IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXII, 2020, Numero 1-2, Pagina 83

 

 

UN GREEN DEAL PER LE CITTÀ EUROPEE.
RIPENSARE IL RUOLO
DEL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ

 

 

Introduzione.

L’emergenza legata al Covid-19 sta modificando il nostro modo di guardare alle priorità, individuali e collettive. Ci sono in particolare due aspetti che sono destinati ad influenzare maggiormente il modo in cui le società si adatteranno alle trasformazioni richieste (e indotte) dallo shock.

Il primo è la necessità di ripensare la pianificazione sociale, economica, politica e territoriale in modo da consentire una risposta più rapida, efficiente, decentrata — ma anche coordinata — agli shock esogeni, indipendentemente dagli attuali confini amministrativi e politici (definiti su base statale). Ciò solleva due questioni correlate: la necessità di prestare maggiore attenzione al concetto di unità minime di sopravvivenza, che potrebbero risultare territorialmente sovrapposte alle amministrazioni giuridiche esistenti; e una riflessione su quale tipo di infrastrutture siano necessarie per rendere tali unità più resilienti e reattive.

Il secondo aspetto concerne le modalità per finanziare quelle infrastrutture locali che permettano a tali aree di reagire efficacemente agli shock, siano essi di natura endogena o esogena; ciò implica, inevitabilmente, ingaggiare una competizione sui mercati finanziari contro la componente destabilizzante (ma spesso ad alto rendimento) dell’instabilità indotta da orizzonti temporali di breve periodo degli agenti economici (e della domanda estremamente volatile di liquidità necessaria per coprire le posizioni a breve termine in situazioni di crisi), riorientando le risorse verso attività a lungo termine.

Come suggerisce il dibattito pubblico sia negli USA[1] sia nell’UE[2] le grandi città stanno già spingendo molto in questa direzione, e chiedono una rimodulazione del ruolo, delle funzioni e delle competenze delle comunità locali.

In questa nota, avanziamo l’ipotesi che uno strumento da esplorare più ampiamente a questo scopo sia il Meccanismo europeo di stabilità (MES). Si tratta di una proposta concepita per rafforzare ed estendere la decisione dell’Eurogruppo di utilizzare il MES per fornire liquidità immediata per fronteggiare i costi legati all’emergenza.

Al fine di utilizzarlo come strumento di investimento a lungo termine, la sua missione, la sua natura e il suo statuto dovrebbero essere adattati a questo scopo; il che richiede aggiustamenti politici e giuridici che, pur non essendo eludibili, non prendiamo in considerazione in questa sede, ma che speriamo possano emergere da un ampio ed attento dibattito su questi aspetti.

Nelle sezioni che seguono cercheremo di: delineare il concetto di unità minima di sopravvivenza come base per ridisegnare la costituzione (prima immateriale, poi anche materiale) di un sistema multilivello di scelta pubblica (primo paragrafo); contestualizzare sinteticamente la nascita e l’evoluzione del MES (secondo paragrafo); prima di passare al modo in cui suggeriamo di modificarne l’utilizzo (terzo paragrafo).
 

  1. Quale modello comunitario.

Il concetto di unità minima di sopravvivenza, come dimensione minima delle comunità che permette la sopravvivenza dei suoi membri — una volta la tribù, poi la polis, lo Stato-nazione e recentemente l’intero pianeta — è stato profondamente modificato dalla pandemia. Abbiamo scoperto che, per affrontare un problema globale, lo Stato-nazione fornisce l’unica cornice giuridica in grado di deliberare (e far rispettare) leggi di contenimento e fornire i beni pubblici di cui gli individui hanno bisogno per la loro sopravvivenza (in senso lato).

Allo stesso tempo, ci siamo accorti che tutti gli Stati-nazione, qualunque sia la loro dimensione, si trovano ad affrontare questioni analoghe a livello subnazionale, riguardanti il grado ottimale di decentramento di alcune attività cruciali, come le misure sanitarie, il controllo sociale, la fornitura di assistenza a chi ne ha maggiormente bisogno, ecc. Abbiamo anche rilevato che, in assenza di una risposta coordinata sovranazionale a una questione sovranazionale, il risultato più probabile è un crescente divario tra individui, regioni, Stati, continenti; una prospettiva potenzialmente devastante per il futuro.

La globalizzazione e la smaterializzazione di alcune attività economiche negli ultimi decenni hanno messo in ombra il ruolo cruciale delle comunità nel costituire quella indispensabile cesura fra dinamiche di mercato e ruolo del processo decisionale collettivo delle autorità pubbliche;[3] oltre che nel ruolo chiave di assorbimento degli effetti negativi della globalizzazione. Questo suggerisce che un genuino sistema (costituzionalmente riconosciuto) di governi multilivello (indipendenti e coordinati) potrebbe essere in grado di affrontare in modo più efficiente la natura multilivello dei problemi[4] che abbiamo di fronte.[5]

Come conseguenza dell’attuale approccio monolitico (statale) alle scelte pubbliche, due livelli di governo rimangono scarsamente finanziati in termini di beni pubblici (collettivi): il livello comunitario e il livello sovranazionale. Per questo motivo, suggeriamo che uno strumento finanziario sovranazionale esistente come il MES, opportunamente modificato, possa fungere da fondo a sostegno degli investimenti pubblici a lungo termine a livello comunitario (come sostenuto anche recentemente dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli[6]), risolvendo il duplice problema dell’insufficiente dotazione di beni pubblici sia a livello sovranazionale sia subnazionale.[7]

Ciò consentirebbe di realizzare allo stesso tempo: una strategia congiunta, condivisa, delle politiche di investimento accompagnata da finanziamenti, monitoraggio e controllo collettivi; una progettazione dal basso delle infrastrutture specifiche della comunità, cosa che garantirebbe il pieno coinvolgimento democratico su tali scelte.[8]

Ciò richiede, in primo luogo, l’identificazione delle unità minime di sopravvivenza e delle infrastrutture collettive, necessarie per la loro efficienza. Le unità minime di sopravvivenza possono essere definite (nel mondo del 2020) come sistemi locali abbastanza grandi da permettere il buon funzionamento della collettività al loro interno[9] e sufficientemente piccoli da essere identificabili, distinguibili dal resto della comunità più ampia (esterna), realizzando un equilibrio ottimale tra le economie e le diseconomie di agglomerazione. Ognuna di esse può essere vista come quell’insieme reticolare e tentacolare di beni e servizi collettivi (pubblica utilità, trasporti, centri sociali e culturali, ecc.) necessari alla vita quotidiana e che permettono alla comunità di essere operativa e resiliente in caso di shock.[10]

In molti casi si tratta di aree metropolitane; o di grandi sistemi locali coordinati di territori altamente interconnessi. Naturalmente, il concetto di unità minima di sopravvivenza non implica autosufficienza: viviamo in un mondo complesso e interconnesso, che non può sopravvivere senza grandi infrastrutture di collegamento. Esse sono tuttavia in grado, in caso di risposte emergenziali, di reagire in modo efficiente agli shock esogeni, assorbendone l’impatto negativo.

Quando parliamo di infrastrutture a livello di comunità, non intendiamo solo quelle tradizionali come strade, ponti, aeroporti; ma anche banda larga, produzione e la distribuzione di energia, riciclaggio dei rifiuti, sistemi innovativi e flessibili di ricovero e gestione sanitaria, laboratori e reti di ricerca, piattaforme interconnesse di logistica, mobilità sociale, nuovi modi di progettare il rapporto tra le grandi città e i loro territori, reingegnerizzazione dello Stato sociale per far fronte all’invecchiamento della popolazione, ecc. La maggior parte di queste infrastrutture (materiali e immateriali) richiede enormi capitali e un sistema di governo che deve prevedere la partecipazione attiva di una serie di attori pubblici e privati, su più livelli.

È qui che può entrare in gioco il sostegno finanziario di un’istituzione sovranazionale come il MES.
 

  1. Contesto ed evoluzione del MES.

Il MES è stato istituito nel 2012 per affrontare squilibri finanziari potenzialmente destabilizzanti per paesi dell’eurozona (in modo più tempestivo ed efficace rispetto alla European Financial Stability Facility, EFSF), fornendo loro credito quando le condizioni di mercato diventano sfavorevoli. Il fondo ha un capitale autorizzato di 704,8 miliardi di euro, di cui solo 80 effettivamente versati, e ha una capacità di prestito limitata a 500 miliardi di euro.

In quanto società di diritto pubblico internazionale, rappresentata dagli Stati membri dell’area dell’euro, i prestiti del MES rappresentano un’obbligazione solidale in caso di inadempienza di un paese. Si tratta quindi di una responsabilità collettiva. Essendo un’istituzione finanziaria che (dopo il FMI) può rivendicare lo status di creditore privilegiato, il MES può anche (e di solito lo fa) emettere sul mercato obbligazioni che, essendo sostenute collettivamente, hanno un rating "tripla A" (Fitch).[11]

Data il suo compito “straordinario”, di assistenza in condizioni finanziarie critiche, il MES fornisce liquidità a condizione che venga realizzato un ampio programma di ristrutturazione e riduzione del debito. In realtà, una condizionalità così rigorosa si è dimostrata socialmente e politicamente destabilizzante solo nel caso greco (su cinque paesi che ne hanno fatto richiesta; Irlanda, Portogallo e Cipro che hanno utilizzato le risorse del MES per assistenza finanziaria e la Spagna, per rafforzare il sistema bancario). Nel caso greco, sono stati messi a disposizione oltre trecento miliardi di euro (in tre tornate di negoziati, avviate in seno alla EFSF) per stabilizzare i dati macroeconomici di un Paese che per alcuni anni ha registrato disavanzi fino al 15% del PIL. La Grecia ha concluso il suo programma col MES dopo otto anni (EFSF più MES), nell’agosto 2018.

Riconoscendo la necessità di traghettare il MES oltre la sua missione originaria, nel dicembre 2017 la Commissione Europea ha pubblicato una roadmap, con l’obiettivo di trasformarlo in un vero e proprio Fondo monetario europeo (FME).[12] Una proposta con un triplice obiettivo: a) aumentare la accountability e la legittimità del suo meccanismo decisionale e procedurale, facendolo rientrare pienamente nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’UE; b) facilitare l’attuazione delle indicazioni contenute nei due Rapporti dei Quattro/Cinque Presidenti del 2012[13] e del 2015[14] sul completamento dell’Unione economica e monetaria; c) anticipare la futura estensione dell’area dell’euro a tutta l’UE27.

Nel frattempo, il Consiglio europeo ha deciso di utilizzare il MES come strumento di sostegno per il Fondo unico di risoluzione all’interno dell’Unione bancaria dell’UE, una riforma attualmente all’esame degli Stati membri.

Tutti questi cambiamenti[15] sono stati suggeriti nell’era pre-Covid19 e miravano ancora a migliorare la capacità del MES di salvaguardare la stabilità finanziaria degli Stati membri nell’eurozona. L’attuale shock generalizzato e simmetrico prodotto dalla pandemia offre l’opportunità per accelerare ed ampliare la natura di questa trasformazione. La recente decisione di consentire l’accesso alle risorse del MES per finanziare il miglioramento dei sistemi sanitari deve essere letta come un passo in questa direzione.

In questi ultimi mesi di emergenza pandemica, tre strategie di cambiamento sembrano essere diventate fondamentali per la tenuta del consenso sociale intorno alla UE, alle sue istituzioni ed all’ulteriore approfondimento del processo d’integrazione europea: a) il rafforzamento della sua capacità fiscale, al fine di aumentarne la possibilità di finanziare beni pubblici collettivi (a livello europeo); b) la necessità di progettare un compromesso effettivamente cantierabile tra il modello federale a due livelli degli USA (e della maggior parte degli Stati federali tradizionali) e il modello confederativo decentralizzato dell’attuale UE, con l’obiettivo di stabilire una democrazia multilivello articolata su tre livelli, nella quale siano riconosciuti governi locali, nazionali e sovranazionali e; c) una prospettiva a lungo termine d’ingegneria finanziaria volta a sostenere massicci investimenti pubblici coordinati a livello europeo ed implementati a livello locale.

La nostra proposta è un tentativo di affrontare tutte e tre queste sfide, fornendo uno schema d’intervento per il terzo punto, cruciale ma ancora completamente assente: il finanziamento dei grandi sistemi locali (o, se si preferisce, le unità minime di sopravvivenza alle quali abbiamo fatto riferimento più sopra).

Questa ipotesi, ancora in larga parte da esplorare, soprattutto sotto il profilo dei mutamenti istituzionali e giuridici che richiede, va intesa come un ulteriore strumento sinergico al quadro complessivo dello straordinario sforzo finanziario fornito per affrontare l’emergenza e far ripartire l’economia in Europa. Un quadro che vede già all’opera (o in via di definizione): la politica monetaria della BCE; l’uso delle risorse BEI per il sostegno agli investimenti in aree svantaggiate; lo strumento SURE della Commissione; e il prossimo Recovery Plan (o comunque venga deciso di chiamarlo), da istituire nell’ambito dei negoziati per il prossimo Quadro finanziario pluriennale.
 

  1. Uno strumento dinvestimento pubblico su più livelli.

Abbiamo già sottolineato come la maggior parte dei servizi/infrastrutture possa essere organizzata, gestita e monitorata in maniera più efficiente a livello delle principali aree locali/metropolitane: sistemi sanitari e gestione di parte dello Stato sociale, trasporti pubblici, spazi di socializzazione culturale, soluzioni innovative per l’invecchiamento della popolazione, produzione e distribuzione di energia, economia circolare e gestione dei rifiuti, ecc.

Quello che proponiamo è che tali investimenti (da parte di grandi comuni o consorzi di autorità locali) siano realizzati attraverso l’emissione di Sustainable Bonds da parte del MES. Come abbiamo visto, il MES ha il vantaggio di godere di estrema flessibilità e reattività, oltre che di un rating sui mercati che consente di emettere titoli a basso tasso d’interesse. Inoltre, può essere adattato in modo da agevolare il finanziamento dell’agenda fissata dalla Commissione europea e le sue sei priorità (in particolare il Green Deal), assicurando così un indirizzo strategico unitario nel fornire fondi per gli investimenti.

Il MES potrebbe quindi essere trasformato in uno strumento di prestito per il sostegno di investimenti a lungo termine, seguendo il modello di istituzioni finanziarie nazionali come la Cassa Depositi e Prestiti (in Italia; Caisse des dépôts et consignations in Francia; Crédit Communale de Belgique, ecc.), ed agire quindi come braccio operativo dell’UE per il perseguimento di obiettivi di politica pubblica.[16] I Sustainable Bonds dovrebbero avere una scadenza a lungo termine e potrebbero essere acquistati dalla BCE (come avviene attualmente per la maggior parte del debito del MES).

A tal fine il MES può (attualmente) contare su un capitale versato di 80 miliardi di euro, con una capacità di prestito di 500 miliardi di euro. Ciò significa che una leva finanziaria di sei può essere vista come una ragionevole approssimazione della sua capacità di prestito. Sappiamo che il capitale totale autorizzato del MES è di 704,8 miliardi di euro. Una volta che fosse interamente versato (immaginiamo un programma in dieci anni per raggiungere l’obiettivo), la capacità di credito del MES potrebbe raggiungere i 4.000 miliardi di euro. Un importo che potrebbe rivelarsi sufficiente e credibile per il compito assegnato (circa il 3% del PIL dell’UE-27, pari a circa 13.500 miliardi di euro nel 2018, su un orizzonte temporale di dieci anni).

Si potrebbe inoltre immaginare che il MES operi per la riassicurazione del sistema delle banche pubbliche nazionali d’investimento (come la Cassa Depositi e Prestiti in Italia, ecc.), per finanziare iniziative locali più piccole, come l’ammodernamento dei trasporti locali o la costruzione di scuole, ospedali, impianti di riciclaggio dei rifiuti e simili nelle piccole città.

L’unica condizionalità richiesta su questa iniziativa dovrebbe riguardare l’utilizzo di risorse per finanziare investimenti che presentino requisiti di sostenibilità in termini di: solidità finanziaria (capacità di generare flussi di cassa che garantiscano il pagamento delle rate del debito), coesione sociale, opportunità intergenerazionali, tutela dell’ambiente, innovazione tecnologica ed energetica. I criteri di ammissibilità, la selezione e il monitoraggio di tali iniziative dovrebbero essere stabiliti dalla Commissione Europea, secondo linee guida inserite in un piano strategico per il Green Deal.

Questo ruolo specifico del MES, volto a fornire beni pubblici collettivi a livello subnazionale, comunitario, potrebbe anche avere un impatto positivo sulla percezione del ruolo delle istituzioni europee da parte dei cittadini europei. Aiutando in tal modo anche a cambiare la percezione negativa fino ad oggi legata al MES come fondo salva-Stati.
 

Osservazioni conclusive.

L’emergenza pandemica ha evidenziato l’importanza delle autorità locali nel rispondere a numerose sfide economiche e sociali; il loro ruolo dovrebbe quindi essere potenziato nella definizione del futuro sistema di fornitura di beni pubblici essenziali. Dovrebbe essere costruito, costituzionalmente riconosciuto e reso esecutivo un nuovo processo di democrazia locale, dal basso; un processo che permetta risposte decentralizzate a livello locale, ed allo stesso tempo unità strategica.

Tale unità strategica, in attesa dell’attuazione di un processo decisionale collettivo più democratico in Europa, può essere assicurata dalle Sei Priorità stabilite dalla nuova Commissione europea per il suo mandato, in particolare il Green Deal. Inteso a ricordare il New Deal varato da Roosevelt negli anni Trenta per rilanciare l’economia dopo la Grande Depressione, il Green Deal mira a promuovere l’innovazione, la trasformazione della produzione e la costruzione di infrastrutture in grado di affrontare le sfide future (anche in termini di competitività globale) della sostenibilità (nelle sue varie forme).

Da qui la necessità di un Sustainable Fund, un Fondo per la sostenibilità che aiuti a finanziare gli investimenti locali a lungo termine in infrastrutture, attraverso l’emissione di Sustainable Bonds. Per la sua massima flessibilità e adattabilità, suggeriamo che uno strumento già oggi esistente che può essere reso disponibile in modo tempestivo ed efficace a questo scopo è il MES, riprogettato come banca d’investimento a lungo termine per le principali (e, indirettamente attraverso le istituzioni finanziarie pubbliche nazionali, le minori) comunità locali.

Alfonso Iozzo e Fabio Masini


 

Allegato

Lettera alla Presidente della Commissione Europea

 

11 febbraio 2020

 

Cara Presidente von der Leyen,

L’adozione di azioni significative, misurabili e sostenibili sul cambiamento climatico è la battaglia che definisce la nostra epoca; ed è e una sfida politica di portata senza precedenti per i responsabili politici europei e mondiali. Accogliamo con grande favore la proposta della Commissione europea di un Green Deal europeo e sosteniamo pienamente l’ambizione che l’Europa diventi il primo continente al mondo neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050.

Lo European Green Deal riconosce, giustamente, che una risposta efficace all’emergenza climatica può avvenire solo attraverso un cambiamento sistemico. Le città, guidate da leader eletti dai cittadini, rappresentano oggi i due terzi della popolazione europea e sono responsabili della maggior parte dei suoi sforzi di mitigazione e adattamento al clima. La lotta contro il cambiamento climatico sarà vinta o persa nelle città.

Come hanno dimostrato innumerevoli esempi degli ultimi anni, i governi locali spesso assumono un ruolo guida nell’azione per il clima e realizzano piani d’azione ambiziosi per un futuro sostenibile. Le città sono ben attrezzate per attuare il cambiamento politico. Le autorità locali sono di solito più veloci ad agire e meno vincolate dalle pressioni dell’industria dei combustibili fossili rispetto ai governi nazionali.

Le principali città e aree metropolitane europee sono attori chiave e disponibili ad affrontare la lotta al cambiamento climatico in tutta Europa, e devono essere potenziate di conseguenza. Siamo stati incoraggiati a questa richiesta dall’intento professato nel quadro della Comunicazione sullo European Green Deal, che indica la necessità di potenziare le comunità regionali e locali, e di rafforzare la dimensione urbana della politica di coesione, con particolare riguardo all’Iniziativa urbana europea.

Mentre rimane fondamentale fornire assistenza alle città e alle regioni che vogliono impegnarsi a rispettare ambiziosi impegni in materia di politiche climatiche ed energetiche e condividere le buone pratiche su come attuare il cambiamento a livello locale, abbiamo bisogno di un sostegno più significativo. In vista dei negoziati cruciali di quest’anno sul Quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea, esortiamo le istituzioni europee a riconoscere il ruolo centrale delle città e delle aree urbane nell’attuazione degli obiettivi strategici di politica verde ed a stanziare fondi UE direttamente accessibili e mirati alle città per garantire tali risultati.

Sosteniamo l’adozione di nuove e ambiziose misure, oltre che l’espansione e la riprogettazione di programmi già esistenti, come le Azioni innovative urbane e Horizon Europe, che possono dare alle città la forza di attuare politiche verdi. I nostri sforzi possono avere successo solo se l’UE mette in atto meccanismi normativi e finanziari che forniscano i mezzi necessari alle autorità locali per agire. In questo caso, le nostre città potranno muoversi rapidamente per preparare, presentare e realizzare progetti sul campo.

Come ha recentemente scritto l’ex-presidente del Comitato delle Regioni Karl-Heinz Lambertz: “i governi locali e regionali devono essere più che semplici alleati, ma attori e partner centrali nella definizione dell’Accordo Ecologico”. Siamo pronti a fare la nostra parte nella grande transizione dell’Europa verso un’economia decarbonizzata e chiediamo il vostro sostegno per poterlo realizzare.

Sinceramente vostri

Matúš Vallo (Bratislava), Gergely Karácsony (Budapest), Zdeněk Hřib (Prague), Rafal Trzaskowski (Warsaw), Michael Müller (Berlin), Michael Ludwig (Vienna), Johan Remkes (The Hague), Kostas Bakoyannis (Athens), Anna König Jerlmyr (Stockholm), Olegs Burovs (Riga), Remigijus Šimašius (Vilnius), Mihhail Kılvart (Tallinn), Fernando Medina (Lisbon), Gabriela Firea (Bucharest), Zoran Radojicic (Belgrade), Peter Feldmann (Frankfurt), Jaroslav Polacek (Košice), Giuseppe Sala (Milan), Ada Colau (Barcelona), Mohamed Ridouani (Leuven), Minna Arve (Turku), Matteo Ricci (Pesaro), Alessandro Ghinelli (Arezzo), Aleksandra Dulkiewicz (Gdańsk), Roland Ries (Strasbourg), Thomas Geisels (Düsseldorf), Tadeusz Truskolaski (Bialystok), Jordi Ballart Pastor (Terrassa), Ritva Viljanen (Vantaa), Päivi Laajala (Oulu), Ana Gonzalez (Gijón), Lauri Lyly (Tampere), Ulrich Maly (Nuremberg), Pekka Timonen (Lahti)


(Lista dei firmatari aggiornata al 12 marzo 2020)

 


[1] World Urban Forum, Making Cities Resilient 2030 (MCR 2030) – initial proposal, UN Office for Disaster Risk Reduction, 2020 https://www.unisdr.org/campaign/resilientcities/home/article/making-cities-resilient-2030-mcr2030-initial-proposal.

[2] M. Vallo et al., Letter to the President of the European Commission, February 11, 2020, https://budapest.hu/sites/english/Lapok/2020/eu-lobby.aspx. Qui riportata in allegato alla fine dell’articolo.

[3] R. Rajan,The Third Pillar. How Markets and the State Leave the Community Behind, London, William Collins, 2019.

[4] Anche negli Stati Uniti c’è una pressione crescente nel dibattito pubblico per il ritorno ad una struttura più genuinamente federale dello Stato.

[5] Si veda in questa ottica l’illuminante volume di L. Robbins, Economic Planning and International Order, London, Macmillan, 1937. Per una chiave di lettura del volume nell’ottica di una struttura costituzionale multilivello ci permettiamo di rimandare a F. Masini, Decision-making processes and multilayered institutional order: Lionel Robbins’s legacy, Cambridge Journal of Economics, 42(5) (2018), pp. 1459-1471.

[6] D. Sassoli, Aiuti da Bruxelles arriveranno, il punto è che l’Italia sappia spenderli, Intervista di Paolo Valentino, Corriere della Sera, 23 aprile 2020, https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_22/coronavirus-sassoli-corriere-aiuti-bruxelles-arriveranno-punto-che-l-italia-sappia-spenderli-280088a2-84c8-11ea-8d8e-1dff96ef3536.shtml.

[7] V. Tanzi, The Future of Fiscal Federalism, European Journal of Political Economy, 24 (2008), pp. 705-712.

[8] F. Rossolillo, Città territorio istituzioni, Napoli, Guida 1983, p. 47.

[9] A. Olivetti, L’ordine politico delle comunità, Ivrea, Nuove Edizioni,1945.

[10] World Urban Forum, Making Cities Resilient 2030, op. cit..

[11] Per una descrizione più tecnica del funzionamento del MES come fondo salva-Stati si veda: C. Bauer, B. Hertz, Reforming the European Stability Mechanism, Journal of Common Market Studies, 58(3) (2020), pp. 636–653.

[12] Si veda l’intero pacchetto: European Commission, Further Steps Towards Completing Europe’s Economic and Monetary Union: a Roadmap, December 06, 2017, https://ec.europa.eu/commission/publications/completing-europes-economic-and-monetary-union-factsheets_en; European Commission; European Commission, Proposal for a Council Regulation on the establishment of the European Monetary Fund, December 06, 2017; European Commission, Proposal for a Council Regulation on the establishment of the European Monetary Fund. Statute, Deceber 06, 2017, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52017PC0827.

[13] H. Van Rumpuy, J.M. Barroso, J.C. Juncker, M. Draghi, Towards a Genuine Economic and Monetary Union, 2012.

[14] J.C. Juncker, D. Tusk, J. Dijsselbloem, M. Draghi, M. Schulz, Completing Europe’s Economic and Monetary Union, 2015.

[15] Per una storia ‘interna’ (al MES) sul MES nei primi anni di vita, rimandiamo al volume: European Stability Mechanism, Safeguarding the Euro in Times of Crisis. The Inside Story of the ESM, 2019, rintracciabile ora anche online all’indirizzo: https://www.esm.europa.eu/sites/default/files/safeguarding-euro-times-crisis-inside-story-esm.pdf.

[16] Da questo punto di vista, può essere utile ricordare l'esperienza storica della Conferenza dei poteri locali dell'immediato dopoguerra, indotta dalle distruzioni diffuse e dalla necessità di sostenere la ricostruzione delle città per realizzare, nell'ambito dei dibattiti sulla creazione della Comunità Europea di Difesa, una Comunità Europea di Credito Comunale (CECC) per raccogliere fondi per i necessari, ingenti, investimenti attraverso l'emissione di obbligazioni garantite sia dagli Stati che dai Comuni. La CECC è stata in effetti fondata a Ginevra nel 1954, in occasione di una conferenza organizzata dal Consiglio dei Comuni d'Europa, alla quale hanno partecipato rappresentanti della maggior parte degli Stati europei, dell'OEEC, della CECA e della Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea (fondata nel 1931 per gestire il debito tedesco). La CECC si è trasferita nel 1957 a Torino, su iniziativa dell'AICCRE (Associazione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa), con il sostegno del Movimento di Comunità (fondato da Adriano Olivetti) e grazie all'iniziativa del Sindaco Amedeo Peyron, che ha offerto il Palazzo Reale per ospitare i suoi uffici. L'iniziativa non si è mai trasformata in un'azione specifica, in quanto il Trattato istitutivo del Mercato Comune Europeo ha poi creato la Banca Europea per gli Investimenti.

 

 

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