IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVI, 2014, Numero 1-2, Pagina 165

 

 

LE “QUATTRO UNIONI”
E GLI “ACCORDI CONTRATTUALI
PER LE RIFORME STRUTTURALI”
DOPO IL CONSIGLIO EUROPEO
DEL 19 E 20 DICEMBRE 2013

 

 

Per quanto possa apparire paradossale, il governo economico dell’UE e le risorse, pubbliche e private, messe a disposizione delle politiche europee, si stanno rafforzando. Questo processo riguarda però solo i paesi dell’eurozona, per i quali la moneta europea rappresenta un bene pubblico non solo da difendere, ma anche rafforzare. L’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità (MES) e l’unione bancaria comporteranno un esborso fino a 755 miliardi di euro: 80, sui 700 previsti, già versati dagli Stati a titolo di capitale per il MES e 55 che saranno messi a disposizione dalle banche europee nell’arco dei prossimi dieci anni per finanziare il Single Resolution Fund (SRF), una dotazione, quest’ultima, almeno pari a quella della Federal Deposit Insurance Company (FDIC) americana. Il limite grave di questo processo è l’assenza di un parallelo rafforzamento della democrazia europea, senza il quale il deficit di legittimità non sarà colmato e le forze euroscettiche e populiste si rafforzeranno ulteriormente, mettendo in pericolo quanto finora è stato costruito. Qui di seguito, si prova a fare il punto sulle “quattro unioni”, dopo il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013.

Le “quattro unioni”.

Il documento presentato al Consiglio europeo del 5 dicembre 2012 (“Verso un’autentica unione economica e monetaria”) elenca le “quattro unioni” secondo un piano a tappe, condiviso da tutte le istituzioni europee. Si tratta dell’unione bancaria, fiscale, economica e, infine, politica, da realizzarsi in successione. La prima delle “unioni”, quella bancaria, a sua volta, è stata declinata in tre fasi distinte: l’istituzione di un’autorità di vigilanza unica, del meccanismo per le risoluzioni bancarie e del Single Resolution Fund (SRF). L’unione bancaria dovrebbe porre fine al legame tra banche e debito sovrano, in quanto le prime tendono ad acquistare prevalentemente titoli pubblici emessi dallo Stato cui appartengono: pertanto, se quest’ultimo incorre in finanze insostenibili, il rischio di insolvibilità si trasferisce automaticamente al sistema bancario, mettendo in moto un pericoloso circolo vizioso. Il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013, dopo l’istituzione del Single Supervisory Mechanism(SSM) in capo alla BCE, ha deciso di dar vita al Single Resolution Mechanism (SRM) e al Single Resolution Fund (SRF) che dovrebbe partecipare alla copertura di parte delle perdite delle banche in difficoltà finanziarie. Le istituzioni dell’unione bancaria riguardano i paesi dell’eurozona e quelli che non ne fanno ancora parte, ma che decidono di parteciparvi attraverso accordi di cooperazione. Un punto importante dell’accordo riguarda proprio lo SRF, la cui dotazione finanziaria sarà alimentata da un prelievo sui depositi assicurati e versato dalle banche dei paesi partecipanti al meccanismo. Il funzionamento dello SRF sarà deciso sulla base di un accordo intergovernativo da concludersi entro il marzo di quest’anno. Nel frattempo, entreranno in funzione dei “compartimenti nazionali” dello SRF, che si fonderanno progressivamente nell’arco di dieci anni.[1] Questo è l’elemento di forte debolezza dell’accordo, soprattutto se si tiene conto che la crisi finanziaria non è ancora del tutto superata: i tempi dovranno essere anticipati. Questi punti di debolezza non devono comunque mettere in secondo piano due decisioni importanti che sono state prese. La prima è che con lo SFR i governi si sono messi d’accordo sulla mutualizzazione dei rischi. Non è ancora la mutualizzazione dei rischi che coinvolge i cittadini europei in quanto tali e che troverebbe la sua espressione istituzionale nell’introduzione di un’imposta europea, ma è un passo importante in questa direzione. In secondo luogo, con la decisione di far pagare, sia pure in misura contenuta, i privati, s’intende far partecipare anche il mercato, e non solo il potere pubblico, al costo del risanamento bancario.[2]

Alcuni commentatori hanno fatto notare che restano aperti altri problemi e che la scelta europea di unione bancaria sembra meno radicale di quella approvata dagli USA alla fine del 2013 e che prevede una chiara separazione dell’attività di banca commerciale e di deposito da quella di banca d’investimento.[3] Questo costituisce un punto di oggettiva debolezza ai fini di una maggior trasparenza e stabilità del mercato finanziario europeo, ma la differenza più importante tra il mercato europeo e quello americano non è questa. Infatti, le crisi finanziarie che hanno coinvolto gli USA come, ad esempio, nel caso delle Saving & Loans della fine degli anni Ottanta del secolo scorso e quella recente che ha richiesto il salvataggio, tra le altre istituzioni finanziarie, di AIG e di Federal National Mortgage Association (Fannie Mae) e Federal Home Loan Mortgage Corporation (Freddie Mac), evidenziano che il punto sostanziale non è tanto l’esistenza della FDIC (nel caso europeo dell’SRF), né l’entità della sua dotazione, bensì la garanzia che assicura il bilancio federale nel caso in cui la dotazione del fondo di garanzia si rivelasse insufficiente. È dunque l’esistenza o meno di un bilancio federale la differenza sostanziale. Quindi l’unione fiscale, senza l’unione di bilancio, non può durare.

Ma la valutazione che occorre dare delle decisioni dell’ultimo Consiglio europeo non si limita a questo. Nei prossimi mesi, la BCE avvierà gli stress test sulle banche europee su cui esercita la vigilanza. Essa dovrà valutare se il patrimonio è sufficientemente robusto per far fronte ad una grave crisi finanziaria. Il Presidente della BCE ha già detto che valuterà la solidità dei titoli pubblici in dotazione alle banche alla stessa stregua degli altri titoli. Data la forte esposizione delle banche verso i titoli pubblici dello Stato di appartenenza, il giudizio non sarà quindi solo sulla banca ma, sia pure indirettamente, anche sulla solidità delle finanze pubbliche dello Stato verso cui le banche sono esposte. Detto in altri termini, la BCE dovrà dire se l’Italia, che ha il terzo debito pubblico al mondo, è in grado di far fronte ai propri impegni o meno. L’alternativa sarebbe la perdita di credibilità della BCE. Forse questo può spiegare perché, nell’ultima audizione al Parlamento europeo, Draghi ha sostenuto che l’unione bancaria non è la panacea per il superamento della frammentazione e della instabilità del sistema finanziario europeo e dell’unione monetaria, ma che sono necessari progressi anche nelle altre “unioni” previste ed è necessario cogliere l’opportunità delle prossime elezioni europee per aprire il dibattito sul rafforzamento dell’architettura dell’unione monetaria europea.

L’unione fiscale e gli “accordi contrattuali per le riforme strutturali”.

L’esperienza americana evidenzia che l’unione bancaria, in assenza di un’unione fiscale fondata su un bilancio finanziato da un’imposta europea, non è sostenibile. La FDIC, istituita da Roosevelt nel 1933, se non avesse avuto alle spalle il bilancio federale, avrebbe fallito il suo compito. Lo si è visto, come già detto, nel caso della crisi finanziaria delle Saving & Loans, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Più recentemente, Fannie Mae, l’altra istituzione del periodo rooseveltiano, sorta nel 1938 per acquistare mutui da banche, casse di risparmio, e altri istituti di credito, al fine di promuovere la concessione di crediti per l’acquisto della casa, senza l’intervento del governo federale – come del resto altre istituzioni finanziarie dopo la crisi del 2007[4] – sarebbe fallita. Il costo della crisi finanziaria americana è stato colossale: l’esborso federale, a fine 2012, è stato pari a 3.300 miliardi di dollari per ricapitalizzazioni e prestiti alle istituzioni finanziarie e le garanzie federali fornite a queste ultime ammontavano, alla fine dello stesso anno, a 16.900 miliardi di dollari.[5] Per quanto riguarda l’Unione europea, a fronte d’interventi statali approvati dalla Commissione europea nel periodo 2008-2012, pari a 1.223 miliardi di euro per ricapitalizzazioni e acquisto di attività finanziarie “deteriorate” ed a 3.862 miliardi di euro per garanzie sui debiti e fornitura di liquidità a breve agli istituti finanziari, a fine 2012, ne sono stati effettivamente utilizzati 592 nel primo caso, e attivate garanzie per 534 miliardi nel secondo caso.[6] Si tratta, sia per quanto riguarda gli USA che l’UE, di precedenti che probabilmente spiegano la cautela con cui si avanza sul terreno dell’unione fiscale, in quanto – in un quadro intergovernativo - nessun governo europeo, soprattutto tra quelli che oggi hanno le finanze pubbliche relativamente più solide, intende correre il rischio di far sostenere un peso simile ai propri contribuenti.

Ciononostante, dopo che è stata avviata l’unione bancaria, è stata subito aperta la discussione sulla realizzazione dell’unione fiscale, a cominciare dall’istituzione delle “intese contrattuali per le riforme strutturali”. I giornali europei hanno già dato conto della discussione che si è svolta su questo punto e sulle ragioni per le quali ogni decisione è stata rinviata al prossimo mese di ottobre.[7] Qui ci si limiterà ad una breve descrizione e valutazione dello strumento.

Quest’ultimo è inteso come un passo preliminare all’istituzione di un bilancio specifico per l’eurozona avente come obiettivo una politica di stabilizzazione del reddito e dell’occupazione di Stati membri colpiti da shock asimmetrici. Lo strumento consisterebbe in un aiuto europeo condizionato ai paesi che ne farebbero richiesta affinché attuino le riforme strutturali necessarie per favorire la convergenza con le economie europee più competitive e prevenire future crisi economico-finanziarie. Gli “accordi contrattuali”, sostenuti con i finanziamenti di un “meccanismo di solidarietà”, sono stati inizialmente proposti dalla Commissione europea[8] e da Van Rompuy.[9]Successivamente, la Commissione ha precisato le sue proposte in una Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento europeo.[10]L’obiettivo è di invogliare i paesi la cui competitività diverge dal resto dell’economia europea a intraprendere riforme strutturali da concordare con le istituzioni europee. Come riportato nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013, “gli accordi contrattuali reciprocamente concertati riguarderebbero un'ampia gamma di politiche e misure a favore della crescita e dell’occupazione, compresi i risultati conseguiti dai mercati del lavoro e dei prodotti, l'efficienza del settore pubblico, nonché la ricerca e l’innovazione, l’istruzione e la formazione professionale, l’occupazione e l’inclusione sociale”. Gli “accordi contrattuali” sarebbero concordati sulla base dei Piani nazionali di riforma che ogni Stato membro deve presentare nel corso del Semestre europeo. Vi potranno essere “accordi” che non prevedono finanziamenti e altri che invece lo prevedono. In quest’ultimo caso, i finanziamenti copriranno parzialmente le spese per le riforme strutturali e saranno temporanei. Il finanziamento previsto dal meccanismo di solidarietà interviene solo nel caso in cui i paesi interessati non siano sottoposti ai piani di aggiustamento degli squilibri macroeconomici previsti dal Six Pack, in quanto l’idea alla base degli “accordi” è quello di prevenire tali squilibri. Per quanto riguarda, invece, il finanziamento degli interventi (meccanismo di solidarietà) i lavori del Consiglio europeo si sono conclusi sostenendo che “si continuerà a lavorare per vagliare ulteriormente tutte le opzioni concernenti la natura precisa (ad es. prestiti, sovvenzioni, garanzie), la forma istituzionale e l’entità del sostegno”. Le Conclusioni, dunque, non fanno riferimento agli strumenti per finanziare il meccanismo di solidarietà, ma solo ai finanziamenti a favore dei paesi beneficiari. La Commissione europea, da parte sua, nel suo Blueprint, per quanto riguarda il finanziamento, accennava a contributi nazionali dei paesi partecipanti all’accordo, mentre la relazione di Van Rompuy fa riferimento a “contributi nazionali, risorse proprie oppure una combinazione di entrambi”. Su un punto, però, i tre documenti coincidono ed è il fatto che l’avvio degli “accordi contrattuali” deve precedere l’attribuzione di una “capacità fiscale” in capo all’eurozona avente l’obiettivo di contrastare gli shock asimmetrici che dovessero colpire uno Stato membro.

Durante il Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2013, vi sono stati interventi contrari a questo strumento, anche se con diverse motivazioni: l’Olanda si è dichiarata contraria a finanziare le riforme strutturali attuate da altri paesi, avendo essa già provveduto senza l’aiuto di nessuno; la Spagna, dal canto suo, ha detto che non avrebbe accettato aiuti finanziari subordinati a condizionamenti sul loro utilizzo, in quanto non riteneva accettabili limiti alla propria sovranità.

Per rispondere a queste posizioni, occorre tenere distinti due aspetti. Intanto, bisogna ricordare che, all’interno delle federazioni esistenti, la politica dei conditional grants è prassi corrente. Gli Stati Uniti hanno in passato concesso aiuti finanziari agli Stati membri della federazione perché, ad esempio, provvedessero a realizzare la rete autostradale. Oggi concedono aiuti finanziari subordinati al loro impiego nel settore dell’istruzione e della salute. Ma non si tratta solo di questo. Quando la città di New York, verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso, si trovò sull’orlo del fallimento, fu aiutata dal governo federale, che concesse un prestito a condizione che la città provvedesse ad una radicale riduzione della spesa pubblica locale. Il fatto che questi provvedimenti siano stati adottati all’interno di un quadro democratico di cui si riconosceva la legittimità, ne ha agevolato l’approvazione. In tutti questi casi, non è mai stata sollevata l’obiezione che si trattava di provvedenti che limitano la sovranità statale o che non s’intendeva partecipare al finanziamento perché si era già provveduto per conto proprio. Il governo federale, da parte sua, può “forzare” nell’attuazione di queste politiche perché può contare su entrate fiscali proprie. La legittimazione in capo alle istituzioni europee è, invece, proprio quello che manca oggi all’Unione europea. In effetti, il limite principale che è contenuto nella proposta delle “intese contrattuali” è che il finanziamento degli interventi è frutto di contributi nazionali e che la decisione fa capo al Consiglio europeo, che non risponde ad un elettorato europeo in quanto tale, ma è composto da governi che rispondono ad un elettorato nazionale. Quando un governo deve dare il consenso ad aumentare i propri contributi a favore di altri paesi sa che troverà una forte opposizione a livello nazionale, mentre chi deve accettare condizionamenti alle proprie politiche interne in cambio di aiuti europei, sa che avrà contro coloro che si appelleranno all’attentato alla sovranità nazionale.

“No representation, without taxation”.

Le “intese contrattuali per le riforme strutturali” potranno essere accettate da parte degli Stati membri solo se previste all’interno di un quadro di legittimità democratica europea e se, quindi, le risorse di cui sarà dotato questo nuovo strumento non saranno contributi nazionali, ma vere e proprie risorse europee, derivanti da un’imposta europea o dalla ripartizione, tra il livello europeo e il livello nazionale, del gettito di un’imposta esistente o nuova.

A sostegno del principio dell’introduzione di un’imposta europea, i federalisti si sono sempre richiamati alla rivendicazione, risalente alla seconda metà del 1700, delle tredici colonie americane nei confronti dell’Inghilterra che intendeva tassare alcuni loro prodotti e servizi: “No taxation, without representation”, fu l’espressione utilizzata dalle tredici colonie nel periodo che precedette la dichiarazione d’indipendenza.

Carl Schmitt, però, commentando quello slogan, ha messo in luce un ulteriore aspetto del problema che contribuisce a chiarire l’importanza della battaglia che i federalisti hanno avviato con riferimento alla richiesta di un bilancio aggiuntivo dell’eurozona finanziato dal gettito di un’imposta europea votata dal Parlamento europeo. In un articolo scritto nel 1927, dal titolo “Democrazia e finanza”, Schmitt dopo aver sostenuto che nel contesto di una democrazia rappresentativa la legge di bilancio è il potere più importante che fa capo ad un’assemblea parlamentare, sostiene che l’espressione “no taxation, without representation” ha senso solo se è vero anche il suo contrario, vale a dire “no representation, without taxation”.[11] Quanto osservato da Schmitt, lo si può apprezzare con riferimento alla percezione, da parte dei cittadini europei, del ruolo che svolge, nella vita di ognuno di loro, quanto viene deciso dal Consiglio europeo, rispetto a quanto viene deciso dal Parlamento europeo. Nel primo caso, dove sono prese le decisioni che incidono “sulle tasche” dei cittadini, si sente rappresentato l’elettorato nazionale dei diversi Stati membri presenti nel Consiglio europeo e non i cittadini europei nel loro insieme e questo è alla base della corrente definizione di “matrigna” attribuita all’Europa. Nel secondo caso, invece, essendo, il Parlamento europeo l’unico parlamento in Europa che vota sulle spese, ma non sulle entrate, i cittadini europei non lo vedono come proprio rappresentante, perché in questo caso non c’è il “solido rapporto fra pagamento delle imposte e rappresentanza popolare” (Schmitt). O, meglio, dove vengono decise le entrate e le spese, non c’è la corrispondenza tra rappresentanza e cittadinanza europea e dove, in teoria, c’è la rappresentanza dei cittadini europei, non vengono decise le entrate e le spese. Solo affidando al Parlamento europeo e, nel caso specifico, al Parlamento europeo nella configurazione dei paesi dell’eurozona plus, di deliberare anche in merito alle entrate del bilancio, ci potrà essere coincidenza tra rappresentanza e cittadinanza europea.

“Accordi contrattuali”, bilancio aggiuntivo dell’eurozona e democrazia europea.

È possibile che il primo passo verso l’istituzione di un bilancio aggiuntivo dell’eurozona sia costituito dall’avvio degli “accordi contrattuali”. I federalisti potrebbero convenire su questo passaggio ad alcune condizioni: la prima è che questi “accordi” siano sostenuti da un meccanismo di solidarietà finanziato da un’imposta europea e non da contributi nazionali; in secondo luogo, che il voto sulle entrate fiscali che finanzieranno il meccanismo e sul contenuto degli “accordi” coinvolga il Parlamento europeo; infine, che questa tappa sia realizzata nel quadro di un processo destinato a portare alla nascita di un bilancio aggiuntivo dei paesi dell’eurozona e di quelli che vorranno aderirvi.

Domenico Moro

 


[1] Council of the European Union, 17602/13, Presse 564.

[2] L’unione bancaria europea prevede che, nel periodo di transizione alla nascita del Single Resolution Fund, se i prelievi sui depositi che le banche dovranno versare al Fondo non sono sufficienti, si possa far ricorso a finanziamenti-ponte nazionali (garantiti dai prelievi sui depositi bancari), o a finanziamenti da altri paesi, o ai finanziamenti dal MES. In ogni caso, il Fondo interverrà solo nella misura del 5% degli attivi della banca in difficoltà, ma solo dopo che gli azionisti della banca e altri creditori non coperti dalla garanzia sui depositi, avranno partecipato alla copertura delle perdite nella misura dell’8% degli attivi. A regime, se le risorse del SRF non fossero sufficienti, interverrà il MES, che agirà come un embrione di tesoro europeo.

[3] Marco Onado, Speculazioni, pasticcio all’europea, Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2014.

[4] Ad esempio, si può ricordare il salvataggio di Citigroup da parte, congiuntamente, di Tesoro, FED e FDIC, che hanno concesso prestiti e ricapitalizzato la banca con complessivi 45 miliardi di dollari (il prestito sarà restituito alla fine del 2009 e le azioni della banca nelle mani del Tesoro saranno vendute all’inizio del 2010).

[5] http://www.usfederalbailout.com/TARP_latest, consultato il 5 gennaio 2014; i 3.300 miliardi di dollari sono al netto dei rimborsi e le garanzie pari a 16.900 miliardi di dollari comprendono l’impegno della Federal Reserve a fornire liquidità a breve termine per 5.500 miliardi di dollari.

[6] European Commission, State Aid Scoreboard - Report on state aid granted by the EU Member States, COM(2012) 778 final.

[7] Philippe Ricard, Angela Merkel: «Tôt ou tard, la monnaie explosera, sans la cohésion nécessaire», Le Monde, 21 dicembre 2013.

[8] Commission européenne, Projet détaillé pour une Union économique et monétaire véritable et approfondie - Lancer un débat européen, COM(2012) 777 final/2.

[9] Herman Van Rompuy,Verso un’autentica unione economica e monetaria, 5 dicembre 2012.

[10] Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio (Verso un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività), COM(2013) 165 final.

[11] Carl Schmitt, Posizioni e concetti (in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles, 1923-1939), Milano, Giuffrè, 2007.

 

 

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