IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXX, 1988, Numero 2, Pagina 87

 

 

Gli scritti postumi di Walter Lipgens sulla storia dell’unificazione europea
 
SERGIO PISTONE
 
 
Walter Lipgens, morto improvvisamente il 29 aprile 1984 quando non aveva ancora compiuto cinquantanove anni, non è stato soltanto uno storico dell’unificazione europea. Egli incominciò, in effetti la sua carriera di studioso come storico della Chiesa[1] e scrisse anche alcuni importanti articoli e saggi sul periodo dell’unificazione tedesca e sul ruolo svolto in essa da Bismarck.[2] A partire dalla seconda metà degli anni ‘60, l’unificazione europea divenne però il tema centrale della sua ricerca e ad esso si dedicò con tale impegno da raggiungere risultati di grandissimo valore, nonostante la prematura scomparsa. Dopo un approfondito studio sul Piano Briand,[3] condotto attraverso l’utilizzazione sistematica sia della pubblicistica sul tema dell’unità europea nel periodo fra le due guerre, sia (e si tratta del primo lavoro così rigoroso) degli atti dell’archivio del Ministero degli Esteri tedesco, egli realizzò la ricostruzione più completa fino a quel momento delle tesi a favore dell’unità europea, elaborate dal movimento antifascista europeo durante la seconda guerra mondiale,[4] e scrisse quindi un poderoso libro sugli inizi del processo di unificazione europea[5] che deve essere considerato un’opera classica della storiografia su questo tema. Scrisse inoltre numerosissimi saggi sullo sviluppo del processo di integrazione europea[6] che prendono in considerazione ogni suo aspetto importante, fra i quali, in particolare, il rapporto fra integrazione europea e politica tedesca.[7]
La morte ha purtroppo interrotto una fase dell’attività di Lipgens particolarmente intensa e creativa. Ciò emerge dal fatto che sono stati pubblicati postumi alcuni suoi lavori di eccezionale valore, i quali, al momento della morte, erano stati appena terminati o si trovavano in stato di elaborazione molto avanzata. Essi sono, per ordine di importanza, i primi due volumi dei Documents on the History of European Integration,[8] una raccolta dei principali documenti relativi all’unificazione europea da11939 al 1984,[9] un saggio sulla genesi dell’art. 38 della CED.[10] La lettura di questi lavori suscita un sentimento di soddisfazione, per l’arricchimento che essi apportano alla conoscenza storica del processo di unificazione europea, e insieme di rimpianto, legato alla consapevolezza degli ulteriori arricchimenti che Lipgens ci avrebbe sicuramente offerto se la sua vita non fosse stata troppo presto interrotta. Richiamare qui l’attenzione sugli insegnamenti essenziali contenuti in questi scritti non solo è utile per il loro valore intrinseco, ma è anche un modo per mantenere viva nella memoria dei lettori di questa rivista una figura esemplare di storico dell’unificazione europea, che è stato un maestro per molti federalisti impegnati nella ricerca storica su questo tema e che è stato altresì un militante del movimento per l’unità europea.
 
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Incominciando dai Documents on the History of European Integration, si deve anzitutto osservare che essi costituiscono la presentazione più esauriente finora realizzata dell’insieme delle proposte, delle presedi posizione e delle analisi relative all’unità europea apparse durante la seconda guerra mondiale. Il quadro già piuttosto ampio e approfondito contenuto in Europa-Föderationsplane der Widerstandsbewegungen è qui arricchito in diverse direzioni. Anzitutto, quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale vengono presi in considerazione in appositi capitoli, con l’eccezione di Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, Norvegia e Finlandia, relativamente ai quali comunque sono fomite le informazioni essenziali disponibili. Per quanto riguarda l’Europa orientale, anche se solo alla Polonia è dedicato un apposito capitolo, per gli altri paesi sono fornite le notizie essenziali nei capitoli dedicati agli esiliati dall’Europa orientale. In secondo luogo viene offerta un’informazione estremamente ampia e sistematica delle prese di posizione e delle proposte formulate dagli esiliati di tutti i paesi europei. Il quadro è infine completato dalla raccolta della documentazione fondamentale relativa alle tesi sull’unità europea elaborate dai fascisti italiani, dai nazionalsocialisti e dai collaborazionisti.
In sostanza, con questi due volumi si ha un’idea pressoché completa di ciò che di importante si è detto sul problema dell’unità europea durante la seconda guerra mondiale. Quali sono dunque i dati salienti che emergono da questo quadro così esauriente? A mio avviso sono quattro. Il primo dato fondamentale è rappresentato dall’ampiezza straordinaria del dibattito sull’unità europea nel periodo considerato. Praticamente tutti i raggruppamenti politici, sociali, culturali, tutte le personalità politiche e intellettuali di rilievo, con pochissime eccezioni, hanno preso posizione su questo tema. Ed è estremamente significativo, sotto questo punto di vista, che l’interesse per esso si sia manifestato non solo nel campo antifascista, ma anche in quello fascista e in particolar modo nel fascismo tedesco, che ha ampiamente utilizzato l’idea dell’unità europea come strumento di mascheramento ideologico della propria politica di egemonia europea, soprattutto a partire dall’aggressione all’Unione Sovietica.
Questo fatto, se si riflette bene, è un ulteriore elemento a conferma della lucidità della nota tesi di Einaudi sul significato profondo delle guerre mondiali espressa nel suo discorso all’Assemblea costituente del 29 luglio 1947. In quella occasione, svolgendo in modo completo il filo di un discorso iniziato nel 1918 con la sua critica federalista alla Società delle Nazioni, egli definì le guerre mondiali come tentativi di risolvere il problema dell’unificazione europea e identificò la causa di queste guerre nella crisi dello Stato nazionale, vale a dire nella contraddizione tra il carattere tendenzialmente sovrannazionale del processo produttivo e di tutti gli aspetti della condotta umana ad esso direttamente o indirettamente collegati e le dimensioni nazionali dell’organizzazione dello Stato. Questa contraddizione poteva trovare il suo logico superamento solo nell’unità europea (vista come tappa verso l’unità mondiale), la quale poteva essere realizzata o con la «spada di Satana», cioè con la conquista egemonica che Hitler tentò di realizzare nel modo più radicale e brutale, o con la «spada di Dio», cioè tramite l’unione pacifica in una federazione. Orbene, il fatto che anche i nazisti abbiano sentito il bisogno di ricorrere all’idea dell’unità europea nella loro propaganda mostra con particolare pregnanza che l’esigenza di superare lo Stato nazionale è stata veramente, come riteneva Einaudi, il filo conduttore dell’epoca delle guerre mondiali.
Il secondo dato fondamentale che emerge dai Documents on the History of European Integration è l’ampiezza dell’adesione all’idea dell’unificazione pacifica dell’Europa. Ci furono certo posizioni assai diverse circa le concrete modalità con cui realizzare questo obiettivo, ma, al di là di queste differenze, praticamente l’interoschieramento antifascista — con la sola eccezione dei comunisti, allora legati strettamente all’ortodossia sovietica che rifiutava qualsiasi prospettiva di unificazione europea — espresse la comune convinzione che occorreva porre termine una volta per tutte all’anarchia internazionale in Europa, che aveva portato il vecchio Continente all’immiserimento economico, a due guerre spaventosamente distruttive, e sentite ormai da molti come guerre civili, al blocco del suo sviluppo in direzione liberale, democratica e socialista. In sostanza, al culmine della crisi europea dell’epoca delle guerre mondiali, di fronte all’esperienza dei disastri provocati dal nazionalismo e alla prospettiva di una decadenza irreversibile della civiltà europea, l’appello a unirsi per sopravvivere, lanciato da Briand nel 1929, si trasformò in presa di coscienza collettiva della crisi storica del sistema degli Stati nazionali sovrani in Europa e della necessità di dare seriamente avvio alla loro unione.
In questa presa di coscienza, che rappresenta un vero e proprio salto di qualità nella storia del dibattito sull’unità europea, Lipgens ravvisa giustamente il fattore più decisivo e duraturo che sta alla base dello sviluppo del processo di unificazione europea dopo il 1945. Contro la tesi, ancora abbastanza diffusa nella storiografia sul secondo dopoguerra, che vede nell’unificazione europea essenzialmente un sottoprodotto della guerra fredda e, quindi, della politica americana di organizzazione del blocco occidentale, egli sottolinea con piena ragione che la spinta americana a favore dell’unificazione europea poté avere successo precisamente perché questa esigenza era diventata, a partire dalla seconda guerra mondiale, un elemento non più eliminabile del quadro generale delle aspettative politiche. Se la politica americana ha avuto dunque un ruolo importantissimo nella concreta messa in moto del processo di integrazione europea, l’orientamento generale verso questo obiettivo emerso durante la guerra è il fattore profondo in mancanza del quale non avrebbe potuto esservi un risposta positiva alle sollecitazioni americane, l’integrazione non avrebbe potuto svilupparsi anche al di là della fase della guerra fredda, e il problema del completamento dell’integrazione non sarebbe rimasto sul campo nonostante la situazione di crisi e di impasse in cui si trova da una quindicina d’anni la Comunità europea.
Il terzo dato saliente che emerge dai Documents on the History of European Integration è la presenza già ben delineata nella seconda guerra mondiale dei tre orientamenti fondamentali, circa le modalità con cui realizzare l’unità europea, i quali hanno avuto poi un ruolo decisivo nella lotta per tale obiettivo in questo dopoguerra ed hanno esercitato ed esercitano tuttora, in un rapporto dialettico e con peso diverso, un’influenza effettiva sul processo di integrazione europea. E’ presente l’orientamento confederalistico (di cui Churchill è il più prestigioso esponente), il quale concepisce l’unificazione europea come una forma di cooperazione fra Stati sovrani, fondata perciò sull’istituzione di organi intergovernativi nei quali deve vigere il principio della decisione unanime. E’ presente altresì l’orientamento funzionalistico (proposto allora soprattutto da Mitrany, ma già anche da Monnet, che lo realizzava praticamente nella cooperazione bellica fra le potenze antifasciste), che indica in un approccio per settori gestiti da organi sovrannazionali di carattere tecnocratico la via più efficace per realizzare uno svuotamento graduale della sovranità statale assoluta. E’ infine presente l’orientamento federalistico, il quale individua nella rapida approvazione di una costituzione federale europea l’unica via per unire in modo democratico e duraturo l’Europa e per aprire, quindi, la strada all’unificazione del genere umano.
Quest’ultimo orientamento è fuor di dubbio il più ampiamente presente nel panorama del dibattito sull’unità europea durante la seconda guerra mondiale. Anzitutto esso dà vita ai primi movimenti federalisti, cioè a organizzazioni politiche, quali la Federal Union in Gran Bretagna, il Movimento federalista europeo in Italia, il Comité Français pour la Fédération Européenne in Francia, che fanno della Federazione europea il loro scopo esclusivo. In secondo luogo i federalisti, presenti oltre che in queste organizzazioni anche nelle più importanti organizzazioni politiche antifasciste, forniscono il contributo più approfondito alla riflessione teorica sulla crisi dello Stato nazionale come causa profonda delle guerre mondiali e del fascismo e sull’esigenza di una soluzione federale di questa crisi. Essi inoltre, soprattutto con Altiero Spinelli, elaborano una strategia di lotta per la Federazione europea imperniata sulla costituente europea, individuando così l’obiettivo che sarà al centro dell’azione federalista in tutto il dopoguerra.
Il quarto ed ultimo dato saliente emergente dai Documents on the History of European Integration è che l’orientamento federalista raggiunge la sua massima consistenza in Italia, Francia, Germania e Benelux (comprendendo anche le prese di posizione degli esiliati di questi paesi), cioè nel quadro della futura «piccola Europa» da cui hanno avuto inizio le Comunità europee. E’ vero che il primo federalismo organizzato si manifesta in modo grandioso in Gran Bretagna con Federal Union, che fu fondata nel 1939, raggiunse nel 1940 dodicimila iscritti e duecentoventicinque sezioni, e svolse nei primi anni della guerra un’attività straordinaria, in mancanza della quale non si sarebbe arrivati alla proposta di unione franco-britannica presentata da Churchill nel giugno 1940. E’ un dato di fatto, d’altra parte, che, dopo che nel 1941, con l’allargamento della guerra all’URSS e agli USA, venne meno il pericolo di un collasso dello Stato britannico, l’udienza di Federal Union presso la classe politica e l’opinione pubblica del paese si affievolì sempre più fino a diventare quasi irrilevante verso la fine della guerra. La prospettiva di conservare un ruolo di grande potenza nel nuovo equilibrio mondiale delle potenze accanto a USA e URSS mise quasi completamente in ombra la prospettiva europea e inaridì il federalismo britannico.
Assai diversa fu l’evoluzione nei futuri paesi fondatori delle Comunità europee. Qui l’orientamento federalista si sviluppò in modo consistente solo a partire dal 1941, l’anno in cui apparvero, tra gli altri, tre testi fondamentali quali il Manifesto di Ventotene, il documento di Helmuth von Molkte del Circolo di Kreisau, l’appello di Frenay, fondatore di Combat, alla crociata europea contro il nazismo. Nonostante le enormi difficoltà legate all’occupazione, le tesi federaliste si diffusero però sempre più ampiamente negli ambienti della Resistenza man mano che la guerra andava avanti e giunsero addirittura a produrre nella fase finale della guerra una significativa attività transnazionale con i convegni federalisti di Ginevra del 1944 e di Parigi del marzo 1945 e gli accordi fra partigiani italiani e francesi nel 1944.
Questo radicamento più profondo e duraturo del federalismo nell’area della «piccola Europa» non è casuale. Come chiariscono, oltre a Lipgens nella sua introduzione generale, John Pinder e Philip M.H. Bell nell’ampia parte dedicata alla Gran Bretagna, il federalismo, che rappresenta la più rigorosa risposta della ragione alla crisi storica dello Stato nazionale in Europa, ha trovato un terreno più fertile proprio dove questa crisi si è manifestata nel modo più acuto, provocando il collasso degli Stati nazionali e la vittoria, sia pure precaria, dell’alternativa egemonico-totalitaria. Questa esperienza ha prodotto un ripensamento profondo, di cui il federalismo europeo è stata l’espressione più avanzata, ma che ha coinvolto la grande maggioranza delle forze antifasciste, sia purea livello meno intenso. Questo ripensamento — che si è manifestato anche nell’Europa orientale e balcanica, ma con i limiti connessi alla complessiva arretratezza politica ed economico-sociale di questa zona — è stato per contro meno profondo in Gran Bretagna, la quale ha potuto evitare il collasso dello Stato, contribuendo così in modo decisivo a salvare l’Europa dal nazismo, ma proprio per questo ha reso oggettivamente più difficile la presa di coscienza della crisi storica dello Stato nazionale.
Come si può vedere, il quadro della discussione sull’unità europea durante la seconda guerra mondiale presentatoci dai Documents on the History of European Integration è di estremo interesse non solo ai fini di una conoscenza più completa di tale periodo, ma anche per comprendere meglio lo sviluppo del processo di integrazione europea in questo dopoguerra.
 
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Se i Documents on the History of European Integration sono un’opera indispensabile per conoscere le premesse del processo di integrazione europea, 45 Jahre Ringen um die Europäische Verfassung è uno strumento indispensabile per avere una visione chiara di questo processo, dei risultati fondamentali che esso ha raggiunto, ma anche delle sue insufficienze e delle loro vere cause. Quest’opera è una selezione di documenti relativi all’unificazione europea dal 1939 fino al progetto di Trattato di Unione europea del 1984. I testi selezionati sono, oltre ai fondamentali progetti di costituzione dell’Unione europea del periodo considerato, elaborati da singole personalità, da organizzazioni non governative (movimento per l’unità europea e partiti), da istituzioni europee e da conferenze diplomatiche, i principali documenti dedicati, se non integralmente, almeno nelle loro parti fondamentali, agli aspetti istituzionali dell’unificazione europea. La raccolta di questi documenti è corredata da un’ampia introduzione generale, da ampie introduzioni a ciascuno dei quattro capitoli (1939-1944, 1945-1954, 1954-1969, 1970-1984) in cui il libro è articolato, e da introduzioni molto dettagliate a ciascuno dei centoquarantadue documenti selezionati. Prescindendo dal primo capitolo, che costituisce una sintesi dei precedenti lavori dedicati alla seconda guerra mondiale, questo libro rappresenta in sostanza una storia sintetica, ma comunque abbastanza articolata e approfondita, del processo di unificazione europea fino agli inizi del 1984. La mancanza di molti dettagli di questo processo, dovuta alla relativa sinteticità della sua ricostruzione, è più che compensata dalla capacità di cogliere e chiarirle le linee essenziali di sviluppo del processo stesso.
La struttura portante della ricostruzione di Lipgens è l’individuazione dei tre approcci fondamentali all’unificazione europea già emersi nel dibattito della seconda guerra mondiale, e che vengono riproposti in termini più precisi, e soprattutto più operativi, dopo la guerra, e il chiarimento dell’influenza da essi esercitata sullo sviluppo effettivo dell’unificazione europea. A proposito dell’approccio funzionalistico, qui definito «integrazione sovrannazionale parziale», viene opportunamente messo in luce che la caratterizzazione che ad esso dà Monnet rende questo approccio meno lontano da quello federalistico di quanto non avvenisse nel caso di Mitrany. In Monnet viene in effetti chiaramente indicato quale obiettivo ultimo dell’integrazione una unione completa fondata su una costituzione federale e viene d’altra parte più fortemente sottolineata l’esigenza dell’autonomia dai governi nazionali dell’autorità sovrannazionale destinata a guidare l’integrazione per settori. Anche per questo motivo Lipgens distingue l’approccio funzionalistico da quello confederalistico, superando la tendenziale identificazione fra i due approcci presente nel saggio di Spinelli del 1957 su «Lo sviluppo del moto per l’unità europea dopo la seconda guerra mondiale».[11] Lo stesso Spinelli in effetti superò successivamente questa impostazione alla luce della successiva esperienza dell’integrazione europea.[12]
Partendo dall’individuazione dei tre approcci fondamentali all’unificazione europea, Lipgens mostra con grande chiarezza come le Comunità europee sono, nelle loro strutture e nei loro obiettivi, il frutto di un compromesso fra di essi. L’approccio confederalistico ha il suo punto di forza nel ruolo attribuito al Consiglio dei Ministri. Se nella CECA questo organo ha essenzialmente il compito di coordinare le competenze comunitarie, le quali sono gestite con ampia autonomia dall’Alta Autorità, con le competenze non comunitarizzate, nella CEE il Consiglio, al di là di questo compito, acquisisce in modo esclusivo il potere legislativo per le competenze comunitarie e anche una parte significativa del potere esecutivo. Ciò delimita fortemente il ruolo centrale che l’approccio funzionalistico voleva attribuire all’organo soprannazionale indipendente dai governi nazionali. La Commissione esecutiva della CEE è sì indipendente dai governi, in quanto da essi non revocabile per il periodo di nomina, ed ha il ruolo di iniziativa, per cui nulla può essere deciso se non sulla base di una sua attività propositiva. Poiché però il potere decisionale resta in ultima analisi nelle mani dei governi, l’organo fondamentale a cui l’approccio funzionalistico di Monnet intendeva attribuire la guida del processo integrativo finisce per avere una posizione subordinata nel sistema complessivo delle Comunità rispetto all’organo di tipo confederale.
Per quanto riguarda i sostenitori dell’approccio federalistico, essi lottarono duramente per far prevalere il metodo della costituente federale fin dall’inizio dell’unificazione europea. L’Unione europea dei federalisti (UEF), sotto l’impulso del MFE guidato da Spinelli, dopo aver cercato invano di ottenere la trasformazione dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa in una Assemblea costituente, giunse in effetti molto vicino al successo allorché ottenne che la progettata istituzione di un esercito europeo fosse collegata con la creazione di una comunità politica di carattere federale, l’elaborazione del cui statuto fu affidata all’Assemblea allargata della CECA, definita Assemblea ad hoc. Il rigetto della CED nell’agosto del 1954 dal parte del Parlamento francese determinò però la sconfitta del tentativo di fondare fin dall’inizio la costruzione europea su istituzioni di carattere federale. Con la CEE e l’Euratom, approvati meno di tre anni dopo questa sconfitta, si diede vita in effetti a un sistema istituzionale essenzialmente caratterizzato dall’approccio confederalistico e da quello funzionalistico, con una chiara prevalenza del primo sul secondo. Non fu tuttavia eliminata ogni componente federalistica da questo sistema. Le Comunità contengono infatti alcuni embrioni federali: anzitutto la previsione dell’elezione diretta del Parlamento europeo e il potere di censura nei confronti dell’organo esecutivo sovrannazionale, quindi le disposizioni circa il graduale passaggio al voto a maggioranza nel Consiglio dei Ministri, e infine il principio della efficacia diretta della normativa e della giurisprudenza comunitaria.
Queste sono dunque le caratteristiche fondamentali del sistema comunitario costruito negli anni ‘50, che devono essere tenute presenti secondo Lipgens per capire nelle sue linee generali lo sviluppo dell’integrazione europea che si è successivamente realizzato. Passando all’analisi di questo sviluppo, il problema centrale che egli si pone è di chiarire perché il sistema comunitario non è stato in grado di passare dalla fase della semplice integrazione negativa, ossia liberoscambista, a quella dell’integrazione positiva, cioè all’attuazione di efficaci politiche comuni dirette a eliminare gli squilibri territoriali, settoriali e sociali caratterizzanti l’economia europea e ad affrontare i problemi posti dalla crisi economica mondiale e dalla transizione alla società post-industriale. La causa di fondo di questo mancato sviluppo — il quale è a sua volta la ragione della situazione di sostanziale stallo e quindi di crisi permanente in cui l’integrazione è entrata dall’inizio degli anni ‘70 in poi — è da lui chiaramente individuata nei limiti delle istituzioni comunitarie. La sua analisi a questo riguardo è così convergente con quella sviluppata dall’UEF che non è il caso di illustrarla qui, salvo che in un punto particolarmente istruttivo.
Egli individua nella preminenza del Consiglio dei Ministri e nel fatto che, a partire dal compromesso di Lussemburgo del 1966, si è di fatto sancito il principio del diritto di veto nazionale, il fondamentale fattore istituzionale che ha bloccato lo sviluppo dell’integrazione. E ricorda al riguardo la pregnante osservazione del presidente della Commissione Thorn nel 1982, secondo cui, come nessuno può seriamente pensare di governare uno Stato sulla base della semplice cooperazione fra i governi regionali, senza cioè un governo centrale, così non c’è alcun motivo per ritenere che l’Europa sia governabile attraverso la semplice cooperazione dei suoi governi nazionali.
Per quanto concerne la causa del mancato passaggio al voto a maggioranza nel Consiglio, Lipgens, da una parte, sottolinea fortemente le responsabilità di De Gaulle e del suo nazionalismo, che ha finito per fare scuola favorendo in particolare l’emergere di tendenze di tipo gollista anche in Germania, sia nel quadro della Ostpolitik,[13] sia nel quadro della politica europea della Germania sempre più caratterizzata da una meschina difesa di interessi nazionali immediati, soprattutto sui temi del bilancio comunitario e della moneta europea. Ma, dall’altra parte, individua come fattore decisivo il dato strutturale costituito dalla natura anfibia del Consiglio, il quale dovrebbe nello stesso tempo agire come organo intergovernativo deliberante all’unanimità nei settori non comunitarizzati e come senato federale deliberante a maggioranza nei settori comunitarizzati e rispetto ai quali esercita in modo esclusivo il potere legislativo.
In realtà, poiché in entrambe le funzioni sono sempre le stesse persone — cioè ministri nazionali spinti per la natura stessa del loro ruolo a privilegiare gli interessi nazionali particolari e a breve termine rispetto a quelli europei — che operano, è pressoché inevitabile che, al di là delle affermazioni di principio, essi tendano a trasferire il metodo della cooperazione intergovernativa e quindi delle decisioni unanimi dai settori non comunitarizzati a quelli comunitarizzati. L’unico modo per superare alla radice questa situazione è dunque, a suo avviso, la trasformazione del Consiglio in un vero e proprio Senato federale con compiti esclusivamente legislativi condivisi, su un piano di parità, con il Parlamento europeo. E’ precisamente la strada indicata dal progetto di Trattato di Unione europea che Lipgens considera la risposta più adeguata alla crisi dell’integrazione europea e che ha come criterio guida uno sviluppo decisivo, sia pure con un’impostazione gradualistica, degli embrioni federali del sistema comunitario.
Nella sua sintetica ricostruzione storica del processo di integrazione europea il progetto di Trattato di Unione europea viene considerato in effetti come la manifestazione più importante di un ben delineato trend storico: il riemergere di una crescente capacità della corrente federalista di influenzare questo processo. Dopo la caduta della CED la forza dei federalisti risultò gravemente indebolita non solo in conseguenza di quella catastrofica sconfitta, ma anche a causa della divisione che si produsse nelle loro file fra coloro che si orientarono a favore di un sostegno, sia pure critico, alle Comunità, e coloro che decisero di difendere con intransigenza e sulla base di un’azione popolare il principio della costituente europea. In ogni caso non ci fu alcuna possibilità di influenzare in senso federalista lo sviluppo effettivo dell’integrazione fino a quando questa fu in grado di realizzare progressi sostanziali nonostante i limiti delle istituzioni comunitarie. La situazione cambiò invece nettamente allorché divenne sempre più chiara l’incapacità di progredire, nel quadro istituzionale esistente, dall’integrazione negativa a quella positiva e, quindi, dall’unificazione economica a quella politica. La crisi permanente delle Comunità aprì in effetti uno spazio politico reale ai federalisti, i quali seppero ritrovare la loro unità e un ruolo efficace nella lotta per l’elezione diretta del Parlamento europeo e, quindi, per l’attribuzione ad esso di un ruolo costituente.
Nel ricostruire e documentare i momenti essenziali di questa lotta, Lipgens mostra come essa ha effettivamente influenzato in modo determinante gli sviluppi fondamentali che si sono verificati a partire dagli anni ‘70 riguardo al Parlamento europeo. Non solo egli richiama l’attenzione, in un modo preciso e dettagliato quale non si trova presso nessun altro storico dell’unificazione europea, sull’azione dell’UEF a favore dell’elezione europea. Non solo sottolinea la centralità dell’iniziativa e dell’azione di Spinelli nel processo che ha portato il Parlamento europeo all’approvazione del progetto di Trattato di Unione europea, ma documenta anche l’influenza del Movimento europeo — tramite la sua Commissione istituzionale — e dell’UEF — attraverso l’attualizzazione delle risoluzioni elaborate nel 1952 dalla commissione di studio sulla costituzione europea e che avevano fortemente influenzato il contenuto del progetto di statuto della Comunità politica europea elaborato dall’Assemblea ad hoc — sulla stessa definizione da parte del Parlamento europeo del contenuto del progetto di Trattato di Unione europea.
Lipgens non ha potuto assistere all’esito per ora insoddisfacente della lotta per imporre ai governi nazionali l’accettazione di una riforma effettiva delle istituzioni comunitarie. Questo insuccesso, occorre osservare, non costituisce una confutazione della tesi secondo cui la corrente federalista è ridiventata un fattore reale dello sviluppo dell’integrazione europea. E’ un dato di fatto che non solo il Parlamento europeo ha ripreso la lotta per l’Unione europea, ma, dopo la scomparsa di Spinelli, è giunto addirittura a istituire nel suo seno un intergruppo federalista che sta lavorando attivamente per ottenere l’attribuzione di un mandato costituente al Parlamento europeo che verrà eletto nel 1989.
 
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Uno degli apporti più significativi dell’opera storiografica di Lipgens sul processo di unificazione europea è costituito dal chiarimento e dalla documentazione dell’influenza esercitata dai movimenti per l’unità europea su questo processo. Sotto questo aspetto egli si distacca dall’orientamento storiografico prevalente che affronta questo tema col metodo della storia diplomatica e, quindi, tende strutturalmente a privilegiare le iniziative e l’azione svolta dai governi, dalle diplomazie e dalle istituzioni europee. Da questo metodo egli si è consapevolmente[14] distaccato perché ha visto nell’unificazione europea il processo di graduale formazione di una nuova comunità politica, che ha come causa profonda la crisi storica degli Stati nazionali. Proprio per questo è stato spinto a richiamare l’attenzione in modo sistematico sul ruolo degli attori non governativi resi attivi ed efficaci dalla perdita di centralità degli Stati nazionali e dei loro organi supremi.
Questo orientamento, che si manifesta, oltre che nei testi sopra esaminati, nell’opera complessiva di Lipgens, ha prodotto un risultato di notevole importanza nel saggio EVG und politische Föderation terminato poche settimane prima di morire. Questo saggio illustra e documenta il ruolo svolto da De Gasperi nella genesi dell’art. 38 della CED e l’influenza decisiva che Spinelli ha esercitato a questo riguardo su De Gasperi e sul capo della delegazione italiana alla conferenza per l’organizzazione dell’esercito europeo, Ivan Matteo Lombardo.[15] I federalisti conoscevano già, sulla base delle testimonianze scritte e orali di Spinelli,[16] gli aspetti essenziali di questo episodio centrale nella storia dell’influenza della corrente federalista sul processo di integrazione europea. Inoltre, i lettori di questa rivista hanno avuto la possibilità di leggere la sintetica ricostruzione e documentazione di esso compiuta da Mario Albertini alcuni anni fa.[17] Rispetto allo stato preesistente delle informazioni, l’apporto fondamentale di Lipgens — che, tra l’altro, scrive con l’autorità derivatagli dall’essere generalmente riconosciuto come uno dei più importanti storici dell’unificazione europea — consiste nell’aver fatto conoscere per la prima volta al pubblico due documenti che confermano pienamente l’esattezza della ricostruzione di Spinelli e di Albertini.
Il primo di questi documenti è l’aide mémoire che Lombardo, nominato da De Gasperi nel settembre 1951 capo della delegazione italiana alla conferenza sull’esercito europeo al posto di Taviani, presentò agli altri capi-delegazione il 6 ottobre dello stesso anno. Questo documento, elaborato da Ivan Matteo Lombardo in pieno accordo con De Gasperi, è l’espressione di una svolta nella linea di condotta italiana nelle trattative sulla CED. Finché Sforza conservò il Ministero degli Esteri e Taviani la guida della delegazione italiana alla conferenza sull’esercito europeo, la linea italiana fu caratterizzata da affermazioni di principio a favore della Federazione europea e da una condotta pratica orientata alla gelosa difesa della sovranità nazionale. Dopo l’assunzione degli Esteri da parte di De Gasperi e la sostituzione di Taviani con Lombardo (che, tra l’altro, già da alcuni anni era legato al MFE) questo orientamento mutò nettamente e fu sostenuta con coerenza e continuità l’esigenza di collegare la creazione dell’esercito europeo con l’istituzione di una comunità politica con caratteristiche federali. Nell’aide mémoire la nuova linea si manifesta in particolare nelle richieste: di attribuire, conformemente ai principi fondamentali del sistema parlamentare, all’assemblea della CED il controllo sul bilancio della difesa che sarebbe stato sottratto ai parlamentari nazionali; di incaricare tale assemblea, che per un periodo transitorio sarebbe stata eletta dai parlamenti nazionali, di preparare l’elezione diretta di un Parlamento europeo; di attribuire al Parlamento europeo direttamente eletto il diritto di nominare il Commissario della CED e di esercitare un controllo politico complessivo sul bilancio europeo e la gestione dell’attività del Commissario.
Noi già sapevamo, sulla base delle informazioni fomite da Spinelli e Albertini, che il mutamento della linea italiana fu dovuto in modo decisivo all’intervento di Spinelli. Questi venne a conoscenza del rapporto preliminare inviato il 27 luglio 1951 dalle delegazioni alla conferenza sull’esercito europeo ai loro governi, il quale non conteneva il progetto di una comunità politica fondata sul voto degli Europei, ma prevedeva semplicemente istituzioni simili a quelle della CECA, con un Commissario al posto dell’Alta Autorità. Fece quindi pervenire nel settembre successivo a De Gasperi un promemoria nel quale, partendo dal chiarimento della contraddittorietà del progetto di creare un esercito europeo senza uno Stato europeo, chiedeva di procedere, parallelamente alla definizione delle strutture dell’esercito europeo, alla elaborazione di una costituzione federale europea da parte di un’Assemblea costituente europea, che a rigore avrebbe dovuto nascere da un voto diretto dei cittadini, ma che, per ragioni di rapidità e di convenienza, poteva anche essere eletta dai parlamentari nazionali. De Gasperi lesse attentamente questo promemoria e ne seguì in sostanza i consigli nelle trattative che portarono all’art. 38 della CED e poi all’Assemblea ad hoc. Orbene, questo quadro che ci era noto nei suoi tratti generali diventa più preciso con la pubblicazione dell’aide mémoire del 9 ottobre 1951. Dal confronto fra il suo contenuto e quello del promemoria di Spinelli (di cui Lipgens riporta i passi più significativi) si può in effetti constatare come il primo sia stato in modo chiarissimo influenzato dal secondo.[18]
Il secondo documento è il verbale, dettato dal capo-delegazione olandese, della riunione dei Ministri degli Esteri della conferenza sull’esercito europeo avvenuta a Strasburgo l’11 dicembre 1951. Finora noi conoscevamo il verbale di questa riunione steso da Lombardo e pubblicato da Albertini (e ripubblicato da Lipgens in appendice al saggio qui esaminato), dal quale emerge il ruolo decisivo di De Gasperi per quanto riguarda l’art. 38 della CED e il fatto che egli si ispirò chiaramente alle proposte federaliste. Orbene, l’importanza del verbale di stesura olandese sta nel fatto che esso conferma pienamente l’autenticità del contenuto del verbale di stesura italiana. E si tratta di una conferma particolarmente probante poiché, mentre il documento italiano non fu inserito negli atti ufficiali del Ministero degli Esteri italiano (si trova infatti nell’archivio privato di Ivan Matteo Lombardo, donato, dopo la morte di quest’ultimo, alla Fondazione Bolis e conservato nell’archivio del Centro europeo di studi e informazioni di Torino), il documento olandese fu invece inserito negli atti ufficiali del Ministero degli Esteri olandese. Questa nuova conferma del ruolo di De Gasperi riguardo all’art. 38 della CED e il suo collegamento con la visione più precisa che l’aide mémoire del 9 ottobre 1951 permette di ottenere del rapporto Spinelli-Lombardo-De Gasperi, porta Lipgens a ribadire che le trattative sulla CED sono state anche un esempio di grande rilevanza di come la corrente federalista (in questo caso il MFE guidato da Spinelli) abbia saputo intervenire efficacemente nello sviluppo dell’integrazione europea nei momenti in cui il tema dell’unificazione politica europea è venuto all’ordine del giorno.
In questo caso, egli sottolinea con rammarico a conclusione del suo saggio, l’intervento fu efficace, ma non abbastanza. In effetti la CED è caduta a suo avviso anche perché De Gasperi non ha ascoltato completamente il consiglio dei federalisti. Se egli avesse chiesto subito la convocazione dell’Assemblea costituente, invece di rinviarla con il dispositivo dell’art. 38, fin dall’inizio sarebbe stato in primo piano nel dibattito pubblico il problema della costituzione dell’unione politica europea e non quello dell’unione militare, destinato, per la sua natura, a facilitare la propaganda degli avversari dell’unità europea. E si sarebbe forse potuti giungere a decisioni definitive prima del cambiamento fatale di congiuntura connesso con la morte di Stalin.
A conclusione di questa analisi degli scritti postumi di Lipgens voglio formulare un augurio, che è insieme un impegno. Come nel caso di Spinelli il miglior modo per ricordarlo è proseguire la sua battaglia federalista, così nel caso di Lipgens il miglior modo di ricordarlo è fare quanto ci è possibile per continuare la sua attività di ricerca sulla storia dell’unificazione europea.[19]


[1] Le sue opere principali in questo campo sono: Kardinal Johannes Gropper (1503-1559) und die Anfänge der Katholischen Reform in Deutschland, Münster, 1951; John Henry Newman. Auswahl und Einleitung von W. Lipgens, Frankfurt, Fischer, 1958; Ferdinand August Graf Spiegel und das Verhältnis von Kirche und Staat 1789-1835. Die Wende von Staatskirchentum zur Kirchenfreiheit, Historische Kommission Westfalens, Münster, 1965, 2 voll. Sulla vita e l’opera di Lipgens si vedano le necrologie di Peter Robert Franke e di Elisabeth Fehrenbach, pubblicate in un opuscolo del 1984 della Facoltà di filosofia dell’Università della Saar, presso cui egli aveva la cattedra di Storia moderna.
[2] A questo riguardo va ricordato in particolare l’ampio saggio «Bismarck, die öffentliche Meinung und die Annexion von Elsass und Lothringen 1870», in Historische Zeitschrift, 199, 1964, pp. 31-112, la cui tesi di fondo è che non l’opinione pubblica spinse Bismarck all’annessione dell’Alsazia-Lorena, ma al contrario Bismarck influenzò massicciamente la stampa per orientare e manipolare l’opinione pubblica in tale direzione. Sempre sulla Historische Zeitschrift, 217, 1973, pp. 529-583, Lipgens scrisse l’importante saggio «Staat und Internationalismus bei Marx und Engels. Versuch einer Systiemübersicht».
[3] «Europäische Einigungsidee und Briands Europaplan im Urteil der Deutschen Akten», in Historische Zeitschrift, 203, 1966, I parte, pp. 46-89, II parte, pp. 316-363.
[4] Europa-Föderationspläne der Widerstandsbewegungen 1940-45, Oldenbourg, München, 1968.
[5] Die Anfänge der europäischen Einigungspolitik 1945-50, Erster Band: 1945-1947, Stuttgart, Klett, 1977, (ed. ingl. ampliata: A History of European Integration, Vol. I: 1945-1947: The Formation of the European Unity Movement, con i contributi di W. Loth e A. Milward, Oxford, Clarendon Press, 1982. Cfr. in proposito: Sergio Pistone, «L’importanza dell’opera storiografica di Lipgens sugli inizi del processo di unificazione europea», in Il Federalista, XIX (1977), pp. 155-170.
[6] Va ricordato in particolare Die Europäische Integration, Stuttgart, Klett, 1982, una sintetica ma pregnante storia dell’unificazione europea, ampiamente utilizzata nella scuola media superiore tedesca. Va altresì ricordato il suo splendido articolo «Erfolgreichste Friedensbewegung der neueren Geschichte. Eine Historiscbe Bilanz», in Das Parlament, 12, 1983, nel quale il movimento di unificazione europea viene considerato come il movimento per la pace finora più riuscito nella storia moderna.
[7] Si veda in particolare: Richard Löwenthal e Hans-Peter Schwarz (a cura di), «Europäische Integration», in Die zweite Republik. 25 Jahre Bundesrepublik Deutschland – eine Bilanz, Stuttgart, Seewald, 1974, pp. 519-553, (trad. it. in Sergio Pistone, La Germania e l’unità europea, Napoli, Guida, 1978, pp. 91-139).
[8] Walter Lipgens (a cura di), Documents on the History of European Integration, voI. I: Continental Plans for European Union 1939-1945, Berlin-New York, W. de Gruyter, 1985; vol. II: Plans for European Union in Great Britain and in Exile 1939-1945, 1986. Si tratta di un’opera collettanea ideata e diretta da Lipgens e per la quale egli incominciò a lavorare nel periodo del suo soggiorno presso l’Istituto universitario europeo (nella cui collana l’opera è inserita), negli anni 1976-1979. Il progetto completo di questa raccolta commentata di documenti prevedeva la pubblicazione di cinque volumi riguardanti il periodo 1939-1950. I primi due volumi, che contengono, oltre all’introduzione generale, numerosi capitoli dovuti a Lipgens e i cui restanti capitoli sono stati preparati sotto la sua direzione, erano, il primo, in corso di stampa al momento della sua morte e, il secondo, pronto per la stampa. I volumi successivi verranno pubblicati sotto la direzione del prof. Wilfried Loth, allievo di Lipgens e attualmente titolare della cattedra di Storia moderna nell’Università di Essen. In collegamento con questo progetto è inoltre prevista la pubblicazione da parte dell’Istituto universitario europeo di una serie di volumi sul tema, The European Allied Governments and the Development of European Integration and Cooperation.
[9] Walter Lipgens (Hrsg.), 45 Jahre Ringen um die Europäische Verfassung. Dokumente 1939-1984. Von den Schriften der Widerstandsbewegung bis zum Vertragsentwurf des Europäischen Parlaments, Bonn, Europa Union Verlag, 1986.
[10] Walter Lipgens, «EVG und politische Föderation. Protokolle der Konferenz der Aussenminister der an den Verhandlungen über eine Europäische Verteidigungsgemeinschaft beteiligten Länder am 11. Dezember 1951», in Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 4, 1984, pp. 639-688. Alle pagine 637-639 della rivista è pubblicata una necrologia di Lipgens ad opera di Hans-Peter Schwarz.
[11] Altiero Spinelli, «Sviluppo del moto per l’unità europea dopo la seconda guerra mondiale», in G. Grove Haines, L’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 1957, ripubblicato in Altiero Spinelli, Il progetto europeo, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 163-191.
[12] Altiero Spinelli, Rapporto sull’Europa, Milano, Comunità, 1965, pp. 18-24.
[13] Questo tema è trattato in modo più approfondito nel saggio «Europäische Integration» citato nella nota 7.
[14] Cfr. in proposito Walter Lipgens, «Der Zusammenschluss Westeuropas. Leitlinien für den historischen Unterricht», in Geschichte in Wissenschaft und Unterricht, 6, 1983, pp. 345-372.
[15] Sul tema della CED va anche ricordato un altro contributo di Lipgens apparso postumo: «Die Bedeutung des EVG-Projekts für die politische europäische Einigungsbewegung», in Hans-Erich Volkmann e Walter Schwengler (Hrsg.), Die Europäische Verteidigungsgemeinschaft Stand und Probleme der Forschung, edito dal Militärgeschichtlicher Forschungsamt, Boppard am Bhein, Boldt, 1985, pp. 9-30.
[16] Cfr. in particolare Altiero Spinelli, «Storia e prospettive del Movimento Federalista Europeo», in AA.VV., Sei lezioni federaliste, edito dal MFE, Roma, 1954, pp. 146-184. Vedi anche la sua prefazione a Ivan Matteo Lombardo, L’Europa che sorge, Roma, Opere Nuove, 1952.
[17] Mario Albertini, «La fondazione dello Stato europeo. Esame e documentazione del tentativo intrapreso da De Gasperi nel 1951 e prospettive attuali», in Il Federalista, XIX (1977), pp. 5-55.
[18] Proprio nello stesso periodo in cui è apparso il saggio di Lipgens è stato pubblicato il saggio di Pietro Pastorelli, «La politica europeistica dell’Italia negli anni Cinquanta», in Storia contemporanea, XVI (1984), pp. 723-743, nel quale si accenna all’aide mémoire di Lombardo. In questo scritto peraltro nulla viene detto circa il rapporto fra il documento di Lombardo e quello di Spinelli e, in generale, circa l’influenza di Spinelli e del MFE su De Gasperi e Lombardo. D’altronde Pastorelli, nel saggio «La politica europeistica di De Gasperi», in Umberto Corsini e Konrad Repgen (a cura di), Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi: due esperienze di rifondazione della democrazia, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 295-362, nega che i federalisti abbiano esercitato un’influenza decisiva sull’orientamento europeistico di De Gasperi (p. 360) e sostiene inoltre (p. 362) che l’aver inserito nel progetto di Trattato della CED l’art. 38, cioè l’aver voluto passare da una soluzione «tecnica» a una soluzione più accentuatamente «politica» abbia nuociuto alla battaglia per la ratifica della CED e, quindi, alla causa dell’unificazione europea. E’ chiaro che chi nega in termini di principio la validità dell’approccio federalista all’unificazione europea ha una certa difficoltà a riconoscere l’apporto dei federalisti allo sviluppo di tale processo.
[19] Questo è in effetti uno degli impegni principali della Fondazione europea Luciano Bolis. Il 3 ottobre 1986 essa ha organizzato a Torino, in collaborazione con il Centro europeo di studi e informazioni di Torino, il Dipartimento di studi politici dell’Università di Torino, il Dipartimento storico geografico dell’Università di Pavia, il Goethe Institut, e con il patrocinio dell’Istituto universitario europeo di Firenze, un convegno dedicato a «Il contributo di Walter Lipgens alla storiografia sull’unificazione europea». In questo convegno, a cui hanno partecipato, con relazioni, comunicazioni o interventi, Gaetano Arfé, Christian L. Baljè, Andrea Bosco, Enrico Decleva, Ennio Di Nolfo, Pierre du Bois, Giulio Guderzo, Alan Hick, Emanuele Itta, Ariane Landuyl, Madeleine e Monika Lipgens, Wilfried Loth, Umberto Morelli, Sergio Pistone, Cinzia Rognoni, Marlise Roquette Giarini, Alfonso Sabatino, Massimo L. Salvadori, Enrico Serra, si è deciso di organizzare una serie di convegni sulla storia dei movimenti per l’unità europea dopo la seconda guerra mondiale. Il primo di questi convegni, dedicato al periodo 1945-1954, si terrà a Pavia nell’autunno 1989.

 

 

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