IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXV, 2023, Numero 1, Pagina 13

ALCUNE DOMANDE PER SVILUPPARE
UNA TEORIA DEL FEDERALISMO MONDIALE*

Introduzione.

Il processo di rafforzamento dell’interdipendenza in estensione[1] a livello globale — spesso sintetizzato con il termine globalizzazione — ha portato allo sviluppo di un ampio dibattito nell’ambito dell’accademia e delle organizzazioni federaliste rispetto a temi come interdipendenza, global governance, democrazia cosmopolitica, federalismo mondiale. Tale dibattito ha spesso offerto più interrogativi che risposte, e questo contributo non fa eccezione, dal momento che cerca di delineare un’agenda di ricerca e di riflessione rispetto al tipo di contributo teorico che il Movimento Federalista Europeo (MFE) e la cultura federalista italiana potrebbero cercare di offrire al federalismo mondiale alla luce della tradizione sviluppatasi a partire dalle riflessioni di Spinelli e Albertini. In sostanza cercherò di delineare i contributi che il MFE potrebbe offrire al dibattito sul federalismo mondiale, alla luce di quelli forniti al federalismo europeo.[2]

Il MFE ha cercato di fornire al corpus del federalismo europeo una coscienza teorica, sviluppando una teoria del federalismo come pensiero politico attivo[3]ideologia nella terminologia utilizzata da Albertini, anche se nell’ambito delle Scienze sociali sarebbe più corretto il termine utopia, sulla base della definizione di Mannheim e Ricoeur secondo cui le utopie sono pensieri politici che mirano a modificare l’ordine esistente, mentre le ideologie sono pensieri politici volti a legittimare e quindi consolidare l’ordine esistente[4] — articolata su due percorsi paralleli, una teoria normativa/prescrittiva della federazione europea e una teoria analitica/descrittiva del processo di unificazione europea. La seconda serviva a individuare le condizioni di possibilità e quindi il ruolo dei federalisti — l’iniziativa — e la strategia necessaria al raggiungimento della federazione europea — il gradualismo costituzionale — e nel corso degli anni, ha sviluppato una riflessione specifica relativa ai modelli organizzativi più idonei a svolgere il ruolo di iniziativa e a perseguire la federazione europea, proponendo nel contempo una riflessione specifica sulle forme organizzative più adeguate al tipo di ruolo e azione del federalismo organizzato.

Per tentare di offrire un contributo analogo al federalismo mondiale bisogna interrogarsi su una serie di questioni che riguardano il modello istituzionale della federazione mondiale, le caratteristiche del processo di unificazione mondiale, le condizioni di possibilità per realizzare degli avanzamenti in tale processo, la strategia più idonea per favorirli, il ruolo dei federalisti, cosa è necessario fare e cosa è possibile fare per progredire in quella direzione a partire dalle condizioni date, e quindi come dobbiamo organizzarci a tal fine.

Oggi il dibattito sull’unificazione europea è amplissimo e l’orientamento federalista sempre più condiviso, anche da studiosi esterni al MFE, che diventano un punto di riferimento anche per il Movimento. Al contempo il contributo del MFE all’elaborazione teorica risulta meno innovativo e più condiviso e volto a ribadire gli aspetti più rilevanti della tradizione federalista. Al contrario il dibattito teorico sul federalismo e la democrazia mondiale sono relativamente ridotti, e la coscienza teorica federalista arretrata, priva di una adeguata teoria analitica e normativa. Svilupparle potrebbe essere uno dei maggiori contributi che il MFE può fornire al federalismo mondiale e allo stesso tempo contribuire alla definizione della futura politica estera dell’UE e per rimodulare e aggiornare le ragioni federaliste a sostegno del completamento del processo di unificazione europea nella prospettiva del processo di unificazione mondiale, coerentemente con l’obiettivo di “unire l’Europa per unire il mondo”, che contraddistingue il MFE fin dal Congresso di Bari del 1980.

1. Il federalismo mondiale come pensiero politico attivo. 

Nello sviluppare la sua definizione del federalismo Albertini ha proposto una teoria del pensiero politico attivo caratterizzato da tre aspetti: un valore caratterizzante, in nome del quale mobilitare verso il cambiamento dell’ordine esistente; una struttura istituzionale volta a tutelare strutturalmente tale valore modificando l’ordine esistente inserendovi elementi istituzionali nuovi; ed una visione storico-sociale che individui le macro-condizioni di possibilità affinché ciò avvenga, ovvero che sproni alla mobilitazione mostrando che qui e ora è possibile far avanzare il processo di cambiamento in quella direzione.[5]

Albertini ha individuato nella pace il valore fondamentale per il federalismo — e messo in luce che pertanto il federalismo o è mondiale o non è — che ha nella federazione il suo aspetto istituzionale e nel superamento della divisione del mondo in nazioni e classi antagoniste il suo aspetto storico-sociale. Quest’ultimo è l’aspetto teoricamente meno sviluppato sotto vari punti di vista, e ciò è rilevante anche per la discussione sul federalismo mondiale.

Indubbiamente la pace è stata il valore che ha dato il là al processo di integrazione europea, ma oggi una teoria del federalismo mondiale dovrebbe includere i vari aspetti della gestione dell’interdipendenza mondiale e la soluzione degli altri problemi globali da cui dipende la sopravvivenza dell’umanità, associando alla pace anche la tutela ambientale, il contrasto ai cambiamenti climatici, la gestione delle materie prime, delle fonti energetiche, delle risorse idriche e alimentari essenziali per la sopravvivenza dell’umanità e delle altre specie presenti sulla Terra.[6]

È soprattutto rispetto all’aspetto di struttura e a quello storico-sociale che siamo ancora essenzialmente privi di una teoria adeguata del federalismo mondiale. Ciò potrebbe esser dovuto al fatto che non siano presenti le condizioni di possibilità per processi federativi a livello mondiale — ma per stabilirlo occorrerebbe avere una teoria sulla natura di tali condizioni — o trattarsi di una semplice lacuna teorica da colmare. In assenza di una teoria adeguata del modello istituzionale per la federazione mondiale risulta infatti impossibile anche individuare una possibile strategia di avvicinamento graduale o di gradualismo costituzionale — le vie per raggiungere una data meta possono essere diverse, ma è necessario sapere quale sia la meta — e l’aspetto di struttura del federalismo mondiale, ovvero la teoria normativa, è ancora parzialmente indefinito.

Quale dovrebbe/potrebbe essere il modello istituzionale della federazione mondiale? Al centro dell’invenzione federale vi è il sistema della doppia rappresentanza: dei cittadini e degli Stati membri. Nell’attuale contesto demografico, in un ipotetico Parlamento mondiale, Cina e India da sole avrebbero un ruolo enorme (oltre il 35% dei seggi) all’interno della camera di rappresentanza dei cittadini della federazione mondiale. Tale prospettiva sarebbe difficilmente accettabile per la maggior parte degli Stati e dei cittadini del mondo, anche perché la Cina non è una democrazia. Considerazioni analoghe potrebbero in parte valere per altre integrazioni regionali o potenziali federazioni, come quella dell’area ex-sovietica, o di alcune zone dell’Asia e dell’Africa, in cui, ad esempio esistono alcune entità regionali geograficamente limitate il cui livello di integrazione è persino superiore a quello dell’Organizzazione per l’Unità Africana.

Da questo punto di vista anche le integrazioni regionali come passo istituzionale intermedio verso la federazione mondiale non rappresenterebbero nel breve periodo una soluzione adeguata. Infatti, dal momento che lo sviluppo di un sentimento di appartenenza e/o di un’identità politica legata alle nuove unità richiederà diverso tempo – sempre che sia auspicabile – e fintanto che le identità dominanti resteranno nazionali la percezione del divario continuerà ad essere basata sul confronto tra i singoli Stati, Cina ed Italia o altro Stato nazionale, piuttosto che tra Cina e UE o Cina ed Unione Africana. D’altronde, l’abbandono della doppia rappresentanza e/o l’introduzione di forme di voto ponderato basate su fattori esclusivamente o prevalentemente economici quali il PIL sarebbe evidentemente un grave passo indietro rispetto alla teoria democratica, al riconoscimento del valore morale degli individui, e all’emancipazione umana. È possibile che le forme dell’unità federale dell’umanità debbano essere assai diverse da quelle previste dalla visione classica dello Stato federale, e che ci portino sempre più lungo una revisione radicale dei concetti di Stato e di sovranità.[7]

La riflessione sulla forma di governo possibile in una federazione mondiale — in cui il livello di eterogeneità sarà un multiplo di quello raggiunto in una qualunque delle attuali federazioni, incluse quelle continentali — è agli albori. E anche rispetto all’Unione europea è il punto meno approfondito o meno condiviso, essendo possibili almeno tre opzioni: parlamentare, mediante la trasformazione della Commissione in un vero governo responsabile di fronte al Parlamento europeo; presidenziale, con la fusione delle presidenze della Commissione e del Consiglio in una presidenza dell’Unione eletta direttamente dai cittadini europei; o semipresidenziale-consociativo con la Commissione nel ruolo di governo parlamentare responsabile per l’economia, e il Consiglio europeo nel ruolo di presidenza collegiale dell’UE — previa abolizione del voto all’unanimità — responsabile per la politica estera e di difesa.[8]

Tutto questo mette peraltro in gioco il tema della sovranità, che non è un oggetto materiale ma un concetto, un’astrazione, un’idea sociale, ovvero ciò che le persone credono che essa sia. Più specificamente si tratta di un’utopia/ideologia[9] — in realtà solo un’ideologia, creata in fretta e furia per sostituire la religione come fonte di legittimità per giustificare l’esistenza degli stati assolutisti — ovvero un’idea, tradotta poi in termini istituzionali. Ma l’istituzione e l’idea sono cambiate nel tempo e possono cambiare ancora. La sovranità è quindi un concetto polisemico e va scomposto per capire cosa ci serve ancora e cosa no, quali elementi abbiamo interesse a valorizzare e quali a lasciar cadere per facilitare la creazione di una federazione europea e poi mondiale.

Al termine sovranità sono associati almeno i seguenti significati: monopolio della forza legittima — e bisogna tener presente che Elias mostra il legame indissolubile tra il monopolio militare e quello fiscale;[10] il potere effettivo di decisione in ultima istanza riconosciuto come legittimo; la competenza sulle competenze negli Stati federali; il principio superiorem non recognoscens nei confronti di altre entità. Evidentemente si tratta di significati assai diversi tra loro, alcuni dei quali sono stati chiaramente superati dai processi politici reali.

L’UE ha cambiato il concetto di sovranità per gli Stati membri pur non essendo ancora federazione.[11] Ciò si manifesta in alcuni suoi caratteri federali: prevalenza e diretta applicabilità del diritto comunitario — e come dimenticare l’importanza attribuita da Hamilton a questo aspetto — supremazia della Corte di Giustizia nell’interpretazione delle norme dei Trattati, incluse quelle relative alle competenze, come dimostra la dottrina dei poteri impliciti; potere decisionale di ultima istanza sulle proprie competenze esclusive — oggi principalmente in ambito economico e monetario. In pratica almeno due dei quattro significati indicati in precedenza sono di fatto già superati nell’Unione europea.

Ma quale è e quale dovrebbe essere la concezione federalista della sovranità? Ve ne sono almeno tre. La prima, legata alla tradizione anglosassone non considera la sovranità come un concetto necessario o utile al federalismo. Wheare non utilizza il termine “sovranità” nella sua classica trattazione Del governo federale. Anche The Federalist non impiega frequentemente questo concetto. Il federalismo è una teoria della pluralità dei livelli di governo e degli ordinamenti giuridici indipendenti e coordinati e quindi è contro il monismo dello Stato nazionale, ma anche del concetto di sovranità. La tradizione federalista italiana ha invece solitamente assunto come concezione della sovranità quella classica della filosofia politica continentale europea, ovvero una concezione assolutamente monista, cercando delle formule che ne permettessero l’adattamento in un quadro teorico federalista. Lucio Levi suggerisce che nella federazione la sovranità non è attribuita né al governo federale, né ai governi federati, ma alla federazione nel suo insieme, che include entrambi i livelli di governo.[12] Si tratta di un escamotage fondato sull’attribuzione di un concetto monistico ad un soggetto solo apparentemente unitario, la federazione, ma in realtà organizzato pluralisticamente. Francesco Rossolillo utilizza egualmente un concetto monista della sovranità e lo neutralizza mediante la sua attribuzione al popolo federale mondiale, che anche qui non potrà che esercitarlo mediante una pluralità di livelli di governo.[13] Colpisce che Albertini non abbia dedicato alcun saggio specificamente a questo concetto, anche se questo solo fatto non permette certo di inserirlo nella corrente “anglosassone”.

Vi è un dibattito scientifico internazionale intorno ai nuovi contorni della sovranità, in cui tornano vecchie idee incentrate sul monismo dello Stato e della sovranità[14] chiaramente alternative al federalismo e all’idea di uno Stato di Stati,[15] che sembra implicare una nuova e diversa concezione tanto dello Stato quanto della sovranità all’interno del nuovo paradigma federalista.[16] Alcuni mettono in rilievo come la sovranità sia divenuta solo un “bargaining resource”, uno strumento negoziale per influenzare il comportamento di altri mediante una condivisione della sovranità stessa mediante istituzioni sovranazionali, come nel processo di integrazione europea.[17] Resta il fatto che lo stesso processo di unificazione europea ha messo in rilievo il carattere monistico delle decisioni riguardo ad alcune questioni: l’integrazione economica è avvenuta gradualmente, quella monetaria e quella militare hanno visto solo forme di cooperazione e poi di unificazione, riuscita nel caso della moneta, e fallita nel caso della difesa.

L’aspetto storico-sociale e la teoria analitica/descrittiva risultano ancora più arretrate. Non abbiamo una teoria condivisa riguardo le condizioni generali di possibilità della federazione e dei processi federativi a livello mondiale. Una tale teoria è però indispensabile per poter valutare gli avvenimenti e le scelte politiche, dal momento che in assenza delle condizioni per un processo federativo diventa perlomeno auspicabile una più profonda e strutturata cooperazione, come alternativa al conflitto, pur con tutti i limiti della cooperazione internazionale, la cui critica è alla base del pensiero federalista.

Si tratta di interrogarsi sul quadro in cui sia possibile portare avanti un processo di unificazione mondiale fondato su una reale condivisione della sovranità, cioè strutturalmente differente dalla cooperazione internazionale e su quali specifici temi approfondire per elaborare una nuova teoria della transizione — analoga al gradualismo costituzionale sviluppato per l’unificazione europea mediante la creazione di istituzioni parzialmente federali — applicabile a contesti in cui non sono già presenti tutte le condizioni di possibilità per un processo federativo, e in cui la transizione sarà quindi più lunga e laboriosa al punto da richiedere forse anche l’elaborazione di una strategia per la realizzazione di tali precondizioni, su quali siano i soggetti rilevanti e la dinamica del processo di unificazione mondiale. Di conseguenza, su quale strategia federalista mettere in atto per procedere verso la federazione mondiale. Cioè quale/quali anello/i della catena è possibile tirare oggi per quanto lunga sia la catena e numerosi gli anelli della rivoluzione federalista a livello mondiale.

L’aspetto storico-sociale del federalismo mondiale dovrebbe individuare le condizioni generali di possibilità della federazione e dei processi federativi a livello mondiale. L’azione del MFE fin dalla sua nascita si è fondata sull’assunto, implicitamente condiviso ma non teoricamente sviluppato, che esistessero in Europa, o in una parte di essa facilmente definibile in modo condiviso, le condizioni per avviare e portare a conclusione un processo federativo. Alcune delle successive divisioni e contrasti sulla strategia del Movimento sono state incentrate proprio su questo assunto e sulla mancanza di una teoria condivisa sulle condizioni generali di possibilità per l’avvio e per la conclusione di un processo federativo. Alternativa Europea riteneva che il quadro dell’Unione europea e dei suoi Stati membri in cui il processo di unificazione europea si era sviluppato e allargato non presentasse più le condizioni di possibilità per la conclusione del processo federativo. Tale tesi non era però suffragata da un’identificazione specifica di tali condizioni e di come si fosse creata questa cesura, a parte il generico riferimento all’allargamento del numero di Stati membri. Tale argomentazione era peraltro indebolita dall’iniziale identificazione dei Sei paesi fondatori come unico quadro idoneo, che avrebbe dovuto condurre a riportare l’assenza delle condizioni di possibilità del completamento del processo di unificazione al primo allargamento del 1973! Ovvero ad una fase precedente alla realizzazione delle tappe fondamentali previste dal gradualismo costituzionale adottato dal MFE come linea strategica fondamentale verso la fine degli anni ’60. Né tale argomentazione faceva ricorso ad alcuna delle categorie interpretative tradizionalmente impiegate dai federalisti italiani nell’analisi dei processi storico-politici — teoria della ragion di Stato, una versione rivista del materialismo storico, e l’evoluzione del quadro ideologico[18] — per spiegare quale mutamento fosse intercorso da richiedere una drammatica revisione del quadro di riferimento dell’azione federalista in Europa. Tutto questo non inficia l’idea, peraltro ampiamente condivisa, che l’eventuale realizzazione della federazione europea passerà probabilmente per un momento di rottura dovuto al fatto che non tutti gli Stati membri saranno contemporaneamente disponibili al salto federale. Il che però non intacca il riconoscimento dell’UE come l’unico quadro in cui il processo di unificazione può trovare uno sbocco federale allargando a tutte le competenze la procedura legislativa ordinaria — proposta della Commissione, decisione del Parlamento e del Consiglio votante a maggioranza qualificata — e rafforzando i poteri di governo dell’Unione in materia fiscale, economica, energetica e ambientale, così come nel campo della politica estera, di sicurezza e difesa.

L’assenza di una vera e propria riflessione teorica sulle condizioni di possibilità dell’avvio e della conclusione dei processi federativi è ovviamente molto rilevante anche rispetto alla prospettiva della federazione mondiale. Anche su questa questione il MFE si è diviso in passato, senza giungere a conclusioni condivise, di cui forse non c’era necessità, essendo ancora aperto il fronte per la federazione europea. Sul piano mondiale abbiamo sviluppato l’idea che l’evoluzione del modo di produzione crei un’interdipendenza mondiale, riassunta spesso con il termine globalizzazione, che pone l’unità dell’umanità all’ordine del giorno. Ma in che termini? Lucio Levi ha sostenuto che la rivoluzione scientifica del modo di produzione, riflessa nel processo di globalizzazione, apre la via — ovvero crea le condizioni materiali — per l’unificazione politica del genere umano e quindi rende possibile anche un’azione politica concreta in tal senso.[19] Francesco Rossolillo ha invece sostenuto che la transizione dal sistema europeo al sistema mondiale degli Stati apriva un ciclo storico che sarebbe potuto culminare nella federazione mondiale solo dopo la consunzione e la crisi del nuovo sistema mondiale di Stati, di cui i processi di integrazione regionale rappresentavano delle forme di consolidamento volte a creare soggetti politici di dimensioni adeguate al nuovo sistema così come le unificazioni nazionali rispetto al sistema europeo. Implicitamente tale prospettiva individua nelle integrazioni regionali, e quindi nel consolidamento di poli regionali che rendano impossibili aspirazioni egemoniche globali da parte di un unico polo, l’aspetto storico-sociale del federalismo mondiale.[20] Per parte mia ho sostenuto che in assenza della federazione europea manca un soggetto che possa svolgere il ruolo di leadership mondiale occasionale, e che sia quindi possibile un’azione politica volta a far crescere la consapevolezza dei problemi e delle soluzioni, ma non ancora strategica, ovvero volta al raggiungimento di concreti obiettivi istituzionali, anche parziali ma collocabili all’interno di una visione strategica analoga al gradualismo costituzionale.[21]

Tale analisi va oggi parzialmente rivista, almeno per quanto riguarda l’ambito monetario, in cui l’Europa ha acquisito una effettiva capacità di azione, così come altri soggetti, come la Cina sebbene in un contesto minato dall’assenza di democrazia interna e dalla non-convertibilità della sua moneta. Il dibattito è aperto e la recente riforma del Fondo Monetario Internazionale potrebbe essere usata a sostegno di tutte e tre queste prospettive.

La questione dell’individuazione delle condizioni di possibilità dei processi federativi, in assenza delle quali è auspicabile la cooperazione — che potrebbe quindi essere un primo obiettivo intermedio rispetto all’avvio di veri e propri processi federativi — dovrebbe essere al centro della riflessione teorica mondialista. Si tratta di identificare il quadro del processo in cui sia possibile sviluppare un processo di unificazione federale a livello mondiale. E per farlo è necessario interrogarsi su una serie di questioni:

È possibile l’avvio di un processo di unificazione mondiale senza che si siano costituite un certo numero di federazioni regionali? I due processi sono sovrapponibili, e in quale misura? In assenza del completamento delle integrazioni regionali, l’ingresso di loro Stati membri in istituzioni mondiali a carattere sovranazionale è auspicabile o non costituirà un freno allo sviluppo delle integrazioni regionali? Se non sono presenti le condizioni per l’avvio di un processo federativo a livello regionale e/o mondiale, quali forme di cooperazione internazionale o quali altri obiettivi e condizioni di possibilità è necessario promuovere per poter poi avviare un processo di unificazione? Si tratta di questioni collegate relative alle condizioni di possibilità dell’avvio e/o della conclusione dei processi federativi, ma che sul piano mondiale presentano un maggiore grado di complessità e di relazione con i processi regionali in corso.

Il Primo articolo definitivo per la Pace perpetua mantiene la sua validità? Ovvero solo gli Stati democratici possono accettare di condividere la sovranità? In questo caso è evidente che l’ONU non possa essere il quadro del processo di unificazione mondiale, in quanto ne esemplificherebbe la necessità ma non ne costituisce un aspetto fondamentale dal punto di vista istituzionale. In questo la posizione dell’ONU sarebbe assimilabile a quella del Consiglio d’Europa rispetto all’unificazione europea, che Albertini definiva “fase psicologica”.[22] Il quadro istituzionale principale andrebbe dunque individuato in un’altra organizzazione internazionale esistente (e quale?) o nella creazione di una nuova, come ad esempio una Comunità Ambientale Mondiale (proposta da John Pinder già una ventina d’anni fa), che accolga però solo Stati democratici – che alla luce della composizione odierna dell’ONU significherebbe escludere un gran numero di paesi e una gran parte della popolazione mondiale. Oppure l’ONU, con le sue agenzie interne e la galassia delle organizzazioni internazionale con le quali è collegata e ha rapporti strutturati è l’unico quadro possibile, per cui è necessario individuare ed attuare una strategia volta a trasformarne radicalmente l’essenza istituzionale, unitamente a politiche volte a favorire la trasformazione democratica di tutti i suoi Stati membri?

Riprendendo Kelsen, Levi ha sostenuto che la costruzione dello Stato parta dal giudiziario e che il Tribunale Penale Internazionale (TPI) potesse essere la prima istituzione in questa direzione, nel quadro di un gradualismo costituzionale mondiale. Ma è davvero così? E in quel caso quali dovrebbero essere i passi successivi? E quanto è rilevante l’assenza nel TPI di alcune delle maggiori potenze mondiali, come USA, Cina, India, Federazione Russa piuttosto che Indonesia, Pakistan o le Filippine, che da soli rappresentano oltre il 40% della popolazione della Terra e una percentuale ancor più alta del PIL mondiale? Insomma, una teorizzazione condivisa riguardo all’aspetto di struttura e storico-sociale del federalismo mondiale è tutta da costruire.
 

2. La strategia e l’organizzazione per un federalismo mondiale. 

Rispetto all’unificazione europea abbiamo dovuto riconoscere che, contro la logica, non si è partiti dall’unione politica e dalle istituzioni, e abbiamo dovuto sviluppare una serie di teorie e concetti specifici, come la distinzione tra integrazione (trasferimento di competenze) e costruzione (costruzione di istituzioni e trasferimento di poteri); tra crisi storica degli Stati nazionali e crisi specifica dei poteri nazionali, che aprono finestre di opportunità per l’avanzamento del processo e definiscono la natura e il settore dell’iniziativa che può avere successo; e appunto iniziativa federalista e leadership occasionale. Il MFE è passato nel corso della sua storia da una teoria della transizione ad uno stadio, la costituente, ad una teoria della transizione a più stadi, il gradualismo costituzionale. Rispetto all’obiettivo della federazione mondiale siamo sostanzialmente carenti di qualunque teoria della transizione sia rispetto alle tappe intermedie in termini istituzionali che geografici e di sovrapposizione dei processi federativi a livello regionale e mondiale. Possiamo teorizzare qualche forma di gradualismo costituzionale a livello mondiale? In che termini? Se l’ONU non è il quadro, ha senso battersi per l’assemblea parlamentare dell’ONU, ed eventualmente per la sua elezione diretta, in un contesto in cui molti Stati fondamentali non sono democratici? E quali sono gli attori e potenziali leader occasionali cui l’iniziativa federalista dovrebbe rivolgersi sul piano globale? O siamo ancora in una fase in cui qualunque rafforzamento della cooperazione internazionale, anche in assenza di una reale condivisione della sovranità va comunque considerato positivamente, in quanto rafforza la capacità di fornire beni pubblici globali, anche se con modalità poco efficienti e democratiche?

Tutto questo ha implicazioni anche rispetto alle modalità organizzative più idonee per condurre un’azione efficace. La cultura organizzativa del MFE si fonda sulla riflessione molto profonda sviluppata da Albertini sull’organizzazione necessaria a garantire l’autonomia politica, culturale e finanziaria di un Movimento federalista in grado di svolgere il ruolo dell’iniziativa.[23] Tale riflessione si collocava però in un momento storico ben preciso, sia per quanto riguardava il contesto politico-culturale in cui si svolgeva l’azione del Movimento, sia per quanto riguardava la condizione economico-sociale della società europea, l’organizzazione del lavoro ed i relativi vincoli posti all’azione individuale, sia infine per quanto riguardava l’organizzazione delle altre forze politiche e sociali e quindi degli strumenti più idonei per portare avanti un’interlocuzione politica efficace con esse, sia per quanto riguardava gli strumenti tecnologici a disposizione dell’azione politica.

La ricchezza della riflessione di Albertini ha per certi aspetti costituito un limite alla capacità del MFE di innovare la propria organizzazione a fronte delle trasformazioni tecnologiche e della società. Probabilmente nessuna organizzazione politica o della società civile in Italia ha oggi una struttura organizzativa simile a quella che aveva 30 anni fa, quanto il MFE. In occasione della Conferenza organizzativa di Lugo ho cercato di sviluppare una riflessione al riguardo, volta a preservare i fondamentali principi dell’autonomia culturale, politica e finanziaria del Movimento, e al contempo a individuare modalità idonee a cogliere le nuove opportunità e affrontare le nuove difficoltà e criticità che il contesto attuale pone all’azione federalista.

Alcune di tali idee sono poi state effettivamente messe in opera insieme ad altri militanti che le condividevano e hanno portato alla creazione del Centro studi, formazione, comunicazione e progettazione sull’Unione europea e la Global Governance e poi attraverso di esso alla creazione di Euractiv Italia. Tali strumenti hanno permesso di portare le posizioni federaliste nel quadro di contesti quanto meno refrattari, se non del tutto impermeabili all’azione del Movimento, di rafforzare la penetrazione del messaggio federalista nel contesto dei media italiani, nonché nel dibattito pubblico e in quello politico. Hanno permesso di svolgere un ruolo di esplicito sostegno e affiancamento dell’azione del Movimento – ad esempio con l’Appello degli intellettuali europei in vista della Marcia per l’Europa, con le proiezioni sul Colosseo realizzate grazie all’expertise maturata dal CesUE con le Giornate di Consapevolezza Europea, con il convegno realizzato all’Università di Roma Tre il giorno prima della Marcia cui hanno partecipato il premier estone Ratas, gli ex-premier italiani Letta e Monti, l’ex-ministro francese Alphandery, il presidente del Comitato delle Regioni Markkula e molte altre personalità politiche e della cultura europea – o di iniziativa politica a livello europeo come l’Appello per una risposta europea alla pandemia (lanciato quando non ve ne era la minima traccia) e i cui contenuti sono entrati nell’agenda europea in modo significativo, o a livello nazionale, come il Memo sull’unione dell’energia e della difesa i cui contenuti sono stati ampiamente ripresi nel dibattito parlamentare italiano dopo l’invasione russa all’Ucraina oltre che nella presa di posizione del Gruppo Spinelli e della successiva mozione del Parlamento europeo. Ma nel tempo molte altre realtà, ben più rilevanti del CesUE, si sono sviluppate su iniziativa di federalisti, dal Centro Studi sul Federalismo di Torino, al Centro studi Paride Beccarini dell’Emilia Romagna, oltre naturalmente all’Istituto Spinelli, alla Fondazione Bolis e alla Fondazione Albertini. Serve una riflessione su come realizzare le sinergie rese possibile da tale evoluzione.

Una riflessione rispetto ai modelli organizzativi necessari a sviluppare una capacità di riflessione globale sul piano mondialista — indispensabile per l’autonomia culturale — e di conseguenza una capacità d’azione globale fondata su una cultura condivisa, manca completamente. Ma si può osservare che anche sul piano mondialista assistiamo alla proliferazione di organizzazioni politiche o di riflessione sui temi mondiali, e alla sfida di come sfruttare al meglio le nuove tecnologie per rafforzare la capacità federalista di dibattito, elaborazione teorica, e azione e di come fare rete e sinergia tra il World Federalist Movement e la moltitudine di soggetti (associazioni, centri studi, fondazioni, ecc.) che si occupano in vario modo del processo di unificazione mondiale, della democrazia cosmopolita, della definizione di politiche globali per problemi globali, come, ad esempio, la tutela ambientale, ecc.
 

In conclusione. 

Spinelli e Albertini hanno sviluppato il federalismo europeo come un pensiero politico autonomo, cui hanno anche fornito una prospettiva mondiale. Tuttavia, l’elaborazione del federalismo come pensiero politico rispetto alla prospettiva mondiale è un compito ancora aperto e incompiuto, che ci sta di fronte e che dobbiamo affrontare per essere degni della tradizione cui cerchiamo di ispirarci.[24]

In questo breve e schematico contributo ho cercato di riflettere su alcune delle più evidenti lacune della nostra riflessione teorica, delineando una serie di domande che nel loro insieme costituiscono una specie di agenda di ricerca per il futuro, per me e spero per altri che come me considerano il federalismo come un pensiero politico da sviluppare sulla base dello straordinario patrimonio ricevuto, e da rinnovare per rispondere all’evoluzione del mondo e renderlo sempre più idoneo a comprendere, interpretare e dominare i processo in atto, in modo da tentare di incanalarli verso esiti federali, nella prospettiva di un’emancipazione umana e di una progressiva civilizzazione che sono tanto auspicabili quanto nient’affatto certe.

Roberto Castaldi


* Questo saggio rielabora le relazioni tenute in occasione delle riunioni dell’ufficio del dibattito del MFE a Genova nel 2022 e a Palermo nel 2009.

[1] Sulla distinzione tra interdipendenza in profondità e in estensione cfr. M. Albertini, L’«utopia» di Adriano Olivetti, Comunità, 19 n. 131 (1965), ora disponibile Id. (N. Mosconi ed.), Tutti gli scritti, V 1965-1970, Bologna, Il Mulino, 2008, p.116, http://www.fondazionealbertini.org/sito/albertini/vol_v/V-1965-19-L'utopia%20di%20Olivetti.pdf; e, in francese, L’«utopie» d’Olivetti, Le Fédéraliste, 7 n. 2 (1965), https://www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=article&id=1152&lang=fr.

[2] Al riguardo sono rilevanti, oltre all’azione e agli scritti di Altiero Spinelli, la storia della rivista Il Federalista, e le opere di Mario Albertini, interamente disponibili in M. Albertini (N. Mosconi ed.), Tutti gli scritti, voll. I-IX, Bologna, Il Mulino, 2006-2010, http://www.fondazionealbertini.org/sito/index.php?option=com_content&view=article&id=6&Itemid=105. Per una ricostruzione cfr. R. Castaldi, A federalist framework theory of European integration, Torino, Centro Studi sul Federalismo, 2005, ora disponibile su https://www.iris.sssup.it/retrieve/handle/11382/307092/1123/A%20Federalist%20Framework%20Theory%20of%20European%20Integration.pdf.

[3] Cfr. in particolare M. Albertini, Il Federalismo, Milano, Giuffrè 1963, ora disponibile anche in Id. (N: Mosconi ed), Tutti gli scritti, IV 1962-1964, Bologna, Il Mulino, http://www.fondazionealbertini.org/sito/albertini/vol_iv/IV-1963-22-Verso%20una%20teoria%20positiva%20ecc.pdf, e, sulla base di tale opera fondamentale, la successiva elaborazione teorica della tradizione federalista italiana, tra cui L. Levi, Il federalismo, Milano, Angeli, 1987, e Il pensiero federalista, Roma-Bari, Laterza, 2002; G. Montani, Il federalismo, l’Europa e il mondo, Manduria, Lacaita 1999.

[4] Per un’analisi di questa prospettiva con riferimento al federalismo, cfr. R. Castaldi, Federalism and Material Interdependence, Milano, Giuffrè, 2008, cap. 1, e G. Montani, Ideologia, economia e politica. Il federalismo sovranazionale come pensiero emergente, Pavia, Pavia University Press, 2019, specialmente cap. 1.

[5] Cfr. M. Albertini, Il Federalismo, op. cit. e per un’analisi, R. Castaldi, Federalism and Material Interdependence, op. cit., cap. 1.

[6] Per una riflessione in questa direzione cfr. G. Montani, Ecologia e federalismo: la politica, la natura e il futuro della specie umana, Ventotene, Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, 2004, disponibile su https://www.istitutospinelli.it/download/ecologia-e-federalismo/.

[7] Cfr. R. Marchetti, Democrazia globale, Milano, Vita e pensiero, 2008.

[8] Cfr. al riguardo L. Levi, Which Form of Government for the European Union?, Ventotene, Altiero Spinelli Institute, 2010, https://www.istitutospinelli.it/download/english-en6-which-form-of-government-for-the-eu/.

[9] Nelle scienze sociali l’utopia è un pensiero politico che cerca di modificare l’ordine esistente mettendo a nudo i suoi difetti e proponendo un ordine alternativo. L’ideologia è un pensiero politico che legittima fondamentalmente l’ordine esistente, pur auspicando miglioramenti marginali (per una trattazione classica cfr. K. Mannheim, Ideology and Utopia, London, Routledge & Kegan, 1953; e P. Ricour, Lectures on Ideology and Utopia, New York, Columbia University Press,1986 (trad. italiana, Conferenze su ideologia e utopia, Milano, Jaca Book, 1994.). Quasi tutti i pensieri politici hanno avuto una fase utopica e una volta raggiunti i propri essenziali obiettivi istituzionali sono entrati in una fase ideologica: R. Castaldi, Federalism and Material Interdependence, Milano, Giuffrè, 2008, cap. 1.

[10] Cfr. N. Elias, Potere e civiltà. Il processo di civilizzazione, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1983.

[11] Cfr. R. Keohane, Hobbes’s dilemma and institutional change in world politics: sovereignty in international society (1995), oggi in Power and governance in a partially globalized world, London and New York, Routledge, 2002, p. 72 sgg..

[12] Cfr. La federazione: costituzionalismo e democrazia oltre i confini nazionali, in A. Hamilton, J. Madison e J. Jay, Il Federalista, Il Mulino, Bologna, 1997.

[13] Cfr. in particolare F. Rossolillo, La sovranità popolare e il popolo federale mondiale come suo soggetto, Il Federalista, 37 n. 3 (1995), https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/saggi/126-la-sovranita-popolare-e-il-popolo-federale-mondiale-come-suo-soggetto.

[14] Cfr. K. Waltz, Theory of International Politics, Reading (Ma), Addison-Wesley, 1979.

[15] Cfr. I. Kant, Per la pace perpetua, anche in La pace, la ragione, la storia, Bologna, Il Mulino, 1985.

[16] Cfr. D. Elazar, Exploring Federalism, Tuscaloosa (Al), University of Alabama Press, 1987.

[17] Cfr. R. Keohane, Hobbes’s dilemma and institutional change…, op. cit, p. 74, corsivo nell’originale.

[18] Cfr. L. Levi, Crisi dello Stato e governo del mondo, Torino, Giappichelli, 2005 e R. Castaldi, A Contribution to a Theory of International Systems Change, Torino, Centro Studi sul Federalismo, 2002, https://www.iris.sssup.it/retrieve/handle/11382/307090/1121/A%20Contribution%20to%20a%20Theory%20of%20International%20Systems%20Change.pdf e Id., Federalism and Material Intedependence, op. cit..

[19] Cfr. L. Levi, L’unificazione del mondo come progetto e come processo. Il ruolo dell’Europa, Il Federalista, 41 (1999), https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/saggi/286-lunificazione-del-mondo-come-progetto-e-come-processo-il-ruolo-delleuropa.

[20] Cfr. F. Rossolillo, Il lungo cammino verso la Federazione mondiale, Il Federalista, 38 n.  3 (1996), https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/editoriali/140-il-lungo-cammino-verso-la-federazione-europea.

[21] Cfr. R. Castaldi, Fase politica e fase strategica dei processi di unificazione, Il Federalista, 43 n. 1 (2001), https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/le-discussioni/574-fase-politica-e-fase-strategica-dei-processi-di-unificazione.

[22] Cfr. M. Albertini, L’integrazione europea, elementi per un inquadramento storico (1965), in Id. (N. Mosconi ed), Tutti gli scritti, V 1975-1970, op. cit., http://www.fondazionealbertini.org/sito/albertini/vol_v/V-1965-21-L'integrazione%20europea,%20elementi%20ecc.pdf.; disponibile in francese: Id., L’intégration européenne, Le Fédéraliste, 7 n. 3-4 (1965), https://www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=article&id=1164&lang=fr.

[23] I più importanti scritti di Albertini sul tema sono stati raccolti nella Parte Ottava dell’antologia M. Albertini, Una rivoluzione pacifica, Bologna, Il Mulino, 1999, oltre a essere disponibili in Tutti gli scritti, op. cit..

[24] Particolarmente rilevante negli ultimi anni il contributo di G. Montani, Ecologia e federalismo: la politica, la natura e il futuro della specie umana, op. cit., Id., Il governo della globalizzazione: economia e politica dell'integrazione sovranazionale, Manduria, Lacaita, 2001; Grace, G. Montani, J. Pinder. Cambiamento climatico e federalismo, Ventotene, Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, 2008, https://www.istitutospinelli.it/download/it7-cambiamento-climatico-e-federalismo/; D. Archibugi, G. Montani. European Democracy and Cosmopolitan Democracy, Ventotene, Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, 2011, https://www.istitutospinelli.it/download/english-european-democracy-and-cosmopolitan-democracy/.

 

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