IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXVII, 1995, Numero 3, Pagina 196

 


LA CITTADINANZA NELL’UNIONE EUROPEA
 
 
Il concetto di cittadinanza dell’Unione ha un’origine lontana. Il Trattato di Roma (1957) parlava di «unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa». L’idea chiave che sta alla base del graduale sviluppo della legittimità popolare per quanto riguarda il processo di integrazione europea è contenuta nell’articolo 6 del Trattato, che bandisce ogni discriminazione basata sulla nazionalità. Nel corso degli anni si è incominciato a realizzare questo obiettivo della Comunità europea e la «cittadinanza europea» è ampiamente comparsa alla ribalta, almeno come strumento retorico.
Il processo di integrazione economica e di armonizzazione delle leggi è andato di pari passo con una graduale democratizzazione delle istituzioni comuni. A questo riguardo sono state importanti le prime elezioni dirette a suffragio universale del Parlamento europeo, tenutesi nel 1979. Negli anni ‘80 sono stati compiuti sforzi per diffondere il concetto di «Europa dei popoli», e sono stati lanciati dalla Commissione parecchi progetti culturali, compresa la promozione di scambi fra studenti e insegnanti. Sono stati dati forma e colore comuni ai passaporti degli Stati membri. Più importante, come è inevitabile, è stato il diffondersi dei benefici pubblici derivanti dall’integrazione economica, e, in particolare, il fatto di aver stabilito l’ambizioso programma di creare un mercato unico entro la fine del 1992, basato sulle quattro libertà di movimento di beni, servizi, capitali e persone. L’effetto combinato della legislazione fondamentale della Comunità europea e delle sentenze della Corte di Giustizia è stato di rendere possibile per la maggior parte delle persone — lavoratori con le loro famiglie e studenti — stabilirsi ovunque volessero all’interno dell’Unione e godere di diritti sociali, economici e civili alla pari con i cittadini del luogo scelto.
L’articolo 8 del Trattato di Maastricht (1992) stabilisce formalmente che chiunque assuma la nazionalità di uno Stato membro acquisisce la cittadinanza dell’Unione. Quando il Trattato sarà completamente realizzato, i cittadini dell’Unione europea godranno dei diritti e saranno sottoposti ai doveri previsti dal Trattato stesso — che include il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni municipali e del Parlamento europeo, ovunque essi vivano —, godranno di una comune protezione diplomatica e consolare, del diritto di inviare petizioni al Parlamento europeo e ricorrere al suo Ombudsman. Il Trattato prevede inoltre che le clausole di cittadinanza possano essere ampliate dal Consiglio, con decisione all’unanimità, su proposta della Commissione (la funzione del Parlamento in questo caso è puramente consultiva).[1]
Oltre a ciò, Maastricht ha prescritto che la Comunità dovrebbe funzionare sulla base del principio di sussidiarietà, che sta alla base del federalismo — in altre parole, può essere svolta un’azione a livello comunitario nei settori di competenza comune (vale a dire la maggior parte dei settori) laddove sia implicato più di uno Stato membro, laddove la dimensione dell’azione sia proporzionata a quella del problema da affrontare e i risultati raggiunti collegialmente siano migliori di quelli che sarebbero raggiunti unilateralmente.[2] La sussidiarietà, giustamente, è stata introdotta per sottolineare la tendenza al decentramento — un punto di vista rafforzato dal preambolo, il quale dichiara che nell’Unione le decisioni devono essere prese «il più possibile vicino al cittadino».[3]
 
Il Consiglio europeo.
 
Un grande risultato del Consiglio europeo è di aver posto un punto fermo sul problema della libertà civile, dapprima nell’Europa occidentale e in seguito nell’Europa centrale, attraverso la Convenzione europea per la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali (1950) e i successivi Protocolli. A differenza di ciò che avviene per l’Unione europea, la Convenzione si applica non solo ai cittadini degli Stati membri, ma a tutte le persone, inclusi gli stranieri, all’interno della sua giurisdizione.
La Convenzione è una legge internazionale, sotto la giurisdizione della Corte europea di Strasburgo, e perciò differisce dalle leggi della Comunità, il cui arbitro, la Corte di giustizia di Lussemburgo, ha la supremazia, sulla base del principio federale, rispetto alla legislazione degli Stati membri. Tuttavia, nella misura in cui sono coinvolti gli Stati membri dell’Unione europea, le due tradizioni, del Consiglio europeo e della Comunità, sono strettamente associate. Il Trattato di Maastricht ha riconosciuto la Convenzione come base dei «principi generali della legislazione comunitaria»;[4] e il lavoro della Corte di giustizia è stato sempre influenzato dai principi della Convenzione europea. Nella Conferenza intergovernativa che dovrebbe iniziare nel 1996 saranno avanzate proposte perché la Comunità europea stessa aderisca alla Convenzione, sulla base della considerazione che questioni di giustizia e di correttezza sono affrontate più direttamente e speditamente dalla Corte di giustizia di Lussemburgo rispetto alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo.
Sulla base dell’azione parallela della Comunità e del Consiglio europeo, i diritti civili in Europa sono stati sempre più ampliati.[5] Il contributo principale del Consiglio è stato quello di fissare degli standards per i diritti umani e di estendere la loro applicazione a categorie di persone più ampie rispetto ai cittadini degli Stati membri dell’Unione; mentre il contributo principale dell’Unione è stato di rendere più diretta e uniforme l’applicazione dei principi della rule of law.
Né l’una né l’altra giurisdizione, tuttavia, sono esenti da eccezioni e deroghe. Per esempio, i diritti generali dei lavoratori riconosciuti dalla Comunità non valgono per le amministrazioni statali degli Stati membri; il diritto di proprietà secondo le clausole della Convenzione non è pienamente riconosciuto da cinque Stati membri dell’Unione; la legislazione della Comunità relativa alla libertà di esercitare una professione contiene clausole restrittive in non meno di otto Stati membri; e così via.[6] Sebbene si stiano facendo passi avanti verso accordi per una politica comune dei visti nei confronti di paesi terzi, la stessa Unione europea è ben lontana dal garantire una piena libertà di circolazione. Gli esempi di aree all’interno dell’Unione nelle quali si può circolare liberamente sono pochi e imperfetti — è il caso dell’Irlanda e della Gran Bretagna, ed ora all’interno dei paesi non appartenenti all’Unione europea che hanno aderito all’accordo di Schengen. Ma soprattutto ciascuno Stato membro ha tuttora regole differenti per quanto riguarda l’immigrazione, il diritto di asilo, la deportazione e l’estradizione. Il diritto relativo all’acquisizione della cittadinanza e alla sua perdita è strettamente legato a decisioni unilaterali dei singoli Stati. Virtualmente, gli unici doveri civili riconosciuti pienamente in ogni Stato riguardano l’obbligo di ubbidire alle leggi e di pagare le tasse.
 
La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni.
 
Il Trattato di Maastricht ha previsto un cosiddetto «terzo pilastro» relativo alla cooperazione nei campi della giustizia e degli affari interni, nei quali sono considerate materie «di interesse comune» il diritto di asilo, l’immigrazione, il traffico di droga, le frodi internazionali, la cooperazione giudiziaria in questioni civili e penali e in quelle relative ai dazi doganali e ad azioni di polizia.[7] Queste questioni di notevole importanza sono affrontate a porte chiuse attraverso metodi intergovernativi e sono largamente sottratte sia al vaglio parlamentare sia a una revisione giudiziaria. Dietro il terzo pilastro si nasconde l’ambiziosa supposizione che sia possibile per i governi degli Stati membri giungere ad accordi unanimi sulla base di un’equa ripartizione degli oneri e di una reciproca fiducia tra i diversi ordinamenti giuridici.
I progressi nella cooperazione sono stati lenti e difficili. L’Europol è stata bloccata da disaccordi circa il controllo da parte dell’autorità giudiziaria; la Convenzione relativa al passaggio alle frontiere esterne è bloccata dalla questione di Gibilterra; gli accordi di Schengen sono un compromesso insoddisfacente, solo parzialmente operativi, che potrebbero alla fine non soddisfare nessuno ma dividere l’Unione.
La Conferenza intergovernativa del 1996 è un’ottima occasione per portare l’intero terzo pilastro, che (a differenza del secondo pilastro sulla politica estera e di sicurezza comune) include la legislazione sotto il controllo delle istituzioni della Comunità europea. Solo così la creazione di una vera area di libero movimento su tutto il territorio dell’Unione potrebbe diventare realtà.[8]
 
La politica sociale.
 
La dimensione sociale della cittadinanza europea è più largamente accettata dei suoi aspetti civili. Nel corso degli anni le direttive della Comunità hanno indicato un certo numero di importanti standards essenziali per progredire sulla via dell’uguaglianza fra i sessi e per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle persone a loro carico sul territorio dell’Unione. Nel programma relativo al mercato unico è stato chiaramente riconosciuto che erano necessarie misure per prevenire il «dumping sociale». In seguito, tuttavia, la tendenza verso la liberalizzazione e la concorrenza nelle economie europee, insieme ai trend demografici, ha portato a misure atte ad assicurare una certa flessibilità nel mercato del lavoro. Ora è chiaro che lo Stato del benessere che si occupa dei propri cittadini dalla culla alla bara, a cui l’Europa occidentale si è comodamente abituata circa dagli anni ‘50, non può essere riprodotto a livello dell’Unione europea. L’enfasi posta sulla politica sociale si è attenuata sia a livello dell’Unione europea sia a livello nazionale. La prossima transizione alla terza fase dell’Unione economica e monetaria spinge i governi degli Stati membri ad affrontare in casa propria la disoccupazione strutturale e a preparare l’industria nazionale a far fronte all’aspra competizione a livello europeo e globale. L’Unione economica e monetaria richiede inoltre che le regioni sottosviluppate e periferiche dell’Unione utilizzino pienamente i loro vantaggi relativi in termini di costo del lavoro per unità di prodotto. Essendo la mobilità del lavoro all’interno dell’Unione un fattore relativamente poco significativo, è improbabile che ci sia una energica forma concertata di pressione per l’abolizione delle differenze di salario nell’Unione stessa.[9]
Ciononostante, è sperabile che sia presto stabilito un insieme di regole che permettano al cittadino europeo del futuro di stabilirsi in qualunque parte dell’Unione con la garanzia di poter fruire ovunque della sua pensione, delle assicurazioni sociali, e persino di poter ricorrere al credito ipotecario.
 
Quali sviluppi sono necessari per la cittadinanza europea?
 
In questa breve esposizione dello stato attuale della cittadinanza europea abbiamo notato che è improbabile un maggiore sviluppo della dimensione sociale della cittadinanza a livello dell’Unione europea. Abbiamo inoltre osservato che, nell’interesse di una maggiore libertà civile, è necessario fare passi avanti a livello istituzionale e legislativo per migliorare i mezzi con i quali l’Unione europea affronta le questioni relative alla cittadinanza, come, ad esempio, l’immigrazione. Tuttavia ci sono segnali che indicano che la Conferenza intergovernativa del 1996 non riuscirà ad inserire nel Trattato della Comunità europea le questioni relative alla giustizia e agli affari interni, con il risultato che il ruolo della Commissione rimarrà molto debole, e che la Corte di giustizia e il Parlamento europeo continueranno ad essere quasi completamente esclusi. La Conferenza intergovernativa non sarà inoltre in grado di dare una risposta positiva alle proposte formulate dal governo spagnolo, dal Parlamento europeo e da altri, che mirano ad iscrivere nel Trattato una Carta dei diritti dei cittadini europei o Bill of Rights.
Non è tuttavia immediatamente chiaro dove ci porterà l’evoluzione della cittadinanza dell’Unione. Lo «scheletrico» cittadino europeo di Maastricht potrebbe rimanere un fantasma che ci perseguita. Ci sono altre vie per «rimpolparlo»?
Federal Trust, insieme a molti altri, ha suggerito che una riforma elettorale del Parlamento europeo è un passo avanti cruciale nel dare all’Unione una legittimazione popolare — specialmente se la procedura elettorale uniforme è fortemente radicata verso il basso a livello regionale e, verso l’alto, permette l’espressione di una lista sovranazionale a livello europeo. Ciò, noi crediamo, darebbe impulso allo sviluppo di veri partiti politici europei, in grado di farsi portavoce delle preoccupazioni e delle aspirazioni del cittadino europeo.
Un numero crescente di politici sembra mostrare entusiasmo per un impiego maggiore di referendum sia a livello nazionale che a livello europeo, per legittimare la riforma costituzionale dell’Unione. Altri hanno proposto che il prossimo Presidente della Commissione sia eletto direttamente a suffragio universale.
All’interno dell’Unione continuano ad aumentare le richieste di decentramento, specialmente nei vecchi Stati centralizzati, e bisognerebbe dunque spingerli decisamente in questa direzione all’interno del quadro europeo — specialmente laddove, come in Irlanda del Nord e Gibilterra, la cittadinanza nazionale è contestata. Il metodo di nomina del Comitato delle Regioni dovrebbe essere cambiato per assegnare un maggiore ruolo autonomo alle autorità regionali e locali.
Sembra che la Commissione europea ponga un accento particolare sull’informazione, l’educazione e la cultura in quanto strumenti adeguati per lo sviluppo della cittadinanza europea. Effettivamente, la nascita della società dell’informazione in Europa fa sorgere molti problemi relativi al ruolo del cittadino nello spazio pubblico europeo. L’Europa contemporanea si presenterà come una società politica basata sulla conoscenza, con un accesso all’informazione, all’istruzione e all’intrattenimento a distanza di dimensioni difficili da immaginare e controllare. La rivoluzione basata sulle tecnologie dell’informazione trasformerà i metodi di apprendimento dei nostri figli e il modo in cui essi faranno acquisti, usufruiranno di servizi, come quelli sanitari, si divertiranno, tratteranno affari e faranno politica. La realizzazione dell’autostrada informatica multimediale cambierà il modo in cui la gente percepisce la propria identità e il modo in cui comunicherà con gli altri.[10] Già Internet, per quanto sia lento e relativamente superato, ha creato una comunità di «ciberspazio» nuova, globale e interdipendente — certo molto diversa dalla comunità ateniese del IV secolo a.C., ma ciononostante una vera comunità.
In modo più tradizionale, Robert Toulemon, del TEPSA (Transeuropean Policy Studies Association) fa la coraggiosa proposta di creare per i giovani un Servizio civile europeo volontario.[11]
Nella misura in cui il Trattato di Maastricht ha aperto la via per un ruolo più incisivo della Comunità nei settori dell’educazione e della cultura, sono quanto mai necessarie idee intelligenti sull’educazione civica relative alla cittadinanza europea.[12] Federal Trust è impegnato proprio in un progetto di questo tipo, nella prospettiva delle prossime elezioni europee del 1999.
In molti paesi europei, in vista dei festeggiamenti di fine millennio, si stanno elaborando ambiziosi e fantasiosi progetti culturali riguardanti il cittadino.
E’ in questo ricco contesto che la nuova Europa deve avanzare al più presto verso un assetto costituzionale federale di Stati e popoli, in modo che i cittadini sappiano come, da chi e da dove sono governati.
 
Andrew Duff


[1] Per un esame più completo del Trattato di Maastricht, vedi Andrew Duff, John Pinder e Roy Pryce (a cura di), Maastricht and Beyond: Building the European Union, Londra, Routledge for the Federal Trust, 1994.
[2] Articolo 3b.
[3] Articolo A.
[4] Articolo F.
[5] Vedi ad esempio la Convenzione del Consiglio (1992) sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale.
[6] Per una analisi completa degli allora dodici Stati membri dell’Unione europea, vedi J.P. Gardner (a cura di), Hallmarks of Citizenship: A Green Paper, Londra, The Institute for Citizenship Studies and the British Institute of International and Comparative Law, 1994.
[7] Articolo K.1.
[8] Vedi i Federal Trust Papers, n. 1, State of the Union e n. 3, Building the Union, Londra, Federal Trust, rispettivamente febbraio e giugno 1995.
[9] Per un approfondimento di questo argomento, vedi Federal Trust Paper n. 2, Towards the Single Currency, Londra, Federal Trust, maggio 1995.
[10] Vedi il Rapporto di Federal Trust, Network Europe and the Information Society, Londra, Federal Trust, luglio 1995.
[11] Progetto di servizio civile europeo. Obiettivi. Sviluppare nei giovani lo spirito europeo, il sentimento di appartenenza all’Europa. Dare degli esempi di concrete realizzazioni dell’Europa che interessano le popolazioni. Metodi e procedure. Convenzioni concluse liberamente fra Stati sotto l’egida dell’Unione europea. Potrebbero essere previste dapprima fra un numero limitato di paesi e successivamente fra tutti gli Stati membri dell’Unione o candidati all’adesione. Ciascun paese designa il ministero competente per negoziare le Convenzioni e partecipare alla loro gestione. L’Unione europea partecipa al finanziamento e alla gestione. Contenuto. Servizio civile volontario aperto a ragazzi e ragazze. La durata minima del servizio può variare da paese a paese. Il servizio si effettua all’interno di una équipe plurinazionale, possibilmente fuori dal paese di origine. Il giovane riceve una modesta remunerazione. Gli è facilitato l’apprendimento di una lingua straniera. Egli è dispensato dal servizio militare nel suo paese, laddove esso sia obbligatorio. Opzioni. Ai giovani volontari sono offerte cinque opzioni: a) opzione sociale e umanitaria (quartieri degradati, aiuto ai giovani in difficoltà, attività in paesi vittime di catastrofi o guerre); b) opzione ambientale (lavori utili all’ambiente rurale o urbano); c) opzione patrimonio pubblico (cantieri di restauro e valorizzazione di monumenti o di siti); d) opzione Europa centrale e orientale (attività di interesse generale nei paesi dell’Europa centrale e orientale); e) opzione sviluppo (attività di cooperazione allo sviluppo dei paesi del Sud del mondo). Inquadramento. L’inquadramento è affidato ad associazioni od organizzazioni non governative che abbiano stipulato una Convenzione con la Comunità. Ciò assicura, in accordo con lo Stato d’origine, la remunerazione dell’inquadramento che è costituito da professionisti riconosciuti.
[12] Vedi specialmente l’articolo 126.

 

 

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