IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXIV, 1982, Numero 1, Pagina 45

 

 

I PROGETTI DI COSTITUZIONE PER UNA UNIONE EUROPEA NEL SECONDO DOPOGUERRA*
 
 
Premessa.
Nella sessione del luglio 1981 il Parlamento europeo ha svolto un ampio dibattito sui problemi istituzionali conclusosi il 9 luglio con l’approvazione a larga maggioranza di sei risoluzioni. Cinque di queste contengono proposte dirette a migliorare i rapporti fra le istituzioni comunitarie e, in particolare, a rafforzare il ruolo del Parlamento europeo nel quadro dei trattati esistenti. Con la sesta — presentata dal « Club del Coccodrillo»[1] e modificata in seguito all’accoglimento di alcuni emendamenti presentati dai gruppi socialista e democristiano — il Parlamento europeo ha invece deciso «di assumere la completa iniziativa di dare un nuovo slancio alla creazione dell’Unione europea», istituendo, a partire dall’inizio del 1982, «una commissione permanente per i problemi istituzionali, incaricata di elaborare una modifica degli attuali trattati» e si è dichiarato inoltre «persuaso che le proposte di riforme, che rifletteranno una vasta convergenza delle forze politiche di tutti gli Stati membri e che saranno state votate dal Parlamento, dovranno essere inviate per ratifica ai competenti organi costituzionali in ciascuno Stato membro».
In sostanza il Parlamento europeo, partendo dalla constatazione della palese inadeguatezza dell’attuale assetto istituzionale comunitario rispetto alle sfide sul piano interno e su quello mondiale che deve affrontare la costruzione europea, e fondandosi sulla legittimità conferitagli dall’elezione a suffragio universale, si accinge a elaborare un nuovo trattato contenente la costituzione dell’Unione europea. In tal modo esso affronta un problema tutt’altro che nuovo, poiché in realtà di progetti di costituzione per un’Unione europea ne sono stati elaborati numerosi in questo dopoguerra. Nuovo è se mai il fatto che il Parlamento europeo abbia deciso di impegnarsi su questo terreno senza aver ricevuto alcun mandato in tal senso da parte dei governi e che intenda inviare il trattato-costituzione da esso elaborato direttamente alle autorità nazionali competenti per la ratifica, senza cioè sottomettere le proprie proposte alla preventiva approvazione da parte dei governi. Ciò va in effetti al di là di quanto era avvenuto con il progetto di statuto della Comunità politica europea elaborato, sulla base dell’art. 38 del trattato relativo alla Comunità europea di difesa, a cavallo fra il 1952 e il 1953 dall’assemblea allargata della CECA (detta « Assemblea ad hoc»), la quale, oltre ad essere di seconda nomina, era stata incaricata dai governi di presentare a loro stessi le sue proposte e non di sottoporle direttamente alla ratifica degli organi nazionali competenti.[2]
Il Parlamento europeo ha dunque adottato il 9 luglio una decisione estremamente impegnativa, la quale è destinata a suscitare un ampio dibattito non solo al suo interno, ma anche a livello delle forze politiche e dell’opinione pubblica, che esso si propone di consultare prima di votare le sue proposte costituzionali. Proprio in vista di questo dibattito ritengo che possa essere utile una analisi dei precedenti progetti di costituzione per un’Unione europea[3] che metta in luce le varie soluzioni in essi proposte ai problemi fondamentali che il Parlamento europeo si accinge ad affrontare. Questo è precisamente il tema trattato nelle pagine che seguono.
Esse, occorre premettere, non contengono un’analisi di tipo storico, che illustri secondo l’ordine cronologico il contenuto complessivo di ogni singolo progetto, bensì un’analisi sistematico-comparativa, articolata secondo quelli che sembrano con ogni evidenza essere i nodi cruciali che il Parlamento europeo dovrà sciogliere, e che quindi trascura le indicazioni relative agli altri aspetti da tali progetti considerati (e che potranno essere esaminati in sede di successivi approfondimenti). Questi nodi sono a mio avviso quattro. Per quanto riguarda specificamente l’assetto istituzionale, sono in discussione praticamente, da quando sono stati elaborati i trattati, l’assetto del potere legislativo e quello del potere esecutivo da essi delineato.[4] È inoltre aperta la questione dell’insufficienza delle competenze attribuite alla Comunità, e, in questo contesto, ha un rilievo specifico il problema delle competenze finanziarie. La trattazione si articola pertanto in quattro parti dedicate rispettivamente a ciascuno di questi problemi. A esse segue una conclusione contenente alcune riflessioni sugli indirizzi di fondo che dovrebbe avere a mio avviso il lavoro costituente del Parlamento europeo.
Vediamo ora quali saranno concretamente i progetti di costituzione per un’Unione europea che verranno presi in considerazione.[5]
1.    Piano di Interlaken – Elaborato nel 1948 dall’Unione parlamentare europea fondata a Gstaad nel 1947 da R. Coudenhove-Kalergi (dizione abbreviata Interlaken);
2.    Progetto di Costituzione europea di M. Mouskhély e G. Stefani – Elaborato nel 1948 (Mouskhély-Stefani);
3.    Progetto preliminare di Costituzione federale per un’Europa unita – Elaborato da Alexandre Marc e presentato al secondo congresso dell’Union européenne des fédéralistes tenutosi a Roma nel 1948 (UEF 48);
4.    Abbozzo di una Costituzione federale di V. Marre Atalant – Elaborato nel 1948 (Marre Atalant);
5.    Progetto di R.W.G. Mackay – Costituisce una rielaborazione con poche modificazioni, presentata nel 1949, del Piano di Interlaken (Mackay);
6.    Richiesta relativa all’elaborazione di un Patto federale – Si tratta di un progetto elaborato dall’UEF nel 1949 e presentato all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, la quale aveva nella sua prima sessione incaricato una propria commissione di elaborare un patto europeo diretto a legare più strettamente gli Stati membri (UEF 49);
7.    Progetto di patto per una Unione degli Stati europei di M. Debré – Elaborato nel 1950 (Debré 50);
8.    Progetto di Costituzione federale europea del Comitato costituzionale per gli Stati Uniti d’Europa – Elaborato nel 1951 da R. Coudenhove-Kalergi sulla base dei lavori di tale comitato espresso dal Movimento Paneuropa (Paneuropa);
9.    Elementi di una Costituzione di M. Becker – Memoria presentata nel 1952 dal membro del Bundestag Max Becker al Comitato di studi per la costituzione europea, costituito su iniziativa del Movimento europeo e presieduto da P.-H. Spaak (Becker);
10. Rapporto introduttivo del Comitato dei giuristi del Consiglio d’Europa sul problema di una Comunità politica europea – Questo comitato, che presentò il suo rapporto nel 1952, era costituito da Roberto Ago, Fernand Dehousse, Paul Reuter, Helmut Ridder, Jan H.W. Verzijl (Comitato giuristi);
11. Risoluzioni del Comitato di studi per la costituzione europea – Questo comitato, costituito nel marzo del 1952, era presieduto da Spaak, aveva come segretario Dehousse e come membri: Max Becker, Lodovico Benvenuti, Piero Calamandrei, Arthur Calteux, Pierre de Felice, Henry Freney, Hans Nawiasky, Hermann Punder, Altiero Spinelli, Cornelius von Rij. Esso associò ai suoi lavori Robert R. Bowie e Carl J. Friedrich dell’Università di Harvard.[6] Il progetto elaborato da tale comitato nel 1952 era inteso a fornire un contributo ai lavori dell’Assemblea ad hoc, il cui progetto ne riprese molti aspetti[7] (CSCE);
12. Progetto di trattato concernente lo Statuto della Comunità europea – Elaborato dall’Assemblea ad hoc nel 1953 (Assemblea ad hoc);
13. Progetto di patto per una Unione degli Stati europei di M. Debré – Presentato da M. Debré nel 1953 (Debré 53);
14. Progetto di Costituzione federale di G. Heraud -Redatto da G. Heraud nel 1961 (Heraud);
15. Progetto di Costituzione di una Comunità europea di Max Imboden – Elaborato nel 1963 (Imboden);
16. Principi fondamentali di una Costituzione federale europea di C. Sasse – Presentato nel 1972 al Congresso d’Europa del Movimento europeo tenutosi a Bonn (Sasse);
17. Modello per un sistema istituzionale della Comunità europea di Hans von der Groeben – Elaborato nel 1972 (von der Groeben);
18. Progetto del Consiglio italiano del Movimento europeo – Si tratta del contributo dato dal CIME nel 1975 alla redazione del parere che il Movimento europeo doveva esprimere al primo ministro belga Tindemans per l’elaborazione del suo rapporto (CIME);
19. Proposta sulle istituzioni e il governo della Comunità economica europea di D. Chapman – Elaborato nel 1975 (Chapman).
 
Il potere legislativo.
Esaminando le proposte circa l’assetto del potere legislativo occorre distinguere anzitutto due ordini di problemi: 1) a chi è attribuito il potere legislativo; 2) la struttura e la composizione degli organi parlamentari.
1. Un elemento caratteristico che emerge dall’analisi dei progetti di costituzione europea è che non tutti, a differenza delle costituzioni degli Stati a regime democratico, attribuiscono il potere legislativo a organi di tipo parlamentare. Abbiamo infatti il progetto Debré 53, che non prevede un potere legislativo della Unione, e il progetto Chapman, che invece attribuisce tale potere al Consiglio dei ministri nazionali, prevedendo cioè una situazione analoga a quella attuale della Comunità. I restanti progetti si dividono a loro volta in due categorie a seconda che prevedano delle limitazioni del potere legislativo attribuito agli organi parlamentari o che non prevedano alcuna limitazione (a parte ovviamente il fatto che il potere legislativo si esercita entro i limiti delle competenze dell’Unione).
Nella prima categoria occorre distinguere tre tipi di limitazioni:
a) Limitazioni dovute alla partecipazione di un organo intergovernativo al processo legislativo — Rientra in modo chiaro in questa categoria il progetto dell’Assemblea ad hoc, il quale prevede il consenso all’unanimità da parte del Consiglio dei ministri nazionali per l’adozione di tutte le misure fiscali e delle più importanti misure dirette a realizzare un mercato comune. Si avvicinano peraltro a questa situazione i progetti Debré e von der Groeben, dal momento che prevedono la partecipazione al processo legislativo di una camera degli Stati, che è in realtà un organo intergovernativo, essendo composta da ministri nazionali, e per la quale non è prescritto in modo univoco il voto a maggioranza. Anche il progetto Marre Atalant prevede l’intervento di una camera degli Stati (il Consiglio federale formato dai ministri nazionali), la quale può respingere le leggi votate dalla camera dei popoli, nel qual caso l’esecutivo può promulgarle se quest’ultima le approva in seconda lettura un anno dopo.
b) Limitazioni in ordine all’iniziativa legislativa — Il progetto Marre Atalant attribuisce l’iniziativa legislativa soltanto all’esecutivo (costituito da sette consoli federali eletti direttamente) con l’accordo del Consiglio federale. Pure il progetto von der Groeben attribuisce l’iniziativa al solo esecutivo, che però ha carattere parlamentare. Infine il progetto Debré 50 ammette le proposte di legge da parte dell’assemblea parlamentare, ma prescrive che esse siano indirizzate all’esecutivo (un Arbitro eletto direttamente) un mese prima dell’apertura della sessione ordinaria o straordinaria e che il senato (formato dai ministri nazionali) dia preventivamente il suo consenso.
c) Limitazioni circa la gestione delle sessioni e l’organizzazione interna della camera del popolo dell’Unione — Rientrano in questa categoria i progetti Debré 50 e Marre Atalant. Il primo stabilisce che l’assemblea parlamentare tenga una sessione ordinaria annuale della durata minima di un mese e massima di due e che possa tenere al massimo tre sessioni straordinarie ogni anno della durata di 15 giorni. Stabilisce inoltre che possano essere create solo due commissioni permanenti, una per il bilancio e l’altra per le economie e il personale. Il secondo stabilisce una sessione ordinaria annuale della durata di due mesi, la quale può essere prolungata dall’esecutivo, avente anche il diritto di convocare sessioni straordinarie.
Fra tutti gli altri progetti, che non prevedono limitazioni del potere legislativo degli organi parlamentari, occorre segnalare che quello di Heraud prevede l’introduzione di forme di democrazia diretta quali l’iniziativa popolare e il referendum.
Occorre ancora qui ricordare che i progetti Mouskhély-Stefani, CSCE, Imboden e CIME stabiliscono in modo esplicito che la conclusione di trattati internazionali da parte dell’Unione richiede l’approvazione da parte del parlamento.
2. Qui occorre anzitutto distinguere i progetti in relazione al numero delle camere da essi previsti. Abbiamo un esempio di struttura monocamerale: il progetto Debré 53, che prevede una assemblea parlamentare degli Stati dell’Unione composta di rappresentanti dei parlamenti nazionali eletti da questi ultimi o direttamente. Abbiamo quindi un esempio di struttura tricamerale: il progetto UEF 48, che prevede, accanto a una camera degli Stati dell’Unione (detta Camera delle nazioni) e a una camera del popolo dell’Unione (detta -Camera dei comuni), anche una Camera economica e sociale, che non ha solo un ruolo consultivo, ma partecipa al potere legislativo. Ha una certa analogia con questo assetto il progetto Heraud, il quale prevede, accanto a una camera del popolo e una degli Stati, un Consiglio economico e sociale avente l’iniziativa legislativa e, in alcuni casi, il diritto di veto nei confronti del parlamento, e una Camera delle etnie che, nelle questioni di ordine linguistico e culturale, ha parità di diritti con il parlamento. Tutti gli altri progetti prevedono una struttura bicamerale articolata in una camera degli Stati e una camera del popolo (anche se le denominazioni variano sovente da progetto a progetto).
Circa la composizione delle camere la casistica è molto semplice per la camera del popolo. A questo riguardo vi è da segnalare soltanto il fatto che, nell’ambito di una scelta generale a favore di una rappresentanza proporzionale alla popolazione degli Stati, alcuni progetti — Mackay, Heraud, Imboden, von der Groeben, CIME, Chapman, CSCE, Comitato giuristi, Assemblea ad hoc — propongono delle correzioni della proporzionalità pura onde garantire una rappresentanza ai piccoli Stati.
Assai più complessa è la casistica relativa alla camera degli Stati. Qui occorre anzitutto classificare i progetti a seconda che la camera degli Stati sia formata da rappresentanti dei governi (e in questo caso ci troviamo in realtà di fronte ad organi intergovernativi più che ad organi parlamentari) o dei popoli. Alla prima categoria appartengono i progetti: Marre Atalant (3 delegati dei governi per ogni Stato), Debré 50 (un ministro per ogni Stato nominato da ciascun governo e 10 commissari nominati dall’esecutivo; per le questioni di politica estera i ministri si riuniscono separatamente come Comitato dei ministri), von der Groeben (un ministro per ogni Stato), Chapman (ogni governo nomina un numero identico di rappresentanti). Appartengono alla seconda categoria tutti gli altri progetti con l’eccezione di due che si trovano in una situazione intermedia: Comitato giuristi (nomina da parte dei parlamenti nazionali e dei governi senza specificazioni delle modalità) e CIME (nomina governativa nella fase transitoria e nomina da parte dei parlamenti nazionali e delle regioni nella fase finale).
Per quanto riguarda le modalità della nomina dei membri della camera degli Stati (all’interno della seconda categoria), mentre i progetti Mackay ed Heraud (quest’ultimo dopo una fase transitoria di nomina da parte dei parlamenti nazionali) prevedono l’elezione diretta, prevedono per contro la nomina da parte dei parlamenti nazionali i progetti: Paneuropa (devono essere scelti all’interno dei parlamenti nazionali), CSCE (possono essere membri dei parlamenti e dei governi nazionali), Assemblea ad hoc (non devono essere necessariamente membri dei parlamenti nazionali, ma non possono essere ministri nazionali), Imboden (nessuna prescrizione). Il progetto UEF 48 prevede la nomina da parte degli organi previsti dalla costituzione interna di ciascuno Stato su una lista preparata dalle istituzioni rappresentative. I rimanenti progetti lasciano piena libertà di scelta agli Stati.
Circa il numero di rappresentanti per ogni Stato, la discriminante fondamentale è quella fra rappresentanza identica per ogni Stato e rappresentanza ponderata. Nella prima categoria emerge un’ulteriore distinzione fra i progetti Interlaken, Mouskhély-Stefani, UEF 49, Chapman, che lasciano indeterminata la cifra, e quelli che la precisano: Mackay (6), Marre-Atalant (3), Debré (1), von der Groeben (1). Fra i progetti che sostengono la rappresentanza ponderata, alcuni (Becker, Comitato giuristi, Sasse) non prescrivono modalità precise al riguardo, mentre gli altri propongono varie soluzioni: UEF 48 (minimo 2 delegati, fra 1 e 10 milioni di abitanti 3, tra 10 e 20 milioni 4, tra 20 e 40 milioni 6, oltre i 40 milioni 8), Paneuropa (12 per ogni Stato, 6 se hanno meno di 1 milione di ab.), CSCE (Germania, Francia, Italia 21, Belgio e Olanda 10, Lussemburgo 4), Assemblea ad hoc (idem), Heraud (idem), Imboden (2 ogni Stato e 1 rappresentante con voto consultivo per gli Stati con meno di 100.000 abitanti e per la capitale europea). Il progetto del CIME propone per il periodo transitorio di nomina governativa un rappresentante per ogni Stato e il voto ponderato all’interno della camera degli Stati analogamente a quanto avviene nel Consiglio dei ministri della Comunità.
Circa la questione delle funzioni rispettive delle due camere, abbiamo il progetto Debré 50, che attribuisce al solo senato (riunito però come Comitato dei ministri) la competenza del coordinamento delle politiche estere degli Stati membri, mentre solo la camera del popolo approva le leggi; nel caso però in cui l’esecutivo eserciti il diritto di veto sospensivo sulle leggi da essa approvate, deve interpellare il senato, il quale può accettare la legge contestata, facendo cadere il veto, oppure redigere un nuovo progetto e sottoporlo nella successiva sessione alla camera del popolo; se questa mantiene il suo progetto originario, esso diventa legge in modo definitivo. Inoltre vi è il progetto UEF 48, che attribuisce alla Camera dei comuni la competenza delle materie politiche e alla Camera economica e sociale la competenza per le materie economico-sociali. Tutti gli altri progetti attribuiscono poteri sostanzialmente identici alle due camere.
Occorre infine ricordare che alcuni progetti stabiliscono una diversa durata delle due camere. In particolare il progetto Mouskély-Stefani stabilisce che la camera del popolo è eletta per 4 anni, mentre quella degli Stati ha una durata di 9 anni ed è rinnovabile per terzi. Il progetto Imboden stabilisce una durata rispettivamente di 4 e 6 anni. Quello del CIME rispettivamente 5 e 6 anni. Quanto ai progetti Paneuropa e Heraud, essi stabiliscono che la camera degli Stati (formata da rappresentanti dei parlamenti nazionali) venga rinnovata man mano che vengono rinnovati gli organi parlamentari nazionali.
Per contro i progetti CSCE e Assemblea ad hoc stabiliscono esplicitamente che le due camere abbiano una identica durata (4 anni nel primo caso, 5 nel secondo), ma, mentre il primo prescrive che i membri della camera degli Stati siano eletti dai parlamenti nazionali al più tardi sette giorni dopo la proclamazione dei risultati delle elezioni della camera del popolo, il secondo non prescrive il principio della contemporaneità delle elezioni delle due camere, e stabilisce che i senatori entrino in funzione dall’inizio della sessione del senato che segue la loro elezione.
Tutti gli altri progetti non contengono alcuna indicazione riguardo alla questione della durata diversa o identica delle due camere.
 
Il potere esecutivo.
In questo contesto occorre anzitutto esaminare il problema del rapporto fra l’esecutivo europeo e gli esecutivi degli Stati membri. A questo riguardo solo due progetti (Debré 53 e Chapman) prevedono un esecutivo coincidente con il consiglio dei ministri nazionali. Circa gli altri progetti, per i quali l’esecutivo non coincide con un organo intergovernativo, occorre per altro segnalare che il progetto dell’Assemblea ad hoc prevede che l’esecutivo sia assistito da un consiglio dei ministri nazionali, il quale ha la funzione generale di armonizzare l’azione dell’esecutivo europeo con quella dei governi degli Stati membri e interviene in particolare sui seguenti terreni: coordinamento della politica estera degli Stati membri, consenso all’adozione di tutte le misure fiscali, determinazione dei contributi degli Stati membri e misure dirette a realizzare un mercato comune. Una situazione vicina a questa si ha d’altra parte nel caso del progetto Debré 50, in cui il senato, che è in realtà un organo intergovernativo, assiste l’esecutivo in tema di politica estera e di bilancio, e del progetto Marre Atalant, per il quale l’iniziativa legislativa spetta al solo esecutivo, che deve avere l’accordo preventivo della camera degli Stati formata di delegati dei governi.
Per quanto attiene al problema fondamentale del rapporto fra legislativo ed esecutivo emergono (escludendo i progetti Debré 53 e Chapman) tre modelli fondamentali: 1. il modello della elezione diretta, 2. il modello consiliare di tipo svizzero, 3. il modello parlamentare.
1. — Marre Atalant. L’esecutivo è costituito da un Consolato composto da sette Consoli federali eletti direttamente per sette anni con un sistema di elezione a due gradi (dapprima in ogni Stato vengono eletti tre candidati consoli, poi fra questi vengono eletti i sette consoli simultaneamente all’elezione della camera del popolo). Il Consolato (che elegge al suo interno un presidente che rappresenta l’Unione federale) è responsabile di fronte alla camera degli Stati e, in caso di conflitto, decide la camera del popolo accordando o negando la fiducia al governo. Se la fiducia è accordata viene sciolta la camera degli Stati (e questi ultimi devono rimpiazzare i propri delegati), in caso contrario il governo dà le dimissioni e si svolgono nuove elezioni. In caso di rielezione di almeno cinque consoli sui sette dimissionari, le due camere sono sciolte e si procede a una nuova elezione.
Oltre alle competenze esecutive i Consoli svolgono la funzione di tribunale per i conflitti fra gli Stati membri e fanno parte, assieme a dei magistrati, della Corte suprema incaricata di pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi sull’Unione.
— Debré 50. Il potere esecutivo è affidato a un Arbitro eletto direttamente per cinque anni e assistito da due vice-Arbitri. Se nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti espressi, la camera del popolo può eleggere uno dei due candidati che hanno avuto più voti; se nessuno dei due è stato votato dalla maggioranza assoluta dei membri della camera, essa può eleggere a maggioranza assoluta un altro candidato.
2. — Paneuropa. Potere esecutivo affidato a un Consiglio federale composto da nove membri eletti per quattro anni dal parlamento in seduta congiunta. Elegge ogni anno al suo interno un Presidente che è anche Presidente degli Stati Uniti d’Europa.
— Becker. Esecutivo di tipo svizzero senza ulteriori precisazioni.
— CSCE. Esecutivo comprendente da 6 a 12 membri (non più di un quarto può avere la stessa nazionalità) eletti per quattro anni dal parlamento, il quale elegge anche fra i membri dell’esecutivo per una durata rinnovabile di due anni il Presidente del governo (che rappresenta la Comunità) e il Vice-presidente.
— Imboden. Potere esecutivo affidato a un Consiglio europeo con membri (appartenenti a 12 o al minimo a 10 diversi Stati) eletti dalla camera del popolo (che elegge anche il Presidente e il Vice-presidente) per un tempo rigido di 4 anni.
3. — I progetti Interlaken e Mackay prevedono un governo parlamentare senza correttivi: le due camere eleggono un Consiglio federale (che elegge al suo interno un Presidente) responsabile di fronte a esse.
Sei progetti prevedono invece dei meccanismi diretti ad assicurare la stabilità dell’esecutivo.
— UEF 48. La funzione di capo dello Stato è svolta da un Presidente e da un Collegio presidenziale scelti dalla Corte suprema in una lista elaborata dalle tre camere. Capo del governo è un Cancelliere designato dal capo dello Stato il quale sceglie i ministri federali (non più di tre appartenenti a uno stesso Stato). Il governo deve ricevere l’investitura da parte del parlamento federale, in caso di rifiuto della quale il capo dello Stato designa un nuovo Cancelliere. In caso di un nuovo rifiuto, il capo dello Stato può sciogliere il parlamento.
— Assemblea ad hoc. Capo del governo (e rappresentante della Comunità nelle relazioni internazionali) è il Presidente del consiglio esecutivo europeo eletto dal senato a maggioranza dei suoi membri. Egli sceglie gli altri membri del consiglio (che hanno il titolo di Ministri della comunità). Il consiglio esecutivo europeo (che non può comprendere più di due membri aventi la stessa nazionalità) deve ottenere la fiducia delle due camere a maggioranza dei loro membri e deve dimettersi: a) se il senato a maggioranza dei suoi membri vota la censura nei suoi confronti, o rifiuta un voto di fiducia che gli è stato domandato, eleggendo un nuovo Presidente; b) se la camera del popolo vota una mozione di censura o rifiuta un voto di fiducia a maggioranza di tre quinti dei suoi membri.
Se la censura o la sfiducia da parte della camera del popolo hanno una maggioranza inferiore ai tre quinti, il consiglio esecutivo può scegliere fra le dimissioni o lo scioglimento della camera (il quale ultimo non è però possibile quando il consiglio si presenta al voto di fiducia subito dopo essere stato costituito successivamente alle elezioni) dopo lo scadere di un termine di cinque giorni. Il diritto di scioglimento cessa però se entro questo termine il senato vota la censura nei confronti del consiglio esecutivo eleggendo un nuovo Presidente.
— Heraud. Il capo del governo (che rappresenta la Federazione) è designato dalle camere a maggioranza semplice e sceglie i ministri; che possono essere membri del parlamento europeo, ma non dei governi nazionali. Il governo deve avere la fiducia delle due camere a maggioranza semplice e può essere revocato solo se esse si accordano per una nuova designazione.
— Von der Groeben. L’esecutivo è scelto con voto unanime da parte della camera degli Stati e deve ricevere la fiducia da parte di almeno metà dei membri della camera del popolo, la quale può altresì costringerlo alle dimissioni con un voto di sfiducia che raggiunga i due terzi dei voti espressi da almeno la metà dei membri della camera. Nell’esecutivo ogni Stato ha un numero di rappresentanti corrispondente a quelli che ha nell’attuale Commissione della Comunità.
— Sasse. Il governo (nel quale deve essere garantita la presenza di ogni Stato) deve fondarsi sul voto di fiducia delle due camere e la sfiducia deve essere accompagnata obbligatoriamente dalla proposta di un nuovo governo che disponga di una maggioranza.
In caso di contrasto insolubile fra legislativo ed esecutivo si dovrebbe prevedere una qualche forma di legislazione di riserva (Reservegesetzgebung) da parte della camera degli Stati.
— CIME. Le camere riunite eleggono un consiglio di presidenza dell’Unione europea, in cui ogni Stato abbia un membro, e in cui ciascun membro eserciti a turno per sei mesi la funzione di rappresentanza. Il governo (in cui ogni Stato deve avere almeno un ministro) è presieduto da un primo ministro scelto dal consiglio di presidenza ed è costituito da ministri scelti dal capo del governo in principio fra i membri del parlamento europeo. Deve avere la fiducia delle camere, ma occorrono misure, che non vengono specificate, per assicurarne la stabilità.
Dei restanti tre progetti, quello di Mouskhély-Stefani non prende posizione rispetto all’alternativa fra il modello parlamentare e quello consiliare svizzero e richiede soltanto che ogni Stato superiore a 30 milioni di abitanti abbia almeno un rappresentante nel governo e che gli altri membri debbano provenire da gruppi di Stati che abbiano fra loro certi legami (ad esempio il Benelux deve avere un rappresentante); il progetto UEF 49 richiede che vi siano dei correttivi, senza specificarli, del principio della responsabilità parlamentare; il progetto del Comitato giuristi non prende posizione rispetto all’alternativa fra modello parlamentare e modello consiliare svizzero, però precisa che, in caso di scelta del primo modello, si dovrebbe prevedere, oltre alla responsabilità collettiva, anche quella individuale (sfiducia al singolo ministro) dell’esecutivo.
 
Le competenze.
A questo riguardo mi limito a prendere in considerazione solo i due settori di importanza decisiva rispetto ai problemi che il Parlamento europeo si trova a dover affrontare in questa fase. Essi sono il settore della politica estera e della difesa (che sono strettamente collegati) e quello dell’economia, in riferimento a ciascuno dei quali esamineremo qual è la situazione prevista dai vari progetti. Naturalmente si metterà in luce non solo quali competenze e in che misura sono attribuite all’Unione, ma anche il ruolo che i diversi organi hanno al riguardo, e ciò soprattutto allo scopo di chiarire la funzione che hanno in tale contesto eventuali organi di natura intergovernativa.
 
Politica estera e difesa
Qui si deve anzitutto sottolineare che solo due progetti (von der Groeben e Sasse) non hanno alcun riferimento alla difesa e alla politica estera. Poiché però il progetto Sasse afferma la necessità della trasformazione della Comunità in una federazione, sembra implicito che egli intenda che ad essa debbano essere attribuite tali competenze. Il progetto del CIME parla genericamente della necessità di attribuire all’Unione la politica estera. Tutti gli altri progetti prevedono che sia la politica estera sia la difesa debbano essere compiti dall’Unione, ma prevedono modalità assai diverse con cui queste competenze devono essere esercitate.
Al riguardo si deve fare una prima distinzione di carattere generale fra i progetti che prevedono un ruolo più o meno importante di un organo di tipo intergovernativo rispetto a tali competenze e quelli che invece non prevedono un tale organo.
Alla prima categoria appartengono i progetti Debré 50, Debré 53, Chapman, Assemblea ad hoc.
— Debré 50. L’Unione è delegata dagli Stati ad assicurare la difesa dei suoi membri, ma non si parla della creazione di un esercito comune; mentre per la politica estera si parla di coordinamento delle politiche estere dei paesi membri, che è compito specifico del comitato dei ministri.
— Debré 53. In questo caso le competenze in tema di difesa e politica estera sono definite in modo analogo al primo progetto, ma l’organo esecutivo coincide con un organo intergovernativo.
— Chapman. In questo caso all’Unione si attribuisce genericamente il compito di coordinare e unificare la politica estera e di coordinare la politica di sicurezza, mentre l’organo esecutivo coincide con il consiglio dei ministri nazionali.
— Assemblea ad hoc. Per quanto riguarda la difesa, tale progetto recepisce pienamente il progetto di trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, che prevedeva, come è noto, la costituzione di un vero e proprio esercito europeo, ma lo sottopone agli organi legislativi ed esecutivi della Comunità politica europea, eliminando in questa materia il ruolo del consiglio dei ministri quale era previsto dal progetto della CED. Per quanto riguarda invece la politica estera, il progetto dell’Assemblea ad hoc compie invece un’opzione assai più limitata, poiché prevede il coordinamento della politica estera degli Stati membri e attribuisce in questa materia un ruolo decisivo al consiglio dei ministri nazionali.
Occupano una posizione in un certo senso intermedia fra la categoria ora esaminata e quella successiva il progetto Marre Atalant (che prevede la progressiva creazione di un esercito comune alle dipendenze degli organi dell’Unione, e la progressiva attribuzione agli stessi della competenza della politica estera, ma prevede altresì che per un periodo transitorio indeterminato i membri dello Stato maggiore europeo saranno nominati in accordo con gli Stati membri e che i ministri degli esteri degli stessi costituiranno un consiglio consultivo permanente dell’esecutivo dell’Unione) e il progetto Imboden (che non prevede un esercito comune, bensì semplicemente un obbligo degli Stati membri di sostenersi militarmente l’un l’altro in caso di aggressione da parte di terzi).
Per quanto riguarda la seconda categoria, emerge una ulteriore distinzione fra i progetti per i quali difesa e politica estera sono competenze esclusive dell’Unione (Interlaken, Mackay, UEF 48, UEF 49, Paneuropa, Becker, Heraud) e quelli che, in riferimento alla politica estera, prevedono una competenza concorrente con quella degli Stati membri. A questo gruppo appartengono il progetto Mouskhély-Stefani (che permette agli Stati membri di sottoscrivere trattati internazionali per conto proprio, nel campo delle loro competenze, purché non contrari alla costituzione dell’Unione, ai suoi interessi e ai trattati da essa sottoscritti), il progetto del Comitato giuristi (che prevede una fase transitoria in cui gli Stati membri conservano una competenza concorrente in tema di politica estera senza dare indicazioni precise al riguardo), e il progetto CSCE (che lascia agli Stati la competenza della politica estera nelle materie di loro competenza, prescrivendo che i relativi trattati non siano in contraddizione con la politica generale della Comunità, la quale deve far conoscere allo Stato membro interessato la sua eventuale opposizione motivata).
Occorre infine ricordare che alcuni progetti (UEF 48, Mouskhély-Stefani, UEF 49) prevedono esplicitamente la possibilità di trasferimenti di sovranità a organismi mondiali diretti al mantenimento della pace.
 
Economia.
Precisato che tutti i progetti prevedono l’attribuzione di competenze economiche all’Unione, si deve, anche riguardo a questa materia, distinguere anzitutto fra i progetti che prevedono un organo di tipo intergovernativo e tutti gli altri.
Nella prima categoria rientrano i seguenti progetti:
— Debré 50 e 53. Entrambi prevedono fra i compiti dell’Unione lo sviluppo della produzione mineraria, industriale ed agricola attraverso l’eliminazione degli ostacoli doganali, monetari e amministrativi al commercio fra gli Stati, il quale deve svolgersi con la stessa libertà con cui si svolge all’interno di ciascuno Stato membro. La differenza fra i due progetti sta peraltro nel fatto che nel primo l’organo intergovernativo (cioè il senato) si pone accanto all’esecutivo eletto direttamente, mentre nel secondo l’organo intergovernativo, coincidente con l’esecutivo, è l’autorità fondamentale dell’Unione.
— Von der Groeben. Contiene una generica indicazione circa l’esigenza di costituire una banca di emissione europea autonoma e federativa.
— Chapman. Indica gli obiettivi del completamento e del rafforzamento della cooperazione e dell’integrazione economica quali sono previste dai trattati istitutivi delle Comunità.
— Assemblea ad hoc. Questo progetto recepisce pienamente il trattato CECA con le stesse modalità del progetto di trattato relativo alla CED. Inoltre indica quale missione della Comunità politica la progressiva realizzazione di un mercato comune basata sulla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, e quindi la promozione del coordinamento della politica monetaria, finanziaria e creditizia degli Stati membri. Le misure necessarie a tali scopi possono però essere adottate dall’esecutivo e dal legislativo della Comunità solo sulla base dell’accordo unanime del consiglio dei ministri nazionali. Dopo un periodo transitorio di cinque anni continua ad essere necessario l’accordo del consiglio, ma non si richiede più l’unanimità.
Ha una posizione intermedia fra i progetti ora visti e quelli che non prevedono alcun organo intergovernativo il progetto Marre Atalant, il quale non prevede l’immediata attribuzione di competenze economiche dirette all’Unione, ma semplicemente un potere di arbitraggio da esercitarsi da parte di un comitato federale economico costituito secondo modalità che decideranno gli Stati membri. A lungo termine, quando con tale meccanismo e con una collaborazione sempre più stretta fra i ministri nazionali delle finanze, la collaborazione economica e il risanamento monetario dei singoli Stati avranno fatto sostanziali progressi, si potrà procedere alla creazione di una vera e propria organizzazione economica federale e pure di una moneta europea (nel che è implicito che gli organi intergovernativi previsti per la fase transitoria di lunghezza indeterminata sono destinati a scomparire).
Passando alla seconda categoria, emerge una prima distinzione fra i progetti che rimangono piuttosto vaghi sul tema delle competenze economiche dell’Unione e quelli che invece attribuiscono a questa competenze economiche molto rilevanti.
Al primo gruppo appartengono i seguenti progetti:
— Sasse, che non affronta il problema delle competenze economiche dell’Unione.
— Paneuropa e Becker, i quali parlano genericamente di competenze economiche, ma non indicano l’obiettivo di una moneta comune.
— Comitato giuristi, secondo il quale l’unificazione politico-militare non potrà alla lunga reggere in mancanza di sviluppo verso l’unificazione economica e monetaria, ma che non fornisce alcuna indicazione concreta al riguardo.
— UEF 48, il quale indica chiaramente (ma senza addentrarsi nei particolari) quali compiti dell’Unione la progressiva unificazione federale dell’economia e quindi la creazione di una moneta unica gestita da una banca centrale europea.
Ha una posizione intermedia fra il primo e il secondo dei gruppi qui esaminati il progetto CSCE. Da una parte esso recepisce pienamente le competenze della CECA, eliminando ogni ruolo al riguardo dell’organo intergovernativo, dall’altra parte prevede che l’attribuzione alla Comunità dei poteri necessari per stabilire un mercato comune (riguardo al quale non si danno indicazioni concrete) possa avvenire tramite emendamenti adottati dal Parlamento, i quali però ottengano l’approvazione di due terzi degli Stati membri.
Venendo al secondo gruppo, constatiamo che tre progetti forniscono indicazioni molto precise sulle competenze economiche dell’Unione, ma non stabiliscono una distinzione fra le competenze esclusive dell’Unione e quelle concorrenti con gli Stati membri, limitandosi a stabilire che tutte le competenze non espressamente trasferite all’Unione spettano agli Stati membri.
Si tratta dei progetti:
— Mouskhély-Stefani: creare e dirigere uffici federali per la produzione e lo sfruttamento del carbone, dell’acciaio, dell’energia idroelettrica, dell’energia atomica; sopprimere tutte le restrizioni alla libera circolazione dei prodotti all’interno della Federazione; regolamentare il commercio interfederale e il commercio con l’estero; regolamentare i trasporti interfederali, le vie di comunicazione terrestri, fluviali e marittime interfederali, le telecomunicazioni; istituire una banca federale, creare una moneta federale e dirigere la politica monetaria della federazione e coordinare la politica creditizia; trattare dei prestiti; legiferare sull’immigrazione dei lavoratori stranieri nel territorio della federazione e dirigere, dopo consultazioni degli Stati membri, il trasferimento dei lavoratori federali all’interno della federazione; unificare i pesi, le misure e i metodi statistici; promuovere l’armonizzazione delle legislazioni fiscali e sociali degli Stati membri.
— UEF 49. Stabilito che un obiettivo fondamentale della Unione è il coordinamento delle economie europee e lo sviluppo dell’area economica europea, si afferma che l’autorità europea avrà il diritto di: sopprimere gradualmente i contingenti e le dogane e di creare una tariffa europea unica verso l’esterno; prendere tutte le misure per stabilire la libera convertibilità delle monete nazionali, creando un fondo di riserva europeo che ne controlli le emissioni, e giungere infine a una moneta unica europea emessa da una banca di emissione federale; creare un istituto europeo degli investimenti, sviluppare ricerche sistematiche in tutti i settori ed in particolare in quello dell’energia atomica (controllandone le applicazioni), riorganizzare, d’accordo con gli Stati membri, il sistema delle comunicazioni e dei trasporti europei.
— Imboden: realizzare la libera circolazione dei prodotti, dei capitali e dei lavoratori; creare una moneta europea gestita da una banca europea di emissione; realizzare la libera concorrenza superando le disparità dovute alle diverse condizioni naturali in riferimento alla disponibilità di materie prime ed energia; realizzare e favorire imprese nel campo della ricerca, o dirette ad aumentare la disponibilità di materie prime ed energia, a utilizzare pacificamente l’energia atomica, a migliorare le condizioni di vita degli uomini.
— CIME. Le competenze di cui già dispone la Comunità devono essere ampliate nei settori della ricerca scientifica, della politica energetica, del credito, della moneta, del commercio estero in modo da potere realizzare con la massima celerità l’unione economica e monetaria. Deve essere progressivamente realizzata una programmazione economica europea coordinata con quelle nazionali, ma che a poco a poco deve avere un ruolo dominante rispetto ad esse.
Vi sono infine, e li citiamo a parte senza distinguere politica estera ed economica, tre progetti che indicano una precisa distinzione fra competenze esclusive dell’Unione e competenze concorrenti con gli Stati membri, precisando che tutte le altre competenze non attribuite, in modo esclusivo o concorrente, all’Unione spettano agli Stati membri.
— Interlaken e Mackay (che sono identici sotto questo aspetto). Sono estremamente particolareggiati, si direbbe a causa della non applicazione del principio dei poteri impliciti. Riportiamo in nota l’elenco.[8]
— Heraud. Competenze esclusive: oltre alla difesa e alla politica estera, la moneta, la dogana, le autostrade pubbliche, le ferrovie, i servizi pesi e misure, la meteorologia, le poste e telecomunicazioni. Competenze concorrenti: competenze economiche, sociali e fiscali, legislazioni commerciali, contratti civili, regolamentazioni delle libere professioni, diritto penale.
 
Le finanze.
Premesso che in questo settore esamineremo non solo il problema delle entrate, ma pure le modalità di approvazione del bilancio dell’Unione, occorre anche qui distinguere anzitutto fra i progetti che prevedono un organo intergovernativo e quelli che non lo prevedono.
Cominciando dal primo gruppo, constatiamo che i progetti von der Groeben e Chapman non affrontano il problema, nel che sembra essere implicita l’accettazione dell’attuale situazione della Comunità a questo riguardo.
Per il progetto Debré 50 il progetto di bilancio deve essere preparato dal senato e approvato dall’assemblea, la quale, in caso di contrasto fra i due organi, ha l’ultima parola. Non viene data alcuna indicazione circa i mezzi con cui il bilancio deve essere finanziato. A questo specifico riguardo è più preciso il progetto Debré 53, secondo il quale una legge organica (approvata all’unanimità dai governi nazionali) dovrà stabilire i versamenti annuali degli Stati al bilancio dell’Unione. Per il resto si stabilisce che il progetto di bilancio è preparato dal Consiglio politico (l’esecutivo di natura intergovernativa dell’Unione) e approvato dall’assemblea parlamentare degli Stati dell’Unione, la quale ha il potere di rigettarlo, ma con la conseguenza che, nel caso non si raggiunga nella successiva sessione (due ogni anno) un accordo con l’esecutivo, quest’ultimo impone senza ulteriori possibilità di ricorsi il bilancio dell’anno precedente.
Quanto al progetto dell’Assemblea ad hoc (che è il più articolato e dettagliato in questo gruppo), esso prevede che i fondi della Comunità provengano sia da imposte stabilite dalla Comunità e da prestiti da essa emessi, sia da contributi versati dagli Stati membri. Le modalità circa la base imponibile, l’aliquota, la riscossione delle imposte della Comunità sono fissate con leggi della Comunità approvate dal Parlamento, ma presentate dal consiglio esecutivo su parere conforme del consiglio dei ministri nazionali deliberante all’unanimità. Quest’ultimo decide anche, su proposta dell’esecutivo europeo, circa i contributi degli Stati membri. Quanto ai prestiti, essi non possono essere emessi senza l’approvazione del Parlamento, salvo quelli, a scadenza inferiore ad un anno, a copertura delle necessità di tesoreria per l’esercizio in corso.
Il bilancio viene proposto dall’esecutivo europeo e votato annualmente dal Parlamento, il quale può esercitare il suo diritto di emendamento solo entro il limite dell’ammontare totale delle spese proposte e non può creare nuovi capitoli di spesa. Qualora il bilancio non sia votato dal Parlamento prima dell’inizio dell’esercizio, l’esecutivo può, per il periodo occorrente, continuare ad applicare, per trimestre, il bilancio dell’anno precedente. In tal caso può anche procedere al trasferimento di crediti da un capitolo all’altro senza l’autorizzazione del Parlamento, che è invece necessaria in caso di regolare approvazione del bilancio.
Venendo ai progetti privi di organo intergovernativo, constatiamo un primo gruppo che si caratterizza per un orientamento ambiguo o troppo vago rispetto al problema di fondo dell’autonomia finanziaria dell’Unione.
Ad esso appartengono i progetti: Paneuropa (che non affronta il problema), Becker (che non si pronuncia sull’alternativa fra imposte fissate dall’Unione e contributi degli Stati), Marre Atalant (che parla genericamente di un’imposta o contributo federale stabilita con legge dell’Unione, la cui riscossione è delegata agli Stati), Mouskhély-Stefani (per il quale le finanze del bilancio federale saranno costituite sia da contributi degli Stati proporzionali al loro reddito nazionale, sia da tasse e imposte federali; il tutto dovrà essere stabilito con legge federale).
I restanti progetti si esprimono nettamente a favore dell’autonomia finanziaria dell’Unione, ma differiscono in misura più o meno ampia fra di loro in ordine alle indicazioni concrete:
— UEF 49. Si limita ad affermare che l’autorità europea si renderà davvero indipendente dai poteri nazionali soltanto se disporrà di un proprio bilancio alimentato per mezzo di determinate percentuali sulle imposte nazionali e della percezione diretta di determinati diritti.
— Heraud. Precisato che alla fine del periodo transitorio del Mercato comune la federazione avrà la competenza esclusiva in materia doganale, si limita a stabilire che le competenze fiscali sono concorrenti fra la federazione e gli Stati membri.
— UEF 48. Stabilito in termini generali il principio dell’indipendenza finanziaria della federazione e che inoltre nessun versamento potrà essere operato dalla tesoreria della federazione senza una disposizione legale e che l’esecutivo dovrà ogni anno far approvare il bilancio dal Parlamento, si precisa che fin dall’inizio il controllo e la percezione dei diritti di dogana e di regia spettano al potere federale.
— Interlaken. Contiene disposizioni identiche a quelle del progetto precedente, ma precisa in più che il diritto di fissare imposte costituisce un potere dell’Unione concorrente con quello degli Stati membri.
— Mackay. Alle indicazioni contenute nel progetto precedente aggiunge: l’Unione rileverà dal momento della sua entrata in vigore il debito pubblico lordo di ogni Stato esistente a tale data; il Parlamento europeo può concedere assistenza finanziaria a ciascuno Stato nei termini e nelle condizioni che esso vorrà decidere.
— Comitato giuristi. Chiarito che l’Unione non potrà essere in grado di svolgere i suoi compiti senza disporre di un potere proprio di assicurarsi i necessari mezzi finanziari, propone di attribuire alla Comunità il potere di stabilire la forma e le quote delle imposte a tal fine ritenute necessarie e di lasciare agli Stati il compito di riscuotere tali imposte. Precisa inoltre che, onde evitare la necessità di emendamenti dello Statuto della Comunità autorizzanti lo stabilimento di imposte, tale Statuto dovrà fin dall’inizio prevedere la possibilità per la Comunità di stabilire determinate imposte a determinate condizioni, e con le necessarie garanzie procedurali.
— Sasse. Prevede lo sviluppo dell’esistente sistema delle risorse proprie della Comunità, escludendo esplicitamente ogni forma di contributo degli Stati al bilancio comunitario. Prevede inoltre che la legislazione federale stabilisca il rapporto di partecipazione della federazione a determinate imposte nazionali che dovranno essere armonizzate.
— CIME. Si prevede genericamente il rafforzamento dei poteri di bilancio del Parlamento europeo e l’attribuzione all’Unione di nuovi poteri in tema di finanze pubbliche.
— Imboden. Gli Stati forniscono, sulla base di una legge dell’Unione, da un minimo di 1/4 a un massimo di 2/4 dei loro proventi doganali al bilancio comune. Se tali mezzi sono insufficienti, il Parlamento europeo può, dopo essersi consultato con degli esperti indipendenti, imporre dei contributi agli Stati proporzionali al loro reddito e alla loro forza finanziaria. Il carico finanziario di ciascuno Stato (in forma di dogane e contributi diretti) a favore del bilancio comune non può superare il 2% del reddito nazionale salvo che il Parlamento non decida diversamente con una maggioranza di 3/4. In ogni caso a nessuno Stato si può imporre contro la sua volontà un contributo superiore al 3% del suo reddito nazionale.
— CSCE. È, nel gruppo in esame, il progetto contenente le indicazioni più articolate e precise. Esso stabilisce che la Comunità, per adempiere ai suoi compiti, ha il diritto (dopo un periodo transitorio in cui potrà imporre contributi agli Stati membri per via legislativa) di stabilire e di percepire imposte dirette e indirette, di fare prestiti, di comperare, possedere e vendere beni mobili e immobili nel territorio degli Stati membri. Poiché le competenze fiscali della Comunità sono concorrenti con quelle degli Stati membri, per armonizzare i sistemi fiscali della prima e dei secondi, dovranno essere tenute consultazioni fra gli organi competenti delle parti interessate prima di adottare una nuova imposta. La Comunità ha il potere di dare sovvenzioni agli Stati membri per favorire la realizzazione dei suoi scopi.
Il Parlamento — a cui è sottoposto ogni anno il progetto di bilancio, che può approvare, modificare o respingere — nomina un Controllore finanziario, che sorveglia l’attuazione del bilancio, e una Camera dei conti che verifica i conti.
 
Conclusione.
I progetti esaminati presentano, rispetto ai temi fondamentali che sono stati individuati, un ventaglio abbastanza ampio di soluzioni, la conoscenza delle quali potrà essere certamente utile in riferimento al lavoro che il Parlamento europeo si accinge a compiere. A conclusione di questo esame propongo ora alcune sintetiche riflessioni (che richiederanno successivi approfondimenti) su quelli che, a mio giudizio, dovrebbero essere gli indirizzi di fondo della riforma dei Trattati, la cui elaborazione avrà inizio nel gennaio del 1982.
Occorre anzitutto puntualizzare i fondamentali problemi concreti di fronte ai quali si trova oggi la Comunità, poiché è solo facendo ad essi riferimento che la discussione sulla sua rifondazione istituzionale può diventare realmente produttiva. Questi problemi sono da una parte la realizzazione dell’Unione economica e monetaria, vale a dire il completamento dell’integrazione economica, e dall’altra l’estensione dell’integrazione ai settori della politica estera e della difesa.
Per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria, è noto che essa comporta sia il superamento graduale degli squilibri strutturali (economici, sociali e territoriali) esistenti fra paesi forti e i paesi deboli della Comunità, sia la volontà e la capacità di affrontare in comune i problemi posti dalla crisi economica mondiale (riconversione industriale, inflazione, disoccupazione, crisi energetica, sviluppo del Terzo mondo). Ed è altresì noto che occorre a tal fine un decisivo rafforzamento delle politiche comuni regionale, industriale, sociale, energetica, della ricerca, dello sviluppo dei paesi arretrati, oltre che un rinnovamento della politica agricola e l’unità effettiva del Mercato comune. Il che, come mette in luce l’esperienza di più di un decennio, non è possibile senza un sostanziale rafforzamento del bilancio comunitario, al di là delle attuali risorse proprie,[9] senza la costruzione di una moneta europea[10] e senza una efficace politica commerciale della Comunità. Se ciò è sostanzialmente riconosciuto, almeno in linea di principio, dalla grande maggioranza delle forze politiche e sociali della Comunità, deve per esse diventare sempre più chiaro che — in una fase di crisi economica che non può non dar luogo a scelte nazionali divergenti in mancanza di scelte europee — o si progredisce tempestivamente verso l’unione economica e monetaria, o si subisce di fatto la nazionalizzazione già in corso dell’economia europea, distruggendo ciò che è stato fatto in trenta anni di integrazione europea e provocando la rovina della Comunità, con conseguenze incalcolabili anche sul piano politico.
Per quanto riguarda l’estensione dell’integrazione ai settori della politica estera e della difesa, questa esigenza è diventata cosi evidente che i governi tedesco e italiano sono giunti nel novembre 1981 a proporre ufficialmente un Atto europeo contenente proposte concrete al riguardo. E hanno giustificato questa iniziativa sottolineando, in particolare, che l’avvio della comunitarizzazione della politica estera e di sicurezza è improrogabile non solo perché l’Europa possa contribuire in modo più sostanziale alla soluzione della crisi internazionale di questi anni (che coinvolge in modo drammatico la sicurezza dell’Europa), ma anche per favorire lo stesso progresso dell’integrazione economica, la quale è più facilmente paralizzata dallo scontro degli interessi nazionali particolaristici in un contesto in cui non emerge in modo tangibile l’importanza insostituibile del completamento della costruzione europea sia per difendere i legittimi interessi comuni degli Europei, sia per contribuire a una soluzione positiva dei fondamentali problemi mondiali. La differenza fra il problema dell’Unione economico-monetaria e questo secondo ordine di problemi è che nel secondo caso, pur essendo urgente l’avvio di una soluzione effettiva, non è in gioco a breve termine l’acquis communautaire. Per questo — e tenendo presente che quelli della politica estera e della difesa sono i settori in cui più forti sono le resistenze al trasferimento di poteri sostanziali ad organi soprannazionali — se da una parte è più difficile realizzare immediati e tangibili progressi in questo contesto, è anche d’altra parte possibile un maggiore gradualismo. Deve però essere ben chiaro che progressi reali e non solo formali sul tema della comunitarizzazione della politica estera e della difesa (e quindi un decisivo accrescimento del ruolo internazionale della Comunità) potranno essere realizzati solo se nel contempo la Comunità costruirà le premesse istituzionali indispensabili alla realizzazione dell’Unione economico-monetaria e dimostrerà quindi la capacità di superare i particolaristici interessi economici nazionali che finora l’hanno bloccata.
I problemi di fondo ora indicati non esauriscono evidentemente la complessa problematica del completamento della costruzione europea e presentano anche diversi gradi di urgenza. D’altra parte la difficoltà oggettiva della costruzione europea (per la prima volta nella storia ci si trova di fronte al compito di integrare Stati storicamente consolidati e di creare una costituzione per uno Stato che non esiste ancora, mentre le unificazioni statali del passato, quella tedesca e quella italiana, hanno comportato semplicemente l’estensione della costituzione dello Stato-guida agli altri Stati) e la prudenza politica consigliano di affrontare i problemi veramente fondamentali e improcrastinabili (in quanto mettono in discussione la sopravvivenza stessa della Comunità) e di non porsi nel periodo relativamente breve che avrà a disposizione la Commissione permanente per i problemi istituzionali l’obiettivo di una costituzione europea completa e definitiva. Ne consegue che il primo criterio che dovrebbe orientare i lavori di questa Commissione è la scelta di elaborare un progetto provvisorio destinato ad essere completato dalle successive legislature europee. In sostanza si tratta di applicare l’idea della costituente permanente la quale emerse già nel progetto del Comitato giuristi, e che fu poi ripresa da Brandt, nel suo intervento al Congresso d’Europa organizzato dal Movimento europeo a Bruxelles il 5-7 febbraio 1976,[11] e quindi da Mario Albertini.[12]
Ciò significa che il progetto di riforma dovrebbe regolamentare in modo rigoroso il potere costituente permanente del Parlamento europeo, e quindi inserire nel nuovo trattato-costituzione la prescrizione che il Parlamento europeo all’inizio di ogni nuova legislatura nomini una Commissione costituzionale permanente incaricata di elaborare progetti di riforma dei trattati da far approvare dal Parlamento europeo e da inviare direttamente per la ratifica agli organi competenti degli Stati membri. Ne deriverebbe automaticamente la soppressione dell’art. 236 del trattato CEE relativo alla procedura di revisione, secondo il quale i progetti in tal senso sono preparati da una conferenza diplomatica convocata dal Consiglio dei ministri (che è tenuto al riguardo solo a consultare il Parlamento europeo) e devono essere ratificati dagli Stati membri. Restando ancora sul terreno della procedura, credo che il Parlamento europeo non possa fare a meno di esaminare seriamente il problema del numero di ratifiche indispensabili perché la riforma dei trattati entri in vigore. Poiché il principio dell’unanimità delle ratifiche comporta il rischio che l’opposizione di un solo Stato blocchi la riforma, appare indispensabile stabilire che sia sufficiente la ratifica da parte di un numero minimo (ad esempio 2/3) di Stati membri perché il nuovo trattato-costituzione entri in funzione per gli Stati ratificanti, rimanendo in vigore per gli altri Stati gli obblighi derivanti dai vecchi trattati.
Venendo ai contenuti della riforma,[13] occorre distinguere fra le esigenze connesse con la realizzazione dell’Unione economico-monetaria e quelle connesse con l’estensione dell’integrazione alla politica estera e alla difesa.
Sul primo punto mi sembra chiaro che, se non si vuole rinunciare definitivamente all’obiettivo dell’Unione economico-monetaria (con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe), occorrono riforme radicali dei trattati sia per quanto riguarda l’assetto istituzionale, sia in ordine alle competenze economico-finanziarie. E i due aspetti sono strettamente connessi, poiché un rafforzamento sostanziale di tali competenze, non accompagnato da un simultaneo radicale mutamento del meccanismo decisionale, costituirebbe un cambiamento puramente formale, come ora si vedrà.
Circa le istituzioni, occorre in primo luogo la riforma dell’attuale assetto del potere legislativo e cioè la sua sottrazione al potere esecutivo (Consiglio e Commissione) e la sua attribuzione al Parlamento. Da una parte è evidente che, dopo che il Parlamento europeo è diventato un organo fondato direttamente sulla sovranità popolare, il fatto che esso non abbia pieni poteri legislativi in riferimento alle competenze attribuite alla Comunità rappresenta una situazione abnorme rispetto ai principi democratici su cui si fondano i regimi degli Stati membri, e in generale tutti gli Stati a democrazia pluralistica. In effetti solo nei regimi di tipo autoritario si ha la concentrazione dei poteri esecutivi e legislativi in organi di tipo esecutivo. D’altra parte appare ormai fuori dubbio che l’attribuzione del potere legislativo agli organi esecutivi della Comunità (e quindi, in ultima istanza, al Consiglio dei ministri che, essendo espressione diretta dei governi nazionali nel quadro ancora intatto della sovranità assoluta degli Stati, nelle questioni decisive non può che decidere all’unanimità) è il fattore istituzionale decisivo che ha bloccato, tramite l’esercizio del diritto di veto, lo sviluppo dell’Unione economica e monetaria. Se ciò è chiaro, è chiaro anche che ci deve essere un organo che tutela gli interessi legittimi degli Stati membri. Questo però, se non si vuole mantenere l’attuale blocco del meccanismo decisionale comunitario, non può che essere una camera degli Stati (in cui siano rappresentati i popoli e non i governi), che si ponga accanto a quella del popolo con poteri sostanzialmente identici. Il modello a cui ispirarsi non può cioè che essere quello del bicameralismo federale.
La seconda decisiva riforma da attuarsi sul piano delle istituzioni riguarda l’assetto del potere esecutivo. In questo settore è anzitutto evidente che le stesse ragioni che impongono l’attribuzione del potere legislativo ad un organo bicamerale, in cui vi sia la rappresentanza degli interessi legittimi degli Stati, ma in cui sia escluso strutturalmente il voto all’unanimità, comportano anche l’eliminazione graduale dell’organo che può votare solo in questo modo, l’organo intergovernativo (eliminazione che dovrebbe andare di pari passo con l’estensione delle competenze da sottoporre a decisioni democratiche di tipo maggioritario). Ciò premesso, c’è il grosso problema della scelta fra l’esecutivo di tipo presidenziale americano, quello di tipo consiliare svizzero e quello di tipo parlamentare. Due criteri mi sembrano decisivi per orientare questa scelta.
Da una parte occorre tenere realisticamente conto — anche in considerazione del fatto che il progetto che il Parlamento europeo deve elaborare deve comunque essere considerato provvisorio e quindi passibile di successivi cambiamenti suggeriti dall’esperienza — delle tradizioni prevalenti nella grande maggioranza dei paesi membri, le quali rendono estremamente improbabile il prevalere del modello americano e di quello svizzero. Ancora più importante è d’altra parte la considerazione che la struttura decisionale della Comunità deve essere configurata in modo tale da rafforzare l’organo che è strutturalmente più interessato allo sviluppo dell’integrazione, cioè il Parlamento europeo) i cui membri, dovendo ottenere periodicamente il consenso degli elettori europei, sono spinti nel loro stesso interesse (se fanno parte di partiti ufficialmente europeisti, e questi sono la grande maggioranza) a rafforzare l’integrazione in vista della propria rielezione. Per questo la scelta dell’esecutivo di tipo parlamentare appare la più adatta. A ciò può aggiungersi che una tale struttura dell’esecutivo tende a favorire — a differenza di quello di tipo svizzero che può cercarsi diverse maggioranze sui diversi problemi — la formazione di più solide strutture partitiche soprannazionali; il che è generalmente considerato un fattore di grande importanza ai fini dell’avanzamento della costruzione europea.[14] Questa opzione di fondo non esclude ovviamente che ci si possa porre il problema della creazione di meccanismi diretti ad affrontare il fenomeno dell’eccessiva instabilità governativa che caratterizza molti regimi parlamentari. E in questo contesto si può pensare a meccanismi quali quelli del voto di sfiducia costruttivo e pure a sistemi elettorali diretti a favorire un sistema europeo dei partiti privo di spinte ad una eccessiva frammentazione. Nel quadro di questa riforma dell’esecutivo della Comunità il Consiglio europeo, lungi dallo scomparire, dovrebbe essere mantenuto in vita con una funzione rafforzata e meglio definita di presidenza collegiale dell’Unione.
Venendo al problema delle competenze, i cambiamenti da introdurre riguardano certamente una ridefinizione delle competenze economiche, che comprenda fra i compiti della Comunità non solo genericamente la creazione di una moneta europea, bensì anche la definizione dei poteri europei in materia di politica monetaria.
È anche chiaro d’altra parte che il mercato unico e a maggior ragione la progressiva eliminazione degli squilibri regionali non potranno essere realizzati senza una modifica delle competenze fiscali della Comunità. Il bilancio della Comunità deve essere concepito in funzione delle politiche da sviluppare, e ciò non è possibile senza un potere autonomo di dotarsi delle risorse finanziarie indispensabili. Certo dovrà trattarsi di un potere concorrente con quello degli Stati membri (come lo sono in sostanza le fondamentali competenze economiche) e quindi occorrerà prevedere dei meccanismi che garantiscano simultaneamente l’indipendenza delle autorità democratiche nazionali e di quelle europee. A questo riguardo si può suggerire che il modo più sicuro per impedire la prevaricazione di una qualsiasi delle parti starebbe nell’affidare la decisione sulla divisione delle risorse finanziarie fra il livello europeo e i livelli nazionali alla sola istanza nella quale si farebbe valere sia la volontà degli Stati sia quella dell’Unione, quella cioè delle due camere riunite.
Questa riforma delle competenze economico-finanziarie dovrebbe essere completata da una riforma dell’attuale regolamentazione del principio dei «poteri impliciti». Occorre cioè una revisione della procedura prevista dall’art. 235 del trattato CEE (che comporta veti nazionali) e l’attribuzione al Parlamento europeo della facoltà autonoma di esercitare i poteri necessari per svolgere i compiti affidati alla Comunità in relazione all’integrazione economica (qui è fondamentale soprattutto il problema della progressiva creazione di una adeguata amministrazione europea), lasciando alla Corte di giustizia il compito di garantire che non si verifichino in tal modo prevaricazioni dell’Unione nei confronti degli Stati membri e viceversa.
Passando infine ad esaminare i problemi dell’estensione dell’integrazione ai settori della politica estera e della difesa, mi limito qui a due osservazioni, data la complessità dell’argomento. Il punto fondamentale da mettere in evidenza è che, poiché in questo settore si impone per le ragioni prima ricordate una soluzione gradualistica, l’opzione più ragionevole sembra essere la comunitarizzazione di tali settori accompagnata dal mantenimento riguardo a essi del potere del Consiglio dei ministri per una fase transitoria. Deve però trattarsi di una fase transitoria definita con chiarezza dal nuovo trattato elaborato dal Parlamento europeo, contenente le radicali riforme istituzionali sopra indicate nel settore dell’integrazione economica. In effetti, solo nel quadro di una Comunità rifondata, in cui i meccanismi intergovernativi non siano più in grado di bloccare il completamento dell’integrazione economica, l’estensione delle competenze della Comunità ai settori della politica estera e della difesa, pur mantenendo transitoriamente in questi settori il potere del Consiglio dei ministri, costituirebbe un fatto evolutivo in direzione del completamento dell’integrazione europea, e non l’espressione di una ulteriore involuzione verso la pura cooperazione intergovernativa.
In questo contesto dovrebbe essere anche preso in esame — per sottolineare non solo la vocazione pacifica della costruzione europea sul piano dei rapporti mondiali, ma anche il fatto, sottolineato dalla grandissima maggioranza dei sostenitori della unificazione europea, che questa deve essere intesa come una tappa in direzione dell’unificazione democratica del mondo intero — il problema dell’inserimento nel nuovo trattato elaborato dal Parlamento europeo di un articolo che preveda la disponibilità dell’Unione europea a trasferimenti di sovranità a organismi soprannazionali democratici di dimensioni mondiali.
 
SERGIO PISTONE
 
 
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
 
Oltre ai testi citati nelle note, vanno tenuti presenti:
M. Albertini, L’integrazione europea e altri saggi, Il Federalista, Pavia, 1965;
M. Albertini, A. Chiti-Batelli, G. Petrilli, Storia del Federalismo europeo, Edizioni RAI Radiotelevisione Italiana, Torino, 1973;
AA.VV., «Autour du Rapport Tindemans, Colloque d’Athènes de l’AIEE», Bulletin du Centre européen de la culture, XVIe année, n. 1-2, 1976;
B. Barthalay, Le Fédéralisme, Presses Universitaires de France, Collection Que sais-je?, n. 1953, Paris, 1981;
H. Brugmans, L’idée européenne, 1920-1970, De Tempel, Bruges, 1970;
L. Gladwyn (Sir Gladwyn Jebb), The European Idea, Mentor, The New English Library Limited, 1967;
L.V. Majocchi e F. Rossolillo, Il Parlamento europeo. Significato storico di un’elezione, Guida Ed., Napoli, 1979;
J.C. Mascler, L’Union politique de l’Europe, Presses Universitaires de France, Collection Que sais-je?, n. 1527, Paris, 1973;
J. Monnet, Mémoires, Fayard, Paris, 1976;
S. Pistone (a cura di), L’idea dell’unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale, con scritti di A. Agnelli, N. Bobbio, D. Cofrancesco, L. Levi, W. Lipgens, R. Monteleone, S. Pistone, F. Rossolillo, Fondazione L. Einaudi, Torino, 1975;
C. Sasse, Le processus de décision dans la Communauté européenne, Paris, 1977;
H. Siegler, Europäische politische Einigung, Dokumentation von Vorschlägen und Stellungnahmen 1949-1968, Siegler & Co. K.G. Verlag für Zeitarchive, Bonn-Wien-Zürich, 1968.


* Come è noto il Parlamento europeo ha istituito, per iniziativa di A. Spinelli, una Commissione incaricata di elaborare un progetto di riforma dei Trattati, da sottoporre per approvazione ai competenti organi costituzionali di ciascun paese. La Commissione ha iniziato i suoi lavori e si propone di rendere noto il suo progetto alla fine del 1983, in modo da farne l’argomento centrale delle prossime elezioni europee. Abbiamo deciso di partecipare a questo dibattito e quindi di tenere aperta sino alle prossime elezioni europee una rubrica che si intitola La campagna per il governo europeo, perché riteniamo che non ci possa essere riforma efficace della Comunità senza l’istituzione di una prima forma, limitata e sperimentale, ma reale, di governo democratico europeo.
[1] Il «Club del Coccodrillo» è un gruppo di parlamentari europei appartenenti ai diversi gruppi politici fondato, su iniziativa di Altiero Spinelli, nel luglio 1980 nel corso di una riunione svoltasi presso il ristorante strasburghese Crocodile. Lo scopo per cui questo gruppo è stato creato è precisamente quello di far assumere al Parlamento europeo l’iniziativa della rifondazione istituzionale della Comunità.
[2] Occorre qui ricordare che l’idea di attribuire tale compito all’assemblea allargata (per raggiungere il numero dei membri dell’assemblea prevista dal Trattato sulla CED) della CECA fu proposta ufficialmente dal capo del governo italiano De Gasperi il quale accolse a questo riguardo un suggerimento di Altiero Spinelli. Occorre anche ricordare che il progetto di costituzione elaborato dall’Assemblea ad hoc, quando fu trasmesso ai governi, venne da essi sostanzialmente modificato indebolendone fortemente le prescrizioni implicanti una reale limitazione della sovranità statale assoluta. Il progetto comunque cadde in seguito alla bocciatura della CED da parte dell’Assemblea nazionale francese nell’agosto del 1954. Si veda in proposito M. Albertini, «La fondazione dello Stato europeo. Esame e documentazione del tentativo intrapreso da De Gasperi nel 1951 e prospettive attuali», in Il Federalista, XIX, 1977, 1, pp. 5-55.
[3] Questa analisi riguarda solo i progetti emersi in questo dopoguerra, anche se la storia dei progetti di Unione europea comincia assai prima di questo periodo e ha il suo punto di partenza addirittura nella Monarchia di Dante Alighieri. Riguardo a questa lunga storia mi sembrano necessarie alcune precisazioni. A mio avviso in essa si devono distinguere quattro fasi: dal Medioevo allo scoppio della Rivoluzione francese, da questa al 1914, dal 1914 al 1945, il secondo dopoguerra. I progetti della prima fase, essendo emersi in tempi in cui non era ancora venuta all’ordine del giorno la realizzazione dei principi della democrazia moderna, hanno tutti come caratteristica comune il concepire l’unione non come una unione fra popoli intesi come soggetti politici, bensì come un’unione di principi, vuoi in forma imperiale, vuoi in forma di lega priva di un sovrano superiore. Il momento di rottura rispetto a questa impostazione è rappresentato da Kant, il quale, con il saggio Per la pace perpetua pubblicato nel 1795, formulò per la prima volta nella storia il progetto di una federazione dei popoli, stabilendo un preciso legame fra la realizzazione del regime democratico all’interno degli Stati (a cui lo scoppio della Rivoluzione francese aveva dato un decisivo impulso storico) e la necessità di superare l’anarchia nei rapporti interstatali attraverso la creazione di un governo democratico soprannazionale. Dopo Kant, anche se emergeranno ancora progetti di leghe fra principi, diventerà progressivamente dominante nell’idea dell’unità europea il principio della unione fra i popoli e quindi il legame indissolubile fra democrazia e unione europea, che costituisce una delle opzioni di fondo che caratterizzano l’attuale processo di integrazione europea. A parte ciò, fino al 1914 il discorso sull’unità europea non compie grandi progressi poiché nell’epoca della formazione e della ascesa dei moderni Stati nazionali europei e dell’estensione del dominio dell’Europa sul mondo intero non vi è alcuno spazio per la formulazione di proposte realmente operative e i sostenitori dell’unità europea non riescono perciò ad andare al di là della petizione di principio o della predicazione moralistica. Ben diversa è la situazione fra il 1914 e il 1945. Il fatto che con le guerre mondiali e il fascismo giunga a piena maturazione la crisi storica del sistema europeo degli Stati fa sì che l’idea della unità europea si ponga per la prima volta come la risposta a un problema estremamente concreto: quello di assicurare la sopravvivenza e l’ulteriore sviluppo della civiltà democratica in Europa, in un contesto in cui il vecchio sistema europeo degli Stati appare ormai strutturalmente inadeguato a questo compito. Ciò spiega perché in questo periodo non solo si registri un vistoso aumento quantitativo delle prese di posizione a favore dell’unità europea e quindi dei progetti circa il suo assetto istituzionale, ma soprattutto si verifichi un salto qualitativo in ordine al contenuto dei progetti, che acquistano un carattere sempre più articolato, preciso e concreto e sempre maggiore chiarezza di motivazioni, con un crescendo che trova il suo culmine nel periodo della Resistenza europea. I progetti di questo periodo costituiscono la premessa immediata e diretta di quelli successivi al 1945, di cui anticipano molti dei contenuti essenziali. Questi ultimi hanno tuttavia un decisivo elemento in più, e cioè il fatto di emergere in una fase in cui, in seguito al crollo definitivo del sistema europeo degli Stati e alla sua subordinazione alle due superpotenze protagoniste del nuovo sistema mondiale degli Stati, riesce finalmente a mettersi in moto nell’Europa occidentale il processo di integrazione europea. Ciò fa sì che i progetti di unione europea diventino politicamente operativi, diventino cioè concreti tentativi di influenzare un processo in corso. Ed è proprio per questo che essi presentano un particolare interesse in un momento in cui il Parlamento europeo si accinge a riformare le istituzioni a cui il processo di integrazione ha dato vita e a disegnare un assetto istituzionale in grado di rendere più profonda ed efficace tale integrazione. I testi fondamentali sulla storia dell’idea della unità europea sono J.B. Douroselle, L’idée d’Europe dans l’histoire, Paris, 1965; D. de Rougemont, Vingt-huit siècles d’Europe. La conscience européenne à travers les textes d’Hésiode à nos jours, Paris, 1961; C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, nuova ed., Torino, 1978; B. Voyenne, Histoire de l’idée européenne, ultima ed., Paris, 1964; «Généalogie des grands desseins européens de 1306 a 1961», Centre européen de la culture, VIII, 1960-61, 6; M. Albertini, Il federalismo. Antologia e definizione, nuova ed., Bologna, 1979.
[4] Il potere giudiziario della Comunità è generalmente considerato uno degli organi meglio funzionanti della Comunità, ed è d’altra parte evidente che esso diventerebbe automaticamente più forte se le altre istituzioni della Comunità venissero riformate in direzione di una più sostanziale limitazione delle sovranità nazionali.
[5] Occorre precisare che non tutti i progetti emersi dopo il 1945 vengono qui presi in considerazione, ma solo quelli sufficientemente elaborati, cioè che contengono indicazioni abbastanza precise circa le istituzioni e le competenze dell’Unione, anche se non redatte in articoli. Inoltre vengono scartati i progetti che concepiscono l’Unione europea nel quadro di una ristrutturazione interna degli Stati membri che ne modifichi radicalmente le istituzioni in direzione del federalismo etnico (si vedano in proposito: G. Heraud, L’Europe des Ethnies, 2a ed., Paris, 1974; Id., Les Principes du fédéralisme et la Fédération européenne, Paris, 1968; F. Erterbauer, «Ethnischer Föderalismus und europäische Integration», in Sprachen und Staaten, Teil I: Der politische und soziale Status der Sprachen in den Staaten der Europäischen Gemeinschaft, Stiftung Europa-Kolleg, Hamburg, 1976, e/o del federalismo integrale (cfr. AA.VV., Le fédéralisme et Alexandre Marc, Centre de Recherches Européennes, Lausanne, 1974). Ciò non perché tali proposte non presentino alcun interesse, ma perché a mio avviso esse non lo hanno rispetto ai problemi che il lavoro costituente del Parlamento europeo deve affrontare in questa fase. Si precisa ancora che non viene compiuta una selezione dei progetti sulla base dell’impostazione federale o confederale che li caratterizza. Ciò sia perché indicazioni interessanti possono essere fornite da entrambi gli orientamenti, sia perché la stessa distinzione federalismo-confederalismo che emerge in tali progetti (e in gran parte della pubblicistica sull’integrazione europea) è assai spesso schematica e scolastica e, invece di favorire, ostacola una valutazione adeguata dei loro contenuti. Circa le fonti, la raccolta più completa dei progetti di costituzione per una Unione europea formulati in questo secolo è quella compiuta da Andrea Chiti-Batelli e depositata presso il Senato della Repubblica italiana, l’Istituto universitario europeo di Firenze e il Centro europeo di studi e informazioni di Torino. Cfr. al riguardo A. Chiti-Batelli, L’Unione politica europea. Proposte – Sviluppi istituzionali – Elezioni dirette, edito dal Senato della Repubblica italiana, Roma, 1978, che contiene anche le indicazioni circa i testi, gli archivi, etc., in cui si trovano gli originali dei progetti contenuti nella raccolta. Cfr. inoltre C. Potor, Progetti per una costituzione europea, CIFE, Roma, 1978.
[6] Questi due autori hanno coordinato una serie di studi sulle più importanti federazioni esistenti e li hanno messi a disposizione, oltre che del CSCE, dell’Assemblea ad hoc. Questi studi sono stati successivamente pubblicati con il titolo Studi sul federalismo, a cura di R.R. Bowie e C.J. Friedrich, Comunità, Milano, 1959.
[7] Ciò è messo in luce dallo studio comparato del progetto del CSCE e di quello dell’Assemblea ad hoc pubblicato sul n. 7 del 1953 dei Cahiers Européens, editi dal Movimento europeo. Questo studio è inserito nella raccolta di Chiti-Batelli.
[8] Competenze esclusive:
1. — Gli affari esteri e la difesa, che comprendono: i rapporti della Federazione con gli altri paesi; il servizio diplomatico e i consolati; la difesa militare, navale ed aerea della Federazione; il controllo delle forze della Federazione per applicare e mantenere le leggi degli Stati nell’interno della Federazione; il mantenimento delle leggi e dell’ordine nell’interno della Federazione.
2. — I servizi essenziali, che comprendono: i servizi postali, telegrafici, telefonici e altri servizi simili, cioè i mezzi di comunicazione; le radio-trasmissioni, la televisione e altri servizi simili; i fari fissi e galleggianti, le boe d’ormeggio e da segnalamento; le osservazioni astronomiche e meteorologiche; la quarantena e la salubrità; i censimenti e le statistiche; i sistemi di pesi e misure; la naturalizzazione e i sudditi stranieri; gli abitanti di qualche razza in uno Stato, per i quali si trovi necessario fare delle leggi speciali; l’immigrazione e l’emigrazione; l’entrata di criminali nel territorio.
3. — La moneta e le finanze, che comprendono: i diritti di dogana e di regia sulla produzione, l’importazione e/o l’esportazione delle merci; i premi sulla produzione e sull’esportazione delle merci; i prestiti basati sul credito pubblico della Federazione; le specie aventi corso, la coniazione, l’emissione e la circolazione della moneta legale; gli affari di banca sotto tutte le loro forme e l’incorporazione delle banche; l’emissione di carta-moneta o di altre forme di moneta e/o di credito; le lettere di cambio e i mandati.
4. — Gli affari: per i quali la costituzione della Federazione contiene disposizioni fino a che il Parlamento non decida altrimenti; rimessi alla decisione del Parlamento della Federazione come questioni esclusive dal Parlamento di uno Stato o dai Parlamenti degli Stati, ma con la riserva che la legge sia valida solo negli Stati i cui Parlamenti hanno sottoposto la questione, e in quelli che accettino successivamente la legge; concernenti la sede del governo della Federazione, e tutti i centri acquistati dalla Federazione per scopi pubblici; concernenti la direzione di quei servizi civili e pubblici il cui controllo sia trasferito dalla costituzione della Federazione all’amministrazione esecutiva della Federazione; dichiarati dalla costituzione di competenza esclusiva del Parlamento.
 
Competenze concorrenti:
1. — Le imposte.
2. — Le questioni economiche, che comprendono: l’industria ed il commercio ed il loro rapporto con tutte le persone e tutte le imprese che se ne occupano; ogni specie di assicurazione; la creazione, lo scioglimento, il regolamento ed il controllo delle persone morali e delle corporazioni; lo scioglimento, il regolamento ed il controllo delle corporazioni formate in virtù delle leggi di uno Stato sia in vista di un benefico pecuniario della corporazione e dei suoi membri, sia per scopi religiosi, caritativi, scientifici o artistici; il regolamento, lo scioglimento ed il controllo delle corporazioni estere; l’acquisto di beni immobili o mobili o di diritti da parte di queste; il regolamento, la proprietà ed il controllo della produzione, della fabbricazione, della distribuzione e delle forniture di qualsiasi industria principale, secondaria o terziaria; il regolamento, il controllo, la creazione e lo scioglimento dei trusts, dei monopoli e degli accordi riguardanti qualsiasi industria, primaria, secondaria o terziaria, o merci, prodotti e servizi; i trasporti in tutte le loro forme, per strada, per ferrovia, per acqua, per aria o altrimenti.
3. — Gli affari industriali che comprendono: il lavoro, l’organizzazione dei dipendenti e dei datori di lavoro; l’impiego e la disoccupazione; i termini e le condizioni di lavoro e l’impiego in tutti i mestieri, le industrie, le occupazioni e le vocazioni; gli scioperi e le serrate; il mantenimento della pace industriale; il regolamento dei conflitti industriali; le dotazioni familiari e le indennità ai genitori e ai bambini.
4. — I servizi sociali che comprendono: le pensioni per malattie e per vecchiaia; l’assicurazione contro la disoccupazione; la legge sugli infortuni sul lavoro; l’assicurazione contro le malattie; l’assicurazione nazionale; le pensioni alimentari ed i soccorsi.
[9] Il punto di riferimento decisivo al riguardo è costituito dal rapporto Mac Dougall e dalla relazione del gruppo di lavoro sulle risorse proprie approvata dal Parlamento europeo nella sessione di aprile del 1981. Si vedano in proposito: D. Biehl, «The Impact of Enlargement on Regional Development and Regional Policy in the EC», in A Community of Twelve? The Impact of Further Enlargement on the European Communities, «Cahiers de Bruges», n. 37, Bruges, 1978; A. Majocchi, «Dallo SME all’Unione economica e monetaria: il ruolo della politica fiscale», in Il Federalista, XXII, 1980, 1-2, pp. 10-34; S. Esser, Il federalismo fiscale della Germania Occidentale. Il sistema degli interventi regionali nella Repubblica Federale di Germania, con prefazione di U. Serafini e introd. di A. Majocchi, F. Angeli, Milano, 1981.
[10] Cfr. AA.VV., L’Unione economica e il problema della moneta europea, a cura del Movimento europeo e del Movimento federalista europeo, F. Angeli, Milano, 1978; R. Jenkins, P. Werner, R. Triffin, D. Biehl, G. Montani, Una moneta per l’Europa, a cura dell’Istituto universitario di studi europei, La Cartostampa, Torino, 1979; A. Jozzo e D. Velo, La riforma della Banca d’Italia e la creazione del Fondo Monetario Europeo. Aspetti nazionali ed europei del dibattito costituzionale ed economico sull’autonomia della Banca Centrale, Paper del MFE, aprile 1981.
[11] Il testo dell’intervento di Brandt è riportato in L. Levi, L’unificazione europea. Trent’anni di Storia, SEI, Torino, 1979, pp. 226-228.
[12] Cfr. M. Albertini, «Elezione europea, governo europeo e Stato europeo», in Il Federalista, XVIII, 1976, 4, pp. 200-212.
[13] Il fondamentale punto di riferimento di queste mie considerazioni è La proposta del MFE per il dibattito sulla riforma istituzionale della Comunità, testo di una relazione di M. Albertini alla Direzione del MFE del 16 maggio 1981, pubblicato in Il Federalista, XXIII, 1981, 2, pp. 111-118. Per quanto riguarda i progetti esaminati nelle pagine precedenti quello che, a mio avviso, può fornire le indicazioni più valide (pur con la necessità di un aggiornamento, dato il periodo in cui fu elaborato) è il progetto del CSCE.
[14] Si vedano in proposito: T. Jansen e V. Kallenbach, Die europäischen Parteien. Strukturen, Personen, Programme, Europa Union Verlag, Bonn, 1977; N. Gresch, Transnationale Parteienzusammenarbeit in der EG, Nomes, Baden-Baden, 1978; L. Levi e S. Pistone, L’elezione europea e la fase politica dell’integrazione. Ipotesi di fondo ed interviste con i leaders politici europei, Fondazione Agnelli, Torino, 1979; Id., «L’elezione del Parlamento europeo e i programmi dei partiti», in L’Italia e l’Europa, VII, 1980, 14 (numero monografico).

 

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia