IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVII, 2015, Numero 1-2, Pagina 42

 

 

L’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione europea e la “costituzionalizzazione” dell’eurozona*

 

PAOLO PONZANO

 

1. Premessa.

L’integrazione differenziata (o integrazione flessibile, secondo un’altra definizione) nell’ambito dell’Unione europea costituisce una realtà giuridica e politica fin dagli inizi della costruzione europea, anche se la sua applicazione è divenuta molto più importante a partire dai Trattati di Maastricht e di Amsterdam. Il Trattato di Roma prevedeva in effetti già che il diritto europeo si applicasse a certi territori e non ad altri, che alcuni Stati membri potessero mantenere in vigore regimi speciali (si pensi ad esempio ai Paesi del Benelux) e che alcuni Stati membri fossero autorizzati dalla Commissione a mantenere in vita, a certe condizioni e a titolo temporaneo, delle misure nazionali[1]. In seguito, gli atti di diritto derivato hanno previsto numerose deroghe a favore degli Stati membri in grado di giustificare l’esistenza di situazioni geografiche, economiche o sociali che impedissero loro di applicare integralmente le disposizioni del diritto comunitario.

Mentre le deroghe ora citate si giustificavano essenzialmente alla luce dell’esistenza di situazioni giuridiche o economiche particolari, l’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione è oggi divenuta una necessità politica, volta a fornire una soluzione a due questioni differenti ma complementari che rischiavano di frenare l’approfondimento del processo di integrazione europea: da una parte l’esistenza di posizioni diverse tra gli Stati membri relativamente agli obiettivi dell’integrazione, dall’altra la prospettiva di un allargamento senza precedenti a dodici nuovi Stati che avrebbe reso ancora più complesso il processo decisionale in seno all’Unione (soprattutto nei numerosi casi nei quali i Trattati mantengono in vigore la regola dell’unanimità).
 

2. I meccanismi e le formule di integrazione differenziata.

Un primo meccanismo di integrazione differenziata è rappresentato dall’Accordo di Schengen, concluso nel 1985 tra cinque Stati membri (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) in materia di libera circolazione delle persone e di soppressione dei controlli alle frontiere. Si tratta di un accordo che venne concluso al di fuori del quadro istituzionale dei Trattati, per esservi in seguito inserito con il Trattato di Amsterdam.

Ma l’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione ha acquisito una dimensione notevolmente più importante con i Trattati di Maastricht e di Amsterdam. Il primo ha introdotto un meccanismo di integrazione differenziata (in linea di principio temporaneo, ma che rischia di divenire permanente) tra i paesi che hanno accettato di dotarsi di una moneta unica e i paesi che hanno chiesto di beneficiare di una deroga (inizialmente il Regno Unito e la Danimarca). Inoltre, il Trattato di Maastricht ha accordato al Regno Unito un Protocollo speciale relativo a certe misure di politica sociale (deroga alla quale il governo britannico ha rinunciato nel 1997) e alla Danimarca delle deroghe in materia di difesa, di cittadinanza europea e di giustizia e affari interni[2]. Il Trattato di Amsterdam, dal canto suo, ha introdotto nel diritto primario il meccanismo delle cooperazioni rafforzate ed ha concesso nuove deroghe (o opting-out) al Regno Unito, all’Irlanda e alla Danimarca in materia di cooperazione giudiziaria e di asilo e immigrazione.

Il periodo situato tra il trattato di Maastricht e quello di Amsterdam è stato senza dubbio il più prolifico quanto all’individuazione di formule istituzionali in grado di regolamentare la differenziazione crescente all’interno dell’Unione europea: nel corso del 1994 sono state coniate sia la formula di ispirazione britannica “Europa alla carta” o “a geometria variabile”[3] sia la teoria del “nucleo duro” derivante da un documento della CDU tedesca elaborato da Karl Lamers e Wolfgang Schäuble. Quest’ultimo modello implica che il gruppo di Stati interessati alla differenziazione resti sempre lo stesso, benché aperto all’adesione di nuovi Stati, e sia dotato di una certa autonomia di azione rispetto agli altri Stati membri. Il modello “britannico”, al contrario, non si fonda sull’idea di dar vita a una sorta di sottosistema all’interno dell’Unione, ma sembra piuttosto volto a rendere più efficaci i meccanismi decisionali dell’Unione, evitando che in certe materie il veto di uno o più Stati membri possa impedire agli Stati che lo desiderano di intraprendere azioni comuni.

Nel dicembre del 1995 in una lettera comune Chirac e Kohl proposero di introdurre nel Trattato una clausola di carattere generale sulle cooperazioni rafforzate, che in effetti verrà poi ripresa nel trattato di Amsterdam (v. infra). Un’altra variante dell’Europa a geometria variabile è rappresentata dall’espressione “cerchi concentrici” proposta da Balladur nel 1994, espressione attraverso la quale il Primo ministro francese suggeriva di distinguere lo status degli Stati membri dell’epoca e quello degli Stati membri futuri: il cerchio più ampio avrebbe incluso gli Stati che desideravano aderire all’Unione europea e quelli legati da accordi di cooperazione con la stessa; il cerchio intermedio avrebbe compreso gli Stati che applicavano le politiche comuni; mentre i cerchi più ristretti sarebbero stati riservati agli Stati che aderivano a singole cooperazioni rafforzate variabili ed aperte a tutti gli Stati membri dell’Unione.

La formula “cerchi concentrici” fu in seguito ripresa da Jacques Delors, che tuttavia distingueva una “grande Europa” formata da tutti gli Stati membri e una “piccola Europa” più integrata che avrebbe costituito una “Federazione di Stati-nazione”. Jacques Delors ha in seguito precisato la sua concezione dei “centri concentrici” proponendo di organizzare un’ ”avanguardia” di Stati disposti a procedere sulla via dell’integrazione politica e a concludere un nuovo Trattato a tal fine. La sua idea dell’avanguardia è stata poi ripresa nel progetto di Trattato denominato “Penelope”, redatto nel 2002 da un gruppo di lavoro composto da funzionari europei presieduto da François Lamoureux su mandato del Presidente Prodi[4].

Sul piano dell’analisi politica del processo di integrazione europea è innegabile che la teoria dell’avanguardia o del “nucleo duro” debba essere preferita a quella di un’Europa a geometria variabile, dal momento che la prima contempla la creazione di un gruppo pioniere di natura permanente e permette di evitare una frammentazione eccessiva dell’Unione europea.
 

3. Le cooperazioni rafforzate.

Come accennato, il trattato di Amsterdam ha introdotto nel diritto primario dell’Unione un meccanismo di differenziazione – la cooperazione rafforzata – suscettibile di essere utilizzato ogni volta che, in presenza di certi requisiti definiti dal Trattato, un gruppo di Stati voglia procedere più rapidamente sulla via dell’integrazione in una materia determinata. Le condizioni previste dal Trattato di Amsterdam per consentire il ricorso alla clausola di cooperazione rafforzata erano tuttavia molto numerose e restrittive. In effetti, la cooperazione rafforzata doveva promuovere gli obiettivi dell’Unione e proteggere i suoi interessi; inoltre, essa doveva rispettare i principi stabiliti nei Trattati e il quadro istituzionale unico dell’Unione. Inoltre, essa non doveva pregiudicare le competenze, i diritti, gli obblighi e gli interessi degli Stati membri che non desideravano parteciparvi, né l’acquis comunitario. Nell’ambito comunitario (cioè nell’ambito del primo pilastro dell’Unione europea), la cooperazione rafforzata non doveva riguardare materie di competenza esclusiva dell’Unione e non doveva costituire una discriminazione o una restrizione agli scambi, né dar luogo a distorsioni della concorrenza tra gli Stati membri. Infine, doveva essere utilizzata unicamente “in ultima istanza”, cioè nel caso in cui si fosse rivelato impossibile raggiungere gli obiettivi indicati nei Trattati applicando le procedure previste da questi ultimi. A questa lista di condizioni si aggiungeva, sul piano della procedura, la facoltà per ogni Stato di attivare una sorta di meccanismo di blocco, detto emergency brake, che permetteva di investire il Consiglio europeo della questione in vista di una decisione all’unanimità.

Questo elenco di condizioni restrittive, di carattere sia sostanziale che procedurale, costituisce la ragione per la quale nessuna cooperazione rafforzata è stata attuata nel periodo che intercorre tra il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Lisbona. È stato necessario attendere il trattato di Nizza e, soprattutto, il trattato di Lisbona, affinché i maggiori ostacoli all’utilizzo di una cooperazione rafforzata – e soprattutto la facoltà per ogni Stato membro di bloccare o di rendere più difficile la procedura di applicazione di tale meccanismo – fossero soppressi. Non è dunque un caso che le prime cooperazioni rafforzate siano state istituite dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (il regolamento relativo alla legge applicabile a separazione personale e divorzio nel 2010, il regolamento sul brevetto europeo nel 2012 e la decisione che autorizza l’istituzione di una cooperazione rafforzata in materia di imposta sulle transazioni finanziarie nel 2013).
 

4. L’ostacolo costituito dalla cosiddetta clausola dell’ ”ultima istanza”.

Nonostante l’articolo 20 del Trattato sull’Unione europea autorizzi in teoria il ricorso alle cooperazioni rafforzate in tutte le materie che non sono di competenza esclusiva dell’Unione e, pertanto, in “blocchi” di politiche (per esempio la politica fiscale o la politica sociale dell’Unione), le esigenze di carattere procedurale necessarie per dar vita a una cooperazione rafforzata (in particolare la clausola detta “di ultima istanza”, che presuppone la verifica preventiva dell’impossibilità per il Consiglio di deliberare all’unanimità su una proposta della Commissione) limitano di fatto il ricorso alle cooperazioni rafforzate a singoli atti legislativi. In effetti, le uniche materie che consentono il ricorso alle cooperazioni rafforzate per “blocchi” di politiche sono la libera circolazione delle persone in virtù dell’Accordo di Schengen e la politica di difesa in virtù dell’articolo 42, par. 6, del TUE (cooperazione strutturata permanente). Questa interpretazione è confermata dal fatto che le tre cooperazioni rafforzate attivate ad oggi concernono tre atti legislativi individuali (vedi sopra).

Dall’analisi delle disposizioni del Trattato di Lisbona emerge che la cooperazione rafforzata deve riguardare almeno nove Stati e che essa costituisce una soluzione di “ultima istanza”, vale a dire che gli Stati membri possono ricorrere a questa forma di flessibilità solo se il Consiglio “stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme” (art. 20, par. 2, TUE). Come nota la dottrina[5], si tratta di una condizione volta ad evitare che ogni negoziato infruttuoso in seno al Consiglio dell’Unione possa condurre ad una cooperazione rafforzata, a discapito di una soluzione di compromesso, circostanza che – come affermato dalla Corte di giustizia nella sua pronuncia del 16 aprile 2013[6] – nuocerebbe agli interessi dell’Unione e al processo di integrazione. Nella medesima sentenza, la Corte di giustizia ritiene che solo le situazioni caratterizzate da un’impossibilità di adottare, in un arco di tempo prevedibile, disposizioni che vincolino l’Unione nel suo complesso legittima il ricorso a una cooperazione rafforzata (v. par. 50 della sentenza) e che la Corte rimane competente a verificare l’imparzialità dell’esame effettuato dal Consiglio sul carattere pertinente e sufficiente della motivazione (v. parr. 53 e 54 della sentenza). Alla luce di quanto precede, ci sembra difficile che un gruppo di Stati membri possa decidere a priori di dar vita a una cooperazione rafforzata in materia di politica fiscale o di politica sociale, senza tener conto della valutazione che deve essere effettuata dal Consiglio – sotto il controllo della Corte – sull’impossibilità di decidere entro un termine ragionevole su una proposta specifica della Commissione. Di conseguenza, anche se nove Stati membri dovessero manifestare la loro volontà di dar vita a una cooperazione rafforzata in materia di politica fiscale, si dovrebbe verificare in seguito la loro disponibilità concreta ad adottare singoli atti legislativi in materia fiscale (così, la Spagna potrebbe ad esempio decidere di non sottoscrivere una proposta della Commissione relativa alla tassazione degli scarichi inquinanti, mentre la Germania potrebbe non aderire a una proposta della Commissione in materia di imposta europea sulle società).

Questa interpretazione ci sembra confermata indirettamente dalle conclusioni dell’Avvocato generale Bot nella vicenda relativa alla cooperazione rafforzata in materia di brevetto europeo, allorché egli sottolinea che il Consiglio dispone di un certo margine di discrezionalità nella valutazione dell’impossibilità di raggiungere un compromesso in tempi ragionevoli, dal momento che si trova “nella posizione più idonea per valutare se gli Stati membri mostrino una volontà di compromesso e siano in grado di presentare proposte che possano condurre, in un futuro prevedibile, all’adozione di una normativa per l’Unione nel suo insieme”[7] (valutazione che può essere effettuata unicamente sulla base di una proposta legislativa che provenga dalla Commissione).
 

5. Cooperazione rafforzata e Unione economica e monetaria.

Come già sottolineato, i due modelli di integrazione differenziata (vale a dire la formula britannica dell’Europa alla carta o a geometria variabile e la formula franco-tedesca del “nucleo duro” o avanguardia) rispondono a due logiche differenti dell’integrazione europea. La prima formula si è di fatto concretizzata nelle disposizioni del Trattato relative alla cooperazione rafforzata, dal momento che essa consente a coalizioni non omogenee di Stati membri di cooperare più strettamente e di adottare atti legislativi che rispondano ai loro interessi occasionali. In effetti, solo quattro Stati membri (Belgio, Germania, Francia e Portogallo) partecipano a tutte e tre le cooperazioni rafforzate ad oggi autorizzate. Tutto porta a credere che l’istituzione di nuove cooperazioni rafforzate nei settori di competenza concorrente dell’Unione ridurrà ulteriormente il numero degli Stati che partecipano a tutti gli atti legislativi adottati tramite tale meccanismo. Dunque, le cooperazioni rafforzate non porteranno alla creazione di un gruppo omogeneo di Stati membri desiderosi di procedere sulla via dell’integrazione, ma daranno vita a coalizioni occasionali e non omogenee, in funzione degli atti adottati.

Al contrario, l’Unione economica e monetaria, inizialmente concepita come un “nucleo duro” omogeneo di paesi che si erano dotati di una moneta unica nell’attesa che altri Stati membri giungessero a soddisfare i criteri economici necessari per entrare a far parte della zona euro, si è trasformata in un gruppo permanente di paesi che vogliono approfondire il loro livello di integrazione in vista della creazione, dopo l’unione bancaria, di un’unione fiscale, di una vera unione economica e di procedere verso l’unione politica. Ne consegue che la zona euro costituisce una manifestazione del secondo modello di integrazione differenziata, che presuppone che il gruppo di Stati membri resti lo stesso, anche se aperto all’adesione di altri Paesi, ad eccezione di quei paesi che vogliono mantenere a titolo permanente una deroga che in principio era temporanea (il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia, ad oggi).

Come sottolineato da un’analista del processo di integrazione europea[8], se gli Stati membri avessero voluto scegliere un modello di integrazione differenziata che consentisse di formare in seno all’Unione un “nucleo duro” di Stati più integrati, essi avrebbero potuto introdurre nei trattati una disposizione più simile a quella contenuta nel Progetto di costituzione dell’Unione europea presentato nel 1994 dalla Commissione istituzionale del Parlamento europeo (Progetto Herman). L’articolo 46 di questo progetto stabiliva che “les Etats membres qui le souhaitent peuvent adopter entre eux des dispositions leur permettant d’aller plus loin et plus vite que les autres sur la voie de l’intégration européenne, à la double condition que cette avancée reste toujours ouverte à chacun des Etats membres qui voudraient s’y joindre, et que les dispositions qu’ils prennent restent compatibles avec les objectifs de l’Union et les principes de sa Constitution”.

Indipendentemente da quanto prevedeva il progetto Herman, la differenza essenziale tra il modello di integrazione differenziata rappresentato dall’UEM e quello che si concretizza nella cooperazione rafforzata consiste nel fatto che l’UEM è stata concepita dai redattori del Trattato di Maastricht come una tappa obbligata del processo di integrazione, che avrebbe condotto progressivamente alla creazione di un’Unione europea pienamente integrata sul piano economico e politico. Dunque, l’UEM avrebbe dovuto progressivamente includere tutti gli Stati membri, e il primo gruppo di Paesi che ha adottato l’euro avrebbe dovuto costituire un’avanguardia alla quale si sarebbero uniti in seguito gli Stati con deroga.

Tale particolarità dell’UEM costituisce la ragione per la quale, a differenza del meccanismo delle cooperazioni rafforzate, l’Unione economica e monetaria può derogare al principio di unità istituzionale al quale le cooperazioni rafforzate devono al contrario conformarsi. L’UEM è dotata in effetti di una struttura istituzionale propria che ha comportato, tra l’altro, la creazione di una nuova Istituzione (la Banca centrale europea) e che dispone, a partire dal Protocollo 14, di un organo informale (l’Eurogruppo) composto unicamente dai Ministri dell’economia degli Stati membri dell’eurozona[9]. Peraltro, non solo sono stati creati nuovi organi per la gestione della politica monetaria, ai quali partecipano unicamente gli Stati membri che si sono dotati della moneta unica (v. ad esempio il Meccanismo europeo di stabilità), ma il documento della Commissione denominato “Blueprint per un’UEM autentica”, così come i rapporti dei quattro Presidenti, prevedono la creazione di una serie di nuovi meccanismi che si applicherebbero unicamente ai paesi che partecipano alla moneta unica (ad esempio l’attribuzione all’eurozona di una capacità fiscale autonoma, o la creazione di un bilancio autonomo per i paesi della zona euro).
 

6. La “costituzionalizzazione” dell’eurozona.

I limiti del presente articolo non consentono di approfondire le differenze tra la forma di integrazione differenziata rappresentata dall’UEM e quella che discende dalle disposizioni del Trattato sulle cooperazioni rafforzate. Come già sottolineato, non si può contestare che il consolidamento di un gruppo pioniere di natura permanente – quale quello della zona euro – è di gran lunga preferibile rispetto alla proliferazione di cooperazioni rafforzate a composizione variabile, che consentono senza dubbio di adottare atti legislativi individuali, ma che non portano alla creazione di un “nucleo duro” di paesi che vogliono procedere congiuntamente sulla via dell’unione politica. Di conseguenza, sarebbe auspicabile una “costituzionalizzazione” dell’eurozona, che le riconosca la facoltà di adottare una serie di nuove misure che rafforzerebbero il suo livello di integrazione senza subire il veto dei paesi che hanno deciso di non aderire alla moneta unica.

Certo, l’articolo 136 TFUE consente già ai paesi della zona euro di adottare nuove misure per rafforzare l’Unione economica e monetaria, ma tali misure sono limitate al rafforzamento del coordinamento e della sorveglianza della disciplina di bilancio o all’elaborazione di orientamenti di politica economica, vigilando affinché siano compatibili con quelli adottati per l’insieme dell’Unione. Altre misure potrebbero essere adottate sulla base dell’articolo 352 TFUE, ma sarebbe necessario adottarle attraverso una cooperazione rafforzata e a condizione di raggiungere uno degli obiettivi indicati dai Trattati. Per fare un esempio concreto, gli articoli ora citati non sarebbero sufficienti per l’adozione di un bilancio autonomo dell’eurozona finanziato da nuove risorse proprie. Di conseguenza, le sole vie possibili per dotare l’eurozona della capacità di prendere misure che le consentano di progredire sulla via dell’integrazione politica sono la redazione o di un nuovo trattato che rafforzi, tra le altre cose, la governance economica dell’eurozona, o la redazione di un Protocollo che istituisca una “cooperazione rafforzata permanente” tra gli Stati membri che hanno adottato la moneta unica al fine di consentire la creazione tra loro di cooperazioni rafforzate nei settori di competenza dell’Unione. L’adozione della moneta unica da parte di nuovi Stati membri implicherebbe la loro adesione alle cooperazioni rafforzate già istituite tra gli altri Stati membri sulla base delle disposizioni del Protocollo.

La redazione di un nuovo trattato che comporti una revisione del Trattato di Lisbona sembra esclusa nei prossimi due anni a causa della resistenza da parte della maggior parte degli Stati membri ad aprire il “vaso di Pandora” di una rinegoziazione dei Trattati in presenza delle richieste britanniche volte a riattribuire agli Stati alcune competenze trasferite all’Unione (per esempio in materia di libera circolazione delle persone, di politica sociale e migratoria...). Al contrario, questo non sembra essere il caso per quanto riguarda il Protocollo per l’eurozona, nella misura in cui il governo britannico afferma di non essere contrario a un’integrazione più stretta della zona euro in cambio di una maggiore flessibilità per il Regno Unito relativamente ad alcune politiche dell’Unione (dunque integrazione differenziata più flessibile in seno all’Unione come contropartita della creazione di un “nucleo duro” più integrato composto dai paesi della zona euro).
 

7. Progetto di protocollo per una cooperazione rafforzata permanente tra gli   Stati membri la cui moneta è l'euro.

I governi dei paesi della zona euro potrebbero proporre alle autorità britanniche il seguente progetto di protocollo come contropartita di alcune nuove clausole derogatorie (opting-out) richieste dal Regno Unito in materia di libera circolazione delle persone e di politica sociale e/o migratoria nell’ambito dell’Unione europea:
 

LE ALTE PARTI CONTRAENTI,

DESIDEROSE di promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione europea, di proteggere i suoi interessi e di rafforzare il suo processo di integrazione,

DECISE a portare avanti il processo di un'unione sempre più stretta fra i popoli europei,

CONSAPEVOLI della necessità di consentire agli Stati membri la cui moneta è l'Euro di compiere ulteriori passi sulla via della loro integrazione politica,

DESIDERANDO prevedere disposizioni particolari per una cooperazione rafforzata tra gli Stati membri la cui moneta è l'Euro, in attesa che l'Euro diventi la moneta di tutti gli Stati membri dell'Unione europea,

HANNO CONVENUTO le disposizioni seguenti, che sono allegate al Trattato sull'Unione europea.

Articolo 1

Gli Stati membri la cui moneta è l'Euro istituiscono fra di loro una cooperazione rafforzata permanente,   secondo le modalità previste dal presente protocollo e a condizione che tutti i predetti Stati vi partecipino. Salvo disposizioni contrarie del presente Protocollo, sono fatte salve le disposizioni del Trattato di Lisbona relative alle cooperazioni rafforzate (articolo 20 TUE ed articoli 326-334 del TFUE).

Articolo 2

Gli Stati membri la cui moneta è l’Euro prendono tutte le misure necessarie al completamento dell’Unione economica e monetaria. Essi possono instaurare fra di loro cooperazioni rafforzate nelle materie di competenza   dell’Unione. Gli Stati predetti presentano iniziative in tal senso alla Commissione europea, precisandone il campo di applicazione e gli obiettivi perseguiti.

Tali iniziative sono trasmesse, per informazione, al Parlamento europeo ed al Consiglio.

Articolo 3

La Commissione può presentare al Consiglio una proposta al riguardo. Qualora non presenti una proposta, la Commissione informa gli Stati membri la cui moneta è l’Euro delle ragioni di tale decisione. Le disposizioni pertinenti dell’articolo 331, par. 1, del TFUE restano applicabili.

La decisione sulla proposta della Commissione è presa dal Consiglio sulla base delle disposizioni pertinenti del Trattato relative alla materia oggetto della cooperazione rafforzata e previa approvazione del Parlamento europeo. Solo i membri del Consiglio che rappresentano gli Stati membri la cui moneta è l’Euro prendono parte al voto. L’unanimità è costituita unicamente dai voti degli Stati membri la cui moneta è l’Euro. Per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, par. 3, del TFUE.

Per quanto riguarda le delibere del Parlamento europeo sulle proposte della Commissione, solo i membri del Parlamento eletti negli Stati membri la cui moneta è l’Euro prendono parte al voto.

Articolo 4

L’adozione dell’Euro da parte di uno Stato membro con deroga implica l’adesione alle cooperazioni rafforzate già instaurate fra tutti gli Stati membri la cui moneta è l’Euro.

Se necessario, la Commissione adotta le eventuali misure transitorie necessarie per l’applicazione allo Stato membro in questione degli atti già adottati nel quadro delle cooperazioni rafforzate.

Articolo 5

Il presente Protocollo produce i suoi effetti fino al momento in cui vi sono Stati membri con deroga all’Euro.

8. Conclusione.

Conformemente alle disposizioni del Trattato, il suddetto Protocollo dovrebbe essere firmato e ratificato da tutti gli Stati membri, anche se sarebbe applicabile solo agli Stati dell’eurozona. Questa procedura è stata utilizzata, ad esempio, per il Protocollo sociale del 1992, che ha permesso di esonerare il Regno Unito dall’applicazione dell’Accordo sociale, valido unicamente per gli altri undici Stati membri. L’adozione di un Protocollo – che ha lo stesso valore giuridico di un Trattato – permette di rispettare la regola dell’unanimità per la firma e la ratifica di un nuovo trattato nel quadro istituzionale dell’Unione. Il Protocollo consentirebbe altresì di “costituzionalizzare” la zona euro, che diverrebbe il “nucleo duro” o l’ ”avanguardia” dell’Unione europea, consentendo al contempo al Regno Unito e ad altri Paesi di restare all’interno della stessa Unione, conformemente alla teoria dell’ ”avanguardia” cara a Jacques Delors.

 


[1] V. per esempio l’ex articolo 17, par. 4, del Trattato CEE, secondo il quale la Commissione può autorizzare uno Stato membro a mantenere in vigore un dazio doganale di carattere fiscale, per un certo periodo, in caso di gravi difficoltà.

[2] V. il cosiddetto Compromesso di Edimburgo dell’11-12 dicembre 1992.

[3] V. il discorso tenuto da John Major all’Università di Leiden il 7 settembre 1994.

[4] V. Penelope: un nouveau Traité refondateur, Le droit et les politiques de l’UE, Paris, Clément Juglar Publications, 2003.

[5] V. G. Rossolillo, Cooperazione rafforzata e Unione economica e monetaria: modelli di flessibilità a confronto, Rivista di diritto internazionale (2014), p. 325 ss., spec. pp. 335 ss.

[6] Corte di giustizia, sentenza 16 aprile 2013, cause C-274/11 e C-295/11, Regno di Spagna e Repubblica italiana c. Consiglio dell’Unione europea, non ancora pubblicata.

[7] Corte di giustizia, sentenza 16 aprile 2013, op. cit, par. 53.

[8] G. Rossolillo, Cooperazione rafforzata, op. cit., p. 351 ss.

[9] Nello stesso senso v. G. Rossolillo, Cooperazione rafforzata, op. cit., p. 355 ss.

 

 

 

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