IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVIII, 1976, Numero 2-3, Pagina 163

 

 

Piano a medio termine
per l’Unione monetaria europea
nella prospettiva dell’elezione europea
 
DARIO VELO
 
 
La recente crisi della lira, degenerando in una più vasta crisi monetaria europea, ha dimostrato la fragilità degli accordi monetari europei. Nonostante vigorose azioni di sostegno da parte delle Banche centrali, ai limiti delle capacità di intervento di alcuni istituti, il «serpente comunitario» non ha retto alla prova. Come già nel 1973, il tentativo della Francia di partecipare alla fluttuazione congiunta delle monete europee è fallito pochi mesi dopo l’ingresso del franco nel serpente. Questo fallimento è tanto più grave in quanto, in occasione della recente crisi, si è assistito al tentativo di alcune Banche centrali europee di coordinare i propri interventi sul mercato dei cambi; in particolare, vani si sono dimostrati gli interventi delle autorità monetarie tedesche in sostegno del franco francese. Ciò dimostra i limiti strutturali della fluttuazione congiunta come oggi è concepita.
La chiusura temporanea dei mercati dei cambi decisa dalla Banca d’Italia ha in secondo luogo confermato la gravità della crisi economica italiana. Il vincolo della bilancia dei pagamenti si è nuovamente posto come un ostacolo insuperabile alla ripresa economica; la svalutazione della lira decretata dal mercato, nella misura in cui è destinata ad alimentare il processo inflazionistico, provocherà inevitabilmente una stretta creditizia e l’accantonamento di qualsiasi progetto di rilancio dell’economia o di riforma economica e sociale.
Questi due aspetti sono collegati. Il grado di integrazione è giunto a tale punto di approfondimento, per cui è ormai impossibile affrontare i problemi del sistema economico italiano, o di qualsiasi altro Stato europeo, senza affrontare al tempo stesso i problemi dell’integrazione economica europea. D’altro lato, è astratto pensare di risolvere oggi i problemi che si pongono a livello europeo senza tener conto delle conseguenze che le decisioni prese avrebbero sui singoli Stati membri. Il fatto è che esiste ormai piena coincidenza tra le scelte che debbono essere compiute a livello europeo e a livello nazionale.
Il problema è pertanto quali soluzioni possono essere date ai problemi monetari a livello europeo e quale significato avrebbe la loro realizzazione dal punto di vista delle economie nazionali.
Il punto di partenza per la ricerca di una soluzione a questo problema deve essere la coscienza che già in passato sono stati formulati numerosi progetti in tal senso e che tutti sono falliti. Riferimento empirico immediato in tal senso è il fallimento del serpente comunitario, che in questa prospettiva va considerato come uno dei piani per l’Unione monetaria.
Per comprendere le ragioni di questa serie di insuccessi è necessario porre a confronto la natura dell’obiettivo perseguito e la natura dei rapporti interstatuali esistenti fra i paesi membri della Comunità europea.
In questa prospettiva, si può rilevare che i vari progetti di Unione monetaria si collocano in due grandi gruppi: da un lato i progetti che ipotizzano la sopravvivenza del quadro confederale europeo oggi esistente, dall’altro lato i progetti che ipotizzano la trasformazione dei rapporti confederali esistenti fra gli Stati europei in un legame di natura federale.
I limiti di questi due gruppi di progetti sono differenti. Nell’ottica della sopravvivenza del quadro confederale oggi esistente, il limite strutturale di qualsiasi progetto di Unione monetaria consiste nella impossibilità di andar oltre all’istituzione di forme di solidarietà europea, la cui base di potere sia la temporanea e fragile convergenza degli interessi dei vari Stati partecipanti allo accordo. D’altro lato, i progetti di Unione monetaria che si sono posti nella prospettiva di una trasformazione dei rapporti confederali esistenti fra gli Stati europei in un legame di natura federale, hanno assunto un carattere illuministico in quanto si sono limitati a ipotizzare i mutamenti istituzionali a livello europeo necessari per la realizzazione dell’Unione monetaria; in tal modo questi progetti hanno ottenuto di stabilire una perfetta corrispondenza fra avanzamento lungo la strada dell’Unione monetaria e dell’Unione europea, ma questa operazione non si fondava sulla previsione della possibile evoluzione politica e istituzionale della Comunità.
Il dato essenziale su cui qualsiasi progetto di Unione monetaria deve basarsi è la decisione, presa dal Consiglio europeo a Roma il 1° dicembre 1975, di eleggere il Parlamento europeo a suffragio universale diretto nella primavera del 1978. Nella prospettiva dell’elezione europea, è prevedibile l’avvio di un processo costituente a livello europeo. L’Unione monetaria si pone allora come una delle componenti di tale processo costituente, e il problema di stabilire un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea consiste nel ricercare delle soluzioni tecniche che corrispondano a questo più generale quadro politico-istituzionale europeo. In particolare, il problema cruciale che deve essere risolto da un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea è di garantire una gestione dei problemi monetari europei nel periodo transitorio che ci separa dall’Unione europea in modo tale da anticipare quegli aspetti dell’Unione monetaria la cui realizzazione non richiede l’esistenza di un potere democratico europeo, ma la prospettiva della nascita a breve termine di un potere democratico europeo.
Per comprendere la rilevanza di questo mutamento di prospettiva, si consideri il problema di garantire flussi finanziari, di ammontare adeguato all’obiettivo di difendere le parità monetarie, dai paesi membri della Comunità in surplus verso quelli in deficit. Nell’ottica della sopravvivenza del quadro confederale oggi esistente, questi flussi rappresentano un irrealistico atto di generosità e solidarietà europea. Nell’ottica dei piani più avanzati oggi in discussione di Unione monetaria, i prestiti europei, fatta eccezione dei prestiti di emergenza di limitato ammontare, appaiono irrealistici nella prospettiva immediata caratterizzata dall’esistenza di rapporti confederali fra i paesi europei, mentre acquistano credibilità solo nella prospettiva di lungo periodo della Unione monetaria, posta a propria volta in un futuro imprecisato. Nella prospettiva dei mutamenti che saranno determinati dalla elezione europea, la concessione di prestiti da parte dei paesi comunitari in surplus a quelli in deficit è una possibilità reale, ove inquadrati in un progetto organico. La prospettiva dell’avvio di un processo costituente europeo e della nascita di un potere democratico europeo in effetti rende immediatamente accettabile il principio della solidarietà europea in quanto in tale prospettiva i prestiti europei sono un problema esistente solamente per un breve periodo di transizione: nell’ambito dell’Unione europea gli Stati non potranno generare deficit illimitati in quanto non avranno più il potere di battere moneta e i trasferimenti finanziari europei potranno essere frutto solamente di coerenti politiche europee.
In questa prospettiva va concepito un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea che sulla base dell’esperienza acquisita negli ultimi anni e dei problemi che è più urgente risolvere, ricerchi le soluzioni ai problemi monetari europei che corrispondano alle prospettive di avanzamento verso l’Unione europea aperte dalla decisione di eleggere il Parlamento europeo nel 1978.
 
La fluttuazione congiunta.
A livello europeo, la sola soluzione realistica ai problemi monetari esistenti consiste nel rafforzamento della fluttuazione congiunta delle monete europee. Nella prospettiva della realizzazione dell’Unione monetaria europea, la fluttuazione congiunta è lo strumento per individuare un’area monetaria europea con un certo grado di autonomia rispetto al dollaro e per garantire una struttura di parità definite fra i paesi europei. Ciò significa che la fluttuazione congiunta è il mezzo oggi possibile per porre i paesi europei al riparo dalle perturbazioni dei mercati monetari internazionali, per risolvere i problemi monetari legati alla fissazione dei prezzi del mercato comune agricolo e per assicurare le condizioni di stabilità monetaria necessarie allo sviluppo stabile dell’integrazione economica e commerciale.
L’esperienza acquisita, alla prova dei fatti, con la realizzazione della fluttuazione congiunta delle monete di sei paesi europei dimostra tuttavia la contraddittorietà di questa alternativa, ove non accompagnata da altre misure che la rafforzino.
La fluttuazione congiunta delle monete, in effetti, in presenza di una situazione economica che tende a generare uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti, pone in subordine gli obiettivi della stabilità e dello sviluppo del sistema economico nazionale rispetto all’obiettivo prioritario del mantenimento dell’equilibrio nei conti con l’estero. Ciò, a livello comunitario accentua gli squilibri fra paesi più sviluppati e paesi più deboli, e in questi ultimi inoltre aggrava gli squilibri territoriali interni e rende più arduo il superamento dei ritardi esistenti a livello economico e sociale. In ultima analisi la partecipazione alla fluttuazione congiunta impone ai paesi più deboli di strutturare la propria politica economica in funzione non delle proprie condizioni interne, ma in funzione delle condizioni prevalenti nei paesi più forti.
Per questo la fluttuazione congiunta, non accompagnata da altre misure, è una scelta debole, in quanto accentua e non riduce le tensioni e le spinte centrifughe all’interno della Comunità, rendendo con ciò impossibile la propria estensione a tutta l’area europea e la propria difesa.
Il rafforzamento della fluttuazione congiunta può essere concepito solamente come obiettivo all’interno di un progetto organico che ne elimini, o ne neutralizzi almeno in parte, gli aspetti contraddittorii.
 
Le alternative nazionali alla fluttuazione congiunta.
In alternativa al progetto della fluttuazione congiunta e alla prospettiva dell’Unione monetaria, nessuna soluzione a carattere nazionale è oggi sostenibile. L’unica alternativa alla creazione di un’area monetaria europea autonoma è la partecipazione in posizione di totale subordinazione delle singole valute europee all’area del dollaro inconvertibile; le dimensioni antistoriche degli Stati nazionali europei non permettono nemmeno di progettare il tentativo di isolare ciascuno di essi dalle influenze destabilizzatrici provenienti dal resto del mondo.
L’impossibilità di ricercare una soluzione nazionale ai problemi monetari europei è dimostrata in modo esemplare dal caso italiano.
L’Italia, per sottrarsi alle conseguenze deflazionistiche e distorsive della fluttuazione congiunta, non ha partecipato a questa ultima. Con ciò l’Italia ha ottenuto un certo margine di libertà per realizzare una politica economica autonoma, ma questo maggiore grado di libertà si è tradotto nella svalutazione della lira e non ha permesso né di riportare sotto controllo il processo inflazionistico né di riportare in pareggio i conti con l’estero.
In conseguenza il nostro paese ha egualmente vissuto una fase di grave recessione e ha visto approfondirsi le distorsioni del proprio sistema economico, sociale e territoriale, senza con ciò conseguire l’obiettivo di riequilibrare i conti con l’estero che costituisce la condizione pregiudiziale per programmare qualsiasi misura di rilancio economico e di riforma.
La crisi energetica, scoppiata alla fine del 1973, ha reso ancor più evidente l’impossibilità per ogni singolo Stato nazionale europeo di seguire strategie economiche autonome, in quanto dal 1974 il problema per i paesi europei non è solo di gestire eventuali squilibri interni al sistema economico, ma soprattutto di porre rimedio al disordine generatosi nei rapporti internazionali fra Stati industrializzati e Stati produttori di materie prime. Ciò risulta particolarmente vero per i paesi europei più deboli, quale è l’Italia.
Il fatto è che nessuna soluzione a carattere nazionale può permettere di affrontare i problemi monetari che si pongono a livello europeo, in quanto è impossibile affrontare a livello nazionale problemi che hanno dimensione super-nazionale. D’altro lato, le soluzioni a carattere nazionale sono inadeguate a fronteggiare anche i problemi della recessione e dell’inflazione all’interno dei singoli paesi membri della C.E.E., in quanto i diversi problemi che si pongono nei vari Stati sono espressione di una condizione generale che accomuna tutta l’Europa.
 
La crisi italiana e l’Unione monetaria come condizione per tenere l’Italia in Europa.
L’Italia sta pagando le contraddizioni del processo d’integrazione europea che ha tolto la possibilità agli Stati membri di svolgere un’autonoma ed efficace politica economica, senza trasferire questo potere ad alcuna autorità europea. L’unione doganale europea, se ha permesso di realizzare in Europa uno sviluppo economico e sociale altrimenti inimmaginabile, per i propri limiti istituzionali ha aggravato gli squilibri territoriali e le distorsioni del sistema produttivo europeo, facendo pesare sui paesi più deboli gli oneri più gravi.
Questa situazione si è ulteriormente aggravata fino a divenire insopportabile, a seguito della crisi energetica che ha posto l’Italia di fronte a problemi che non avevano riscontro in passato.
Le pressioni inflazionistiche e i deficit con l’estero sono imputabili, nell’esperienza italiana del dopoguerra, ad un eccesso ricorrente della domanda di beni e servizi rispetto alla capacità di produzione dell’economia. Per arginare il processo inflazionistico e riportare al pareggio i conti con l’estero si è rivelato pertanto necessario e sufficiente un insieme di misure volte a contenere la domanda effettiva. Dal 1974 questi meccanismi non sono stati più sufficienti, perché il problema oggi è soprattutto di ricostituire un nuovo ordine economico internazionale in sostituzione del vecchio ordine uscito dal secondo conflitto mondiale, ormai definitivamente in crisi. Una politica di riduzione della domanda interna, nelle condizioni oggi vigenti, potrebbe servire unicamente a scaricare sugli altri paesi industrializzati il deficit energetico e il deficit connesso all’importazione delle altre materie prime; ma se questa politica è seguita, come accade, da tutti i paesi industrializzati, essa ha come effetto di scaricare il deficit petrolifero dai paesi con posizione economica dominante sui paesi più deboli, fra i quali va posta l’Italia; per questi ultimi, l’unico effetto di questa politica è una riduzione della produzione e dell’occupazione, senza che vengano risolti né il problema dell’inflazione né quello del deficit dei conti con l’estero.
L’esperienza vissuta dall’Italia nel 1975 conferma la gravità dell’attuale crisi economica. Nonostante uno sforzo eccezionale e imprevedibile compiuto dall’economia, sotto la pressione della severa politica deflazionistica svolta dal governo e dalle autorità monetarie, il deficit nei conti con l’estero non è stato eliminato. L’esperienza di questi giorni dimostra che, in questa situazione, è sufficiente una timida ripresa della domanda interna per far crollare la lira e per rendere necessaria l’adozione di nuove severe misure deflazionistiche. In questo quadro non può esistere alcuna prospettiva di ripresa economica ma solo la necessità di proseguire indefinitamente una politica deflazionistica, il che implica il mantenimento in Italia di una situazione di crisi permanente senza alternative.
Il fatto è che la crisi italiana può trovare soluzione solo nel quadro europeo, perché solo nella prospettiva della fondazione dell’Unione europea è possibile affrontare le distorsioni generate dall’integrazione doganale e progredire verso l’Unione economica e monetaria, e perché solo nella prospettiva della fondazione dell’Unione europea è possibile progettare una trasformazione dei rapporti internazionali in modo che le legittime ambizioni di sviluppo dei paesi possessori di materie prime possano conciliarsi con l’esigenza di garantire l’equilibrato sviluppo dei paesi industrializzati e il decollo economico dei paesi del Terzo mondo.
La soluzione della crisi economica italiana, nella prospettiva europea è un problema semplicemente inesistente. Per comprendere ciò, è sufficiente considerare che nella C.E.E., accanto a Stati con un deficit nella bilancia dei pagamenti, esistono paesi in grado di risolvere senza particolari difficoltà i problemi posti dalla crisi energetica. La C.E.E., nel suo complesso, presenta un deficit verso il resto del mondo relativamente contenuto, gestibile senza particolari difficoltà da un’autorità centrale cui fossero attribuiti i necessari poteri. Ciò significa che l’Italia fronteggia oggi una situazione drammatica, perché l’Europa è divisa e manca quindi di quegli strumenti che all’interno di ogni Stato assicurano il sostegno delle regioni depresse.
Dopo la decisione del Vertice di Roma del dicembre scorso di procedere all’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1978, l’alternativa europea è diventata non solo possibile, ma realistica per un futuro ormai prossimo. Il problema per l’Italia è dunque di gestire la crisi nel periodo transitorio che ci separa dall’Unione europea, rimanendo legata all’Europa. Questo obiettivo potrà essere raggiunto se due condizioni saranno realizzate, una di carattere internazionale, una di carattere nazionale.
Dal punto di vista nazionale, ciò che l’Italia deve fare è assicurare per il periodo transitorio fino alla fondazione dell’Unione europea una gestione politica ed economica coerente con l’obiettivo di garantire la propria permanenza in Europa e in particolare di legare la propria moneta alle restanti monete europee.
La condizione internazionale per tenere l’Italia in Europa durante questa fase transitoria pre-costituente dell’Unione europea è l’affermazione di una più stretta solidarietà fra i partners europei; in particolare, il problema più urgente in questa prospettiva è il completamento della fluttuazione congiunta con misure che ne compensino almeno in parte gli aspetti contraddittorii, insostenibili dai paesi più deboli.
Per valutare la rilevanza di queste conclusioni, si tenga presente che la crisi italiana presenta molti punti di contatto con la crisi inglese e presenta aspetti destinati presumibilmente ad emergere, a breve o medio termine, anche nei rimanenti paesi europei.
 
Un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea. Le relazioni intracomunitarie.
Per consolidare l’ordine monetario europeo e per fronteggiare i problemi posti agli Stati nazionali europei dalla crisi economica è necessario progredire verso l’Unione monetaria europea. A breve termine, il problema è rafforzare la fluttuazione congiunta con misure che la rendano compatibile, anche per i paesi più deboli, con gli obiettivi della piena occupazione e dello sviluppo equilibrato perseguito dalle politiche economiche nazionali. In una prospettiva più ampia, il problema è rafforzare la fluttuazione congiunta con l’adozione di misure e con la creazione di istituti che possano facilitare l’evoluzione verso l’Unione monetaria, anticipandone alcuni aspetti. In questa prospettiva va concepito un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea.
I problemi che debbono essere risolti da un piano a medio termine ne determinano le caratteristiche. Gli obiettivi essenziali possono essere considerati il rafforzamento dell’autonomia dell’area monetaria europea, la messa in atto di meccanismi che permettano di fronteggiare le tensioni generate all’interno della Comunità dal progredire dell’unificazione monetaria, la realizzazione di accordi che permettano di regolare i rapporti monetari fra i paesi membri della C.E.E. con modalità che accentuino la solidarietà europea. Ciò implica che qualsiasi piano di Unione monetaria deve articolarsi in misure volte a regolare i rapporti della Comunità, nel suo insieme, con il resto del mondo e in misure volte a regolare i rapporti intracomunitari fra i paesi membri.
A tal fine propongo innanzitutto la creazione di una stanza di compensazione europea che accentri i pagamenti intracomunitari.
Questa proposta ha un importante precedente storico, costituito dall’Unione Europea dei Pagamenti (U.E.P.), che negli anni ‘50 agevolò il tentativo dei paesi europei di ristabilire la convertibilità delle monete. L’istituzione di un meccanismo di compensazione multilaterale nell’immediato dopoguerra aveva permesso ai paesi europei di incrementare l’interscambio commerciale superando l’ostacolo costituito dalla carenza di riserve valutarie; questo meccanismo era stato inoltre integrato dall’attivazione di linee di credito a favore dei paesi temporaneamente in deficit verso la stanza di compensazione europea, e ciò aveva ulteriormente agevolato lo sforzo dei paesi europei di aprirsi alla concorrenza internazionale.
La istituzione di una stanza di compensazione europea nelle condizioni oggi vigenti avrebbe un significato diverso ma potrebbe rivelarsi uno strumento altrettanto efficace, o ancor più efficace, di quanto non sia stato nell’ambito dell’U.E.P.
La stanza di compensazione europea avrà la funzione, come definito dalla sua stessa denominazione, di compensare automaticamente su base multilaterale tutti i surplus e deficit bilaterali in cui è incorso ciascun paese membro della C.E.E. nei confronti di tutti gli altri paesi membri, sia per transazioni in conto corrente che in conto capitale. Le compensazioni avranno luogo a intervalli regolari, ad esempio mensili, e saranno eseguite da una banca europea a ciò delegata. Ciò implica che gli scambi e i flussi finanziari intercomunitari non daranno più luogo a singoli pagamenti in moneta internazionale; solamente il saldo complessivo di periodo sarà regolato da ogni paese secondo le modalità previste dalla stanza di compensazione.
Il fatto che un unico regolamento di questo saldo netto di ciascun paese verso la stanza di compensazione si sostituisca a regolamenti separati di tutti gli scambi intercomunitari implica con evidenza, per i paesi europei, un notevole risparmio di riserve, e ciò costituisce il primo importante vantaggio derivante dalla istituzione di una stanza di compensazione.
L’istituzione di una stanza di compensazione in questo senso contribuirebbe ad accentuare il fatto che il commercio intracomunitario, che stante la divisione dell’Europa deve essere considerata ancora come commercio internazionale, tende a configurarsi come commercio interregionale. Si tenga presente, a tal fine, che non dovrebbe risultare difficile stabilire modalità di funzionamento della stanza di compensazione tali da escludere la convenienza per le imprese o per i privati a sottrarre alla competenza della stanza stessa le transazioni internazionali poste in essere. In effetti, tali operazioni di arbitraggio acquisirebbero rilevanza solamente se conseguenza della attività della stanza di compensazione europea fosse la segmentazione del mercato dei cambi in settori diversamente regolati e con differenti quotazioni delle monete.
L’esistenza di una stanza di compensazione europea anche in altro modo si rivela uno strumento per diminuire l’importanza del dollaro come mezzo di pagamento negli scambi intracomunitari. In effetti, i saldi di ogni paese nei confronti della stanza potranno essere, almeno in parte, o liquidati in monete europee, o finanziati con prestiti concessi al paese debitore.
Questo secondo aspetto si ricollega alla misura e alle modalità con cui il meccanismo di compensazione sarà integrato dalla attivazione di linee di credito a favore dei paesi in deficit nei confronti della stanza. Per valutare questa possibilità, occorre tener presente che è prevedibile, nelle condizioni che caratterizzano oggi i paesi membri della C.E.E., che alcuni paesi risulteranno costantemente creditori netti e altri debitori netti nei confronti della stanza.
In questa ipotesi, riconoscere ai paesi debitori la possibilità di saldare il proprio deficit in moneta nazionale equivale a garantire il finanziamento automatico da parte dei paesi in surplus dei passivi nei conti intracomunitari degli altri paesi membri. Al contrario, se il deficit nei confronti della stanza di compensazione dovrà essere liquidato nella moneta del paese creditore, ciò equivarrà ad attribuire alla moneta del paese con la bilancia dei pagamenti intracomunitari strutturalmente in surplus (prevedibilmente la Germania) lo status di moneta di riserva e di pagamento intracomunitario, in posizione di subordinazione rispetto al dollaro che rimarrebbe la principale moneta di riserva e di pagamento internazionale.
A fronte di queste alternative, una terza soluzione è possibile e preferibile. La stanza di compensazione potrà emettere unità di conto, che saranno ripartite fra i paesi membri e utilizzate da questi ultimi per liquidare i saldi nei confronti della stanza di compensazione. Poiché la stanza di compensazione non disporrà, almeno inizialmente, del potere di battere moneta, il valore di queste unità di conto dovrà essere coperto dall’esistenza di adeguate riserve in valute nazionali; la stanza di compensazione potrà pertanto collocare nei mercati finanziari dei paesi membri della C.E.E. titoli stilati in moneta locale o in unità di conto europee, per un ammontare equivalente alle unità di conto emesse e ripartite fra i paesi membri. Questa operazione configura un prestito europeo intracomunitario.
Questa soluzione presenta molteplici vantaggi.
In primo luogo, il prestito intracomunitario può essere ripartito fra i vari mercati secondo percentuali variabili nel tempo, facendo aumentare la quota di spettanza dei paesi con posizione attiva nei confronti della stanza. Il collocamento dei titoli diverrebbe in tal modo uno strumento per determinare flussi finanziari dai paesi in surplus verso quelli in deficit, ricorrendo alla intermediazione e alla garanzia della stanza europea di compensazione; perché questo meccanismo possa funzionare nel modo più efficiente, va sottolineato che inizialmente può risultare necessario rendere le varie tranches del prestito non liberamente trasferibili fra i vari mercati nazionali, affinché i titoli non vengano acquisiti dai risparmiatori dei paesi in deficit a ciò motivati prevalentemente da preoccupazioni relative all’andamento del valore di cambio della moneta nazionale.
Lo stesso effetto può essere conseguito manovrando l’allocazione delle unità di conto emesse a fronte del collocamento dei titoli da parte della stanza di compensazione.
In secondo luogo, le modalità con cui è ripartito il collocamento del prestito o sono distribuite le unità di conto hanno la possibilità di modificarsi parallelamente all’evoluzione politica e istituzionale del processo di integrazione europea. Inizialmente, è prevedibile che le operazioni poste in essere dalla stanza di compensazione europea saranno determinate da un accordo unanime delle autorità nazionali, sulla base di un compromesso. Il grado di autonomia degli organi preposti alla stanza di compensazione nei confronti delle autorità nazionali potrà aumentare nel tempo, con l’avvicinarsi del traguardo dell’Unione europea; punto finale di questa evoluzione sarà l’affermazione di una politica monetaria europea svolta da una Banca centrale europea responsabile di fronte ad un Parlamento e a un governo federali.
Questa possibilità di evoluzione è particolarmente rilevante nel contesto esistente, in quanto la prospettiva dell’elezione europea nel 1978 rende possibile prevedere a brevissimo termine la formazione di un primo nucleo di potere democratico a livello europeo destinato ad assumere una funzione costituente.
Nello stesso senso deve essere valutata l’influenza del prestito intracomunitario sulle condizioni tipiche dei singoli mercati monetari e finanziari europei. Inizialmente l’operazione si configurerà in modo non diverso da un qualsiasi prestito privato, collocato per tranches nei vari mercati nazionali previa autorizzazione delle rispettive autorità di controllo.
In una prospettiva di lungo termine, questi prestiti potranno essere collocati forzosamente presso gli istituti di emissione, così come oggi sono collocati i titoli pubblici emessi dal Tesoro di ogni Stato. Questa prospettiva si realizzerà quando inizierà ad operare un sistema di Banche federali che accentrerà il potere di battere moneta oggi posseduto dalle autorità monetarie nazionali. I titoli pubblici europei acquisterebbero così importanza crescente fra le attività delle banche di emissione e permetterebbero di coprire il saldo dei conti fra i «distretti» nazionali, così come oggi avviene negli Stati Uniti fra i distretti della Federal Reserve. In queste condizioni, realizzabili nel quadro dell’esistenza di un governo europeo, il prestito intracomunitario farà coincidere le condizioni di funzionamento dei mercati nazionali dei capitali.
In una fase intermedia, l’importanza del prestito intracomunitario aumenterà gradualmente, perequando i livelli dei tassi di interesse validi nei diversi mercati nazionali e determinando una crescente integrazione fra le politiche monetarie nazionali; inizialmente, fino a quando remissione totale di questi titoli sarà ancora limitata, il pagamento dei saldi nei confronti dell’Unione continueranno ad essere effettuati almeno in parte ricorrendo alle riserve nazionali in valute pregiate ed oro.
Altrettanto vale infine per quanto si riferisce all’importanza della utilizzazione di una unità di conto europea. Nelle condizioni esistenti, una simile unità di conto è destinata ad essere unicamente una clausola volta a ridurre il rischio di cambio sopportato dai debitori e creditori nei confronti della stanza di compensazione; la determinazione delle caratteristiche di questa unità di conto, sarà fatalmente frutto di un compromesso fra i paesi che prevedono di risultare creditori e i paesi che prevedono una posizione debitoria nei confronti della stanza di compensazione europea. Ma, nella prospettiva di una sempre maggiore stabilità dei tassi di cambio fra le monete europee, assicurata dai progressi compiuti verso l’Unione monetaria, l’autorità preposta alla stanza di compensazione europea potrà iniziare operazioni in difesa delle parità monetarie fra l’unità di conto e le singole valute nazionali. Accordi in atto prevedono che le autorità monetarie dei paesi europei intervengano sui mercati dei cambi utilizzando monete europee; questi interventi possono diventare compito delle autorità preposte alla stanza di compensazione, dapprima in collaborazione con le Banche centrali nazionali, in seguito con competenza esclusiva. La competenza esclusiva della stanza di compensazione per tali interventi e la possibilità di garantire rapporti determinati e immodificabili fra l’unità di conto e le monete europee equivalgono ad attribuire ad un’autorità monetaria europea il potere di emettere unità di conto liberamente convertibili in monete nazionali sulla base di un tasso di cambio definito e immodificabile; ciò coincide con la nascita di una moneta europea.
Questa evoluzione risulterà agevolata nell’ipotesi che l’unità di conto sia adottata in modo sempre più diffuso non solo in campo finanziario ma altresì come unità di riferimento nella stipulazione di contratti commerciali nazionali e intracomunitari.
Il fatto è che una stanza di compensazione europea e i prestiti intracomunitari rappresentano obiettivi realizzabili già nelle condizioni oggi vigenti; al tempo stesso presentano l’importante caratteristica di poter subire un’evoluzione in parallelo con i progressi che saranno compiuti dal processo di integrazione europea verso la creazione di un’Unione europea. La stanza di compensazione europea e l’emissione di prestiti intracomunitari nella loro più completa espressione sono funzioni proprie di una Banca centrale; ciò che contraddistingue queste funzioni, è la possibilità che esse trovino fin da ora parziale realizzazione, nel quadro della convergenza delle ragion di Stato degli Stati europei garantita dalla prospettive dell’elezione europea nella primavera del 1978.
L’importanza di questi obiettivi deriva dal fatto che la loro realizzazione avrebbe un immenso significato politico e simbolico, contribuirebbe a rendere compatibili per tutti gli Stati europei la partecipazione alla fluttuazione congiunta delle monete e gli obiettivi della piena occupazione e dello sviluppo equilibrato, agevolerebbe la fondazione di un’Unione monetaria europea.
La rilevanza della funzione svolta dalla stanza di compensazione europea e l’ammontare delle emissioni intracomunitarie avranno possibilità di aumentare, anche nel breve termine. Oggi esistono linee di credito fra i paesi europei; il primo problema è dunque rendere multilaterali gli accordi bilaterali esistenti, riferendoli ad un organismo europeo.
In secondo luogo, la nascita di una stanza di compensazione europea renderà più accettabile per i paesi in surplus la concessione di prestiti ai paesi europei in deficit, in quanto questo onere sarà compensato da un sostanziale progresso lungo la strada dell’Unione monetaria. Mentre nella situazione oggi vigente la concessione di prestiti intracomunitari è un onere che ha elevata probabilità di dover essere sopportato periodicamente dai paesi in surplus per difendere il grado di integrazione economica raggiunto in Europa — e che perciò vede questi paesi estremamente riluttanti ad assumere qualsiasi impegno — nella prospettiva della fondazione dell’Unione monetaria la concessione di prestiti intracomunitari risulta invece come un onere che deve essere sopportato dai paesi in surplus solamente nel periodo transitorio che ci separa dalla fondazione dell’Unione monetaria europea. Nell’ambito dell’Unione monetaria, gli Stati non potranno generare deficit illimitati in quanto avranno perso il potere di battere moneta; l’unico strumento a disposizione delle autorità pubbliche nazionali e locali per finanziare la propria spesa sarà quello fiscale. In questo quadro, solo coerenti politiche europee potranno determinare trasferimenti finanziari europei di carattere pubblico.
In terzo luogo, per valutare la possibilità di un incremento a breve termine della rilevanza dei prestiti intracomunitari, è necessario tener presente che le linee di credito esistenti fra i paesi europei risultano di molto inferiori rispetto a quelle esistenti fra i paesi europei e gli Stati Uniti; ciò significa che non esistono ostacoli di natura economica all’ampliamento delle linee di credito fra ogni paese europeo e i partners della Comunità. A tal fine si tenga presente che i dollari detenuti come riserva dai paesi europei costituiscono un credito nei confronti degli Stati Uniti; man mano che la solidarietà a livello monetario fra i paesi della C.E.E. si consoliderà e il traguardo dell’Unione monetaria sarà più vicino, risulterà possibile aumentare la quantità di titoli emessi dalla stanza di compensazione e di unità di conto detenuti dai singoli paesi, riducendo nel contempo l’ammontare di riserve in dollari.
Più in generale, risulta dunque possibile progettare un trasferimento progressivo a livello europeo delle competenze di politica monetaria e finanziaria parallelamente all’attribuzione alle istituzioni europee di nuove competenze e all’assunzione da parte loro di più ampi poteri; in questa prospettiva, a livello nazionale è destinata ad acquistare importanza crescente la politica fiscale come strumento per finanziare le attività di competenza degli Stati e delle regioni.
 
Un piano a medio termine per l’Unione monetaria europea. Le relazioni con il resto del mondo.
La creazione di una stanza di compensazione europea e il collocamento di emissioni intracomunitarie non risolvono il problema delle relazioni monetarie della Comunità con il resto del mondo. Nella misura in cui potranno aversi casi di paesi in deficit verso il resto del mondo e in surplus verso la stanza di compensazione, diventa possibile che si manifestino tensioni e distorsioni anche gravi fra i paesi partecipanti all’accordo.
Al fine di ricercare una soluzione a questo problema, vanno innanzitutto presi in considerazione i progetti da tempo elaborati da esperti e autorità nazionali. In particolare riteniamo due proposte debbano essere sostenute, costituite rispettivamente dalla creazione di un fondo europeo di riserve e dal lancio di prestiti europei sui mercati paralleli internazionali. La realizzazione di questi progetti costituisce un’unità organica con la costituzione di una stanza di compensazione europea e il lancio dei prestiti intracomunitari; ciò risulterebbe verificabile non solo in un momento iniziale, ma anche in futuro, in quanto tutti questi istituti tenderebbero a evolvere con eguale logica e in sincronia con la evoluzione più generale del processo di integrazione verso la Unione europea.
Per chiarire l’importanza di queste proposte, che sono già state ampiamente dibattute a livello scientifico e politico, siano sufficienti poche osservazioni.
Per quanto riguarda il fondo europeo di riserve, inizialmente esso potrà accentrare solo una porzione limitata delle riserve nazionali e operare sulla base di regole decise all’unanimità dai paesi partecipanti all’accordo. È chiaro che i progressi verso la Unione monetaria e l’Unione europea renderanno possibili l’attribuzione di una quota crescente delle riserve nazionali al fondo europeo e l’ampliamento del grado di autonomia di cui gli organi ad esso preposti verranno a fruire. Sviluppo ultimo di questa evoluzione si avrà quando esisterà solamente il problema dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti europea mentre i rapporti intereuropei saranno solamente problemi interregionali.
A medio termine, risulta evidente la necessità di coordinare strettamente l’attività del fondo europeo di riserve e della stanza di compensazione europea, nella misura in cui entrambi, se pure con modalità differenti, influenzano i tassi di cambio delle monete europee; questa coordinazione è destinata ad approfondirsi, fino alla fusione delle due funzioni nel momento in cui opererà una Banca centrale europea.
Per quanto riguarda il collocamento di prestiti europei sui mercati paralleli internazionali, inizialmente il ricavato potrà essere ripartito fra i paesi deficitari in base a quote unanimemente decise dai paesi membri della C.E.E., oppure essere utilizzato per finanziare l’attività del fondo europeo di riserve. Questa seconda alternativa risulta preferibile nella prospettiva dell’evoluzione futura dell’importanza del fondo europeo di riserve stesso; da questo punto di vista l’emissione di prestiti europei sui mercati internazionali costituisce la soluzione oggi possibile per attribuire una fonte relativamente autonoma di finanziamento al fondo europeo di riserve. È evidente invece che, nel lungo periodo, nella prospettiva della realizzazione dell’Unione monetaria, i prestiti europei sarebbero sostituiti dalle linee di credito aperte dalla Banca centrale europea con le Banche centrali dei principali Stati.
Il fatto è che valgono a proposito dei prestiti europei del fondo europeo di riserve osservazioni perfettamente corrispondenti a quelle già formulate a proposito dei prestiti intracomunitari della stanza di compensazione europea.
In una prospettiva a medio termine, va segnalata la possibilità che i prestiti europei collocati sui mercati internazionali siano espressi, in parte o totalmente, in unità di conto europee; ciò renderebbe ancor più solidale l’operare del fondo europeo di riserve e della stanza di compensazione europea. Inoltre, la partecipazione del fondo europeo di riserve ai mercati paralleli internazionali come mutuatario, od anche come mutuante, potrebbe agevolare l’attribuzione al fondo europeo di riserve stesso del compito di regolare i rapporti fra mercati internazionali e mercati nazionali europei dei capitali, in tal modo avviando a soluzione il grave problema del controllo del mercato dell’euro-dollaro.
Più in generale, va nuovamente sottolineato che la creazione di un fondo europeo di riserve e il lancio di prestiti extra-europei sono proposte che rispondono alla stessa logica dei progetti di creazione di una stanza di compensazione europea e di emissione di prestiti intracomunitari. Queste proposte sono accomunate dal fatto di costituire obiettivi realistici e applicabili alla situazione concreta che essi sono chiamati a fronteggiare. Essi non rappresentano modelli ideali da perseguire nel lungo periodo o un progetto ambizioso da applicarsi dopo che siano stati soddisfatti determinati prerequisiti. Al tempo stesso, essi si pongono nella prospettiva dell’Unione monetaria, la cui nascita agevolano e di cui anticipano alcune caratteristiche. Ciò che più conta, questi istituti possono subire una continua evoluzione in parallelo con i progressi compiuti verso l’Unione europea.
Il fatto è che oggi è possibile attivare i servizi tipici di una Banca centrale europea che non richiedono, per prime forme di realizzazione parziale, l’esistenza di un governo. Questa possibilità esiste grazie alle prospettive di avanzamento verso l’Unione monetaria e l’Unione europea aperte dalla decisione presa dal vertice di Roma dell’1-2 dicembre 1975 di eleggere a suffragio universale il Parlamento europeo nella primavera del 1978. Sfruttare questa possibilità è necessario per agevolare la nascita dell’Unione monetaria e per rendere possibile a tutti i paesi europei di fronteggiare con maggiore efficacia i problemi economici e monetari nel periodo transitorio che ci separa dall’Unione europea.
La soluzione dei problemi monetari europei garantita dal piano a medio termine per l’Unione monetaria coinciderebbe con la soluzione degli, aspetti contraddittorii della fluttuazione congiunta che hanno reso finora questa soluzione inaccettabile dai paesi più deboli. La realizzazione del piano sopra formulato garantirebbe la nascita di un’area monetaria europea con un grado di autonomia nei confronti del resto del mondo destinato ad aumentare progressivamente, permetterebbe per i paesi europei un notevole risparmio di valuta pregiata e attiverebbe flussi finanziari intraeuropei dai paesi in surplus verso quelli in deficit. Questi trasferimenti sono, nelle condizioni oggi vigenti, accettabili dai paesi in surplus nella misura in cui garantiscono un decisivo passo in avanti verso l’Unione monetaria. In una prospettiva di più lungo periodo, tali trasferimenti farebbero parte di una coerente politica europea; essi non potrebbero essere l’effetto automatico di deficit generati dalle politiche o dagli sprechi di alcuni paesi, in quanto nel quadro dell’Unione monetaria è prevedibile che i paesi membri dovranno fare affidamento principalmente sullo strumento fiscale e non sulla creazione di base monetaria per finanziare la propria attività.
La realizzazione del piano a medio termine per l’Unione monetaria inoltre porrebbe immediatamente il problema di una politica del pieno impiego a livello europeo, in quanto porrebbe in essere una capacità di spesa pubblica autonoma a livello europeo. L’importanza di questo progresso è pari a quella dell’Unione monetaria. Il fatto è che la politica del pieno impiego a livello europeo riacquisterebbe l’efficacia perduta negli Stati nazionali europei, in quanto a livello europeo esiste coincidenza fra quadro di formazione della volontà pubblica e sistema economico, cioè fra Stato ed economia, mentre a livello nazionale le autorità pubbliche hanno perso il potere di controllare l’economia, ormai di dimensioni continentali.

 

 

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