IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVI, 2014, Numero 1-2, Pagina 99

 

 

Ucraina, l’assenza di una politica europea

 

ALFONSO SABATINO

 

 

1. Un’Unione europea ignava e impotente destabilizza l’Ucraina e chiede aiuto agli USA.

Un’Unione europea (UE) ignava e impotente ha contribuito a destabilizzare l’Ucraina, ha acceso uno scontro internazionale, è stata sfidata da Vladimir Putin con l’annessione della Crimea alla Russia. Ha infine affidato agli Stati Uniti d’America la soluzione della crisi nonostante le umiliazioni subite con le intercettazioni telefoniche e le battute del Sottosegretario USA Victoria Nuland.

Per quanto riguarda l’Unione europea, i comportamenti di tutti i suoi attori politici durante l’intero percorso della crisi sono stati sconcertanti e rinunciatari. Con riferimento alle istituzioni europee, un qualsiasi governo democratico in carica che si fosse comportato con la stessa incompetenza avrebbe dovuto risponderne di fronte al proprio parlamento e, sicuramente, avrebbe ricevuto un voto di sfiducia. Da parte loro, i media, rispondendo al loro dovere di critica, avrebbero dovuto stigmatizzare i comportamenti dell’esecutivo e gli stessi cittadini avrebbero avuto tutto il diritto di scendere in piazza e attivare forme di protesta civile.

Nell’Unione europea a guida intergovernativa tutto ciò non si è manifestato e da tempo l’opinione pubblica non sanziona l’assenza di una politica estera dell’Europa, come non sanziona con vigore la riluttanza delle istituzioni europee a intervenire per il completamento dell’unione economica e monetaria e per il rilancio dell’iniziativa costituente. Né si può affermare che il comportamento delle istituzioni europee e dei principali paesi membri, nei confronti della questione ucraina, abbia mosso le forze politiche nazionali e le grandi famiglie europee dei partiti, in un momento politicamente sensibile per l’approssimarsi delle urne europee a maggio. Di fronte a tale inanità e incompetenza non c’è da meravigliarsi della diffusa sfiducia verso l’Europa, del dilagare dell’euroscetticismo e del nazionalismo populista.

* * *

L’UE si è mostrata per mesi ignava sulla questione ucraina nonostante i termini del problema fossero noti da tempo sia a Bruxelles sia nelle principali cancellerie europee.[1] Per anni, dal momento del suo accesso all’indipendenza nel 1991 a seguito dello scioglimento dell’URSS, l’Ucraina è stata un paese politicamente, economicamente e socialmente diviso sull’opzione europea e guardato a vista dalla Russia per il suo possibile scivolamento nell’UE e nella NATO. Data la sensibilità russa, Bruxelles ha sempre considerato prioritari, sino a tempi recenti, i rapporti di partenariato con Mosca e ha impostato i rapporti con Kiev solo su base subordinata, precisando i limiti dei propri interventi nelle sulle questioni interne. Vale la pena di ricordare che a fronte della “rivoluzione arancione” del 2004, determinata da brogli elettorali rivolti a impedire la vittoria di Viktor Yushenko, candidato filo-occidentale alla presidenza della Repubblica, l’allora Alto rappresentante per la PESC, Javier Solana, si era recato a Kiev per affermare l’interesse europeo alla regolarità delle consultazioni elettorali escludendo però l’esistenza di qualsiasi progetto europeo per l’adesione dell’Ucraina all’UE.[2]

Va poi aggiunto che Solana l’anno precedente aveva pubblicato il documento Un’Europa sicura in un mondo migliore, approvato dal Consiglio europeo del 12 dicembre 2003, nel quale aveva definito una strategia europea di sicurezza sostanzialmente valida ancora oggi. Dopo aver ricordato le sfide mondiali in corso (sicurezza, disponibilità di risorse naturali e dipendenza energetica), l’Alto rappresentante dava indicazioni di intervento su due assi: la creazione di un sistema multilaterale mondiale organizzato ed efficace, e la costruzione della sicurezza nelle aree di frontiera. Individuava poi i grandi interlocutori mondiali dell’Europa (USA, Russia, NATO e ONU) e quelli regionali (OSCE e Consiglio d’Europa) e raccomandava, specificamente, un rapporto efficace ed equilibrato con la Russia, definita “una componente di primaria importanza per la nostra sicurezza e la nostra prosperità”, per cui auspicava un partenariato strategico con essa sulla base del rispetto dei “comuni valori”.[3]

Nonostante la lezione del 2004, da un anno a questa parte, il Consiglio europeo si è fatto condizionare, invece, dagli interessi limitati dei paesi centro orientali e in particolare dalla Polonia e dalla Lituania, presidente del semestre europeo di luglio-dicembre 2013. Il Presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, il Presidente della Commissione José Manuel Barroso, e l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea Catherine Ashton hanno tutti assecondato il negoziato sull’accordo di associazione e di libero scambio dell’Ucraina all’UE, ignorando le reazioni di Mosca; la quale, tra l’estate e l’autunno 2013, aveva già segnato con il filo spinato il confine con l’Ucraina, in precedenza libero, raddoppiato i controlli e quasi bloccato in dogana le importazioni dall’Ucraina. I principali governi nazionali a Parigi, Berlino e Roma[4] per mesi non sono intervenuti, e le telefonate della Cancelliera Merkel al Presidente Putin quando ormai la situazione stava precipitando hanno solo mostrato i margini nulli di influenza internazionale della nazione europea più rilevante.

Il primo passo per tentare di risolvere la crisi, dopo il rovesciamento della Presidenza Yanukovich a Kiev in febbraio e il referendum filo russo in Crimea del 6 marzo, è stato affidato ai contatti diretti tra il Segretario di Stato USA John Kerry e il Ministro degli esteri russo Serghej Lavrov.

Un secondo passo, non risolutivo, dell’azione diplomatica attivata per superare la crisi è stato lo Joint Statement, Geneva Statement on Ukraina, siglato il 17 aprile 2014 a Ginevra dai rappresentanti dell’UE, degli USA, della Federazione Russa e della Repubblica di Ucraina. Il documento ha impegnato le parti firmatarie sulla cessazione delle violenze e delle provocazioni, ha mobilitato una missione OSCE per l’attuazione delle misure di pacificazione, sotto il monitoraggio americano e russo, e ha aperto a un processo costituzionale, fondato sul dialogo interno tra le forze politiche ucraine, rispettoso di tutte le regioni e gli interessi in gioco.[5] L’accordo, frutto dei contatti russo-americani, è stato subito definito insufficiente dal Presidente americano Barack Obama, mentre il Presidente russo Vladimir Putin nella sua intervista televisiva sempre del 17 aprile ha fatto capire chiaramente che avrebbe mantenuto la sua libertà di azione.[6] Tuttavia, le mosse del Presidente russo sono apparse dirette a non infiammare ulteriormente lo scontro. Ha infatti chiesto ai secessionisti filorussi ucraini delle province orientali di rinviare il referendum annunciato per l’11 maggio, senza essere in verità ascoltato; ha allentato la presenza militare russa ai confini dell’Ucraina e ha annunciato che avrebbe rispettato l’esito delle elezioni ucraine del 25 maggio.

Il terzo passo, anch’esso interlocutorio, si è avuto con l’incontro diretto e informale tra i Presidenti Obama e Putin del 5 giugno 2014 in Francia, a margine delle celebrazioni del settantesimo anniversario dello sbarco alleato in Normandia, in un clima di dovuta disponibilità al dialogo per una partita diplomatica ancora da giocare e soprattutto diretta, per il momento, a tenere sotto controllo gli sviluppi della crisi come è emerso nella riunione del G7 del 4 giugno a Bruxelles. Da parte occidentale si chiede alla Russia di togliere il proprio appoggio ai separatisti nelle regioni orientali di Donetsk e Luhansk e di avviare un dialogo con il nuovo Presidente ucraino Petro Poroshenko, eletto il 25 maggio, per trovare una soluzione politica alla rivolta. A sua volta la Russia chiede la fine della repressione militare del movimento scissionista da parte di Kiev e l’apertura di un negoziato sull’assetto federale dello Stato ucraino che rispetti le differenze interne della popolazione sul piano etnico, linguistico e religioso.

Sia a Ginevra, sia in Normandia, siamo di fronte a tentativi di tregua non risolutivi delle questioni di fondo, ma il dato certo, al momento, è che il gioco è condotto dal Presidente della Federazione Russa il quale ha aumentato i suoi margini di manovra con l’accordo stipulato con la Cina il 21 maggio per una fornitura trentennale di gas da 400 miliardi di dollari e con la fondazione del’Unione euroasiatica avvenuta il 29 maggio, sia pure con l’assenza dell’Ucraina.[7]

 

2. L’Ucraina: un paese diviso e conteso.

Gli elementi di valutazione della situazione ucraina già in possesso di Bruxelles e delle cancellerie europee, e che erano stati alla base della linea europea in occasione della “rivoluzione arancione” del 2004, sono stati confermati anche dagli avvenimenti recenti. L’Ucraina continua ad essere un paese diviso tra l’opzione filo-occidentale e quella filo-russa. Le componenti dell’una o dell’altra parte hanno difficoltà di reciproco dialogo e di intesa.

Le divisioni sono probabilmente il portato della storia complessa e drammatica di una regione di confine tra l’Europa centrale e l’Europa orientale e soprattutto delle numerose vicende del XX secolo. Il paese ha visto oscillare la frontiera occidentale a seguito degli eventi della prima guerra mondiale e della pace di Brest Litowsk (1917), della guerra sovietico-polacca (1919-1921) e della seconda guerra mondiale. Alla fine della seconda guerra mondiale l’URSS aveva definitivamente incorporato nell’Ucraina parti della Galizia (Leopoli), della Rutenia e della Bucovina (Cernowitz), tutti territori asburgici passati tra le due guerre rispettivamente alla Polonia, alla Cecoslovacchia e alla Romania. Inoltre, dopo la rivoluzione bolscevica, la parte centrale e orientale del paese fu teatro di eventi che hanno lasciato il loro segno: lo scontro tra l’Armata Bianca del generale zarista Anton Denikin e l’Armata Rossa di Lev Trotzkij; l’industrializzazione sovietica delle province orientali, dove ancora oggi si concentra la grande industria carbosiderurgica, metalmeccanica, chimica e aerospaziale del paese; la collettivizzazione forzata delle terre e la repressione dei contadini benestanti o medi proprietari (kulaki); la carestia degli anni 1932-33 determinata dallo stesso disordine nelle campagne. Tutto il territorio fu ancora teatro drammatico degli eventi bellici tra il 1941 e il 1944, dall’avanzata tedesca e alla controffensiva sovietica, e dell’Olocausto. I tedeschi formarono anche reparti ucraini della Wermacht e soprattutto delle SS che, tra l’altro, furono impiegati nella repressione della rivolta del Ghetto di Varsavia (1943). Purtroppo tracce di tale passato sono emerse anche nelle manifestazioni di piazza a favore dell'accordo di associazione all’UE e in particolare a Leopoli, dove il 27 gennaio 2014, giornata della memoria in quanto anniversario della liberazione di Auschwitz, sono apparsi manifestanti inneggianti a Stepan Bandera, leader nazionalista tra le due guerre mondiali.

Sia nel periodo zarista, sia in quello sovietico nessuno ha mai messo in discussione a Mosca il rapporto con l’Ucraina, considerata parte integrante del sistema politico e della storia russa. Personalità ucraine di rilievo, come Kruschev e Breznev, sono giunte ai vertici dell’Unione Sovietica. Kruschev nel 1954 attribuì la Crimea, storicamente russa, all’Ucraina nell’ambito di un trasferimento di poteri considerato di natura amministrativa, dato il centralismo moscovita guidato dal partito comunista. Va rilevato che l’Ucraina sovietica dal 1924 era formalmente una repubblica federata nell’URSS con proprie strutture di governo nazionale e, come la Bielorussia, con una propria rappresentanza all’ONU sin dal 1946.

L’Ucraina indipendente ha partecipato alla fondazione della Comunità degli Stati indipendenti (CSI) nel 1991 ma non ha mai ratificato il relativo trattato di adesione e il 19 marzo 2014 ha cancellato, infine, definitivamente tale impegno. Dopo lo scioglimento dell’URSS, tutti i governi ucraini hanno sempre inserito nei loro programmi l’adesione all’UE, compresi quelli guidati da esponenti definiti filo russi, come il Presidente Viktor Yanukovich, in carica a partire dal 2010 e rovesciato il 22 febbraio 2014 dal voto del parlamento di Kiev a seguito delle pressioni della piazza. E’ stato proprio il Presidente Yanukovich a condurre le trattative con l’UE, salvo poi sospendere nel dicembre 2013 la firma dell’accordo di associazione e di libero scambio, a seguito degli inviti pressanti, e dei programmi di aiuto promessi, dalla Russia per la partecipazione al progetto alternativo di Unione eurasiatica assieme alla Bielorussia e al Kazakistan. Le manifestazioni di piazza a Kiev, sono iniziate proprio l’autunno scorso per il crescente orientamento di Yanukovich a favore di Mosca, che offriva aiuti economici immediati per 15 miliardi di dollari in acquisto di titoli del Tesoro ucraino e una riduzione del prezzo per le forniture del gas da 400 a 268,50 dollari per ogni mille metri cubi. In precedenza, quando era all’opposizione, Yanukovich si era sempre schierato contro le aperture all’Europa.

Yanukovich è stato maldestro nei rapporti con l’UE, con le manifestazioni di piazza represse con brutale durezza e, infine, è apparso maldestro anche nei confronti dello stesso Putin, che dopo la sua fuga da Kiev a fine febbraio lo ha completamente abbandonato.

Va aggiunto che il tentativo della missione a Kiev del 21 febbraio 2014 dei tre ministri Fabius (Francia), Sikorski (Polonia) e Steinmeier (Germania), per favorire il dialogo tra governo e opposizione, non è riuscito e il giorno successivo si è avuto l’immediato rovesciamento della presidenza Yanukovich da parte di una maggioranza parlamentare che comprendeva anche membri del suo stesso partito (il Partito delle Regioni). Il Parlamento ha preso la decisione quasi all’unanimità sotto la pressione di una manifestazione popolare che si dirigeva verso la sua sede e nella quale, come ormai si verificava da giorni, erano presenti squadre violente e armate dei movimenti di destra Pravij Sektor e Svoboda. Nelle settimane precedenti c’erano state anche occupazioni di sedi della polizia, sequestri di appartenenti alle forze dell’ordine, scontri armati tra reparti di polizia e manifestanti con morti e feriti da entrambe le parti.

Nel nuovo governo provvisorio, formato in attesa delle elezioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in sostituzione di Yanukovich, convocate per il 25 maggio e guidato dal premier Arsenij Yatsenjuk del partito Patria,[8] sono entrati esponenti di Svoboda. Questi episodi hanno permesso alla Russia di definire un golpe il rovesciamento di Yanukovich e comunque nulla esclude, come in altri casi (Yushenko nel 2001),[9] che il comportamento della piazza e l’improvvisa conversione del Parlamento contro Yanukovich, dove egli disponeva di una maggioranza a seguito delle libere elezioni del 2010, mai contestate nel paese, sia avvenuto su pressione del sistema di potere degli oligarchi.

La fuga di Yanukovich in Russia e l'istituzione di un nuovo governo ad interim a Kiev, hanno avviato una delle peggiori crisi politiche post-Guerra fredda. Subito dopo forze militari “non identificabili” hanno preso il controllo della penisola di Crimea, regione con popolazione a maggioranza russa, che domenica 16 marzo ha votato massicciamente in un referendum a favore dell'annessione a Mosca.[10]

 

3. Uno Stato “fragile” da rifondare.

L’Ucraina è uno Stato “fragile”, se non “fallito”. Dalla dichiarazione di indipendenza del 1991 a oggi nessun governo si è posto il problema del consolidamento politico-istituzionale e della modernizzazione economica. Nonostante la sua autonomia formale in seno all’Unione Sovietica, il paese non ha mai sviluppato una classe politica autenticamente nazionale poiché a Kiev gli organi di governo erano la cinghia di trasmissione degli ordini provenienti dal Presidium del Soviet supremo. Con l’indipendenza, il paese si è ritrovato diviso tra filo occidentali e filo russi e ciò ha impedito l’introduzione di riforme incisive esponendolo alle oscillazioni della politica internazionale. Nel periodo 1991-2000 l’Ucraina ha visto ridurre di due terzi il proprio PIL a causa delle ripercussioni della crisi finanziaria del 1998. Allo stesso modo, dopo la crisi del 2007-08 ha registrato una caduta del PIL di un terzo, in parte poi ricuperata. Attualmente il PIL nominale, pari a circa 190 miliardi di dollari, è il doppio del valore del 1991 (90 miliardi di dollari) mentre quello russo è triplicato e quello della Polonia si è moltiplicato per 7,5 volte.[11] L’Ucraina ha una popolazione di oltre 45 milioni di persone e registra un prodotto procapite tra i più bassi in Europa di poco superiore a 4 mila dollari l’anno, industrie non competitive, ad alto tasso di consumo energetico e fortemente inquinanti. Non a caso oltre 5 milioni di ucraini sono emigrati.

Le privatizzazioni, come negli anni Novanta in Russia e in altri paesi già membri dell’Unione sovietica, sono state realizzate frettolosamente a vantaggio di un gruppo di oligarchi provenienti dalle gerarchie dell’ex partito comunista. Anche la classe politica che ha retto fino ad oggi il paese proviene dalle file dell’ex partito comunista ed è condizionata apertamente dal potere oligarchico. La transizione all’economia di mercato ha comportato un travaglio politico-sociale acuto, con una rapida concentrazione della ricchezza nelle mani di una cerchia di potere ristretta e l’abbassamento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, tra l’altro privata dei servizi sanitari e assistenziali prima erogati dallo Stato, data la loro privatizzazione. Lo scambio politico partiti-oligarchi-elettori si è retto finora sulla politica dei sussidi elargiti dal governo e sul prezzo calmierato per gli usi domestici e industriali del gas importato dalla Russia e del carbone prodotto nel bacino del Donbass. Il ministero dell’energia è libero di assegnare i sussidi che riducono a 1/5 il prezzo del gas e alla metà quelli del carbone, alimentando, in tal modo, corruzione e sprechi. La rete di distribuzione del gas è stata privatizzata senza controlli, non produce profitti e gettito fiscale per lo Stato. Non è sottoposta a manutenzioni efficienti ed è soggetta a perdite e furti che colpiscono anche i flussi in transito verso l’Europa occidentale.

L’energia a buon mercato è un’eredità del sistema sovietico. Tuttavia, dopo l’indipendenza del paese, assieme all’esistenza di un mercato parallelo alimentato dai sussidi, tale politica ha generato un forte flusso di rendite, fino al 5% del PIL nazionale in certi anni, che è stato accaparrato dai gruppi oligarchici attraverso la vendita agli europei e alle industrie, come la siderurgia o la produzione di fertilizzanti, a forte intensità energetica. Il flusso di rendite ha prodotto una classe dirigente, politica e imprenditoriale, interessata a mantenere lo status quo. I noti protagonisti dell’attuale fase politica, Yanukovich, Tymoshenko, Turchynov, Poroshenko, Yatsenjuk sono i protagonisti della “rivoluzione arancione” del 2004 e costituiscono il gruppo dirigente che si è alternato al potere negli ultimi venti anni. Nessuno aveva interesse a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas russo e i dissidi all’interno della famiglia oligarchica riguardavano la ripartizione della rendita. La riduzione della dipendenza energetica esterna dal 50% al 40% è la risultanza dell’accordo oneroso del marzo 2010, stipulato dall’allora Primo ministro Julia Tymoshenko (già precedentemente arricchitasi con l’intermediazione sul gas) con il fornitore russo Gasprom.[12] Ciò spiega il processo a cui fu poi sottoposta la Tymoshenko e sembra, infine, che la rivolta del sistema di potere contro Yanukovich sia stata determinata dalla reazione degli altri oligarchi al suo tentativo di appropriarsi di una maggiore rendita sulle forniture russe a buon mercato offerte da Putin.

I benefici per la popolazione e il sistema produttivo dovuti ai prezzi bassi dell’energia sono stati sempre annullati nel periodo post-sovietico dal malgoverno, dalla diffusa corruzione, dall’alta intensità delle emissioni di CO2 e dall’abbandono dell’agricoltura.

Da anni non ci sono investimenti rilevanti per valorizzare i giacimenti di gas presenti nel paese. Il bilancio dello Stato, infine, è gravato da deficit e da debito pubblico, entrambi elevati e di impossibile contenimento data la situazione di bancarotta dell’economia.

Oggi, la Russia vanta un credito per forniture di gas non pagate,[13] ha portato a marzo il prezzo del gas a circa 500 dollari dopo l’insediamento del governo ad interim di Arsenij Yatsenjuk, rivendica il pagamento di forniture ancora insolute, la restituzione degli sconti concessi in passato e minaccia di chiudere il rubinetto del gas. Peraltro, a fronte di tale minaccia, l’ipotesi alternativa di fornire gas UE all’Ucraina dalla rete slovacca presenta due vincoli. Il primo vincolo è dato dal fatto che l’UE è ampiamente deficitaria di tale risorsa e dovrebbe comunque importarla a sua volta dalla Russia stessa, dall’Algeria o in futuro da Cipro/Israele o dagli Stati Uniti (shale gas); il secondo vincolo è dovuto ai tempi tecnici necessari per l’intervento sugli impianti della rete diretti a invertire lo scorrimento dei flussi di gas verso oriente essendo essi stati concepiti in termini unidirezionali.

E’ chiaro che al paese è mancata una leadership forte, capace di guidare la transizione dopo il crollo sovietico, come invece è parzialmente avvenuto in Russia a seguito della crisi finanziaria del 1998. Di conseguenza, il sistema politico rimane non credibile e sottoposto ai ricatti dei principali oligarchi industriali e bancari. Non a caso importanti commentatori economici occidentali si chiedono com’è possibile risanare il paese.[14]

Il Trattato di associazione e di libero scambio, concordato dall’UE con l’Ucraina, prevede l’abolizione immediata al 90% dei dazi doganali di importazione da parte europea e la sospensione temporanea dell’adeguamento di Kiev agli standard produttivi UE. Ciò non basta poiché il paese ha bisogno di 35 miliardi di euro entro l’inizio del 2016 e c’è da chiedersi chi sia pronto a pagare tra i paesi dell’Unione europea dopo le resistenze emerse riguardo all’aiuto alla Grecia, che pure è un paese membro.

L’UE ha subordinato, inoltre, i propri piani di aiuto, valutati in 11 miliardi di euro, alle misure di risanamento indicate dal FMI per la concessione dei prestiti: misure dirette a rimuovere il sistema di sussidi e a combattere la corruzione. Una parte dello stesso sistema industriale è preoccupata dell’apertura all’UE e della conseguente concorrenza commerciale. Il trattato di associazione, infatti, avrà certamente conseguenze sull’export che nel 2012, secondo fonti giornalistiche, si è diretto per 12,9 miliardi di euro verso l’UE e per 12,3 miliardi verso la Russia. Oggi però Mosca promette barriere doganali capaci di ridurre del 24% tale flusso mentre non si avrebbero effetti immediati sull’incremento dell’export verso l’UE data la qualità dei prodotti, distante dagli standard europei. Le importazioni dalla Russia rappresentano un terzo dell’import nazionale e sono pari a 18,8 miliardi di dollari soprattutto per il gas. Dati gli aggiornamenti dei prezzi, sia l’industria, sia le famiglie, dati i livelli di reddito, non sono in grado di sopportare l’onere della bolletta del gas a prezzi di mercato internazionale.

Per il momento, il 21 marzo 2014 è stata firmata a Bruxelles solo la prima parte, quella politica, dell’accordo di associazione e di libero scambio tra UE e Ucraina.[15] Essa include i capitoli sui valori democratici e sulla politica estera e di sicurezza, in particolare prevede una cooperazione rafforzata su questioni regionali, prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi, armi di distruzione di massa e disarmo. I leader UE si sono impegnati a firmare successivamente, dopo le elezioni presidenziali ucraine di maggio, i restanti capitoli economico-commerciali, energetici e quelli per la liberalizzazione dei visti. Il nuovo Presidente Petro Poroshenko, nel suo discorso di insediamento del 7 maggio, si è dichiarato pronto a sottoscrivere subito la parte restante dell’accordo, ma i veri nodi da sciogliere sono la destabilizzazione in corso nelle regioni russofile, il gioco della Russia, e il possibile negoziato tra Bruxelles, Kiev e Mosca.

 

4. L’opzione negoziale e l’assenza di una politica da parte UE.

L’Europa non può permettersi l’esplosione di nuove violenze nel paese; né può accettare che la Russia spinga l’Ucraina a una guerra civile distruttiva e internazionalmente pericolosissima come si sta tuttora delineando.

Circa le manifestazioni secessionistiche, non può esere dimenticato il fatto che sono in parte alimentate dall’approccio monoculturale, monolinguista e assimilazionista adottato dai nazionalisti ucraini. La sfida è quella di mantenere l’unità dello Stato ucraino, grazie a una sua federalizzazione su base etnico-linguistico-religiosa garantita in sede internazionale,[16] alleviare il disagio sociale dovuto alla transizione economica e allo stesso tempo garantire i diritti civili e politici delle minoranze russa (circa il 20% delle popolazione) e russofona (un altro 20% della popolazione) del paese[17] nonché delle minoranze ucraine e tartare della Crimea passata alla Russia. Per quanto riguarda quest’ultima, occorre riconoscere realisticamente la difficoltà del suo ritorno sotto la sovranità di Kiev dopo il referendum del 16 marzo e gli accordi di Ginevra del 17 aprile 2014 silenti sulla questione. La Russia non può rinunciare al controllo diretto della base navale militare di Sebastopoli e ritornare alla condizione di affittuario precedente alla crisi. Essa sa che nessuno è disposto ad affrontare un conflitto per la Crimea. La Russia tende inoltre ad assumere strumentalmente la tutela delle minoranze in Ucraina e potrebbe estendere tale ruolo incendiario nelle repubbliche baltiche,[18] dove vivono consistenti minoranze russe con diritti politici limitati che contrastano con i trattati europei e i contenuti della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Occorre quindi evitare di offrirle ragioni di interferenza in Ucraina come nei paesi baltici.

Per quanto riguarda il gioco della Russia, e soprattutto alla luce del negoziato concluso a Ginevra, il punto da chiarire è fin dove vuole spingersi il Presidente Putin e i limiti della sua brinkmanship.[19] Vuole spaccare l’Ucraina per annettersi le regioni russofile, sedi della grande industria con asset strategici per il rilancio economico nell’area euroasiatica e per le interconnessioni produttive con l’industria russa degli armamenti, oppure vuole costituirsi una base negoziale per ottenere, in un futuro prossimo, dal mondo occidentale e dagli ucraini l’adesione al suo disegno di Unione euroasiatica? La prima via è esiziale e senza sbocco politico, può aprire una nuova Guerra fredda, una ferita nel contesto europeo insopportabile per l’Occidente democratico e capace di alimentare terrorismo e altre forme di destabilizzazione politica e di sicurezza. Si gelerebbero le relazioni dell’UE con la Russia con danni reciproci e lo stesso disegno putiniano dell’Unione euroasiatica sarebbe definitivamente incrinato. Diventerebbe un disegno imperiale e autocratico russo, senza capacità aggregante.

E’ proprio sulle limitate possibilità di manovra di Mosca che l’UE potrà e dovrà giocare il suo ruolo negoziale autonomo per stabilire con la Russia intese di lungo periodo innovative, per rafforzare la sicurezza reciproca e per salvare la fruttuosa cooperazione commerciale e tecnologica. Allo stesso tempo, per evitare le spinte autoritarie del Cremlino, dovrà riuscire a bloccare il separatismo filo russo delle province orientali e meridionali dell’Ucraina, e sostenere quindi l’unità del paese promuovendo al suo interno l’affermazione dello Stato di diritto e il benessere. L’Europa dovrà pertanto far tesoro dell’affermazione di Henry Kissinger: “Per l’Occidente la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica, bensì un alibi per l’assenza di quest’ultima”.[20] Demonizzare Putin, infatti, significa proprio non avere una politica. E l’assenza di una politica è di per sé fattore di disgregazione interna per l’UE poiché spinge i singoli paesi membri a comportamenti divergenti nelle relazioni internazionali secondo i propri interessi nazionali. Spinge i paesi baltici e dell’Europa centro orientale (portati a mettere in sicurezza i propri confini orientali che sentono minacciati, date le loro esperienze storiche e il vulnus lasciato dal lungo dominio sovietico) a rifugiarsi sotto l’ombrello protettivo della NATO, che è così incoraggiata a proiettare la propria espansione anche all’interno dell’ex Unione Sovietica, provocando le reazioni di Mosca. D’altro lato, l’assenza di una politica europea destabilizza anche la Russia perché ne rafforza le spinte autoritarie interne a danno dell’affermazione delle istanze liberal-democratiche presenti al suo interno.

La Russia non è più l’Unione Sovietica né l’impero zarista. E’ un paese uscito da poco e faticosamente dalla transizione post-sovietica, in calo demografico e con un’economia che non riesce a diversificarsi e diventare competitiva nel mondo globalizzato, che non riesce a sottrarsi al vincolo della dipendenza dalle esportazioni di fonti energetiche e di armamenti e possiede un potenziale produttivo ancora non pienamente sfruttato. L’attuale quadro dirigente russo vuole garantirsi la sicurezza esterna a fini interni. La globalizzazione ha indebolito gli strumenti di sovranità e Putin sa che non può isolarsi o subire un equilibrio internazionale multipolare strutturalmente instabile. La Russia odierna non vuole rischiare di cadere nella trappola delle buone intenzioni occidentali come avvenne per Gorbaciov.[21] Mosca ha inoltre il vincolo del controllo di un territorio vastissimo, dotato di risorse naturali ingenti e scarsamente popolato, in cui sono presenti tentazioni secessionistiche. Ha la necessità di ristabilire le interdipendenze strutturali affermate ai tempi dell’URSS, nonché mantenere i propri accessi ai mari e avere frontiere sicure in Europa, nel Caucaso e in Asia centrale. Il progetto di Unione eurasiatica ha, innanzitutto, valenza geopolitica per il rilancio della CSI, altrimenti tutta l’area ex sovietica asiatica potrebbe diventare oggetto di contesa con altri vicini e in particolare con la Cina. L’UE non può ignorare la portata stabilizzatrice di tale progetto e dovrebbe in realtà sostenerlo con una valida politica di vicinato e un forte e trainante modello di sviluppo.

Pertanto, da parte europea occorre un cambio di visione politica e di strategia. E’ molto significativa al riguardo la riflessione espressa in un documento del Senato della Repubblica del 2008: “È impossibile negare le difficoltà in cui versano oggi le relazioni tra la Russia e l’Occidente. […] Entrambi hanno interesse che questi legami di cooperazione non siano interrotti. Per quanto riguarda gli europei, l’interdipendenza energetica è di gran lunga il fattore principale che gioca contro un ulteriore inasprimento dei rapporti, ma non è il solo. L’UE più degli USA considera la Russia un interlocutore da trattare in modo paritario e ha un grande interesse a che le relazioni con Mosca migliorino e anzi si allarghino a nuovi settori di interesse comune. In ultima analisi, la migliore garanzia per un riavvicinamento pragmatico tra Russia e Occidente è che fra i membri dell’UE e fra europei e americani si trovi una più coerente linea comune su come gestire le relazioni con Mosca e affrontare i contenziosi aperti. Questo implica con ogni probabilità una maggiore attenzione agli interessi di sicurezza russi e qualche inevitabile concessione alle richieste di Mosca. Il Cremlino non ha tuttavia risorse sufficienti per opporsi con successo ad un fronte transatlantico sufficientemente unito. Finché potrà giocare sulle divisioni in campo occidentale sarà in grado di mantenere l’iniziativa su una serie di questioni. Ma se quelle divisioni dovessero essere superate sulla base di una linea che sappia coniugare apertura e fermezza, dovrebbe per forza di cose mostrarsi più disponibile al compromesso e alla cooperazione”.[22] Emerge chiaramente da tale lettura che l’UE non deve solo tornare al dialogo con la Russia ma deve assumere un proprio ruolo anche nei confronti degli USA. Deve assumersi le proprie responsabilità senza rifugiarsi impotente sotto l’ombrello protettivo americano per essere poi disprezzata da Washington. Ne vanno di mezzo la sua credibilità internazionale, la sua indipendenza, la sua coesione.

 

5. L’urgenza di un equal partnership con gli Stati Uniti d’America: le condizioni.

L’assenza di una politica estera europea, intesa in senso lato, è quindi il nodo da sciogliere da parte dell’UE anche per quanto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti d’America, che non possono, ovviamente, essere improntati alla dipendenza e alla subordinazione. La definizione di una linea politica autonoma, fondata sulla equal partnership con Washingon, costituisce per l’UE la condizione necessaria per potere affrontare da protagonista un negoziato costruttivo con la Russia senza lasciare ad altri il ruolo di mediatore.

Infatti, va denunciato il fatto che, dopo avere innescato una crisi nei rapporti tra Occidente e Russia, gli europei abbiano chiesto aiuto agli Stati Uniti, peraltro già impegnati con la Russia in una difficile azione diplomatica per uscire dalla guerra civile in Siria e per negoziare il futuro del nucleare iraniano. Temi entrambi di primario interesse europeo.

Le risposte sull’Ucraina da parte del Presidente americano Barack Obama, sollecitate dagli europei, sono state, alla prova dei fatti, modeste e non incisive per Mosca, quali la sospensione della Russia dal G8 con l’annullamento del vertice previsto a Sochi, il varo di sanzioni limitate come il diniego dei visti per un numero circoscritto di personalità russe. Al contrario, il conto presentato dal Presidente Obama agli europei imploranti protezione è stato molto più insidioso e rivelatore. In particolare, va ricordato che Obama ha chiesto agli europei la conclusione entro un anno del negoziato sul Transatlantic Trade & Investment Partership (TTIP), l’aumento della loro spesa per gli armamenti, e ha mostrato una disponibilità a vendere loro shale gas. Tre offerte sulle quali gli europei dovrebbero decisamente riflettere.

Il negoziato TTIP è, infatti, una trattativa complessa il cui esito rischia di scardinare le filiere produttive infraeuropee che si sono affermate con il mercato interno e l’unione monetaria e potrebbe accrescere la dipendenza tecnologica europea dagli Stati Uniti d’America. Le imprese europee grandi o piccole finirebbero con essere attratte dalla cooperazione con le consorelle di oltre atlantico, che hanno maggiori opportunità finanziarie e tecnologiche, a danno della loro cooperazione e del rafforzamento reciproco. Conseguentemente la cooperazione con gli Stati Uniti finirebbe con incidere sulla coesione infraeuropea, coinvolgendo le imprese e le regioni europee più competitive ed emarginando le imprese e le regioni in ritardo.[23] Per quanto poi riguarda la spesa per armamenti, i singoli paesi europei devono prioritariamente razionalizzare i loro sistemi militari e selezionare il modello di difesa più rispondente a un concetto strategico autenticamente europeo e sovranazionale prima di aumentare una spesa militare che oggi non possono permettersi per il consolidamento fiscale in cui sono impegnati. Soprattutto devono declinare il concetto di difesa in termini di sicurezza (vedi documento Solana 2003) che comporta una politica estera autonoma, democraticamente legittimata, e diretta a rafforzare le condizioni di stabilità internazionale. Gli europei devono trarre la lezione dalla fine delle egemonie in corso e quindi impegnarsi a rafforzare le strutture di governo internazionale parziale a carattere regionale o globale; e cercare di crearne delle nuove, se necessarie, per la costruzione della pace mondiale secondo l’imperativo kantiano.

Nel contesto della globalizzazione (senza governo), dell’equilibrio multipolare mondiale (fragilissimo) e della sovranità statale (non più sostenibile) non c’è spazio per pericolosi confronti di potenza. La disponibilità di armi di distruzione di massa espone al rischio dell’olocausto tutta l’umanità e gli stessi conflitti convenzionali hanno dimostrato di non risolvere i problemi ma di aggravarli (guerra Iraq-Iran, Afganistan, Iraq, ma anche le guerre civili, vedi Siria).

L’America, a sua volta, non può permettersi impegni militari dopo le guerre perdute in Vietnam, in Iraq e in Afghanistan. Non ha ragioni politiche, né risorse, per sostenere interventi armati. Può solo monitorare il livello di sicurezza internazionale con qualche flessione muscolare, come ha fatto con il caso ucraino, cercando poi il compromesso.[24] Sulla base di tale ottica, il presidente Obama ha definito la Russia una “potenza regionale” e quindi portatrice di pericoli di secondo rango.

Gli Stati Uniti considerano, infatti, il teatro del Pacifico più strategicamente rilevante di quello europeo orientale perché sono preoccupati per l’espansionismo della Cina, paese candidato a scavalcarli come prima potenza mondiale.[25] Hanno inoltre il problema di proteggere Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Filippine, Sud Est asiatico e soprattutto di evitare che si affermino a Tokio pericolose tentazioni di riarmo.

Infine, proprio per completare l’analisi, l’offerta di shale gas equivale alla promozione di una fornitura alternativa, disponibile tra anni, che non risolve il problema cruciale immediato della dipendenza esterna europea.

* * *

Da queste considerazioni, emerge in modo evidente l’esigenza del rapido rafforzamento politico-istituzionale dell’UE e della realizzazione del governo federale per dare all’Europa la sua autonomia tecnologica, produttiva, energetica e di sicurezza. Senza autonomia si diventa servi sciocchi, non si dominano i processi e si minano le basi interne della democrazia come sta avvenendo in Europa con l’euroscetticismo e il populismo.

E’ per queste ragioni che occorre, con urgenza, un equal partnership con gli Stati Uniti d’America.

Le aperture sul commercio e gli investimenti transatlantici si possono fare ma da posizioni di forza paritarie, non con gli europei in ordine sparso. Diventa pertanto essenziale il completamento da parte europea dell’Unione economica e monetaria nelle sue articolazioni dell’unione bancaria, fiscale, economica. Il completamento non è soltanto un obiettivo rivolto a rilanciare la credibilità del processo europeo, ma è anche un punto di appoggio strutturale per una cooperazione economica e finanziaria con l’area del dollaro in condizioni di stabilità monetaria e per una riforma del sistema monetario internazionale quale base per il governo dei processi della globalizzazione. Inoltre, occorre che l’UE superi l’assetto decisionale intergovernativo e si dia strutture federali di governo sovranazionale legittimate democraticamente per l’efficienza della sua capacità di decisione e di azione.

L’UE deve darsi, inoltre, chiari obiettivi di sviluppo, coerenti con le aspettative dei cittadini europei e le compatibilità ambientali planetarie,[26] grandi progetti europei, come è avvenuto in passato con Airbus, Ariane, l’alta velocità ferroviaria, e investire molto in ricerca, innovazione e istruzione. Le analisi ci sono, i progetti anche, occorre attivarli. L’Europa deve riuscire a imporre al mondo il suo modello di pace e di sviluppo sostenibile, attento ai problemi del rispetto ambientale, della salute delle persone, degli animali e delle piante, attento al risparmio e all’efficienza energetica e alla diffusione delle energie rinnovabili per la riduzione delle emissioni di CO2 e per risparmiare e lasciare in eredità alle future generazioni le attuali disponibilità minerarie di idrocarburi e carbone. Non possono, infine, essere tralasciate le riserve europee sul nucleare, dopo Chernobyl e Fukushima, e sulle prospezioni off shore, dopo il disastro della piattaforma Deepwater Horizon al largo delle coste degli Stati Uniti d’America nel Golfo del Messico. Né la fragilità geologica europea può permetterci lo sfruttamento dei giacimenti di shale gas.

 

6. I limiti della brinkmanship di Mosca.

La riflessione su questi punti è strategica specialmente per il rapporto con la Russia. L’Unione europea deve individuare i punti di forza e i punti di debolezza propri e della Russia per trovare una via negoziale di soluzione alla questione ucraina che allontani i rischi dell’inasprimento dello scontro, della guerra civile in Ucraina, di un nuovo confronto est-ovest esiziale per la democrazia e il benessere di tutti.

La brinkmanship di Vladimir Putin ha i suoi limiti, sebbene la rapida annessione della Crimea lo abbia provvisoriamente rafforzato a Mosca alimentando il nazionalismo russo. Il suo punto debole non è neppure costituito dalle sanzioni occidentali, di difficile realizzazione data la dipendenza europea dalle importazioni di gas e petrolio russo. Il suo punto debole sta proprio nella Russia che non può chiudersi e isolarsi dal mondo se vuole proseguire sulla strada della modernizzazione e del consolidamento politico, economico e sociale post sovietico.

La base di consenso interno del Presidente Putin poggia oggi sull’avvenuto risanamento dello Stato e dell’economia russa dopo gli anni di sbandamento della presidenza di Boris Eltsin che portarono alla crisi finanziaria del 1998.[27] L’intera economia e l’amministrazione pubblica erano allora allo sbando per i mancati interventi strutturali. Lo smantellamento del capitalismo di stato e dell’economia pianificata aveva arricchito un gruppo di spregiudicati oligarchi usciti dalla nomenclatura dell’ex-PCUS. I dipendenti pubblici e i membri delle forze armate dovevano attendere mesi per percepire lo stipendio, le imprese commerciavano sulla base del baratto per carenza di circolazione monetaria e l’arretratezza del sistema creditizio, gli investimenti erano inesistenti o quasi. La stessa sopravvivenza della Federazione Russa come entià statale era a rischio, minacciata dal pericolo della disgregazone; in Cecenia si era affermata una rivolta separatista e il terrorismo colpiva anche la città di Mosca. L’economia russa tra il 1991 e il 1998 era crollata del 40%[28] e solo da allora è iniziata una ripresa che l’ha portata al 123% rispetto all’indice di riferimento iniziale. Il recupero del dato 1991 si è avuto solo nel 2007.

Tuttavia il risanamento non è riuscito a venire a capo delle debolezze strutturali dell’economia ereditate dall’epoca sovietica. La crescita di questi anni è attribuibile all’export di gas e petrolio, per i quali il paese è rispettivamente il primo e il secondo grande produttore mondiale, e all’export di armamenti. L’export energetico esprime da solo il 25% del PIL nazionale. Il resto dell’economia produttiva non è internazionalmente competitivo, opera all’interno di un mercato interno protetto, non è supportato da una struttura adeguata di servizi finanziari e di servizi per le imprese, è nelle mani di una struttura oligarchica che agli investimenti interni preferisce le operazioni finanziarie in giro per il mondo.

Putin con le buone e con le cattive maniere è riuscito a mettere parzialmente le briglia sul collo degli oligarchi e ha fatto condannare Mikhail Khodorkovsky e altri più riottosi, ma non si è liberato di loro. Inoltre, i centri di analisi che supportano il governo si rendono conto che non si vive in eterno di export di gas e petrolio e da tempo hanno indicato l’obiettivo di accrescere le capacità tecnologiche e competitive dell’apparato produttivo, stimolare l’innovazione gestionale, di prodotto e di processo. D’altra parte, la Russia sa bene che non deve solo confrontarsi con l’Occidente, perché a sud-est della Siberia c’è una Cina che da anni mostra un dinamismo economico elevato. Tuttavia lo sviluppo in Russia continua ad essere insufficiente. Nel 2013 si è dovuta accontentare di una crescita di solo l’1,23% e le attuali tensioni hanno fatto crollare la quotazione internazionale del rublo e alimentato una fuga all’estero di capitali russi e di investimenti stranieri. Entro la fine del 2014, l’emorragia potrebbe raggiungere i 150 miliardi di dollari, secondo stime occidentali, pari al 7% del PIL nominale della Federazione.

La Russia, inoltre, ha sempre sofferto del complesso dell’accerchiamento e, pertanto, reagisce ancora in modo sensibile ai segnali di scivolamento dei suoi vicini verso l’UE e la NATO. Va anche ricordato che, quando Gorbaciov discusse la riunificazione tedesca, si dice che avesse ottenuto dai partner occidentali l’assicurazione verbale che non ci sarebbero state espansioni della NATO nell’area in caso di scioglimento del Patto di Varsavia. Cosa che invece è avvenuta e oggi Mosca si ritrova a diretto contatto con la NATO lungo il confine dei paesi baltici e reagisce con forza a qualsiasi ulteriore adesione alla NATO di paesi già sotto controllo URSS.

 

7. I margini di manovra negoziali dell’UE per l’Ucraina.

L’UE non ha, però, valutato per intero che i propri punti di forza sono superiori a quelli della Russia e che non è interesse né europeo, né russo, rispolverare un clima da Guerra fredda. A parte l’interesse europeo alla cooperazione strategica economica con la Russia, vi sono ben altre ragioni che possono permettere un tavolo negoziale per il superamento definitivo della crisi ucraina.

Il disegno di costruire un’Unione euroasiatica ha i suoi fondamenti e risponde all’obiettivo di rimettere in comunicazione organica e sulla base di strumenti di mercato il sistema produttivo integrato già operativo negli anni dell’Unione Sovietica. La cooperazione europea è necessaria per l’interscambio di tecnologia e gli stimoli all’innovazione, compresi quelli di supporto al risparmio, all’efficienza e alle produzioni alternative di energia, alla tutela ambientale, e rappresenta anche un avallo esterno decisivo per accrescere l’investimento privato interno, visto che oggi i russi dirigono preferibilmente all’estero i propri capitali.

Il risultato non potrà che essere l’affermazione di una società più pluralista, come è avvenuto nei nostri paesi con il processo di integrazione europea. Una società strutturalmente più orientata a rivendicare democrazia, Stato di diritto e uguaglianza sociale e quindi diretta a contrastare le spinte all’autoritarismo centralistico sempre presenti nella ragione di Stato moscovita. Lo stesso processo può aprirsi in Ucraina, in Bielorussia, in Kazakistan e in altri paesi aderenti dell’ex-URSS.

Per raggiungere tali obiettivi, il ruolo esterno dell’UE può partire proprio dalle soluzioni da offrire alla crisi ucraina sul piano politico e sul piano economico. L’Ucraina intera, infatti, deve diventare una cerniera tra due sistemi, piuttosto che trasformarsi in un paese spaccato da un muro divisorio tra Europa ed Eurasia, capace di destabilizzare anche la Bielorussia, la Georgia, il Kazakistan e così via. L’Ucraina può diventare un paese cerniera però solo con il consenso delle due aree da mettere in relazione. Sul piano politico, il compromesso con Mosca ruota intorno alle garanzie da offrire per la tenuta di un assetto federale della Repubblica Ucraina prospettato dagli accordi di Ginevra e le garanzie per i livelli di autonomia delle regioni orientali e meridionali a maggioranza russa e russofona. Sul piano economico, i rapporti di Kiev con l’UE sono ancora da definire, ma proprio su questo terreno si può trovare il compromesso con la Russia, stabilire i livelli di apertura a occidente e a oriente e varare un piano comune di salvezza dell’economia ucraina. Come ha sostenuto l’ex-Cancelliere tedesco Helmut Schmidt, l’UE ha commesso un errore decisivo nel chiedere all’Ucraina di rinunciare alla partecipazione all’Unione eurasiatica.[29] D’altra parte il tema dell’adesione dell’Ucraina all’UE non è stato inserito nei programmi UE-Ucraina, e ciò è dovuto anche al fatto che un trattato di adesione verrebbe difficilmente ratificato da tutti i 28 paesi membri. E’indubbio, a questo punto, che se si vogliono mantenere aperti i confini ucraini nelle due direzioni, l’associazione di Kiev all’UE, una volta esclusa l’adesione, va organizzata nel quadro dei rapporti futuri che si vogliono affermare con la Russia e con l’Unione euroasiatica nella sua interezza, valorizzando le interdipendenze possibili.

A tale scopo l’UE dovrebbe dichiarare solennemente che non esiste un progetto di adesione dell’Ucraina all’UE, che i confini dell’Europa sono definiti e che il processo di allargamento si concluderà con l’adesione dei residui paesi dei Balcani occidentali. I rapporti europei con i paesi vicini saranno inquadrati dai partenariati.

In tale approccio, come già indicato per l’equal partnership con gli Stati Uniti, è strategicamente decisivo il completamento da parte europea dell’Unione economica e monetaria,[30] il rafforzamento politico e istituzionale in termini federali per l’efficienza della sua capacità di decisione e di azione e il varo di una strategia interna di sviluppo sostenibile, di riduzione della propria dipendenza energetica esterna e di valorizzazione tecnologica della propria occupazione. L’Europa non può sedersi al tavolo del negoziato senza avere nella propria borsa un pacchetto di offerte credibili rivolte a fornire assistenza per rendere più efficienti e competitivi i sistemi produttivi euroasiatici, più rispettosi dell’ambiente, più energy saving ed energy efficient per evitare il consumo accelerato e indiscriminato delle risorse di idrocarburi e carbone necessarie per le generazioni future della Russia e del resto del mondo.

 

8. Le condizioni strutturali per i rapporti evolutivi USA-UE-Russia: il quadro OSCE.

Le giornate della crisi ucraina hanno insegnato che non si può guardare ai rapporti tra Stati Uniti, Europa e Russia come ai tempi dell’equilibrio bipolare. Occorre avere una posizione costruttiva ed evolutiva, rivolta a favorire la transizione dei paesi ex URSS verso un’economia di mercato organizzata, internazionalmente competitiva, quale premessa per l’affermazione di sistemi politici pienamente democratici uniti possibilmente da vincoli federali.

Proprio per evitare che Mosca possa sospettare tentativi egemonici occidentali e altre espansioni della NATO, occorre costruire un nuovo quadro strutturale di relazioni condivise e il quadro già disponibile, entro il quale aprire un negoziato globale e inserire i nuovi rapporti tra Stati Uniti, UE e Russia, è offerto dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). L’OSCE è il più grande organismo internazionale di sicurezza a carattere regionale, è nato nel 1995 dagli Accordi di Helsinki del 1975 per il raccordo delle relazioni tra paesi occidentali (ne fanno parte anche gli Stati Uniti e il Canada) e paesi ex sovietici.[31] Fino ad oggi non è stato valorizzato adeguatamente dato il ruolo egemonico che hanno voluto recitare gli Stati Uniti d’America nei rapporti con la Russia e data la prolungata inazione europea.[32]

Affinché l’OSCE possa diventare il quadro adeguato delle nuove relazioni tra le tre aree, andrebbe però riformata sul piano istituzionale e degli strumenti di intervento. Dovrebbe rafforzare innanzitutto le proprie competenze per poter dar vita ad un effettivo sistema di sicurezza comune. Il Consiglio NATO-Russia dovrebbe essere assorbito dall’OSCE per eliminare l’impronta egemonica di Washington che esso mantiene; senza considerare che, se l’UE fosse capace di diventare un attore guida dell’OSCE, il ruolo dello stesso Consiglio si svuoterebbe automaticamente. Sarebbe anche molto importante che l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione fosse dotata di un’assemblea parlamentare di secondo livello per favorire il dialogo politico e di agenzie specializzate per tutelare la libertà di concorrenza nelle tre aree integrate (Nord America, Europa ed Eurasia) e, soprattutto, per governare la produzione e la distribuzione di energia con obiettivi di riduzione dei consumi energetici inquinanti. Si potrebbe addirittura ipotizzare che, per evitare reazioni da parte di altre potenze mondiali – l’area OSCE raccoglie il Nord del pianeta – le forze militari convenzionali e nucleari dei paesi OSCE fossero tutte poste a disposizione dell’ONU. Ciò ovviamente cambierebbe gli attuali concetti strategici e favorirebbe risparmi per la spesa militare degli attori coinvolti con ricadute positive per l’umanità e per la pace. In un quadro di cooperazione di questo tipo, l’UE avrebbe frontiere orientali sicure, la Russia non subirebbe il complesso dell’accerchiamento e i contrasti sorti negli ultimi tempi (tipo la Crimea e, in generale, tutela delle minoranze russe all’estero) sarebbero ridimensionati. Gli Stati Uniti d’America avrebbero il vantaggio di poter ridurre la propria spesa militare a favore di programmi interni di assistenza sociale di cui hanno bisogno.

In un quadro pacificato di questo tipo, la partecipazione dell’Ucraina, assieme alla Bielorussia e a un altro Stato di una certa consistenza come il Kazakistan, contribuirebbe al rilancio di una CSI non interamente condizionata da Mosca. Infine, non può essere trascurato il ruolo equilibratore esterno dell’UE. L’UE potrebbe condizionare le proprie aperture commerciali e la propria cooperazione tecnologica ai progressi compiuti dai paesi CSI sul piano delle libertà civili e dello Stato di diritto. La pressione politica e valoriale del quadro strutturale OSCE e del modello politico liberal-democratico UE sarebbe fortissima sulle fasce sociali progressiste dell’area euroasiatica. Come è avvenuto con il processo di costruzione europea, le forze conservatrici presenti nei paesi ex URSS sarebbero messe all’angolo.[33]

Il ruolo europeo è dunque decisivo e la Russia deve rendersi conto che da sola non può portare avanti il suo disegno di Unione euroasiatica per un rilancio della CSI che preluda all’affermazione di un’unione federale. Senza l’avallo esterno europeo e l’inserimento nel quadro strutturale garantito dall’OSCE, il progetto appare come il rilancio del sogno imperiale della Russia zarista e sovietica. Solo l’Europa può dare al progetto il marchio della pace, della sicurezza, della democrazia e della tutela dei diritti.

 

9. Conclusioni.

Un’Europa a guida intergovernativa ignava e impotente è stata solo capace in questi mesi di destabilizzare se stessa, i rapporti con l’Est europeo e il resto del mondo. Non è capace di esprimere una politica portatrice dei suoi valori fondanti, iscritti nei trattati (artt. 2 e 3 del Trattato di Unione europea).

La responsabilità ricade sui vertici istituzionali dell’UE, sui governi degli Stati membri, sulle forze politiche rappresentate nel Parlamento europeo e sulla stessa società abituata da anni a delegare a Washington le decisioni sul proprio sviluppo e sulla propria sicurezza. Da anni la società europea applaude compiaciuta l’avvio di numerose “primavere” nel mondo senza poi attivarsi per costruire le condizioni strutturali affinché esse possano affermarsi in modo evolutivo. E ne subisce le conseguenze. I casi recenti sono quelli della “primavera araba” e dell’Ucraina.

L’Unione europea lamenta da tempo un deficit politico sia sul versante interno sia su quello delle relazioni esterne. Deve immediatamente dare segnali di nuove linee guida su entrambi i versanti e senza ritardi per ridurre le tensioni pericolosissime che si sono accumulate in Ucraina, nel Medio oriente e in Africa. Per ridurre le tensioni sociali e intracomunitarie generate da un’unione monetaria priva del supporto di un’unione fiscale e di bilancio necessaria per sostenere lo sviluppo.

Il nodo è strutturale e non può essere sciolto con i piccoli passi. La possibilità di avere il prossimo Presidente della Commissione nominato con voto a maggioranza dal Consiglio europeo sulla base dei risultati elettorali rende realistica questa prospettiva. Questo è il punto decisivo di intervento del nuovo Parlamento europeo e delle forze federaliste e democratiche in esso rappresentate per aprire la legislatura 2014-2019. L’Europa deve scegliere la democrazia, affermare il metodo federale in luogo del metodo intergovernativo.

Ciò significa che il nuovo Parlamento europeo eletto a maggio dovrà, inoltre, assumere rapidamente l’iniziativa per la convocazione di una convenzione costituente, aperta a tutti gli Stati membri disponibili, per discutere e approvare una riforma dei trattati diretta a dare all’Unione la disciplina democratica sovranazionale di cui ha bisogno. Dovrà condizionare la sua fiducia alla nuova Commissione alla condivisione da parte di quest’ultima del rilancio costituente.

Questa è l’unica via che le può permettere di presentarsi al tavolo internazionale del negoziato sul superamento della crisi ucraina e dei rapporti con la Russia con un progetto politico di cooperazione alla costruzione della pace, dello sviluppo e della democrazia.

Lo impone il premio Nobel per la pace che le è stato attribuito nel 2012.

 


[1] Si può ricordare che il 5 settembre 2013 si svolse a San Pietroburgo un vertice G20 e a quel momento erano già note le pressioni del governo russo sull’Ucraina affinché desistesse dall’accordo di associazione e libero scambio con l’UE.

[2] Le elezioni presidenziali dell'ottobre-novembre 2004 furono ripetute a causa di numerosi brogli emersi a favore dell’allora primo ministro Viktor Yanukovich, candidato filo russo del governo uscente. Le elezioni furono ripetute il 26 dicembre successivo dopo le proteste pubbliche che presero il nome di “rivoluzione arancione”, la sentenza della Corte suprema ucraina e l’intervento di Javier Solana per l’UE che a Kiev incontrò il Presidente del Parlamento russo per una mediazione tra le parti. Viktor Yushenko vinse le elezioni ripetute a dicembre con il 52% dei voti contro il 44% del suo avversario. Viktor Yushenko esponente filo occidentale nei mesi precedenti era stato oggetto di un misterioso avvelenamento da arsenico. Era già stato presidente della Banca nazionale dell’Ucraina e Primo ministro (1999-2001). Si rivelò poi un Presidente inefficiente. Alleato di Julia Tymoshenko, principale protagonista della “rivoluzione arancione”, testimoniò poi contro di lei nel processo del 2011 che la vide condannata per eccesso di potere e malversazione di fondi pubblici a seguito di un oneroso negoziato con Putin per le forniture di gas russo. Negli anni novanta la Timoshenko si era arricchita con le intermediazioni per le forniture di gas russo. E’ stata scarcerata a febbraio 2014.

[3] Cfr. http://www.consilium.europa.eu/UEdocs/cmsUpload/
031208ESSIIIT.pdf
.

[4] Il 25 novembre 2013 a Trieste il Presidente Enrico Letta firmò con il Presidente Vladimir Putin 28 importanti accordi di cooperazione economica e 7 accordi intergovernativi e siccome erano già in corso le manifestazioni popolari di Kiev a favore della associazione all’UE, il Presidente russo spiegò ai giornalisti che il suo paese non avrebbe potuto mantenere la frontiera doganale aperta con l’Ucraina, che sarebbe diventata un corridoio per la penetrazione indiscriminata dei prodotti internazionali nel proprio mercato, condizione alla quale l’economia russa non era ancora pronta.

[5] Cfr. EEAS, Geneva Statement on Ukraine, Geneva 17 April 2014. Ne sono firmatari l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE Catherine Ashton, il Segretario di Stato USA John Kerry, il Ministro degli esteri russo Serghej Lavrov, il Ministro degli esteri ucraino, Andriy Deschytsia. Il processo costituzionale al quale lo Statement fa riferimento riguarda la possibile federalizzazione della Repubblica di Ucraina secondo un sistema di autonomie regionali rispettoso della divisione etnico-linguistica-religiosa del paese. Va sottolineato che il richiamo generico all’apertura di un processo di revisione costituzionale è dovuto al mandato negoziale affidato dal parlamento ucraino al proprio ministro egli esteri che respingeva l’ipotesi della federalizzazione del paese.
http://www.eeas.europa.eu/statements/docs/2014/140417_01_en.pdf.

[6] Vedi anche gli editoriali: L'accord diplomatique sur l'Ukraine, une victoire politique pour Poutine, Le Monde, 18 aprile 2014.
http://www.lemonde.fr/europe/article/2014/04/18/l-accord-diplomatique-sur-l-ukraine-une-victoire-politique-pour-poutine_4403769_3214.html
eUkraine : pourquoi l'accord diplomatique sera difficile à mettre en œuvre, Le Monde, 19 aprile 2014.
http://www.lemonde.fr/europe/article/2014/04/18/ukraine-pourquoi-l-accord-de-geneve-sera-difficile-a-mettre-en-uvre_4403767_3214.html.

[7] L'Unione eurasiaticaè un' unione politica ed economica tra Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan nata il 29 maggio 2014. L’Armenia aderirà successivamente. L'idea, ispirata all'integrazione tra i paesi dell'Unione europea, è stata annunciata nell'ottobre 2011 dall'allora Premier russo Vladimir Putin. L'accordo include piani per la futura integrazione e la creazione di una Commissione eurasiatica (modellata sulla base della Commissione europea) e di uno Spazio economico eurasiatico, già entrato in vigore il 1º gennaio 2012.

[8] Patria è il partito di Julia Tymoshenko, già leader della “rivoluzione arancione” del 2004, candidata alla Presidenza della Repubblica nelle elezioni del 25 maggio contro Petro Poroshenko (il re del cioccolato), indipendente, risultato poi vincitore con il 56% dei suffragi.

[9] Nel 2001 l’allora Premier Viktor Yushenko fu rovesciato da un voto di sfiducia parlamentare che vedeva associati il Partito comunista d’Ucraina e gruppi politici centristi, tutti condizionati dai potenti oligarchi nazionali, capi influenti delle industrie del carbone e del gas naturale.

[10] La penisola di Crimea è popolata anche da minoranze tartare e ucraine.

[11] http://it.kushnirs.org/macroeconomia/gdp/gdp_ukraine.html#t1.

[12] Cfr: Margarita-Balmaceda, Peter-Rutland, Ukraine's gas politics, open Democracy, 8 maggio 2014
http://www.opendemocracy.net/od-russia/margarita-balmaceda-peter-
rutland/ukraines-gas-politics
.

[13] Secondo il suo presidente Alexej Miller, Gasprom vanta crediti verso l’Ucraina per 11,4 miliardi di dollari.

[14] Cfr. Daniel Gros, Riavviare l’economia dell’Ucraina, Project Syndicate, 3 aprile 2014
(
http://www.project-syndicate.org/commentary/daniel-gros-calls-
for-a-broad-array-of-eu-measures-to-revive-output-growth-and-
strengthen-regional-cohesion/italian
).

[15] La parte politica dell’accordo non è da sottovalutare per la sua portata e sostanzialmente sottolinea una scelta di campo a favore UE. Per il Servizio europeo di azione esterna: “L’accordo di associazione è un documento pioneristico: è il primo accordo basato sull’associazione politica tra l’UE e dei paesi del Partenariato orientale, ed è senza precedenti nella sua ampiezza (quale numero di aree coperte) e profondità (dettagli di impegni e scadenze) […]. L’UE sta cercando un rapporto sempre più stretto con l’Ucraina, che vada oltre la cooperazione bilaterale, che comprenda un graduale processo verso l’associazione politica e l’integrazione economica”.
http://www.eeas.europa.eu/top_stories/2012/140912_ukraine_en.htm.

[16] Il modello federale dell’Ucraina dovrebbe articolarsi sulla presenza di più regioni federate per evitare la contrapposizione tra filo-occidentali e filo-russi, assicurare il ruolo mediatore inclusivo del governo centrale e la possibilità di alleanze a geometria variabile tra le varie regioni sulla base dei problemi in gioco. Infine, il nuovo assetto costituzionale dovrebbe essere garantito internazionalmente. Attualmente la soluzione federale è avversata dalle forze di governo condizionate dai nazionalisti ucraini ma costituisce uno dei punti sostenuti da Mosca per far rientrare le spinte secessionistiche delle province orientali. Va infine ricordato che oltre alle differenti radici culturali che caratterizzano l’insieme della popolazione ucraina, nel paese convivono differenti orientamenti religiosi: ortodossi e uniati, ma anche cattolici, protestanti, musulmani ed ebrei.

[17] Da tempo nella parte occidentale del paese si registra una riduzione delle scuole russe. Inoltre il parlamento ucraino, dopo la formazione del governo provvisorio di Yatsenjuk, ha varato una legge sull’uso ufficiale della lingua ucraina bloccata dal primo ministro per non alimentare le resistenze filorusse contro la svolta di Kiev.

[18] Le minoranze russe ammontano in Estonia al 25% della popolazione, in Lettonia al 26 % e in Lituania al 6%.

[19] Il concetto di brinkmanship, noto ai tempi della Guerra fredda, esprime la pratica di portare l’iniziativa contro l’avversario fino al punto di maggior rischio per avere una posizione contrattuale forte al momento dell’apertura del negoziato risolutivo della controversia.

[20] Cfr. Henry Kissinger, Quel ponte di Kiev tra Est ed Ovest, La Repubblica, venerdì 7 marzo 2014.

[21] Va ricordato che nel 1991, a fronte dei problemi della transizione dell’economia sovietica all’economia di mercato, Gorbaciov chiese alle potenze occidentali aiuti per 40 miliardi di dollari che furono rifiutati. Dopo pochi mesi, in agosto, si ebbe il colpo di Stato che pose di fatto fine alla sua carriera politica e portò allo scioglimento dell’URSS del 26 dicembre successivo.

[22] Cfr. Senato della Repubblica, XVI legislatura, Le relazioni della Russia con la NATO e l’Unione europea, Contributi di Istituti di ricerca specializzati, in. 103, Novembre 2008, pag. 15.
http://www.iai.it/pdf/Oss_Transatlantico/103.pdf.

[23] Cfr. Francesco Violi, Il Transatlantic Trade & Investment Partnership, una nuova sfida per l’Europa, Alternativa Europea, n. 37, Dicembre 2013.

[24] In questa ottica rientrano le esercitazioni NATO nei paesi baltici e nel Mar Nero eseguiti più per rassicurare gli alleati europei che per incutere timore all’avversario russo.

[25] L’impegno americano in Estremo Oriente va inquadrato nella sua effettiva dimensione. Infatti, se da un lato le pressioni di Pechino sul Mar cinese, sugli Stretti di Malacca e sull’accesso via terra ai porti del Myanmar sono dirette ad assicurarsi la libertà delle vie commerciali marittime, dall’altro lato, lo schieramento statunitense è diretto ad avere funzione deterrente e di contenimento, non offensiva. C’è una linea che entrambi sanno di non potere superare e che ha indotto i cinesi ad affermare che l’Oceano Pacifico è grande e c’è spazio per tutti.

[26] Cfr. Alfonso Iozzo, Per un piano europeo di sviluppo sostenibile.
http://www.csfederalismo.it/images/stories/discussion_papers/02_a.iozzo_it.pdf.

[27] Vladimir Putin fu nominato Primo ministro nel 1999 e fu eletto Presidente della Federazione nel 2000.

[28] Cfr. Paolo Crosetto, La Russia in transizione: economia pianificata, disordine economico, avvicinamento al mercato, Università degli Studi di Torino, Facoltà di scienze politiche, Relatore prof. Carlo Boffito, Anno accademico 2002-03
http://www.cirpet.unito.it/tesi/CIRPET%20Paolo%20Crosetto
%20-%20Tesi%20di%20laurea%20-%20Russia.pdf
.

[29] Cfr: Schmidt: “L’Europa sbaglia sull’Ucraina, così rischiamo la terza guerra mondiale”, intervista apparsa su La Repubblica il 17 maggio 2014.

[30] Jean Pisani-Ferry ha scritto: “Alcuni giorni fa Jacek Rostowski, ministro polacco delle finanze fino al novembre scorso, ha suggerito che il Presidente russo Putin non si sarebbe azzardato ad annettere la Crimea se non avesse visto l’Europa fare fatica nel tentativo di risolvere la crisi dell’euro. Ha ragione?”. Dopo aver sottolineato che i paesi europei hanno mostrato poca propensione alla solidarietà reciproca, aggiunge che per Rostowski: “La Russia ha interpretato l’irresoluta gestione della situazione come licenza ad agire” (Cfr: Jean Pisani-Ferry, Putin cavalca la crisi dell’Europa, Il Sole 24 Ore, giovedì 3 aprile 2014). E’ inoltre sempre significativo che il presidente della Banca nazionale polacca abbia affermato a febbraio l’interesse ad accelerare l’adesione di Varsavia all’euro riconoscendo implicitamente, in tal modo, il valore politico della moneta unica.

[31] L’OSCE è la più grande organizzazione internazionale per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione. Conta attualmente 57 paesi membri, i paesi NATO e CSI più la Mongolia, ai quali si aggiungono gli osservatori (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Iran, Corea del Sud, Giappone, Thailandia e Australia).

[32] Washington ha sempre promosso e sostenuto le istituzioni internazionali che le permettono di esercitare meglio il proprio ruolo egemonico (FMI, GATT, NATO e in parte la stessa ONU). Non ha mai voluto subire limitazioni alla propria sovranità come invece hanno fatto i paesi europei con il processo di costruzione europea.

[33] Può essere ricordato il ruolo avuto dal rilancio europeo negli anni ottanta a seguito dell’elezione diretta del Parlamento europeo, dell’attivazione dello SME, dell’iniziativa costituente trainata da Spinelli, e del completamento del mercato interno sul mondo del dissenso all’interno del Patto di Varsavia. Il dissidente sovietico e Premio Nobel Andreij Sacharov, liberato da Gorbaciov, affermò che l’Europa costituiva un modello e un motore per la democrazia e l’unificazione mondiale.

 

 

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