IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LX, 2018, Numero 1, Pagina 35

 

 

LA SFIDA DELLA RUSSIA

 

 

Nel mese di marzo Putin è stato rieletto Presidente della Federazione Russia per un quarto mandato. La sua rielezione è avvenuta con un consenso superiore al 75% dei suffragi, ma va sottolineato come l’opposizione abbia avuto grosse difficoltà ad esprimersi liberamente. La Russia non è ancora una democrazia come noi la intendiamo in Occidente, mantenendo un potere fortemente centralizzato e personalistico come ai tempi dell’Unione Sovietica e ancor prima come ai tempi degli zar. C’è una cosa che tuttavia anche gli oppositori riconoscono a Putin: l’aver ridato dignità e autorevolezza alla politica estera della Russia dopo oltre venti anni di emarginazione in cui lo scenario internazionale è stato dominato dagli Stati Uniti.

Dalla fine degli anni Ottanta la Russia ha vissuto una profonda crisi interna dovuta al crollo del modello e del sistema politico dei Soviet, e si è riaffacciata sulla scena internazionale solo dopo il 2010.

Dal crollo dell’URSS all’isolamento della nuova Russia.

Negli anni Ottanta era più vivo che mai il confronto-scontro con gli Stati Uniti nella rincorsa agli armamenti. Erano gli anni della sfida lanciata dagli USA con il progetto dello scudo spaziale che impose all’URSS consistenti investimenti in campo militare per reggere la competizione. Ma erano anche gli anni della tragica guerra in Afghanistan nel vano tentativo dell’URSS di controllare questo paese e di imporre un proprio governo fantoccio. L’occupazione dell’Afghanistan si rivelò un disastro sul piano militare per i continui attacchi condotti dai mujahidin che godevano degli aiuti finanziari e militari dei Paesi occidentali. Altro tragico destino di quella guerra fu che gli stessi mujahidin anni dopo sarebbero diventatiacerrimi nemici dell’Occidente e avrebbero trasformatol’Afghanistan in una base di addestramento per gli attentatori islamici. La guerra in Afghanistan e la corsa agli armamenti furono all’origine dell’indebolimento dell’URSS. Nel Paese per la prima volta si levavano grida di malcontento contro il governo e il Partito: erano migliaia i giovani militari morti in Afghanistan, oltre 400.000 tornarono in patria con gravi malattie dovute alle pessime condizioni di vita in una nazione ferma al nostro Medio Evo e oltre 100.000 erano i giovani divenuti invalidi permanenti a seguito degli attacchi dei mujahidin. Morti e feriti che il regime sovietico non poteva nascondere all’opinione pubblica che invece chiedeva riforme e investimenti in infrastrutture e in servizi sociali. Investimenti che mancavano da anni a causa della guerra e della competizione nella corsa agli armamenti con gli USA. In questo contesto per l’URSS diventava sempre più difficile mantenere alta la pressione e il controllo politico sui propri vicini confinanti europei che facevano parte del suo blocco economico e militare (Comecon e Patto di Varsavia), in particolare in Polonia. Di fronte alle difficoltà di quei momenti il Partito comunista ebbe tuttavia un colpo di coda cercando di rimediare alle difficoltà eleggendo segretario nel 1985 un uomo nuovo: Michail Gorbaciov.[1] Il suo desiderio di riforme si concretizzò in due parole passate alla storia: glasnost (trasparenza) e perestrojka (ristrutturazione). Una vera e propria rivoluzione per un Paese che da oltre 70 anni viveva in un regime poliziesco, ma una rivoluzione che aprendo alle prime forme di democrazia interna portò al crollo dell’URSS. L’apertura al dialogo di Gorbaciov verso gli Stati Uniti, la proposta di creare una stretta collaborazione con l’Unione europea con il progetto della “Casa comune europea”, il porre fine alla guerra in Afghanistan (1988), l’accettare la nascita di nuove forme di aggregazione politica e la dichiarazione della fine del primato e del monopolio del Partito comunista portarono al dissolvimento dell’Unione Sovietica simboleggiato dal crollo del muro di Berlino nel novembre del 1989. Il crollo dell’URSS portò l’Occidente e in primis gli Stati Uniti a dichiarare la vittoria del modello liberale e capitalistico. Ma il crollo dell’URSS portò con sé anche ben altre conseguenze: la fine del mondo bipolare e l’inizio di una serie di conflitti a livello regionale che imposero agli Stati Uniti continui interventi anche in campo militare rendendoli, di fatto, dei poliziotti dell’ordine mondiale. E mentre l’URSS si trasformava e gli USA dovevano agire su scala mondiale, gli europei si beavano del proprio relativo benessere e anziché cogliere il mutamento dello scenario internazionale per consolidare le proprie istituzioni comunitarie gettavano i semi di nuove e future tensioni. Quando, timidamente, l’Unione europea tentò di giocare un proprio ruolo, prima nella ex-Jugoslavia ove era in corso una guerra fratricida tra serbi e croati e successivamente in Libia, alla fine dovette sempre chiedere il soccorso degli USA. Ma se l’intervento USA servì per riportare la pace nei Balcani, in Libia ancora oggi, dopo la caduta del dittatore Gheddafi voluta dagli europei, il caos regna sovrano. Mentre il mondo bipolare uscito dal secondo conflitto mondiale mutava radicalmente e in molte aree del mondo scoppiavano continui conflitti che coinvolgevano gli USA (in Iran, Iraq, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan), l’URSS si dissolveva per trasformarsi nella nuova Russia con un percorso irto di difficoltà e tensioni.
 

Dall’URSS alla nuova Russia.

La fine del centralismo politico da parte di Mosca favorì lo sfaldamento delle sue alleanze nell’Est e la caduta dei regimi comunisti dalla Polonia alla Romania, nonché la riunificazione tedesca. Ma mentre questo accadeva ai confini occidentali dell’URSS, al proprio interno i nazionalismi regionali portarono alla nascita di 13 nuove repubbliche indipendenti[2] e alla nascita della nuova Russia. Agli inizi degli anni Novanta Mosca dovette affrontare la ridefinizione dei propri confini con le nuove repubbliche, discutere con loro della ripartizione del tesoro della Banca centrale, della ripartizione delle forze armate nonché dell’arsenale nucleare. Problemi enormi con un potere centrale, a Mosca, ancora in fase embrionale che per altro doveva riscrivere la Costituzione e le nuove regole di governo con forze politiche appena sorte e già in lotta per il potere. La nascita della nuova Russia avvenne anche con fasi cruente quando nel 1991 vi fu un tentativo di colpo di Stato da parte di reparti dell’esercito che non volevano la fine dell’URSS. In quei giorni movimentati che videro anche il sequestro del Presidente Gorbaciov da parte dei golpisti, la popolazione di Mosca con a capo il proprio sindaco, Eltsin, scese in piazza per manifestare il proprio desiderio di libertà condannando al fallimento il tentativo di golpe. Ma altrove i tentativi secessionisti da parte delle Repubbliche che facevano parte dell’ex-URSS avvennero con gravi fatti di sangue e vere guerre, in particolare nella regione del Caucaso e in Cecenia.

Mentre questi gravi fatti si svolgevano entro i propri confini, la Russia vedeva l’Unione europea che si allargava alle nazioni che un tempo facevano parte della sua sfera di influenza: Polonia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Cecoslovacchia (diventata nel frattempo Repubblica Ceca e Slovacchia) divennero membri dell’Unione che portava così a 28 i propri Stati. Un allargamento che senza un rafforzamento delle proprie istituzioni indebolirà l’Unione rendendo ancor più difficile ogni sua decisione. Inoltre le nuove nazioni, non avendo una consolidata tradizione democratica, evidenziarono subito una forte politica di stampo nazionalista e anti russa che mal si conciliava e si concilia con la tradizione democratica dell’Unione.

Ma la nuova nascente Russia nulla poteva al momento per contrastare la perdita di influenza sulle nazioni un tempo sue alleate e assisteva anche impotente alle vicende politiche e belliche che si svolgevano non lontano dai propri confini nell’area Medio orientale ove imperversavano le Guerre del Golfo con gli USA e gli eserciti di diverse nazioni dell’Unione europea che combattevano in Iraq e Kuwait con l’obiettivo di deporre il dittatore Saddam Hussein.

Avvenimenti drammatici che in altri momenti la Russia non avrebbe accettato in modo silente, ma che ora, presa dai propri problemi di politica interna, vedeva svolgersi sotto i propri occhi senza poter intervenire direttamente. L’URSS di un tempo non esisteva più e la nuova Russia stentava ancora, agli inizi del nuovo secolo, a mostrarsi al mondo. Qualcosa comunque, seppur lentamente, iniziava a muoversi all’interno del nuovo establishment a Mosca che nel 1999 elesse come nuovo Presidente, dopo Eltsin, un giovane Vladimir Putin, già ex-funzionario della polizia segreta sovietica (KGB) nella Germania dell’Est. Si impose da subito come l’uomo forte del nuovo corso e in più di una occasione ebbe a dichiarare: “Chi non rimpiange l’Unione Sovietica non ha cuore, chi vorrebbe resuscitarla non ha cervello”. Un misto di nostalgia e di voglia di rivalsa. I tempi però per un ritorno della Russia nello scacchiere internazionale non erano ancora maturi, il potere politico a Mosca era ancora in fase di consolidamento così come i rapporti con le nuove Repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS. A metà dei primi anni del nuovo secolo qualcosa di nuovo però iniziava a manifestarsi così che nella Conferenza sulla sicurezza svoltasi a Monaco nel febbraio del 2007, Putin, invitato a parlare ebbe modo di dichiarare: “…Il mondo cambia e noi non possiamo agire in base a schemi che si formarono dopo la Seconda guerra mondiale. Perfino con gli alleati non si può più parlare come in passato. Nuovi pericoli si manifestano e tutto ciò deve esse messo nel conto, perché può accadere che qualcuno ne resti scottato. E noi dobbiamo creare una situazione più sicura, perché se non lo faremo sorgeranno continuamente conflitti.” Un primo segnale della volontà della Russia di tornare a contare nel mondo: occorreva solo attendere l’occasione più opportuna che arrivò, offerta, ingenuamente, dall’Unione europea nel novembre 2013.
 

La Russia è tornata.

Nel mese di novembre 2013, l’Ucraina, una delle nuove repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS, aveva in programma la firma di associazione all’Unione europea. Il Trattato di associazione prevedeva una serie di aiuti commerciali atti a favorire la disastrata economia ucraina che, dopo l’indipendenza, era precipitata nel più totale caos. L’associazione all’Unione europea prevedeva inoltre, nel giro di pochi anni, la partecipazione dell’Ucraina allo sviluppo di progetti in campo militare.[3]

Agli occhi anche del cittadino medio russo si trattava di un fatto estremamente grave. Anche perché, dal punto di vista russo, gli avvenimenti degli ultimi anni non sembravano affatto indirizzare la politica degli occidentali verso un dialogo costruttivo con la nuova Russia. L’allargamento dell’Unione europea ai suoi ex-alleati di un tempo nonché il loro ingresso addirittura nella NATO insospettiva e allarmava nel contempo. Come era possibile che l’Occidente, che aveva dichiarato al mondo di aver sconfitto l’URSS, continuasse a favorire l’allargamento ad Est della NATO? La NATO non era nata per contrastare una possibile aggressione sovietica? E contro chi venivano puntati i missili che gli USA installavano in Polonia o nelle Repubbliche Baltiche? Se questo accadeva era perché gli occidentali non si fidavano della nuova Russia e voleva anche dire che se la NATO non veniva sciolta e anzi si allargava, la Russia era vista ancora come un avversario da temere.

Accadde così che a pochi giorni dalla firma dell’Ucraina al Trattato di associazione, Putin fece una allettante proposta economica e finanziaria al Presidente ucraino Yanukovich. Propose l’adesione dell’Ucraina all’Unione economica euroasiatica, un forte sconto sull’acquisto del gas e un aiuto finanziario immediato di 15 miliardi di dollari. Una ricca proposta per l’Ucraina, ma provocatoria, nel contempo, verso l’Unione europea che seppe rispondere in modo quanto mai timido e inconsistente, offrendo un aiuto di 1 miliardo di dollari alle disastrate finanze ucraine. Una dimostrazione di ignoranza della realtà ucraina e di totale impreparazione nel proporre ad una giovane nazione un Trattato di associazione senza conoscerne a fondo la situazione. L’Ucraina aveva in scadenza nel mese di marzo 2014 un rimborso in titoli di 15 miliardi di dollari che la Banca centrale non era assolutamente in grado di garantire senza un intervento tempestivo di liquidità. Senza un aiuto finanziario nel giro di pochi mesi l’Ucraina avrebbe dovuto dichiarare il proprio default.[4] Il governo ucraino non ratificò il Trattato di associazione e accettò la proposta russa. Nel Paese si scatenò nel giro di poche settimane una guerra civile che portò alla fuga del Presidente in carica che si rifugiò in Russia e a una serie di manifestazioni tra coloro che sostenevano l’associazione all’Unione europea e coloro che al contrario sostenevano il progetto russo. La regione più ricca dell’Ucraina, il Donbass, con una forte componente etnica russofona, si proclamò indipendente e da allora è iniziata una guerra tra gli indipendentisti, sostenuti finanziariamente e militarmente dalla Russia, e il nuovo governo di Kiev filo occidentale. Da quel momento tra la Russia, gli USA e i governi europei partirono una serie di reciproche accuse di intromissione negli affari interni ucraini. La Russia rispose sostenendo il diritto all’autonomia della neonata Repubblica del Donbass e sostenne un referendum per il distacco della Crimea dall’Ucraina a favore di una adesione di questa regione alla Russia. Il referendum portò al distacco della Crimea dall’Ucraina. Nel contempo gli USA proposero al nuovo governo ucraino di entrare a far parte della NATO e la stessa proposta fu formulata alla Moldavia (a suo tempo parte integrante del territorio sovietico), nazione confinante con l’Ucraina. Inoltre USA e Unione europea diedero vita ad una serie di sanzioni economiche contro la Russia ancora oggi in corso e per altro aggravate dopo la crisi in Siria.

Per tutta risposta alle sanzioni del mondo occidentale, la Russia strinse tempestivamente un importante accordo commerciale pluriennale con la Cina per oltre 400 miliardi di dollari. Non solo, all’accordo commerciale fece seguito un accordo in campo militare, un fatto impensabile pochi anni prima quando l’URSS e la Cina mantenevano rapporti estremamente difficili.

L’intesa tra la Russia di Putin e la Cina era anche un chiaro messaggio che le due potenze davano in particolare agli Stati Uniti. Nel mese di maggio 2015, mentre gli Stati Uniti trasferivano oltre 4000 soldati in Polonia e nelle Repubbliche baltiche, nell’ambito dell’adesione di queste nazioni alla NATO, Russia e Cina svolsero nel mar Mediterraneo esercitazioni navali congiunte. Nuove esercitazioni navali tra parte della flotta russa e quella cinese si svolsero nel mese di agosto nell’oceano Pacifico dove venne anche simulata l’occupazione di un’isola da parte di marines russi e cinesi. Al termine delle esercitazioni il Ministro della difesa russo Sergei Shoigu dichiarò: “…lo scopo principale di addestrare le nostre forze con i cinesi è di formare un sistema collettivo di sicurezza regionale, visti i tentativi americani di rafforzare la loro presa politica e militare in Asia e nel Pacifico.”[5] Più recentemente, nel mese di aprile 2018, il Ministro della difesa cinese Fenghe, invitato a Mosca in occasione della Conferenza sulla sicurezza internazionale ha dichiarato: “L’alto livello dello sviluppo dei nostri rapporti bilaterali [ndr: russo-cinesi] nonché la ferma determinazione delle nostre forze armate a rafforzare la cooperazione bilaterale (…) serve a far capire agli americani gli stretti rapporti tra le forze armate cinesi e russe…”.

La Russia con l’inizio della crisi ucraina aveva fatto il suo ritorno sulla scena politica internazionale che si è rafforzato ulteriormente con il peggiorare della crisi in Siria.

Non fu un caso che l’esercitazione navale congiunta tra russi e cinesi si svolgesse nel mar Mediterraneo. Parte della flotta russa era ed è infatti di stanza in Siria dagli anni Cinquanta, quando l’allora governo siriano concesse in modo permanente una base navale (a Tartus) e una aerea (a Khmeimim) all’Unione Sovietica e rinnovò l’accordo successivamente con la Russia. Dopo la nascita dello Stato di Israele, i Paesi arabi della regione chiesero un aiuto militare all’Unione Sovietica nel tentativo di osteggiare la nuova nazione sostenuta dagli Stati Uniti e dai governi europei. Da allora la Russia ha sempre mantenuto stretti rapporti con le nazioni della regione, in particolare con la Siria, suo fedele alleato. Nasce da qui la presenza in Siria di truppe russe apertamente schierate con il governo del dittatore Assad. La crisi siriana meriterebbe una analisi a parte; qui basti segnalare come dal 2010 in Siria è in atto una guerra civile che punta a far cadere il governo di Assad. Ma nel contempo in Siria parte del territorio è stato occupato dal sedicente Stato islamico (ISIS) combattuto sia dai sostenitori di Assad come dai suoi oppositori, per esempio i Curdi, che però a loro volta rivendicano la nascita di un proprio Stato indipendente dalla Siria e per questo osteggiano Assad e i russi. A complicare la situazione siriana vi è il fatto che parte del territorio che i curdi rivendicano è anche in territorio turco che non vuole nel modo più assoluto la nascita di uno Stato curdo. In questo contesto tutte le nazioni sono d’accordo nel combattere in Siria per respingere la nascita di uno Stato islamico, ma per il resto è una guerra di tutti contro tutti ove gli Stati Uniti, sostenuti da Francia e Gran Bretagna, si battono per la caduta di Assad e contestano alla Russia il sostegno a un dittatore. Nel contempo i russi dichiarano che via Assad il paese precipiterebbe nel caos totale, come già accaduto in Libia o in Iraq. La crisi siriana ha inoltre favorito l’avvicinamento della Russia alla Turchia e all’Iran che, seppur con motivazioni e ambizioni diverse, appoggiano il governo di Assad. Ma la novità importante è che lo scorso 3 aprile la Turchia abbia acquistato un sistema missilistico proposto dalla Russia. La Turchia è Paese membro della NATO e per numero di militari è secondo solo agli USA: non è un segnale incoraggiante il fatto che acquisti un sistema missilistico dal potenziale nemico. Una frattura definitiva in seno alla NATO aprirebbe scenari allarmanti per l’intera regione e non solo. La Russia, anche in questo caso, ha giocato d’astuzia politica cercando di approfondire il solco che da tempo divide la Turchia e gli Stati Uniti sul tema siriano, nonché la Turchia e l’Unione europea sul tema della sua adesione all’Unione e sul tema dei profughi.

Le crisi in Ucraina e in Siria hanno rilanciato il ruolo internazionale della Russia di Putin che, per contrastare le sanzioni degli occidentali, non esita a finanziare anche i movimenti sovranisti che contestano l’Unione europea chiedendo un ripristino di sovranità perdute. Così mentre la Russia si rafforza nel proprio ruolo, l’Unione europea si indebolisce. L’aver accettato l’adesione dei paesi dell’Est all’indomani del crollo dei governi comunisti è stato certamente un segno di solidarietà verso queste nazioni, ma nel contempo è stato un segno di debolezza non aver anche rafforzato le proprie istituzioni dotandosi di un governo e di una propria politica estera. L’Unione europea ha preferito mantenere il suo status quo e seguire in campo internazionale le scelte degli Stati Uniti. Certamente il corso della storia sarebbe stato ben diverso se, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, l’Unione europea avesse avviato un progetto di consolidamento delle proprie istituzioni e avesse avviato da subito un progetto di stretta collaborazione in campo economico e politico con la nuova Russia, che ne aveva un gran bisogno nella fase di totale disorientamento dopo il crollo del modello sovietico. Ma la storia non si fa né con i ma né con i se, così i ritardi dell’Unione europea gravano sul mondo intero dando ancor più spazio ad una politica estera della Russia che non teme di apparire aggressiva. Quel che è certo è che la Russia, come grande potenza, è tornata.

Stefano Spoltore

 


[1] Secondo la Costituzione sovietica il segretario del PCUS di diritto diventava anche Presidente dell’URSS.

[2] Armenia, Azerbajan, Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia. Tagikistan, Ucraina, Uzbekistan e le tre Repubbliche Baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania.

[3] Nell’est dell’Ucraina, nel Donbass, era concentrata l’intera industria aerospaziale e missilistica dell’ex-URSS.

[4] Per una analisi della crisi Ucraina si veda S. Spoltore, L’Ucraina tra Est e Ovest, Il Federalista, n. 1-2 (2014), p. 87.

[5] 20 agosto 2015.

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia