruolo fondamentale è di articolare la politica mondiale dell’UE in modo autonomo, dandole unità e coerenza nella programmazione (sia per gli aspetti politici e di sicurezza, sia per gli aspetti delle relazioni esterne che abbiano qualche dimensione economica) ed anche nell’esecuzione. Non va dimenticato che l’Alto rappresentante è anche vice-Presidente della Commissione europea. In tal modo la diplomazia europea assicura sicurezza all’intera Unione grazie alla dimensione esterna di politiche comuni e lo sviluppo della politica estera e di sicurezza europea.
 

4. Le innovazioni della politica estera del Trattato di Lisbona.

Il Trattato di Lisbona è caratterizzato dal fatto di includere gran parte delle modifiche introdotte dalla non nata Costituzione per l’Europa grazie alla cosiddetta “teoria del velo”, secondo cui scompaiono gli aspetti più visibili mentre i cambiamenti rimangono. Per quanto riguarda la dimensione esterna, la creazione di un “Ministro degli esteri” europeo, di un “Ministero” ed anche di “Ambasciate” costituiva un passo di grande importanza al centro del Trattato costituzionale. Sebbene nel Trattato di Lisbona tali termini non compaiano, esso contiene tutti i cambiamenti introdotti in questo campo. Tali innovazioni corrispondono a nuovi compiti dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, all’impostazione del Servizio europeo per l’ azione esterna e, infine, alle delegazioni dell’Unione europea.

Per quanto riguarda l’Alto rappresentante, egli o ella deve dirigere la politica estera e di sicurezza dell’Unione; elaborare proposte e metterle in atto (articolo 18.2 TUE); inoltre il nuovo Alto rappresentante condivide le due anime europee, intergovernativa e comunitaria, per il fatto di presiedere il Consiglio per gli affari esteri e, contemporaneamente, di essere il vice-Presidente della Commissione europea (articoli 18.3 e 18.4 TUE). Ne risulta “una sola mente” nell’azione esterna europea, cosa che rappresenta un passo chiave verso il consolidamento del ruolo dell’Unione europea nell’arena internazionale. La prima nuova Alto rappresentante è stata Catherine Ashton (2009-2014) e, successivamente, Federica Mogherini (dal 2014 ad oggi).

Il Servizio europeo per l’azione esterna è il braccio esecutivo dell’alto rappresentante, come stabilito dall’articolo 27.3 TUE: è un’amministrazione unica che supporta l’alto rappresentante nell’adempimento di tutti i suoi compiti. Le basi per la sua costituzione si trovano nella Decisione del Consiglio del 26 luglio 2010 che stabilisce l’organizzazione e il funzionamento del Servizio europeo per l’ azione esterna. Esso costituisce una diplomazia europea comune ed è considerato uno dei più significativi passi avanti in questo campo, con importanti ricadute in diverse aree: per esempio, nella Politica europea di vicinato, il Servizio europeo per l’azione esterna ha rafforzato il ruolo tradizionale della Commissione europea, criticato per essere troppo tecnico.

Le delegazioni dell’UE formano una rete che permette una più ampia e solida presenza europea nella sfera esterna. Oggi, questa rete è formata da 146 delegazioni, un numero elevato in confronto alle ambasciate di alcuni paesi europei. Il grande progresso sta nel fatto che l’UE viene rappresentata in paesi terzi ed organizzazioni internazionali in forza della nuova personalità giuridica europea. Le delegazioni lavorano sotto la direzione dell’Alto rappresentante (art. 221 TFUE).

Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione europea ha avviato le innovazioni sopra menzionate e il loro consolidamento si sta verificando sotto l’attuale mandato dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, che ha un atteggiamento diverso rispetto al suo predecessore, Catherine Ashton, ed è ulteriormente rafforzata nel quadro dell’attuale Commissione europea, presieduta da Jean-Claude Juncker, che gode di una maggior legittimazione in seguito all’applicazione dell’art. 17.7 TUE, che stabilisce che il Presidente debba essere nominato tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo.

La nomina di Federica Mogherini come Alto rappresentante, nel 2014, ha significato una svolta verso una politica estera più energica. Lungo tutto il suo mandato ha infatti dimostrato la volontà di “ampliare i margini e superare i limiti”, promuovendo l’UE come attore normativo e diplomatico con molto più coraggio di quanto avesse fatto il suo predecessore, Mrs. Ashton. In quanto vice-Presidente della Commissione, Federica Mogherini è responsabile del coordinamento di cinque commissari incaricati della gestione della dimensione esterna dell’Unione; inoltre, sarà responsabile della politica di difesa, sebbene con il supporto del vice-segretario generale per la politica europea di sicurezza e difesa, Pedro Antonio Serrano de Haro.
 

5. Le principali innovazioni della Strategia globale: rafforzamento e maggior visibilità della dimensione soprattutto normativa dell’azione europea esterna.

Dopo lunghi negoziati e parecchi ritardi, è stata approvata la “Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE”, “Una visione comune, un’azione comune: un’Europa più forte”, nota come “Strategia globale”, presentata il 28 giugno 2016, dopo più di due anni di negoziati, ai quali hanno partecipato sia rappresentanti dei Ministeri degli esteri degli Stati, sia del Parlamento europeo e un gruppo di esperti di diversi paesi, sotto la responsabilità dell’Alto rappresentante. Ciò spiega perché sia stata presentata e non approvata nel corso del Consiglio europeo del 28 giugno.

La Strategia globale è stata ampiamente criticata per essere stata presentata cinque giorni dopo il referendum sulla Brexit e pochi mesi prima della vittoria di Trump. Tuttavia questo è stato un grande vantaggio, perché ha dato all’Europa una chiara strategia che le ha permesso di affrontare collettivamente queste sfide impreviste, raggiungendo posizioni comuni di grande rilevanza e di una certa efficacia, come messo in luce dalle valutazioni effettuate dal Servizio europeo per l’azione esterna, specificamente il 25 giugno 2017 e, molto recentemente, il 25 giugno 2018.

L’approccio tradizionale faceva emergere la divergenza tra la difesa degli interessi nazionali e una dimensione più etica nelle politiche condotte dagli Stati membri. Tuttavia, con la nuova strategia globale, l’Unione europea ha preso una strada che fa emergere la difficoltà di separare interessi e valori nella misura in cui entrambi si completano a vicenda e si uniscono come parti indivisibili della sua politica estera.

Quel documento dà uno spazio preminente a questo problema, specialmente nella sezione Visione condivisa, Azione comune: un’Europa più forte, poi sviluppato nei paragrafi Una strategia globale per promuovere gli interessi dei nostri cittadini e I principi che guidano la nostra azione esterna. Per quanto riguarda gli interessi, sono identificati i seguenti: pace e sicurezza; prosperità; democrazia (che comprende la promozione e il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto), cioè valori; ed infine un ordine internazionale basato su norme (attraverso il multilateralismo all’interno delle organizzazioni internazionali, specialmente le Nazioni unite). Per quanto riguarda i principi, vi sono inclusi: pragmatismo, unità, interazione, responsabilità e la partnership.

Certamente, la sezione sui principi non fa riferimento alla dimensione normativa; essa si limita a sottolineare un approccio puramente strategico: in altre parole, il “come” l’Unione europea dovrebbe agire sulla scena internazionale. La ragione è che gli interessi sono stati identificati come valori, il che sottolinea la loro indivisibilità nell’azione esterna europea e, in ultima analisi, l’aspirazione dell’Unione europea ad esporsi sulla scena internazionale con un’ambiziosa campagna di promozione normativa.

Questo approccio è il riflesso della natura interna dell’Unione, dal momento che gli stessi valori che caratterizzano il progetto europeo (pace, democrazia, diritti e libertà fondamentali, cioè Stato di diritto) determinano la sua azione esterna. Al contempo, questi valori sono rafforzati come regole universali, che trascendono la natura puramente comunitaria per assumere un significato cosmopolitico, dal momento che i principi europei sono inclusi in convenzioni, trattati ed accordi internazionali (soprattutto quelli raggiunti nel quadro delle Nazioni unite) che trascendono la sfera puramente europea.

Così, l’identificazione degli interessi come valori chiaramente rafforza la dimensione normativa dell’azione esterna dell’UE, perché, in sintesi, quando agisce sulla scena internazionale, essa interviene nella modificazione di norme facendo riferimento ai propri valori

Nella nuova strategia, anche il pragmatismo si presenta come uno dei valori che devono guidare la politica estera europea, come abbiamo indicato sopra. A prima vista, potrebbe sembrare che l’Unione promuova un approccio più tipico della Realpolitik, che rifiuta l’utopia e per la quale il fine giustifica i mezzi. Ma questa è un’argomentazione errata, perché il pragmatismo promosso dall’Unione europea in quel documento si basa su di un’ispirazione chiaramente idealista, cioè su quei valori che l’Unione europea cerca di esportare sulla scena internazionale al fine di progredire verso il “mondo migliore” che spera di raggiungere. Specificamente, l’introduzione del pragmatismo nella strategia risponde al bisogno di una analisi che sia più vicina alle realtà degli Stati terzi, prendendo il proprio modello normativo come riferimento. Con ciò l’Unione europea cerca di correggere analisi sbagliate che potrebbero ridurre l’efficacia della sua azione esterna.

Per quanto riguarda la nuova strategia, la resilienza è indicata come la terza priorità dell’azione esterna dell’Unione europea ed è definita come “la capacità degli Stati e delle società di auto-riformarsi, evitando disastri, e di recuperare da crisi interne ed esterne.” A tal fine, l’Unione europea copre la dimensione statale e quella sociale, entrambe indispensabili nel promuovere i cambiamenti necessari. Nel caso della società, l’elemento europeo della resilienza è costituito dalla democrazia, nella misura in cui il progresso nella sicurezza è legato a una società resiliente caratterizzata da democrazia, fiducia nelle istituzioni e sviluppo sostenibile.

In termini di resilienza, l’impegno europeo nel resto del mondo è multidimensionale, in quanto comprende disastri ambientali, assistenza umanitaria, energia, cultura e anche il rispetto e la difesa dei diritti umani. In questo modo, essa cerca di gestire l’incertezza concentrandosi sulle principali debolezze dei paesi terzi al fine di approfondire il proprio impegno nelle aree in cui può offrire una differenza significativa. Tale approccio deve essere attuato anche in quei paesi che non intendono rafforzare i loro legami con l’UE. In questo senso, acquista particolare rilevanza un approccio specifico e differenziato (tailor-made approach), unitamente all’applicazione del principio del pragmatismo, che permette all’UE di cercare nuove possibilità per raggiungere una sicurezza sostenibile.
 

6. Le ripercussioni della nozione di autonomia strategica (della Strategia globale) sullo sviluppo della Politica comune di sicurezza e di difesa.

Nell’ottica di raggiungere una difesa comune, il Trattato di Lisbona fa un passo fondamentale affrontando il problema della possibilità per l’Unione di disporre di strumenti di auto-difesa, andando oltre l’idea ristretta di gestione delle crisi. A tal fine, esso migliora gli strumenti della politica di sicurezza e di difesa comune esistenti, ampliando i casi nei quali possono essere svolte missioni di Petersberg (arrivando fino alla prevenzione del terrorismo). Rende anche possibile che una missione dell’Unione venga affidata a uno Stato membro e semplifica le procedure per il finanziamento delle missioni.

Lo sviluppo della politica di difesa è la conseguenza dell’inserimento del principio della autonomia strategica nella Strategia globale, dal momento che il Trattato di Lisbona aveva stabilito le nuove istituzioni della politica di sicurezza e di difesa comune: l’alleanza difensiva, che implica la difesa territoriale (art. 42.7 TUE); la nuova cooperazione strutturata permanente (art. 42.6 TUE) e l’Agenzia europea di difesa (art. 42.3 e 45 TUE), cha ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione nel campo delle capacità militari. Vedrà anche la luce la clausola di solidarietà tra gli Stati membri al fine di prevenire e di reagire ad attacchi terroristici o a disastri naturali o di origine antropica (art. 222 TFUE).

La vera innovazione del Trattato di Lisbona in tema di difesa sta nella clausola di mutua assistenza, alla base dell’alleanza difensiva, che richiede agli Stati membri un impegno nella mutua difesa più vincolante di quello richiesto dall’art. 5 del Trattato di Washington, in quanto sottolinea nell’art. 42.7 che “se uno Stato membro è oggetto di un’aggressione armata sul suo territorio, gli altri Stati membri devono fornire aiuto ed assistenza con tutti i mezzi disponibili.”

D’altra parte, al fine di rendere credibile un’Alleanza difensiva, il Trattato di Lisbona prevede la possibilità di intervento rapido in grado di rispondere immediatamente a un’aggressione. Questo è in realtà la cooperazione strutturata permanente, indicata dall’art. 42.6 TUE, che stabilisce che “gli Stati membri, che soddisfino elevati criteri di capacità di intervento ed abbiano sottoscritto impegni vincolanti in questo campo tali che permettano loro di svolgere le missioni più impegnative, stabiliranno una cooperazione strutturata permanente nel quadro dell’Unione.” Questo articolo contempla, perciò, la possibilità che un gruppo di Stati che lo vogliono e possiedono sufficienti capacità militari le possano realizzare senza bisogno dell’unanimità.

Tutto ciò significa che a partire dal dicembre 2009, data di entrata in vigore del Trattato sull’UE, esiste una autentica alleanza difensiva tra i ventotto. Da allora l’Unione ha solide basi giuridiche per lanciare una politica di difesa europea. Tuttavia ciò non è stato possibile fino a pochi mesi fa perché le disposizioni del Trattato di Lisbona, per varie ragioni, non sono state attuate. Tutto fa pensare che la situazione sia cambiata e che si stiano prendendo decisioni che renderanno possibile il progressivo avvio della politica europea di difesa.
 

7. I passi decisivi nella realizzazione della politica di difesa europea: la cooperazione strutturata permanente.

In seguito all’adozione della Strategia globale, nel corso del 2016 e del 2017 sono stati compiuti diversi passi avanti verso la realizzazione della difesa dell’Unione, tra cui la dichiarazione di Bratislava su di un nuovo tipo di rapporto con la NATO, il piano d’azione sulla difesa europea, i progressi verso il raggiungimento di una capacità operativa, la creazione del quartier generale delle operazioni, il fondo di investimento della Commissione per la difesa e, soprattutto, importanti progressi verso una cooperazione strutturata permanente.

Dalla dichiarazione congiunta tra la Commissione europea e il Segretario generale della NATO, frutto dell’incontro informale dei 27 Ministri della difesa dell’UE il 26-27 settembre 2016 a Bratislava, appare chiaramente che l’Unione e l’Alleanza sono alla ricerca di un nuovo tipo di rapporto basato sul lavoro comune e sul mutuo sostegno, che si sta instaurando un nuovo clima e che viene accettata la Strategia globale. La Dichiarazione si è poi sviluppata attraverso le conclusioni adottate dai rispettivi Consigli, che contengono più di quaranta proposte.

E’ questa Dichiarazione che permette all’UE di sviluppare la PESCO, perché per la prima volta viene definita una chiara cooperazione tra le due organizzazioni sulla base dell’accettazione del principio di compatibilità, che permette di sviluppare un rapporto senza un’organizzazione gerarchica. Quando questo si realizzerà, lo sviluppo di una autodifesa europea attraverso la PESCO apparirà con maggior evidenza.

Il Piano d’azione di difesa europea, adottato dalla Commissione europea e pubblicato il 30 novembre 2016, sviluppa la Strategia globale sulla politica estera e la sicurezza. Il suo obiettivo è di creare le condizioni adatte a rendere concrete le ambizioni della Strategia: presenta diverse proposte, tra cui il mercato comune della difesa o l’utilizzazione del bilancio comunitario per contribuire all’unità nel campo della difesa. La proposta più ambiziosa, già in corso di attuazione, è la creazione di un fondo europeo per la difesa, con due indirizzi: uno dedicato alla ricerca, l’altro alle capacità operative.

Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 si è proposto di raggiungere la capacità operativa permanente nella pianificazione e nella gestione strategica e il rafforzamento della convenienza e della capacità operativa nell’uso e nel dispiegamento degli strumenti di risposta rapida al fine di realizzare il principio di autonomia strategica, che sarà sviluppato in successivi Consigli degli affari esteri e della difesa.

Nel corso del 2017 sono state adottate diverse misure, tra cui la decisione del Consiglio degli affari esteri del 6 marzo 2017 sulla creazione di una struttura militare di pianificazione e gestione operativa con l’obiettivo di farne la base per un gruppo di operazioni di gestione di crisi già in atto. Si pensa che essa rappresenti l’embrione di un quartier generale, la cui creazione non è stata decisa a causa del veto del Regno Unito, che riteneva che il quartier generale dovesse essere solo quello della NATO.

Inoltre, il Consiglio della difesa del maggio 2017 si è occupato dei principi chiave dello schema di governance della cooperazione strutturata permanente. Si tratta di alcune delle misure che illustrano lo sviluppo e la realizzazione dei primi passi nella politica di difesa, nella prospettiva che altri seguissero nella stessa direzione nel corso del 2017, anno fondamentale in questo campo: non dobbiamo dimenticare che la Commissione europea ha presentato in giugno un rapporto di riflessione sul futuro dell’Europa nel campo della politica di difesa, nel quale fissa gli obiettivi comuni per il 2025.

E’ essenziale attivare la cooperazione strutturata permanente, regolata dagli articoli 42.6 e 46 TUE e dall’articolo 1 del Protocollo n. 26, impegno adottato dall’Agenda di Juncker Un nuovo inizio e in numerose risoluzioni parlamentari, specialmente nell’ultima, del 16 marzo 2017, nei punti dal 30 al 34. Nel punto 30, “si sottolinea l’importanza e la necessità della partecipazione ad una efficiente cooperazione strutturata permanente di tutti gli Stati membri che vogliono progredire nell’integrazione della loro difesa” giungendo al massimo livello di ambizione dove si sottolinea “e si considera che una forza permanente europea integrata dovrebbe essere creata come forza multinazionale.”

Forse le decisioni più importanti sono quelle adottate dal Consiglio europeo del 22-23 giugno 2017 sullo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune e in particolare sulla cooperazione strutturata permanente, la cui conclusione n. 8 dice che “al fine di rafforzare la sicurezza e la difesa dell’Europa nell’attuale difficile ambiente geopolitico, e di favorire il livello di ambizione dell’UE espresso nella sua Strategia globale, il Consiglio concorda che sia necessario lanciare una cooperazione strutturata permanente integrata ed ambiziosa.”

Tal proposta è in corso di attuazione in seguito alla decisione presa dal Consiglio degli affari esteri e di difesa il 13 novembre 2017, nel quale è stato firmato l’atto costitutivo della PESCO, di cui fanno parte 25 Stati membri, tutti, con l’eccezione della Danimarca, di Malta e, come naturale, del Regno Unito. Con ciò la PESCO e i suoi trenta progetti divengono realtà sia formalmente, sia materialmente.
 

8. L’Europa e il nuovo ordine mondiale.

 Non è chiaro se ci sia un nuovo ordine mondiale. E’ chiaro, invece, che almeno l’ordine liberale e il sistema multilaterale creato dopo la Seconda guerra mondiale sono messi alla prova. I cambiamenti più significativi stanno nella perdita di importanza del cosiddetto blocco occidentale e nell’ascesa degli Stati emergenti, soprattutto della Cina e dell’intera Asia, unitamente al progressivo abbandono delle istituzioni multilaterali da parte degli Stati Uniti.

Anche nel blocco occidentale, soprattutto dall’arrivo alla presidenza di Trump, le tensioni transatlantiche tra l’Europa e gli Stati Uniti stanno crescendo sia politicamente, sia economicamente — dando origine a una possibile guerra commerciale nella quale in luglio è stata raggiunta una tregua tra il Presidente degli Stati Uniti e il Presidente dell’UE —, sia per quanto riguarda la sicurezza e la difesa.

In questo campo, nemmeno la cooperazione nell’ambito della NATO è al meglio. A ciò vanno aggiunti i problemi con la Russia, soprattutto dopo l’annessione della Crimea nel 2014; il permanere del terrorismo jihadista e le tensione nel Sahel, che sono peggiorati nel nell’anno scorso. Per contro, va sottolineata la quasi completa eliminazione dell’Isis come attore con una rilevante presenza territoriale.

Il ruolo dell’UE, come sottolineato, si sta rafforzando — contrariamente alle aspettative —, specificamente a partire dal referendum sulla Brexit, poiché la coesione tra Stati, istituzioni e cittadini è aumentata. Ciò non ha solamente modificato considerevolmente la percezione dei cittadini, come appare dagli ultimi Eurobarometri a partire dall’inverno del 2016 (nei quali sono stati raggiunti migliori livelli di accettazione del progetto europeo, per certi aspetti perfino migliori di quelli di prima dell’ultimo decennio, a partire dal 2007), ma ha dato luogo ad un rilancio del processo comunitario nel suo insieme.

Ciò ha portato la Commissione europea a dominare nei negoziati per la Brexit, che potrebbero portare un accordo tra il Regno Unito e l’Unione europea che potrebbe costituire una “integrazione differenziata dall’esterno” — finora questa integrazione differenziata era “dall’interno”. Mentre il Regno Unito non parteciperà più (a partire dal 30 marzo 2019), in conseguenza dell’uscita, alle istituzioni dell’Unione, tale accordo potrebbe permettergli di continuare a far parte del blocco europeo, come fa la Norvegia attualmente.

L’integrazione differenziata consiste nel fatto che il Regno Unito non ha partecipato ad alcuni elementi importati dell’UE, come l’UEM, l’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone e ad alcuni aspetti della politica sociale. In futuro il Regno Unito continuerà a partecipare ad alcuni aspetti dell’integrazione europea, ma non parteciperà alle istituzioni: questo è quello che intendiamo come integrazione differenziata dall’esterno. Continuerà ad essere un partner economico, un paese del vicinato, continuerà a svolgere una forte cooperazione nella sicurezza interna; parteciperà in qualche misura alla politica estera europea e perfino alla sicurezza e alla difesa. In breve, come è successo dal maggio scorso, quando il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si è dissociato dall’accordo sul nucleare con l’Iran, il Regno Unito si è posto, insieme alla Francia e alla Germania, a fianco dell’Europa. Il Regno Unito, pur con tutte le sue particolarità, è oggi più vicino all’Europa che agli Stati Uniti.

Questo nuovo scenario internazionale non solo rende possibile, ma richiede che l’Europa sviluppi in modo accelerato la propria autonomia strategica in politica estera e di sicurezza, ma anche in quella della difesa, per essere in grado prendere la guida della politica mondiale, soprattutto nel campo della governance internazionale, nella quale è necessaria una maggior regolamentazione internazionale, come avviene attraverso l’applicazione delle proposte del G20.

L’attuazione della PESCO nel dicembre 2017 e il suo rapido sviluppo nel corso di quest’anno è il miglior esempio di come il principio dell’Autonomia strategica non sia qualcosa di teorico, ma stia gradualmente diventando una realtà, forse entro il 2027, perché questo è il limite della prospettiva finanziaria settennale (21-27) nella quale è previsto un importante incremento del bilancio per la politica estera di sicurezza e di difesa dell’UE dell’ordine del 30%. Le parole del Presidente francese Emmanuel Macron il 27 agosto confermano quest’idea, quando afferma “L’Europa non può dipendere militarmente da nessuno.”

Potremmo dire che la PESCO potrebbe divenire la NATO europea, tuttavia in un arco di tempo di circa dieci anni: ciò è dovuto al fatto che uno degli obiettivi della PESCO è di rendere credibile l’alleanza difensiva, come contemplato dall’ art. 42.7 TUE. A tal fine è necessaria una forza di intervento rapido in caso di aggressione. L’iniziativa francese di creare una forza di intervento cerca di ridurre il tempo necessario e ha dato origine alla lettera di intenti sottoscritta in giugno da nove Stati, compresi il Regno Unito e la Danimarca. L’intenzione è di realizzare questa forza di intervento nel marzo del 2019; nella dichiarazione congiunta franco-tedesca di Meseberg pochi giorni dopo, questa intenzione è stata riaffermata e legata direttamente alla PESCO.
 

9. Conclusione: la necessità della riforma federale dell’Unione europea e il suo dibattito nella campagna per le elezioni del Parlamento europeo del maggio del 2019.

Molti indicatori ci fanno pensare che il rilancio dell’Europa sia in corso, in altre parole, che il treno si trovi su un binario la cui costruzione è iniziata nel 1948 all’Aia e che dieci anni dopo, a Roma, il treno abbia cominciato a marciare. Successivamente il numero dei vagoni è cresciuto e in alcuni momenti il treno ha raggiunto una forte velocità. Tuttavia, nella seconda metà del primo decennio del XXI secolo è stato sul punto di deragliare, quando è stato bocciato il Trattato costituzionale in seguito ai referendum negativi in Francia e in Olanda nel maggio del 2005. Successivamente, per un decennio, il treno ha viaggiato molto lentamente.

Dal giugno del 2016, a partire dalla Brexit, le aspettative sono cambiate, in larga misura grazie alla convinzione che lo sganciamento di un vagone molto pesante, che aveva reso molto difficile l’avanzamento del treno, avrebbe permesso di ripartire. Il vagone pesante era il Regno Unito. Il treno sta progressivamente riprendendo velocità e ciò ci permette di affermare che il rilancio dell’Europa è in corso e che con il disimpegno definitivo — o almeno per cinque anni — della Gran Bretagna, che si concretizzerà due mesi prima delle elezioni europee, ci aspettiamo che a partire dal 30 marzo il progetto ritornerà al percorso iniziato all’Aia e a Roma.

Sosteniamo che il treno è sul binario non solo perché si sta ripensando il futuro dell’Europa nelle aree chiave delle più importanti acquisizioni del processo europeo, ma anche perché queste iniziative si stanno trasformando in proposte concrete che cominciano ad essere attuate dalle istituzioni europee. Non sono solo buone intenzioni.

Un ulteriore esempio del fatto che il nuovo clima sta avendo effetti positivi è stata la nomina a Presidente dell’eurogruppo, nel dicembre 2017, di Mario Centeno, Ministro delle finanze portoghese appartenente ad una coalizione governativa di sinistra. Nei suoi due anni nell’incarico, il ministro Centeno è riuscito a rendere i principi di convergenza europei compatibili con lo sviluppo di una politica sociale. La sua nomina significa che forse finalmente la politica di austerità sta entrando in una fase diversa. Anche il nuovo governo socialista spagnolo del 2 luglio di Pedro Sánchez rafforzerà questo nuovo clima di rilancio dell’UE.

Il treno è per strada, è necessario che non deragli, deve continuare ad avanzare ad una maggior velocità, o, nei termini del Presidente Juncker, “dobbiamo trarre vantaggio dalla finestra di opportunità offerta dal fatto che abbiamo il vento nelle vele per realizzare le riforme necessarie che possono essere fatte ora, come alcune di quelle che sono state proposte per sfruttare la fine della legislatura e diverse iniziative preparate per essere attuate dopo le elezioni del 2019. Cioè, il vento può soffiare.” Così, la proposta del Manifesto del Gruppo Spinelli del 4 settembre contiene una formidabile tabella di marcia per la nona legislatura 2019-2024: il futuro federale dell’Europa.

La politica mondiale dell’Unione europea negli ultimi mesi riflette l’idea che “abbiamo il vento nelle vele”, perché le permette di rafforzarsi come potenza normativa prendendo l’iniziativa negli affari mondiali, per quanto riguarda sia l’applicazione di nuove normative, sia i cambiamenti climatici, o i trattati commerciali di nuova generazione, come quelli recentemente sottoscritti con Canada, Giappone, Messico e forse presto con il MERCOSUR; inoltre sono iniziati i negoziati con la Nuova Zelanda e con l’Australia. La politica protezionista del Presidente Trump e il ritiro degli Stati Uniti dal trattato di Parigi sui cambiamenti climatici, dall’UNESCO e da altre organizzazioni internazionali apre nuove prospettive all’Europa.

Questa situazione spinge l’Europa ad assumere nuove responsabilità nella politica mondiale, come sta appunto facendo con la realizzazione della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza e soprattutto della politica di difesa – come abbiamo visto – e grazie al dispiegamento negli ultimi sette anni della sua diplomazia compatibile con quella degli Stati membri e attualmente diretta dall’Alto rappresentate Federica Mogherini, che sta ampliando i margini e rompendo i limiti della politica estera europea.

La distanza della politica estera europea da quella del Presidente degli Stati Uniti è stata espressa con chiarezza dalle parole dell’Alto rappresentante Mogherini durante la sua prima visita alla nuova Amministrazione americana nel febbraio del 2017, quando ha chiesto che la politica estera dell’Unione europea fosse rispettata nello stesso modo con cui gli europei rispettano quella americana. Nell’ultimo anno e mezzo questa posizione è stata indubbiamente confermata dai fatti.

Infine, come abbiamo detto sopra, l’euro in quanto moneta unica, ha contemporaneamente carattere federalizzante e federatore. Il Presidente della Commissione si è espresso così nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione di fronte al Parlamento il 12 settembre scorso: “dobbiamo fare di più per permettere alla nostra moneta unica di svolgere appieno il suo ruolo sulla scena internazionale” e “l’euro deve divenire il volto e lo strumento di una nuova Europa più sovrana”.

Francisco Aldecoa Luzarragua


* Si tratta della rielaborazione della relazione al 35° Seminario internazionale “Federalism in Europe and the World”, organizzato a Ventotene dal 2 al 7 settembre 2018 dall’Istituto Spinelli di studi federalisti.

Nella rubrica “Interventi” vengono ospitati articoli che la redazione ritiene interessanti per il lettore, ma che non riflettono necessariamente l’orientamento della rivista.

 

 

 

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